CONSOLE (lat. consul)
Antichità. - Origine del consolato. La tradizione romana racconta che, cacciati i re, i loro poteri passarono nelle mani di due sommi magistrati eletti annualmente, di guisa che la loro potestà non fu che una continuazione di quella regia, con le limitazioni essenziali della temporaneità e della collegialità. La designazione che in età storica prevalse per questi magistrati fu quella di consules, la quale parola deriva certamente dalla radice stessa del verbo consulere, col significato che esso verbo ha nel latino classico di "provvedere" o di "consultare": non è sufficientemente fondata la nota ipotesi del Mommsen che vede nella parola la radice del verbo salire, col valore di "saltare, danzare" e che richiama alle analogie di praesul ed exul, sicché consules significherebbe in origine "coppia saltante", e questa designazione sarebbe stata applicata alla somma magistratura repubblicana per metterne in luce uno dei caratteri che più la distinguevano dalla monarchia, quello cioè della collegialità. Ma, oltre a consules, si adoprarono anche i termini praetores e iudices, e anzi secondo testimonianze il titolo di consules non sarebbe stato usato prima del 450 a. C. e sarebbe stato preceduto da quello di praetores (Livio, III, 55, 12; Zonar., VII, 19). Alcuni moderni ammettono questa successione di titoli, e ne vedono una prova nella traduzione greca di consul, στρατηγὸς ὕπατος (la quale traduzione deve risalire al momento nel quale si fecero più intimi i rapporti tra Roma e il mondo greco, cioè alla seconda metà del sec. IV a. C.), e nel fatto che praetor è il titolo del sommo magistrato nelle iscrizioni delle colonie latine. Il Beloch è invece convinto che il titolo di consul fosse già nell'uso ufficiale nel 428-26 a. C., quando A. Cornelio Cosso nell'iscrizione dedicatoria delle sue spolia opima designava sé stesso come consul (Liv., IV, 20, 8); poi sarebbe sottentrato il titolo di praetor nel 366 a. C., ma, al più tardi nei primi decennî del sec. III a. C., sarebbe tornato in vigore nell'uso ufficiale quello di consul, che vediamo usato nella fondazione della colonia latina di Benevento (268 a. C.) e nei due più antichi elogi degli Scipioni, quelli del Barbato e del figlio.
Le due teorie più autorevoli che da studiosi moderni sono state proposte circa l'antico e delicato problema dell'origine dell'istituto consolare, sono quella di G. De Sanctis e quella di G. Beloch. Secondo il primo, il sorgere del consolato, come quello dell'arcontato in Atene, sarebbe stata una delle cause occasionali, anziché l'effetto, del tramonto della monarchia, che poi egli considera come dovuto a lento processo di evoluzione anziché a violenza di rivoluzione. I consoli sarebbero stati in origine comandanti militari subordinati al re, i quali a poco a poco si sarebbero sciolti dalla loro subordinazione, sino a diventare capi dello stato, mentre il rex ad una ad una andava perdendo le sue prerogative e le sue funzioni sino a sopravvivere, per cosi dire, a sé stesso nella larva del rex sacrificulus. E anzi, i consoli in origine altro non sarebbero stati che i capi dei contingenti militari delle tre tribù dei Tities, dei Ramnes e dei Luceres, sarebbero stati cioè tre e non due. Questa sua congettura si fonda sulla critica della tradizione, secondo la quale nel 366 a. C. si sarebbe dato ai consoli un terzo collega col titolo di praetor, cioè col titolo stesso che allora portavano i consoli, il qual terzo collega avrebbe avuto minore autorità degli altri due, e si sarebbe occupato principalmente di giurisdizione, pur potendo anch'egli stare a capo di truppe, ove ciò fosse necessario. Al De Sanctis sembra in tutto inverosimile che un magistrato speciale creato per la giurisdizione nel 366 fosse fatto collega dei consoli e gli fosse data potestà di comandare eserciti e titolo inerente a tale