Abstract
Nel contributo viene analizzata la disciplina del conferimento di azienda ponendo in luce come, ai fini dell’imposizione sui redditi, tale negozio giuridico sia assoggettato al medesimo regime di neutralità delle operazioni di matrice riorganizzativa quali le fusioni, le scissioni e le trasformazioni (le cosiddette operazioni sui soggetti). Viene poi dato conto delle opzioni (onerose) di riallineamento che l’entità conferitaria può porre in essere allo scopo di conseguire il riconoscimento fiscale dei maggiori valori eventualmente iscritti in occasione dell’apporto ricevuto con riguardo a componenti dell’attivo immobilizzato. Da ultimo viene formulato un breve cenno alla disciplina del conferimento di azienda nella prospettiva dei principali tributi indiretti (imposta sul valore aggiunto e tributo di registro).
L’attuale formulazione dell’art. 176 del t.u.i.r. delinea per il conferimento d’azienda un regime di ineludibile neutralità fiscale che, in concreto, equipara siffatta operazione allo schema tipico delle cosiddette operazioni sui soggetti. Si tratta di un’opzione legislativa ragionevolmente di sistema e non meramente agevolativa (derogatoria dell’equiparazione quoad effectum del conferimento alla compravendita sancita dall’art. 9, co. 5, del t.u.i.r.) a cui è sottesa come ratio la volontà di rendere fungibili le differenti modalità giuridiche di trasferimento delle aziende (delle modalità tutte ormai neutrali ad eccezione della cessione di azienda la quale pure tollera la previsione derogatoria di cui all’art. 86, co. 2, del t.u.i.r.). La natura ineludibilmente neutrale sotto il profilo fiscale del conferimento d’azienda effettuato fra soggetti esercenti attività d’impresa commerciale (senza che rilevi la forma giuridica del soggetto conferente e di quello conferitario) è chiaramente affermata dal primo periodo del co. 1 dell’art. 176 del t.u.i.r. Tale disposizione infatti afferma ex professo che «i conferimenti di aziende (…) non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze». Nonostante tale disposizione sembri prima facie interessare le sole operazioni eseguite fra contribuenti entrambi «(…) residenti nel territorio dello Stato» (nel qual caso il compendio oggetto di conferimento può ben essere localizzato all’estero), il successivo co. 2 si incarica di ampliare l’ambito soggettivo di applicazione del regime. Viene, infatti, introdotta una deroga alla necessaria residenza fiscale nel territorio della Repubblica italiana tanto del conferente quanto del conferitario nell’ipotesi in cui «(…) il conferimento abbia ad oggetto aziende situate nel territorio dello Stato». Ciò sta a significare che quando il compendio oggetto di apporto sia localizzato in Italia, la specifica operazione rientra in ogni caso nel campo di applicazione della norma in commento a condizione che, in alternativa, il soggetto conferente ovvero quello conferitario risiedano (fiscalmente) in Italia. Si tratta, tipicamente, della situazione in cui il soggetto residente conferisca un’azienda a beneficio di un’entità conferitaria non residente (la quale, ragionevolmente, in ragione dell’intervenuta acquisizione di un’azienda localizzata in Italia diviene ivi titolare di una stabile organizzazione così producendo reddito d’impresa) ovvero di quella in cui il conferente non residente (di norma operante in Italia per il tramite di una stabile organizzazione) apporti il compendio a favore di un’entità conferitaria residente. Resta, invece, esclusa dall’ambito applicativo della disposizione in commento l’ipotesi in cui solo uno dei due contribuenti interessati all’operazione sia fiscalmente residente in Italia ed il compendio oggetto di apporto sia localizzato al di fuori dei confini nazionali. Il regime di neutralità fiscale implica una rigorosa forma di continuità dei valori fiscali imponendo, per un verso, al conferente di «(…) assumere, quale valore delle partecipazioni ricevute, l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita» e, per altro verso, al conferitario di subentrare «(…) nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda stessa, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio (evidentemente suscettibili di modificazione quantitativa in esito al conferimento) e i valori fiscalmente riconosciuti». Si tratta di quel regime definito nella prassi come bisospensivo (in quanto il fenomeno di latenza dei maggiori valori iscritti riguarda entrambi i contraenti) cui si accompagna una (frequente ma invero non necessitata) divaricazione fra la valorizzazione civilistica e quella fiscale del compendio in capo all’entità conferitaria