Colonna sonora
Si può ragionevolmente parlare di c. s. (o traccia, o banda sonora: in inglese sound track o soundtrack, termini diventati d'uso internazionale; in francese band son, in tedesco Tonspur, in spagnolo banda sonora) a partire dall'invenzione del cinema sonoro. Si tratta dell'impressione di segnali luminosi su un lato della pellicola cinematografica che, letti da un apparato apposito del proiettore, si trasformano in suoni. La c. s. è composta dai seguenti elementi: parola (dialogo), rumori (effetti sonori), musica. Il dialogo (il cosiddetto parlato) può consistere nelle battute che pronunciano gli attori che interpretano il film, o in una voce off come quella degli stessi interpreti o ridursi alla voce di uno speaker che illustra o commenta quanto accade sullo schermo, o a puri suoni utilizzati come effetti. Questi ultimi (i rumori) possono a loro volta essere legati alle immagini, sia che provengano da 'presa diretta' (captati dal microfono durante le riprese) sia che vengano prodotti artificialmente in laboratorio in fase di postproduzione, oppure possono essere indipendenti dall'aspetto visivo. Così accade per la musica, che può essere legata a fonti presenti nell'inquadratura (uno strumento, un cantante in azione, un'orchestra, la radio, un disco ecc.) oppure slegata dall'immagine. Nel primo caso, semplificando, si parla di musica incidentale, nel secondo di musica di commento.
Si può parlare di c. s., però, anche per l'epoca del cinema muto (1895-1927), che tale in verità non è mai stato, accompagnato com'era dalla musica, o da voci, o da rumori prodotti in sala durante la proiezione. È un fatto che il cinema tendeva al sonoro fin dalla sua nascita: secondo Sergej M. Ejzenštejn, il cinema muto aveva già al suo interno un impulso verso il suono; e del resto si sa che l'esercizio del vedere ha cercato fin dall'antichità di coniugarsi con l'ascolto dei suoni. Gli stessi antenati del cinema (le ombre cinesi, le lanterne magiche, il teatro ottico ecc.) proponevano intrattenimenti accompagnati dalla musica. Per quanto riguarda il cinema vero e proprio, era solitamente in azione un pianista accompagnatore, che lavorava di fantasia e di tempismo improvvisando e inserendo citazioni di un repertorio conosciuto, oppure (soprattutto nei Paesi di cultura anglosassone) un suonatore di organo, o un complesso di strumentisti, senza dire degli strumenti automatici, come gli autopiani (la pianola meccanica) e altri che assumevano nomi fantasiosi legati alla loro funzione specifica: Biokestra, Cinefonium, Cinechordeon, Orchestrion, e altri. Fino ad arrivare, per i locali di lusso, all'orchestra sinfonica. Non si trattò però di un'evoluzione storica progressiva, dal pianoforte alla grande orchestra: le soluzioni erano spesso contemporanee o alternative. Il percorso della musica per film, insomma, fu tutt'altro che lineare e seguì l'evoluzione dell'opera cinematografica.Per ovviare agli inconvenienti del dilettantismo e delle scelte personali da parte dei singoli esecutori, si diffuse a poco a poco la pratica del 'pacchetto' di musiche che per contratto dovevano seguire le pellicole ed essere eseguite, quelle e non altre, durante le proiezioni. Man mano che il cinema si sviluppava e il film assumeva la complessità di uno spettacolo fatto di scene diverse, legate insieme da una successione logica di passaggi (e dal montaggio), l'esigenza di fornire uno sfondo sonoro purchessia si tramutò in quella di seguire il più possibile, con la musica, il carattere specifico del racconto. Già nel 1906 in Italia la Cines, appena costituita, cominciò a vendere i suoi film più importanti assieme a partiture musicali appositamente composte da Romolo Bacchini, anche se poi questa politica non fu continuata negli anni successivi, e nel 1910 la Ricordi pubblicò partiture e indicazioni per i musicisti. Nel 1909 intanto la Edison aveva pubblicato i primi Consigli sull'impiego del-la musica nei cinematografi. Le persone maggiormente impegnate in questo campo furono Max Winkler, James C. Bradfort, Bert Ennis: quest'ultimo affermò di aver proposto nel 1910 alla casa di produzione Vitagraph una scaletta di interventi strumentali chiamandola music cues, ossia "suggerimenti musicali", detti anche music sheets, "fogli di musica".Sta di fatto che questa abitudine di fornire ai musicisti, a partire dalla soglia degli anni Dieci e per tutti gli anni Venti, indicazioni musicali e guide per le esecuzioni acquistò una certa sistematicità e si diffuse dappertutto. La più completa e la più sistematica delle raccolte di cue-sheets, poi abbondantemente imitata al di qua e al di là dell'oceano, fu pubblicata a partire dal 1919, con il titolo Kinothek (abbreviazione di Kinobibliothek) e ne fu autore l'italiano (operante in Germania) Giuseppe Becce. Insieme a Hans Erdmann, Becce fu autore anche di un trattato apparso nel 1927 e intitolato Allgemeines Handbuch der Film-Musik.In generale, nella pratica quotidiana, talvolta le musiche di repertorio non bastavano più, e allora qualche musicista si sentì spinto a comporre lui stesso qualche pagina originale. Comunque anche quando gli spartiti in circolazione erano definiti original scores, il più delle volte risultavano promiscui (compilazione di brani preesistenti, più o meno arrangiati, e composizioni originali). Accanto a tali interventi nacquero anche 'musiche d'autore', appositamente scritte per determinati film di prestigio. Il cinema muto poté così vantare, in qualche caso, composizioni di autori celebrati come Camille Saint-Saëns, Ildebrando Pizzetti, Pietro Mascagni, Luigi Mancinelli, Arthur Honegger, Erik Satie, Darius Milhaud, Dmitrij D. Šostakovič e altri.