comando, onde crede che da questa tradizione si debba indurre un processo evolutivo affatto diverso: che cioè i consoli fossero in origine i tre capi militari, che la loro autorità andasse ognora crescendo e le loro attribuzioni moltiplicandosi, di guisa che a un certo momento se ne venisse a imporre la divisione,e questa ingenerasse una differenziazione in credito e in potere nel senso che il collega lasciato in città per amministrare la giustizia fosse ritenuto inferiore ai due che ordinariamente uscivano in campo, e questi due soltanto divenissero eponimi, mentre il terzo si sarebbe preso a registrare sol0 più tardi, onde l'anno con cui cominciava la lista dei pretori urbani sarebbe poi stato scambiato dalla tradizione per l'anno in cui essi avrebbero avuto origine. Naturalmente, una volta divenuti i consoli comandanti supremi dell'esercito e poi capi dello stato, le loro attribuzioni non erano più compatibili col comando dei reggimenti delle tribù, e questo sarebbe stato affidato ai tribuni militum, quei tribuni militum che in seguito, per un certo periodo di tempo, dal 444 al 367 a. C., si alternarono coi collegi consolari, per dar qualche soddisfazione alle pretese dei plebei. Questa la teoria del De Sanctis, alla quale è stato obiettato che, poiché della triplicità originaria del collegio dei consoli non si trova traccia veruna, non soltanto nella tradizione, ma nemmeno nei fasti consolari, l'origine del collegio e la differenziazione delle funzioni, dalla quale sarebbe poi sorta la dualità, si dovrebbero proiettare troppo in su, sì da farle coincidere quasi col periodo più florido della monarchia.
La teoria del Beloch è la seguente: alla monarchia elettiva a vita sarebbe succeduta la dittatura, che egli considera come una vera e propria carica monarchica annuale, con un processo che riscontra in altre città del Lazio e dell'Etruria; e il nome dei dittatori sarebbe stato registrato nei fasti, da solo, in quelle parti più antiche della lista per le quali, secondo il Beloch, si può dimostrare una successiva interpolazione di nomi plebei; di questa interpolazione si scoprirebbe così la ragione nel desiderio di far figurare delle coppie anche là dove le registrazioni autentiche non davano che un sol nome. Invece, dal 485, col nome del dittatore sarebbe stato registrato quello del magister equitum, e si spiegherebbe la genuinità, quasi assoluta, della lista per il tempo successivo, e perché i nomi dei primi decemviri, che certamente dovettero essere scelti tra i cittadini già pervenuti alla suprema magistratura, figurino sempre nei fasti genuini sotto anni diversi; il qual fenomeno sarebbe sorprendente se Roma si fosse già trovata sotto le coppie consolari, e diventa invece chiaro se si trovava sotto i dittatori. Il passaggio al consolato sarebbe poi avvenuto mercé l'equiparazione del magister equitum al dictator e si sarebbe verificato già prima del 444 a. C., per il quale anno l'esistenza dei consoli iarebbe testimoniata dal foedus Ardealinum e dai libri lintei (Licin. Mac., presso Liv., IV, 7,10).
A questa teoria si può obiettare che lo sforzo di raccordarla ai fasti nun par destinato al successo, e che l'origine del consolato dalla pretesa equiparazione del magister equitum al dictator non sembra conciliarsi col rapporto di superiorità assoluta del secondo rispetto al primo, che si riscontra in tutte le dittature straordinarie dell'età storica con l'unica eccezione del dittatore Fabio Massimo e del rispettivo maestro dei cavalieri, Marco Minucio (217 a. C.). Onde è che dobbiamo forse rinunciare a veder chiaro in tutto nell'origine e nel primo sviluppo dell'istituto consolare e, una volta ammessa l'autenticità dei fasti, è forse meglio appagarsi a considerarne come originaria la dualità e porne l'inizio sul finire del sec. VI in corrispondenza strettissima con la caduta della monarchia.