la quale, in tal caso, è obbligata a fornire evidenza nella propria dichiarazione dei redditi della duplice serie di valori. La ratio sottesa al regime di neutralità fiscale bisospensivo è facilmente intuibile ed è ravvisabile nella garanzia (offerta dal regime di continuità dei valori fiscali) tale per cui la specifica operazione non determina – a bene considerare - alcun salto d’imposta e ciò né nella prospettiva del conferente dell’azienda né in quella del conferitario; un eventuale effetto di realizzo, infatti, è rimesso all’effettuazione di successivi atti dispositivi che abbiano ad oggetto la partecipazione acquisita dal conferente in esito all’apporto ovvero gli elementi patrimoniali costituenti l’azienda ricevuta dal contribuente conferitario. Solo in un momento successivo quindi – ed al ricorrere dei relativi presupposti – quei plusvalori (o, se del caso, minusvalori) che il conferimento ha di fatto (temporaneamente) neutralizzato avranno modo di estrinsecarsi. La circostanza che il conferitario subentri nei valori fiscali degli elementi patrimoniali attivi e passivi dell’azienda conferita trova, peraltro, secondo la prassi interpretativa dell’Amministrazione finanziaria (si veda la circ. 4.3.2010, n. 8/E dell’Agenzia delle entrate), una deroga nell’ipotesi in cui nel compendio apportato risulti inclusa una posta a titolo di avviamento (iscritto ex ante dal soggetto conferente in quanto acquisito a titolo oneroso) dotata di un proprio valore fiscalmente riconosciuto. In tale eventualità, infatti, secondo la richiamata interpretazione dell’Agenzia delle entrate, non avrebbe luogo alcun fenomeno di subingresso del conferitario nella titolarità della specifica posta la quale, pertanto, continuerebbe ad essere fiscalmente gestita dal contribuente apportante. Questa ricostruzione ermeneutica – pur avendo formato oggetto di serrate critiche da parte della dottrina la quale ha posto in evidenza il carattere inseparabile dell’avviamento dal relativo compendio e la conseguente illogicità della tesi che postula la non traslabilità della posta de qua – non ha mai formato oggetto di revisione e rappresenta tuttora l’orientamento ufficiale dell’Amministrazione finanziaria sebbene sia logico ritenere che questa interpretazione sia stata fortemente influenzata dalle peculiarità della fattispecie concreta esaminata e dalla natura di soggetto IAS/IFRS compliant interessato alla specifica operazione.
L’affermazione della neutralità fiscale dell’operazione nella prospettiva di entrambi i soggetti interessati cagiona anche alcune ulteriori conseguenze. In particolare, il co. 4 dell’art. 176 del t.u.i.r. introduce una sorta di generalizzato fenomeno di roll over del requisito dell’anzianità di possesso concernente l’azienda oggetto di apporto prevedendo che «le aziende acquisite (…) si considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente. Le partecipazioni ricevute dai soggetti che hanno effettuato i conferimenti (…) si considerano iscritte come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni dell’azienda conferita». Si tratta di una disposizione coerente con il suddetto regime di neutralità fiscale e che si basa sul presupposto della sostanziale insussistenza di una vera e propria soluzione di continuità fra la posizione del soggetto conferente e quella del conferitario nella dinamica dell’art. 176 del t.u.i.r.. La circostanza che quest’ultimo acquisisca il compendio ricevuto agli stessi valori fiscali che lo qualificavano presso il conferente e che questi, da parte propria, abbia a valorizzare fiscalmente la partecipazione ricevuta in cambio all’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda determina perciò l’ulteriore conseguenza tale per cui ai sensi del co. 4: i) per un verso, la partecipazione si considera iscritta fra le immobilizzazioni finanziarie a decorrere dalla data in cui è stata acquisita la titolarità dell’azienda apportata; ii) per altro verso, il compendio si considera posseduto dal soggetto conferitario «(…) anche per il periodo di possesso del soggetto conferente». Tale continuità assume rilievo ai fini di taluni importanti istituti. E così il conferitario potrà fruire, ad esempio, della rateizzazione dell’eventuale plusvalenza ex art. 86, co. 4, del t.u.i.r. computando ai fini del periodo di detenzione triennale anche quello maturato dal conferente; da parte propria quest’ultimo, ai fini del cosiddetto minimum holding period previsto dalla disciplina in tema di participation exemption traslerà sulla partecipazione ricevuta in esito all’apporto il periodo di possesso già maturato con riguardo al compendio.