Numerosi, intanto, furono i tentativi, attuati in diversi Paesi, di sonorizzare le immagini. Già nel 1909, in Italia, la Manifattura cinematografica Fratelli Pineschi mise a punto un sistema per sincronizzare immagini e suoni con avviamento automatico di un grammofono, mentre nel 1921 l'inventore siciliano G. Rappazzo ideò una 'pellicola a impressione contemporanea di immagine e suoni' (sistema che non trovò applicazione, ma che costituì poi la base del film sonoro). Negli Stati Uniti, dopo la proiezione di alcuni test, la Warner Bros. propose nel 1926 il film Don Juan (Don Juan ‒ Don Giovanni e Lucrezia Borgia) diretto da Alan Crosland, basato sul sistema Vitaphone, ripreso dalla Western Electric e consistente nella sincronizzazione di dischi combinata con la proiezione. Lo stesso accadde per The jazz singer (1927; Il cantante di jazz), ancora di Crosland, film che costituì l'atto di battesimo del cinema sonoro, anche se era solo parzialmente sonorizzato. Nel 1927, intanto, la Fox Film Corporation (seguita da Metro Goldwyn Mayer, Paramount e Universal) adottò il sistema Movietone, ricavato dalla combinazione del sistema americano Phonofilm con il tedesco Triergon; ma nel 1928 la RCA, consociata della General Electric, brevettò il Photophone, sistema di sonorizzazione su pellicola. Il metodo (poi chiamato Vitaphone), fu adottato non solo dalla Warner Bros. ma ben presto anche da tutte le altre case produttrici statunitensi. E così quando si affermò in modo definitivo il sistema di saldare alla colonna visiva una traccia su cui era inciso il suono, tutti i numerosi tentativi fatti per dare una voce alle immagini confluirono in un risultato che ha mantenuto la sua validità nel tempo. Il cinema fu invaso dai suoni, e ci fu una levata di scudi contro questi eccessi, prima che la nuova dimensione acquistata dallo schermo fosse piegata da sicuri talenti a fini espressivi. I registi russi Ejzen-štejn, Vsevolod I. Pudovkin e Grigorij V. Aleksandrov pubblicarono verso la fine degli anni Venti un 'Manifesto del film sonoro', detto anche il 'Manifesto dell'asincronismo' (v. sincronismo e asincronismo), in cui venivano fissati alcuni principi teorici sull'uso creativo del sonoro. E molti altri teorici del cinema, in seguito, dedicarono la loro attenzione ai problemi del sonoro, ormai accettato universalmente.