Ammissione dei plebei al consolato. - Il consolato dapprima fu accessibile soltanto ai patrizî, e la plebe dovette lungamente lottare per esservi ammessa. Mentre, secondo Livio (VI, 35, 37, 40, 42; VII, 1; X, 8; cfr. i Fasti Capitolini, a. 366 a. C.: [consules e pl]ebe primum creari coepti), fu soltanto una delle leggi Licinie Sestie cluella che troncò, nel 367 a. C., la lotta con lo stabilire che uno dei due consoli dovesse essere plebeo, secondo Diodoro (XII, 25, 2) già nel 449 a. C., dopo la caduta dei decemviri, sarebbe intervenuto tra patrizî e plebei un patto solenne nel quale si sarebbe concordato che si eleggessero annualmente i dieci tribuni della plebe quali custodi della libertà cittadina, e che dei due consoli uno dovesse essere plebeo e anzi potessero essere tali ambedue. Non vi può essere dubbio che, circa l'ammissione dei plebei al consolato, le notizie di Diodoro vanno respinte o, quanto meno, deve ammettersi che la norma da lui riferita non andò in vigore a quel tempo. Infatti tutte le fonti si trovano poi sostanzialmente d'accordo nel parlare della prosecuzione delle lotte per la conquista del consolato da parte dei plebei, e nell'affermare che qualche anno dopo il decemvirato, cioè nel 444, al posto dei consoli furono messi dei tribuni militum consulari potestate, che potevano essere indifferentemente patrizî o plebei, di guisa che negli anni successivi le competizioni si sarebbero svolte su questo punto, se si dovessero nominare i consoli o i detti tribuni, e i collegi degli uni e degli altri dapprima si sarebbero alternati con molta incostanza e poi avrebbero prevalso esclusivamente i tribuni: infatti nei fasti, nei 55 anni che vanno dal 444 al 390 a. C., si hanno 29 consolati e 26 tribunati, mentre dal 390 in poi non si hanno che tribunati. Dopo la catastrofe gallica, le lotte politiche s'inasprirono: la tradizione parla di tentativi infelici d'instaurare la tirannide, di contese per il ripristinamento del consolato, di periodi di anarchia, ma siamo ancora in un periodo per il quale è impossibile ristabilire il reale processo storico. Tuttavia è certo che nel 366 fu ripristinato il consolato e riconosciuto definitivamente il principio dell'ammissibilità dei plebei, sicché si è spinti ad ammettere l'autenticità sostanziale della relativa rogazione Licinia Sestia, e alla critica, insieme con molti altri problemi, s'impone il compito di stabilire la vera natura dei tribuni militum e la relativa composizione numerica del collegio, che nelle nostre fonti offre tante varianti, essendo ora di tre membri, ora di quattro, ora di sei, talora anche di otto o nove. Gli antichi certamente li identificarono con gli ufficiali delle legioni, che sarebbero stati investiti appunto, in via straordinaria, della potestà consolare; e i moderni seguirono generalmente tale opinione, salvo a giudicare nell'un modo o nell'altro la diversità delle cifre dei componenti i collegi e a dare la preferenza alle une o alle altre.
Il Mommsen, p. es., preferi le cifre diodoree, e per spiegare la diversità numerica di anno in anno congetturò che i tribuni non avessero avuto il diritto di nominarsi dei colleghi per cooptazione, di guisa che, quando la prima votazione non avesse dato la maggioranza per tutti i sei posti, non vi sarebbe stata possibilità di completare il collegio. Il De Sanctis propende invece per le cifre liviane, e crede che il variar del numero dei tribuni sia da porsi in rapporto con l'incremento successivo della popolazione romana e con quello conseguente degli effettivi dell'esercito romano. Il Beloch, a sua volta, mette perfino in dubbio che il vero nome del nuovo collegio fosse quello di tribuni militum, che secondo lui sarebbe stato semplicemente congetturato dagli annalisti, per il numero prevalente di sei, uguale a quello degli ufficiali della legione, e, parendogli assolutamente assurdo un ordinamento statale nel quale il numero dei componenti la somma magistratura avrebbe oscillato tra 2 e 9, senza regola veruna, esercita tutto il suo acume nel manipolare le liste superstiti sì da ricavarne che sino al 427 a. C. continuassero a stare alla testa dello stato i due consoli, nel 426 si sostituissero ad essi quattro magistrati, e nel 405 sei con le stesse competenze.