Nella struttura delineata dall’art. 176 del t.u.i.r. il co. 2-ter non introduce, a bene considerare, una deroga concettuale e non può, quindi, essere apprezzato come una vera e propria deviazione rispetto all’affermata neutralità dell’operazione. Tale disposizione, infatti, si limita a facoltizzare il soggetto conferitario a ridurre se non ad elidere del tutto le possibili divergenze fra la valorizzazione contabile e quella fiscale del compendio laddove in esito all’operazione vengano iscritti maggiori valori con riguardo ad immobilizzazioni materiali ed immateriali ricomprese nell’azienda. Questa circostanza esclude tout court, pertanto, che possano formare oggetto di affrancamento beni e/o diritti già nella titolarità del contribuente conferitario prima dell’operazione mentre non impedisce l’affrancamento di eventuali disallineamenti già caratterizzanti gli elementi patrimoniali conferiti laddove le differenze di valore oggetto di affrancamento fossero già ravvisabili presso il conferente ed ascrivibili a precedenti operazioni di natura neutrale dallo stesso poste in essere. Quanto all’oggetto del riallineamento vale altresì evidenziare come la disciplina faccia riferimento alle sole immobilizzazioni materiali ed immateriali, con ciò escludendo tanto le immobilizzazioni finanziarie e gli oneri poliennali quanto tutti i componenti dell’attivo circolante (i quali, proprio per il tendenziale rapido impiego che li contraddistingue in una prospettiva economica avrebbero potuto formare oggetto di facili fenomeni di arbitraggio di aliquota da parte dei contribuenti). La norma primaria che regola l’istituto del riallineamento deve essere analizzata in pendant con la disciplina attuativa recata dal d.m. del 25.7.2008. La struttura essenziale dell’istituto prevede che l’entità conferitaria sia legittimata, in occasione della presentazione della dichiarazione concernente l’annualità di esecuzione dell’operazione o di quella immediatamente successiva, ad optare per il riconoscimento ai fini IRPEF, IRES ed IRAP dei maggiori valori iscritti a valere delle immobilizzazioni materiali ed immateriali (ivi incluso, pertanto, l’avviamento iscritto perché acquisito a titolo oneroso ai sensi dell’art. 2426, co. 1, n. 6, c.c.) relative al compendio ricevuto. Il riconoscimento avviene per effetto del pagamento di un’imposta sostitutiva commisurata ai maggiori valori di cui viene chiesto l’affrancamento ed è proporzionale rispetto agli stessi risultando pari al 12% per importi inferiori a 5 milioni di euro, 14% per il quantum eccedente tale somma sino a 10 milioni di euro, 16% per i maggiori valori che superano la soglia dei 10 milioni di euro. Il soggetto conferitario è libero di esercitare o meno l’opzione così come può chiedere il riconoscimento dei maggiori valori iscritti solo in misura parziale. L’affrancamento deve avvenire in ragione delle differenze di valore che risultano dal relativo quadro della dichiarazione dei redditi al termine del periodo d’imposta in cui viene esercitata l’opzione e non può avere valenza selettiva nel senso che deve riguardare in maniera omogenea tutti gli elementi appartenenti alla medesima categoria di immobilizzazioni materiali (mentre per le immobilizzazioni immateriali tale regola non trova applicazione). Il pagamento dell’imposta sostitutiva avviene, necessariamente, in maniera rateale con il conseguente obbligo di pagamento della prima rata del 30% in occasione del versamento del saldo delle imposte relative all’annualità in cui è stata esercitata l’opzione e della seconda rata pari al 40% del dovuto e della terza rata concernente il residuo 30% nelle due successive corrispondenti date di versamento del saldo annuale (tenendo conto che sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura predeterminata ex lege del 2,5%). La procedura si considera formalizzata con il pagamento della prima rata (di talché l’omesso ovvero insufficiente versamento