Diversi sono i metodi attraverso i quali si arriva alla registrazione dei suoni sulla traccia apposita. Schematizzando, si ha la 'presa diretta' quando sono contemporaneamente in azione una macchina da presa e un microfono; il processo di 'postsincronizzazione' quando le immagini vengono riprese mute (o con un sonoro in funzione di guida provvisoria) e sonorizzate successivamente. Si tratterà in questo caso di incidere in sala di registrazione le voci degli interpreti (doppiaggio), di riprodurre rumori ed effetti, sia preventivamente registrati dal vero sia prodotti in studio, di eseguire e registrare le musiche. Queste operazioni avvengono a cura di tecnici del suono: attraverso apposite apparecchiature, le vibrazioni dell'aria raccolte dal microfono sono convertite in corrente elettrica variabile, a sua volta trasformata in flusso magnetico che viene registrato su nastri (perforati magnetici), della stessa dimensione della pellicola su cui sono impresse le immagini. Ciò perché, in fase di missaggio, i suoni registrati sui diversi nastri sonori vengono fusi tra di loro e con le immagini, ottenendo infine per essi una sola pista, una traccia ottica consistente in vibrazioni luminose impressionate nello spazio apposito sul fianco della pellicola. Le variabili sono numerose. C'è chi, al suono 'pulito' ottenuto in laboratorio, preferisce quello d'effetto realistico, assicurato di solito dalla presa diretta o manipolato appositamente proprio per ottenere un suono 'sporco' (soprattutto nel caso del cinema indipendente, sperimentale, non professionale ecc.). Ma ci sono registi di un cinema altamente professionale che perseguono volutamente determinati effetti, e c'è chi (il pioniere è stato lo scozzese Norman McLaren, attivo in Canada) non ricorre a fonti sonore ma incide direttamente i suoni sullo spazio apposito del negativo (suono sintetico). L'ultimo anello dei procedimenti di sonorizzazione è costituito dalla fase di presentazione al pubblico del risultato completo. Pur con gli aggiornamenti tecnici succedutisi nel tempo, alla base c'è sempre il sistema originario: nel proiettore un raggio proveniente da una sorgente costante di luce attraversa la traccia sonora e le modulazioni di luce colpiscono una cellula fotoelettrica (il lettore luminoso del suono) in cui esse diventano modulazioni di corrente elettrica che riproducono l'andamento del segnale fonico registrato. Queste passano in un complesso di amplificatori che si occupano del raddrizzamento della corrente, del filtraggio (eliminazione delle distorsioni) e dell'amplificazione finale di potenza. Il segnale viene così trasmesso agli altoparlanti sistemati dietro lo schermo o sparsi nella sala, nelle cui membrane le oscillazioni alternative provenienti dall'amplificatore sono trasformate in vibrazioni meccaniche, dunque acustiche.Dall'epoca del Cinerama e del Cinemascope (anni Cinquanta) si è diffuso l'ascolto stereofonico, talvolta in una discutibile rincorsa del 'reale' a ogni costo (fino ad arrivare al sensorround e derivati che, facendo vibrare in sala colonne d'aria, oltre che le membrane degli altoparlanti, abbinano a quelle acustiche sensazioni tattili). L'hi-fi (high fidelity, "alta fedeltà") assicura una riproduzione di alta qualità del suono. Il dolby stereo (e derivati) si basa su un dispositivo capace di selezionare i segnali presenti sulla c. s. e di indirizzarli ad altoparlanti dislocati in punti diversi della sala. Il sistema detto digitale, applicabile sia alla registrazione sia alla riproduzione dei suoni, appartiene a una tecnologia più recente, e di ben maggior efficacia pratica. Mentre il sistema tradizionale si chiama analogico in quanto i segnali sonori vengono trasformati in segnali elettrici modulati, il cui andamento è simile (cioè analogo) a quello del suono originario, quello 'digitale' si basa sul sistema numerico mediante il quale il suono emesso viene trasformato in coppie di codici elementari (0 e 1) e inciso su un supporto ad alta definizione capace di contenere oltre il doppio delle tracce possibili all'analogico. La registrazione sul negativo-suono avviene mediante un raggio laser.
In sede di missaggio ‒ mediante ricorso a un procedimento informatico ‒ la correzione delle tracce ottenute, la loro fusione, la ricerca dell'equilibrio tra i vari suoni (equalizzazione), la loro manipolazione sono rese più facili, con risultati più alti e in minor tempo. Senza contare l'abolizione dei fruscii, dei disturbi di fondo e delle distorsioni. Per quanto riguarda la riproduzione, ossia la lettura del suono, il proiettore è dotato di uno speciale sensore che decodifica i segnali numerici memorizzati e li trasforma in segnali acustici. Risultati ottimali vengono ottenuti con il ricorso al suono digitale del sistema Dolby, capace di elevare ulteriormente la qualità del suono e mettere in rilievo la presenza dei bassi. Il processo più recente, e indubbiamente più sofisticato, non impedisce tuttavia l'uso, alternativo o complementare, di quello tradizionale.La parola (dialogo). ‒ Per quanto riguarda le voci (colonna dialogo) c'è la possibilità di selezionarle al fine di far ascoltare allo spettatore solo ciò che interessa; per convenzione, per es., si può sentire il dialogo fra