Comunque, è indiscutibile il fatto che nella seconda metà del sec. V a. C. e nel principio del IV prima si alternarono coi consoli, e poi per parecchi anni li surrogarono completamente, altri magistrati. Di ciò la ragione probabile, nonostante anche qui l'opinione contraria del Beloch, è che quest'altra magistratura poteva dare qualche appagamento, almeno teoretico, all'esigenza della plebe di veder riconosciuto il proprio diritto di partecipare alla direzione dello stato. La quale esigenza fu poi appagata completamente nel 367 a. C., quando si stabilì che l'uno dei due consoli dovesse esser plebeo. Ma questa disposizione fu più volte elusa negli anni successivi dai patrizî, che, secondo la tradizione, tentarono anche impugnarne la costituzionalità. Però nel 342 a. C. un nuovo plebiscito consentì che entrambi i posti del consolato potessero essere occupati dai plebei, e da allora in poi uno almeno di essi non fu più contestato dai patrizî. Invece l'elezione contemporanea di due plebei si verificò per la prima volta soltanto nel 215 a. C., ma fu impugnata per opposizione degli auguri, sicche uno degli eletti si dimise, e soltanto nel 172 a. C. una simile elezione di due plebei non incontrò ostacolo, e l'avvenimento fu registrato come singolare nei Fasti Capitolini: [Consules] ambo primi de plebe.
Collegialità. - La collegialità propria del consolato come di tutte le altre magistrature repubblicane importava nei colleghi un eguale potere e quindi il diritto per ciascuno di essi di compiere lo stesso atto di governo, indipendentemente dall'altro; ma poiché molti degli atti di governo non potevano emanare che da uno solo di essi, per evitare conflitti si ricorse al turno o alla sorte. Il turno, oltre che in campo, si applicò in origine per la giurisdizione (prima dell'istituzione o, comunque, della differenziazione della pretura), per la convocazione del Senato e forse anche per altri atti, ma col tempo cadde quasi completamente in disuso, e fu richiamato in vigore da Cesare nel suo consolato. Durante il turno, che era generalmente di un mese e cominciava col console più anziano, soltanto il console prescelto aveva diritto ai dodici littori coi relativi fasci, e forse da ciò con Augusto risorse l'uso che i due consoli ogni mese si alternassero i fasci. La sorte era preferita oltre che negli atti di carattere religioso, per la presidenza dei comizî ai quali spettava l'elezione dei consoli e per l'eventuale nomina del dittatore; ma essa sorte non escludeva, in genere, l'accordo tra i colleghi (comparatio) per il deferimento pieno dell'atto a uno solo di essi. In quasi tutti gli altri rami dell'amministrazione, come p. es. nella leva, nella convocazione e presidenza del Senato, nelle rogazioni legislative ai comizî, ecc., i due consoli operavano insieme (cooperatio).
Per raggiungere lo scopo principale della collegialità, che era quello di limitare, nell'interesse dello stato e dei privati, il prepotere delle magistrature, i consoli potevano esercitare il diritto di veto, impedire cioè un determinato atto amministrativo nei confronti dei magistrati rivestiti di minor potestas rispetto a loro, compresi il pretore e il proconsole, ma, a lor volta, eran soggetti all'eventuale veto da parte dei magistrati forniti rispetto a loro di maior potestas, quali il dittatore e i tribuni della plebe. Il veto non poteva invece aver luogo tra console e console, essendo essi forniti di par potestas, ma poteva invece esperirsi la reciproca intercessio propriamente detta, che consisteva nella cassazione di un atto già compiuto. Questa peraltro era ammessa soltanto nella sfera dell'imperium domi e non in quella dell'imperium militiae, e poteva aver luogo per effetto di appello, che un cittadino faceva al console contro un decreto giurisdizionale emanato dall'altro console o da magistrato minore, o contro una proposta avanzata al Senato o ai comizî dall'altro console relativamente a elezioni o leggi o giurisdizione penale. Ma di buona ora l'intercessio dell'uno e dell'altro genere divennero quasi una prerogativa dei tribuni della plebe, e ciò spiega come e perché la storia offra così pochi esempî della medesima in persona dei consoli.