delle successive rate trova la propria risposta punitiva soltanto nella disciplina sanzionatoria in tema di omesse o parziali corresponsioni d’imposte) e le relative conseguenze (vale a dire il riconoscimento dei maggiori valori fiscali ai fini della procedura di ammortamento e di ogni altra disposizione impositiva) sono pienamente efficaci a decorrere dal periodo d’imposta stesso in cui è stata esercitata l’opzione. Al fine di evitare facili strumentalizzazioni della disciplina in esame incentrate su di un intuitivo arbitraggio fra l’aliquota dell’imposta sostitutiva e quello dei tributi ordinari sostituiti, è stato altresì previsto che – in caso di alienazione delle immobilizzazioni materiali o immateriali oggetto di rivalutazione (o di altri eventi realizzativi equiparati quoad effectum come, ad esempio, l’assegnazione ai soci ovvero la destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa) prima del quarto periodo d’imposta successivo a quello di avvenuto esercizio dell’opzione – non si debba tenere conto ai fini della determinazione della componente reddituale del maggiore valore iscritto e del maggiore ammortamento operato medio tempore. In altri termini, se le attività rivalutate vengono realizzate nel cosiddetto periodo di sorveglianza si dà luogo al recapture del beneficio e l’imposta sostitutiva corrisposta sino a quel momento può essere scomputata dalle imposte ordinarie che si rendessero dovute quale credito d’imposta.
L’art. 15 del d.l. 29.11.2008, n. 185 ha introdotto un regime di riallineamento parzialmente derogatorio rispetto a quello delineato dal succitato co. 2-ter dell’art. 176 del t.u.i.r. e dalla relativa disciplina di attuazione. Il co. 10 di tale disposizione prevede – inter alia – che l’entità conferitaria possa – optando per l’applicazione di un’imposta sostitutiva nella misura del 16% – conseguire il riconoscimento fiscale dei maggiori valori fiscali a valere su avviamento, marchi ed altre attività immateriali (il che fa sì che un eventuale affrancamento fiscale del maggiore valore di oneri poliennali può formare oggetto della sola procedura in esame non essendo esperibile, invece – come precisato – il regime di cui al paragrafo precedente). A bene considerare il co. 11 prevede la possibilità di conseguire anche l’affrancamento di valori relativi ad altre tipologie di attività diverse da quelle menzionate dall’art. 176, co. 2-ter, del t.u.i.r. (ad es. le immobilizzazioni finanziarie ovvero le componenti dell’attivo circolante o i crediti) ma la circostanza che, in tale eventualità, il contribuente debba corrispondere l’imposta ad aliquota ordinaria (o per i crediti nella misura del 20%) rende in concreto assai poco attrattivo questo regime e, quindi, sostanzialmente inapplicato. Da un punto di vista operativo tale regime alternativo (ugualmente di natura opzionale) può essere attivato corrispondendo in un’unica soluzione (in antitesi al pagamento necessariamente rateizzato di cui alla procedura tradizionale) il tributo sostitutivo entro il termine di corresponsione del saldo delle imposte relative all’esercizio in cui è stata realizzata l’operazione di conferimento. L’affrancamento può riguardare integralmente ovvero parzialmente i maggiori valori iscritti e trattandosi di immobilizzazioni immateriali (avviamento, marchi ed altre attività immateriali) non sussiste alcun obbligo di prefigurare eventuali categorie omogenee suscettibili di un’unica procedura di riallineamento. Con riguardo agli effetti fiscali di questa tipologia di affrancamento la disciplina è sufficientemente composita. In particolare, per quanto attiene all’avviamento ed ai marchi, è previsto che il maggiore ammortamento possa essere dedotto (in misura non superiore ad un decimo e, perciò, in misura sensibilmente accelerata rispetto a quanto prescritto dall’art. 103 del t.u.i.r.) a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di corresponsione del tributo