due personaggi lontani e immersi nel brusio della folla. Si può sentire quella di un personaggio assente, o che non è inquadrato in quel determinato momento (voce fuori campo), o addirittura di un personaggio morto. Voce senza corpo, dunque. Il musicista e teorico francese Michel Chion chiama acusmatico (termine di origine greca, ripreso da Pierre Schaeffer, apostolo della musica concreta) un suono che si sente senza vedere la fonte da cui proviene. Si può anche sopprimere la voce, nel caso di personaggi che non si vogliono ascoltare, con tutte le varianti dell'uso irrealistico o psicologico di tale elemento, compreso l'ascolto di voci immaginarie che nella realtà fenomenica riprodotta sullo schermo non esistono (un personaggio le pensa o le 'sente' nella mente o nella coscienza). In diversi casi la voce è manipolata e distorta per ottenere determinati effetti (voci magiche, di esseri fantastici, di macchine: come per la 'morte' di Hal, il computer di 2001: a space odissey, 1968, 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick). Diverso, dunque, il rapporto della voce con l'immagine di chi la emette. Alcuni compiono distinzioni tra voce in (si vede la fonte: suono diegetico), off (non si vede la fonte: suono extradiegetico), over (è la voce in prima persona di un personaggio, sia presente sia assente dall'inquadratura) e 'voce interiore'. Non necessariamente, quindi, le voci debbono sempre essere 'avvitate' ai corpi, per usare un'espressione della scrittrice e regista Marguerite Duras, la quale, insieme a Jean-Luc Godard e ad altri cineasti, utilizza le voci in maniera anticonformista rispetto ai codici riconosciuti.Vasta è comunque la dialettica relativa a statuti misti, cioè a presenze-assenze non rigorosamente definibili. Chion scrive: "Proprio i suoni e le voci né completamente dentro, né palesemente fuori sono le cose che destano maggiormente il nostro interesse di spettatori: infatti è in situazioni simili, con quelle voci e quei suoni vaganti in piena libertà sulla superficie dello schermo, che probabilmente il cinema mostra tutta la sua forza espressiva" (1982; trad. it. 1991, p. 15). Ci possono essere anche voci praticamente senza immagini: nel caso del film Blue (1994) il suo autore, il regista Derek Jarman, parla di sé mentre sullo schermo scorre un'immagine fissa e costante di colore blu.La voce in sé, nelle sue caratteristiche fonetiche, è importante quanto i significati che intende esprimere, in quanto prodotta da strumenti di fonazione diversi per ciascun parlante (la phoné); e alla specificità dell'individuo si aggiunge quella della lingua, che non è solo questione di durata e di accenti, ma di un intero modo d'essere. Sono frequenti i casi in cui la ripresa delle voci non avviene contestualmente a quella delle immagini (presa diretta), per cui si rende necessario far recitare o far ridire le battute del dialogo in sala d'incisione, davanti a un microfono (doppiaggio). Può occuparsi di ciò sia lo stesso proprietario della voce, che ha così modo di enunciare e tornire meglio le battute che ha pronunciato in condizioni disagevoli, durante la ripresa visiva, sia un altro attore, specializzato nel doppiaggio, perché ritenuto più fonogenico. Come si è detto, queste operazioni appartengono più propriamente al processo detto postsincronizzazione. Soprattutto nel caso di esecuzioni musicali si ricorre al playback, cioè a una c. s. precedentemente registrata e seguita durante la ripresa visiva dagli attori o esecutori. Di norma un film straniero, girato nella lingua del Paese d'origine e importato in Italia, viene doppiato in italiano, cioè integrato di un dialogo appositamente registrato in studio. Il doppiaggio (v.) si è affermato a partire dal 1932, favorito dall'atteggiamento nazionalista del regime fascista, che non voleva che i linguaggi stranieri invadessero la Penisola, e dopo il fallimento di alcuni tentativi, compiuti soprattutto a Hollywood, di provvedere direttamente al doppiaggio, nonché di girare versioni dello stesso film in diverse lingue.Anche se non è esclusivamente italiano (all'estero il film è offerto di solito in edizione originale con sottotitoli, o c'è la possibilità di scegliere fra una programmazione in lingua originale e una doppiata), il fenomeno del doppiaggio è soprattutto italiano, tanto da essere assurto a una forma piuttosto alta di artigianato, pur se molti ritengono che con l'affermarsi della televisione, che impone tempi di produzione assai più ristretti, la qualità di questa pratica sia alquanto decaduta. I doppiatori sono solitamente organizzati in cooperative e hanno condotto diverse battaglie per veder riconosciuta la loro fatica, rendendo per es. obbligatoria la citazione dei loro nomi nei titoli di coda di un film.
L'atteggiamento di fronte a questo fenomeno è duplice: da una parte c'è chi apprezza sommamente il lavoro dei doppiatori, ritenendolo indispensabile per consentire l'apprezzamento del film, e chi non ammette lo sdoppiamento voce/volto. Poi c'è chi cerca di valutare quanto di buono si accompagna a un male ritenuto necessario. E non si possono nemmeno ignorare le ripetute prese di posizione di alcuni registi, anche italiani, contro il doppiaggio e a favore della sottotitolatura.