sostitutivo (indipendentemente dall’imputazione di tali quote di ammortamento a conto economico). Analoga indicazione per il dies a quo dell’ammortamento dell’eventuale maggiore valore affrancato è prevista per le altre immobilizzazioni immateriali citate dal co. 10 (ossia quelle differenti dall’avviamento e dai marchi) con l’unica differenza che in questo caso la dinamica di deduzione è coerente con quella desumibile dal conto economico dell’impresa. Pur nell’apparente silenzio della disciplina di riferimento, l’interpretazione del co. 10 dell’art. 15 del d.l. n. 185/2008 depone nel senso che anche a tale tipologia di affrancamento si applica il cosiddetto periodo di sorveglianza in relazione a possibili atti realizzativi dei beni rivalutati e ciò in coerenza con quanto prescritto dall’art. 176, co. 2-ter, del t.u.i.r. In particolare, vale precisare che il dies a quo perché le attività dispositive dei cespiti possano dare luogo al recapture dei benefici fiscali medio tempore fruiti è l’inizio dell’esercizio in cui il contribuente corrisponde l’imposta sostitutiva ed il dies ad quem, invece, è quello in cui termina il terzo esercizio successivo.
Il co. 3 dell’art. 176 t.u.i.r. reca una disposizione di estremo interesse pratico. Viene, infatti, affermato in modo esplicito che ai fini dell’imposizione sui redditi non integra una condotta elusiva (e, quindi, riconducibile all’ambito applicativo dell’art. 37 bis, d.P.R. 29.9.1973, n. 600 attualmente sostituito dall’art. 10 bis della l. 27.7.2000, n. 212) il comportamento del contribuente che conferisca in neutralità un compendio aziendale a beneficio di una società conferitaria di cui ex post alieni (in tutto ovvero in parte) la partecipazione fruendo della esenzione parziale della plusvalenza ai sensi dell’art. 87 ovvero dagli artt. 58 e 68 t.u.i.r. L’obiettivo sotteso a questa previsione è palese: si è inteso evitare che la monetizzazione in regime di (parziale) esonero da tassazione delle plusvalenze latenti sul compendio apportato (e ciò per effetto della combinazione fra il conferimento neutrale e la alienazione della partecipazione plusvalente parzialmente detassata) possa essere considerata manipolatoria dell’assetto impositivo. Una tale previsione è stata giustificata sulla base della considerazione che, in ragione della natura bisospensiva dell’apporto del compendio, il soggetto conferitario non è comunque in grado di acquisire maggiori valori fiscalmente riconosciuti con riguardo all’azienda ricevuta. Ciò che, tuttavia, preme rilevare in questa sede è come l’esplicita affermazione di non elusività della menzionata sequenza negoziale (preventivo conferimento dell’azienda e successiva cessione della partecipazione) rilevi solo ai fini dell’imposizione sui redditi. Ciò ha determinato in passato l’affermarsi di una prassi accertativa (invero confortata anche da un orientamento della giurisprudenza di legittimità come dimostrato, exempli causa, da Cass., sez. trib., 28.6.2013, n. 16345) secondo cui la menzionata sequenza negoziale – pur non aggredibile ai fini della tassazione diretta – avrebbe integrato una condotta da qualificare ai fini del tributo di registro alla stregua di una compravendita di azienda (la quale, come noto, è assoggettata a tassazione di registro in misura proporzionale) perché avrebbe effetti sostanzialmente analoghi a questa tipologia di operazione (laddove, invece, tanto il conferimento che la successiva alienazione della partecipazione nella conferitaria entrambi atti assoggettati ad imposta di registro in misura fissa). Ancorché questo orientamento avesse suscitato notevoli perplessità dottrinali – oltre che per motivi intrinseci alla dinamica tipica dell’imposta di registro – anche perché presupponeva un sostanziale disallineamento fra l’assetto ai fini dell’imposizione sui redditi e quello della tassazione indiretta (apparendo intuitivo come ciò che è considerato legittimo nella prospettiva di una forma impositiva ben difficilmente può integrare una condotta patologica ai fini di una forma di tassazione contigua) la tematica parrebbe avere trovato una propria soluzione in ragione di un intervento normativo ad hoc. La legge di Stabilità 2018, infatti – al dichiarato fine di porre fine al menzionato fenomeno di sistematica riqualificazione basato sull’art. 20 del d.P.R. 26.4.1986, n. 131 – ha sancito che «L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». Pro futuro, quindi, è logico ritenere che la prospettazione riqualificatoria in cessione di azienda della sequenza conferimento ex art. 176 del t.u.i.r. e successiva alienazione della partecipazione non abbia più diritto di cittadinanza (laddove, di contro, dovrebbe astrattamente permanere la possibilità astratta di una censura antielusiva in virtù dell’art. 10 bis della l. n. 212/2000 ancorché tale eventualità appaia allo stato recessiva). Restano altresì equivoche le conseguenze di tale previsione per il passato (vale a dire con riguardo a sequenze negoziali che siano state realizzare prima dell’introduzione dell’innovazione recata dalla richiamata legge di Stabilità 2018). Il primo intervento della Suprema Corte (cfr. Cass., sez. trib., 26.1.2018, n. 2007) infatti, ha sancito il carattere non interpretativo della specifica disposizione normativa con conseguente efficacia solo per il futuro.
Al pari della cessione di azienda anche il conferimento, in quanto operazione assimilata alla prima, risulta estraneo al campo di applicazione del tributo IVA (Imposta sul valore aggiunto) non integrando il relativo presupposto oggettivo declinato dall’art. 2 del d.P.R. 26.10.1972. Il conferimento rientra, quindi, nel novero delle operazioni assoggettate ad imposta di registro. Tuttavia in antitesi alla cessione – che comporta un’applicazione del tributo in misura proporzionale – il conferimento di azienda è assoggettato ad imposta in misura fissa (attualmente euro 200,00). Si tratta di una opzione da fare risalire al legislatore comunitario il quale nel tracciare un regime uniforme per tutti gli Stati membri nell’ambito delle direttive concernenti le imposte indirette sulla raccolta di capitali ha ritenuto come anche il conferimento di azienda, per il carattere riorganizzativo ad esso sotteso, non debba subire penalizzazioni rispetto alle forme alternative di capitalizzazione societaria. Di qui, perciò, l’assoggettamento ad imposta di registro in misura fissa dell’atto di conferimento di un compendio aziendale. Il che rende la disciplina dello specifico negozio giuridico non solo difforme da quella della cessione di azienda ma anche da quella del conferimento di singoli beni e rapporti giuridici (anch’essi assoggettati ad imposta di registro in misura proporzionale).
Fonti normative
Art. 2 d.P.R. 26.10.1972, n. 633; art. 20 d.P.R. 26.4.1986, n. 131; art. 176 d.P.R. 22.12.1986, n. 917; art. 10 bis l. 27.7.2000, n. 212; d.m. 25.7.2008; art. 15 d.l.29.11.2008, n. 185; art. 1, co. 87, l. 27.12.2017, n. 205.
Bibliografia essenziale
Andreani, G.-Tubelli, A., L’avviamento segue sempre il complesso aziendale, in Corr. trib., 2011, 28, 2250 e ss.; Della Valle, E., L’elusione nella circolazione indiretta del complesso aziendale, in Rass. trib., 2009, 2, 375; Fedele, A., Imposte reali ed imposte personali nel sistema tributario italiano, in Riv. dir. fin., 2002, 3, 450-479; Leo, M., Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, II, 2016; Pedrotti, F., Conferimento di ramo d’azienda e successiva cessione di quote attribuite al soggetto conferente. Considerazioni intorno alla presunta elusività dell’operazione ai fini dell’imposta di registro, in Riv. dir. trib., 2011, 4, 226; Turchi, A., I conferimenti, in Imposta sul reddito delle società, Tesauro, F., a cura di, Bologna, 2007, 731; Zizzo, G., Sull’elusività del conferimento d’azienda seguito dalla cessione di partecipazione, in Giust. trib., 2008, 2, 277.