La produzione dei rumori può essere legata a una realtà fenomenica (ripresa fonica contemporanea a quella visiva, o applicazione di rumori 'naturali' registrati a parte), oppure 'sintetica' (utilizzo di suoni registrati in archivi sonori o ricreati in studio a opera di tecnici, i 'rumoristi'). Con il perfezionamento continuo della tecnologia che regge la produzione del suono (con apparati stereofonici e multipiste, sistemi di potenziamento e di filtraggio, uso di suoni sintetici e informatici) i risultati sono spesso assai sofisticati. Per es., la curiosa voce dell'alieno di E.T. the extra-terrestrial (1982; E.T. l'extra-terrestre) di Steven Spielberg, nella versione originale, è la risultante di diciotto segnali sovrapposti, quali versi di animali e voci femminili. Anche in passato, comunque, si ricorreva a procedimenti complessi: negli anni Trenta, per es., l'urlo di Tarzan era ottenuto dalla fusione di vocalizzi di tenori e di suoni di sirene in azione.Più interessante di quelli usati per la definizione naturalistica (rumori d'ambiente), è l'utilizzo degli effetti a fini espressivi e 'psicologici' (come quando un rumore 'innocente' evoca, nella mente di un personaggio, un altro rumore, per es., di un'arma, di un motore ecc., udito in condizioni drammatiche e che ancora lo sgomentano). In diversi casi il rumore assume un significato metaforico, sia usato nei suoi valori naturali sia di-storto (l'amplificazione del battito del cuore, per es., o del respiro). Talvolta è il rumore a dominare la scena e a esprimere, senza bisogno di parole né di musica, la drammaticità di una situazione, come nel finale di Lancelot du Lac (1974; Lancillotto e Ginevra) di Robert Bresson in cui il rumore di corazze trafitte e di elmi che cadono rende 'tangibile' la tragedia di un'epoca che si conclude sanguinosamente. In un altro finale, quello di Il processo di Verona (1963) di Carlo Lizzani, è lo stesso musicista, Mario Nascimbene, a rinunciare alla musica e a sopprimere ogni altro suono per affidare al ronzio di una cinepresa in azione la definizione di un'esecuzione capitale plurima. Ci sono cineasti (come il citato Bresson, Jacques Tati, Jean-Marie Straub, Danielle Huillet e Franco Piavoli) che attribuiscono in tutta la loro produzione un'importanza rilevantissima ai rumori, mettendoli sullo stesso piano delle immagini (talvolta anzi queste ultime sono meno importanti del sonoro). L'uso in contrappunto, cioè 'spostato', di determinati rumori può produrre effetti comici, come nel caso del film Le million (1931; Il milione) diretto da René Clair, in cui una scena di lotta tra diverse persone per impadronirsi di una giacca è scandita dai rumori caratteristici di una partita di rugby.La musica. ‒ Con l'invenzione del sonoro, a parte il ricorso a musicisti già attivi più che altro nel settore del teatro musicale e della canzone, nacque una nuova professionalità, quella del compositore (v.) specializzato per il cinema. Tra i pionieri, si ricorda il viennese Max Steiner, attivo negli Stati Uniti, il quale, pur nutrito della tradizione sinfonica europea, si adeguò perfettamente alle esigenze del cinema statunitense assicurando al 'commento musicale' funzionalità spettacolare e puntualità di effetti. Fu lui il primo a creare all'interno di una casa di produzione hollywoodiana (la RKO) un Music Department, struttura a piramide di compositori, arrangiatori, orchestratori, specialisti, esecutori e tecnici in grado di assicurare lo svolgersi di un lavoro rigorosamente organizzato, operazione subito imitata dalle altre majors. Sulla strada di un alto professionismo Steiner fu seguito ben presto da altri oriundi europei (Erich Wolfgang Korngold, Miklos Rozsa, Franz Waxman, Frederick Hollander, Dimitri Tiomkin, Daniel A. Amfiteatrov, Bronislaw Kaper e altri), nonché da com-positori di matrice statunitense (Alfred Newman, Herbert Stothart, Hugo Friedhofer, Victor Young, David Raksin, Bernard Herrmann ecc.). Tutti questi artisti, all'epoca del 'cinema classico', erano di regola alle dipendenze di una casa di produzione, ma accanto a loro lavoravano anche i free lance, reclutati di volta in volta per un determinato film.Accanto ai risultati di mestiere i musicisti attivi per il cinema, soprattutto in Europa, cercarono qua e là di uscire dalla routine. In Francia compositori come Georges Auric (membro del 'Gruppo dei sei'), Maurice Jaubert, Georges Van Parys, Jean Wiener, Maurice Thiriet, gettarono ponti, con un uso scanzonato dei suoni, verso il cabaret, il jazz, e il gusto e i modi dell'avanguardia e del Surrealismo. La Germania poté vantare una calda adesione al cinema da parte di musicisti importanti come Paul Hindemith, Paul Dessau, Hanns Eisler, che applicarono al cinema gli sperimentalismi della musica 'colta', spostandola verso la Gebrauchsmusik, o musica di consumo. In Unione Sovietica la musica per film era considerata spesso allo stesso livello di quella da concerto e da teatro. Furono attivi nel primo periodo del sonoro D.D. Šostakovič, Dmitrij B. Kabalevskij, Aram I. Chačaturjan, Isaak O. Dunaevskij, Isaak I. Švarc, Nicolaij N. Krjukov e Sergej S. Prokof′ev. La collaborazione di quest'ultimo con il regista Ejzenštejn segnò un vertice, per la raggiunta sinestesia fra elementi visivi ed elementi sonori, nei risultati di Aleksandr Nevskij (1938) e di Ivan Groznyj (la cui prima parte venne presentata al pubblico nel 1945, mentre la seconda, terminata nel 1946, uscì solo nel 1958; Ivan il terribile e La congiura dei boiardi). In Gran Bretagna il direttore d'orchestra Muir Mathieson, appoggiato dal produttore Alexander Korda, riuscì ad attrarre al cinema compositori importanti e famosi come Arthur Bliss, Ralph Vaughan Williams, Arnold Bax, Benjamin Britten.
In Italia furono attivi nei primi anni del sonoro compositori-artigiani appartenenti soprattutto al campo della radio, delle canzoni e della 'musica leggera', ma uomini di cultura come M. Labroca e G. M. Gatti attirarono al cinema musicisti dell'area 'colta' come Giorgio Federico Ghedini, Felice Lattuada, Gian Francesco Malipiero, Lorenzo Perosi, Riccardo Zandonai. Il primo che in Italia si dedicò come specialista a questo settore, formando con il suo insegnamento tutta una schiera di allievi, fu Enzo Masetti, che antepose sempre a ogni preoccupazione la funzionalità e la subordinazione della musica alle immagini. Altri compositori del periodo furono Alessandro Cicognini (legato specialmente a Vittorio De Sica), Renzo Rossellini (attivo soprattutto per i film del fratello Roberto), Giuseppe Rosati, Nino Rota (poi 'complice' insostituibile di Federico Fellini). Soprattutto negli anni Trenta e Quaranta la musica da film rispose, in linea di massima, alle esigenze del 'commento' o 'accompagnamento musicale' inteso ad aggiungere suggestione alle immagini, a offrir loro una specie di risonanza psico-acustica attuata dalla cosiddetta orchestra invisibile (una musica convenzionalmente accettata anche se non presente nelle immagini). Pur recando talvolta con sé un fatale automatismo di soluzioni stereotipate fissate a determinate situazioni o a determinati generi, si è continuato a utilizzare l'antica pratica intersecando altre concezioni. Nei casi migliori il commento musicale non si limita ad 'appoggiare' ciò che già si vede sullo schermo, ma riesce a esprimere ciò che da sola l'immagine non esprime. Ne cerca l'anima interiore, per così dire, e ne restituisce il significato inespresso. Non importa la qualità musicale intrinseca, non importa se si tratta di partiture originali, di citazioni di musica preesistente, 'classica' o 'leggera'; così come non importa se ci si basa sul tematismo o sulla ritmica, se si fa affidamento allo strumento singolo o alla grande orchestra, agli strumenti acustici o all'elettronica. E neppure se si tratta di musica tradizionale o contemporanea, tonale o atonale, dodecafonica o aleatoria, e così via, anche se Th.W. Adorno e H. Eisler, nel loro trattato (1969; trad. it. 1975), sostengono che la musica atonale è la più adatta alle strutture linguistiche del racconto filmico, fatto di segmenti, perché passa sopra all'obbligo della melodia a qualunque costo e non è costretta come la musica tonale ad avvolgersi attorno a un nucleo centrale. Ciò che importa è la 'funzionalità' degli interventi, il loro 'farsi cinema'.
Le possibilità di staccarsi dalle convenzioni codificate si fece strada quando (a partire dagli anni Cinquanta) il cinema cambiò direzione e ringiovanì i suoi apporti. Fu nell'ambito delle varie 'nuove ondate' e dell'affermarsi di cineasti indipendenti che venne 'asciugata' la presenza di una musica troppo spesso debordante (particolarmente propensi all'asciuttezza dei suoni si sono rivelati registi come Michelangelo Antonioni, Ingmar Bergman, R. Bresson, Luis Buñuel, Andrej A. Tarkovskij, Eric Rohmer), e sono quindi entrate a buon diritto nel territorio della musica da film la musica pop (soprattutto il rock) e quella prodotta dai sintetizzatori. La prima ha apportato un modo di fare e ascoltare musica condizionato dai gusti giovanili e retto da un flusso continuo basato sull'appagamento un po' ipnotico del ritmo; la seconda si è affidata ad apparecchiature elettroniche (i synthesizers) dalle sbalorditive capacità creative e mimetiche (la campionatura dei suoni) fino ad arrivare alla musica composta al computer. Il passaggio, in questo ambito, dalla sintesi analogica a quella digitale, implica la possibilità non solo di ottenere soluzioni inaudite ma anche di organizzare il lavoro del compositore e il processo di lavorazione della c.s. in modo del tutto nuovo rispetto ai metodi della tradizione.
Accanto ai compositori di sicura preparazione, è così fiorita una generazione di musicisti improvvisati, alcuni dei quali, pur non sapendo leggere le note, con l'aiuto dell'elettronica hanno raggiunto risultati eccellenti (Vangelis, Giorgio Moroder). Tra i compositori di vaglia sono da citare, fra gli altri: in Italia Roman Vlad, Mario Zafred, Franco Mannino, Carlo Rustichelli, Angelo Francesco Lavagnino, Piero Piccioni, Piero Umiliani, Armando Trovajoli, Egisto Macchi, Luis Enrique Bacalov, Nicola Piovani, Franco Piersanti, Carlo Crivelli, Pino Donaggio; in Francia René Cloërec, Michel Magne, Michel Legrand, Georges Delerue, Pierre Jansen; in Gran Bretagna Malcom Arnold, John Addison, John Barry, Johnny Dankworth; in Russia Rodion K. Ščedrin, Michail P. Ziv, Al′fred G. Šnitke, Eduard N. Artem′ev; in Germania Werner Eisbrenner, Hans Werner Henze. Di particolare rilievo è stato il ruolo di quei personaggi che, rinnovando la situazione e avvalendosi delle nuove tecniche, hanno assicurato risultati innovativi: come, oltre ad alcuni già citati, Ennio Morricone, compositore di vasta fortuna in tutto il mondo, autore di partiture anti-accademiche che accolgono tutti i suggerimenti e gli stili, dalla musica di consumo allo sperimentalismo.La 'nuova spettacolarità hollywoodiana' ha tentato il ritorno a un neosinfonismo di impronta tradizionale (affidandosi soprattutto a musicisti come John Williams, Jerry Goldsmith, Hans Zimmer e altri). Negli Stati Uniti si sono imposti musicisti dalla sicura sensibilità per le immagini, come Elmer Bernstein, Henry Mancini, Christopher Young, James Horner, Howard Shore, Alan Silvestri, Michael Kamen, Danny Elfman, Angelo Badalamenti. Inoltre, se in passato i registi preparati musicalmente erano abbastanza rari (King Vidor, Luchino Visconti, Clint Eastwood, Alain Resnais, Gillo Pontecorvo), è sorta una nuova generazione di registi che non ritengono la musica qualcosa di separato, riservato agli specialisti del pentagramma, ma un momento essenziale della costruzione di un film, da gestire senza soggezione. Il capofila è stato J.-L. Godard, nei cui film le presenze musicali sono 'materiali' da usare come i mattoni e le tegole di una costruzione. Un altro regista che ha usato le musiche come elementi 'di regia' è stato S. Kubrick, che ai suoni originali ha sempre preferito musiche preesistenti (che del resto nel cinema hanno gli stessi diritti di cittadinanza delle pagine composte ad hoc). Pier Paolo Pasolini e Carmelo Bene sono arrivati al patchwork, al montaggio di materiali eterogenei (musica originale, classici, musica moderna, canzoni ecc.). Cineasti come Wim Wenders, Martin Scorsese, Jonathan Demme, John Landis, Alan Parker, Oliver Stone, David Cronenberg, Spike Lee, David Lynch, Quentin Tarantino, Olivier Assayas sono cresciuti con il rock e hanno subito anche l'influenza dei videoclip, un genere audiovisivo che ha spostato in avanti le frontiere delle possibilità combinatorie suono/immagine. Sono stati così modificati gli equilibri tra suono e immagine, e qualcuno sostiene "sempre più spesso attraverso i propri lavori, e con sempre maggior convinzione, che è la musica a ispirare le immagini e a 'condurre' letteralmente il film", come scrive F. Minganti (2000, p. 114). Sono attivi anche personaggi, come John Carpenter, registi ma anche musicisti.
Altri musicisti nel loro lavoro utilizzano musiche di diverso conio 'degradandole' in un uso utilitaristico, come il tedesco Peer Raben, il compositore di Rainer Werner Fassbinder; altri introducono nelle loro partiture il concetto di 'frammento' (brani che appaiono e scompaiono improvvisamente), come il francese Philippe Sarde; e altri ancora sono propensi ad accettare le suggestioni della 'musica d'ambiente' (che va da quella adatta a essere usata come sottofondo, chiamata muzak, a quella di sperimentazione), e del 'minimalismo' (autorevoli esponenti, attivi anche per il cinema, sono lo statunitense Philip Glass e l'inglese Michael Nyman). A sua volta il cinema influenza la musica da concerto, come accade per i compositori statunitensi J. Zorn, D. Shea e altri esponenti della 'musica cinematica'.Capitoli a parte andrebbero riservati ad alcuni generi cine-musicali fortemente caratterizzati, come il film-opera (v. operistico, film), il cinema di canzoni (v. canzone), il musical (v.), il rock movie (v.), l'opera-rock, le biografie filmate di musicisti ecc. Qualcuno (come Lars von Trier e altri cineasti danesi, estensori del manifesto Dogme 95) nega la legittimità della musica di commento, salvando solo quella "presente nel momento in cui il film viene girato". Alcuni teorici postulano la possibilità di adeguare i 'suoni nuovi' prodotti dalla moderna tecnologia a 'nuove immagini'. Sostengono cioè che invece di utilizzare le tecniche sonore innovative per narrazioni visive ancorate alla tradizione si potrebbe sintonizzare il visivo sulla stessa lunghezza d'onda dell'audio attraverso immagini prodotte elettronicamente: "con l'utilizzazione del copione elettronico e della visualizzazione immediata delle sequenze su video è possibile un diverso rapporto di collaborazione tra regista e compositore che diventano 'coautori' in senso pieno del prodotto", scrive il teorico I. Franchi (1985, pp. 33-35). È quanto accade, in qualche misura, nei film nati dalla collaborazione di P. Glass con il regista Godfrey Reggio. Altri fattori giocano un ruolo nei risultati finali, come la presenza di editori discografici, che impongono determinate soluzioni quando le musiche di un film sono destinate contemporaneamente al mercato dei dischi, delle videocassette, dei DVD ecc. Si può affermare che la musica per film tende (e nei casi migliori la realizza) all'utopia sinestetica di combinare due dimensioni diverse in un unico risultato.
A proposito della c. s. in generale, il già citato M. Chion sostiene che non si può più parlare di due componenti distinte, immagine e suono, e in una conversazione (1991, p. 39) afferma: "Cinema non vuol dire immagine, vuol dire movimento, e il movimento attiene sia al suono che all'immagine. Liberandosi da un'impostazione dualistica ci si accorge che certi elementi del cinema non sono né visivi né sonori, ma piuttosto transensoriali". E conia in questa occasione, per definire la sollecitazione ricevuta da parte dello spettatore dalle immagini sonore, in cui il suono conferisce un 'valore aggiunto' alle immagini, il termine audiovisione. È un fatto che il suono ci fa vedere, al cinema, anche ciò che sullo schermo non c'è. Ancora Chion ribadisce il concetto quando scrive (1990; trad. it. 1997, p. 12): "Con l'espressione valore aggiunto designiamo il valore espressivo e informativo di cui un suono arricchisce un'immagine data, sino a far credere, nell'impressione immediata che se ne ha o nel ricordo che se ne conserva, che quell'informazione o quell'espressione derivino 'naturalmente' da ciò che si vede, e siano già contenute nella semplice immagine. E sino a procurare l'impressione, eminentemente errata, che il suono sia inutile, e che esso riproduca un senso che invece introduce e crea, sia di bel nuovo, sia tramite la sua differenza con ciò che si vede".Come i mezzi della visione, infine, anche il suono è dentro il cerchio della creazione filmica, al centro del momento espressivo. La dialettica fra i due elementi costituisce il fulcro, la conditio sine qua non della messinscena di un film, oggi più di ieri, in quanto in molti casi si è recuperata, rispetto alla disattenzione del passato, la portata della colonna sonora. Senza dire delle aumentate possibilità della tecnologia, che del prodotto basato sull'immagine fa sempre di più un diffuso ibrido multimediale. Si assiste sempre di più, d'altronde, al fenomeno di immagini che sono addirittura determinate dalla musica, incisa prima delle riprese. Della c. s., insomma, si riconosce sempre più spesso l'importanza basilare, costitutiva, ontologica nel racconto per immagini, cui viene riconosciuto in effetti lo statuto di un'unitaria struttura audiovisiva.
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