Minimo di età. - Dapprima non vi furono determinazioni legislative del minimo di età né per le altre magistrature, né per il consolato, ma quando la lex Villia del 180 a. C. stabilì che non si potesse occupare una magistratura senza essere stati dieci anni nel servizio militare, e che tra una magistratura e l'altra vi dovesse essere l'intervallo minimo di due anni, da queste prescrizioni emerse indirettamente quel minimo di età. Infatti, poiché il servizio militare non cominciava che al 17° anno compiuto, non si poteva essere questore prima di 28 anni, né pretori prima di 31 o di 34, a seconda che nell'intervallo tra questura e pretura si rivestisse o no il tribunato o l'edilità, né consoli prima di 34 o 37. Più tardi, poiché le disposizioni della lex Villia erano state trasgredite, Silla nell'81 a. C. stabili l'età minima per occupare la questura a 37 anni; cosicché, mantenendosi il biennio d'intervallo tra magistratura e magistratura, pretore si diveniva a 40, console a 43. Augusto stabilì al 25° anno l'età minima per occupare la questura, e al 30° quella per la pretura, di guisa che il consolato non poteva essere occupato prima del 33° anno, ma furono frequentemente applicate dispense da questi minimi ai privati, e fu regola che i congiunti della casa imperiale potessero cominciare la carriera al 20° anno, e che anzi il principe designato alla successione potesse, a tale età, occupare il consolato.
Gerarchia. - Certamente come consuetudine valse sempre il principio che le magistrature inferiori dovessero essere occupate prima delle superiori, ma fino al 243 a. C., essendo uno il pretore e due i consoli, non era possibile stabilire la norma che il consolato fosse sempre occupato da ex-pretori. Ciò diventò possibile con l'aumento del numero dei posti di pretore, ma, ad ogni modo, sino al primo biennio del sec. II a. C. si ebbero parecchi casi di assunzione al consolato senza precedente pretura, tra cui il caso famoso dell'Africano Maggiore, console nel 205 a. C. Fu soltanto, a quanto pare, la lex Villia, di sopra mentovata, che, stabilendo il certus ordo magistratuum, dispose anche che la pretura dovesse precedere il consolato, e da allora in poi i casi, che pure furono abbastanza numerosi, specialmente sul tramontar della repubblica, di trasgressione a questa norma, furono considerati come rivoluzionarî, a meno che il salto avvenisse per dispensa concessa dal Senato, la quale dispensa, assai di rado applicata nel periodo repubblicano, divenne più frequente in quello imperiale, specialmente nella forma dell'adlectio (v.).
Continuazione e iterazione. - I fasti dei primi tempi della repubblica mostrano persone che tennero il consolato per più anni di seguito, sebbene tal fatto fosse riprovato. E pur dopo che un plebiscito del 342 o del 330 a. C. vietò questa offesa al principio dell'annualità, stabilendo che non fosse possibile rioccupare la stessa magistratura se non trascorso un decennio, si verificarono casi di continuazione, e anzi, nel bel mezzo della seconda guerra punica, un senatoconsulto consentì l'occupazione ininterrotta del consolato. Ciò fu praticato più volte, specialmente sul declinare della repubblica; nell'Impero non vi fu una regola a tale riguardo, ma ad ogni modo la continuazione, come si ebbe in persona di Augusto e di Agrippa, fu rara.
Se nei primi tempi della repubblica fu consentita la continuazione del consolato, naturalmente ne fu possibile anche l'iterazione dopo un intervallo maggiore o minore, il quale intervallo fu portato a dieci anni col plebiscito testé mentovato. E sebbene una legge del 151 a. C. vietasse poi invece assolutamente l'iterazione, non mancarono eccezioni, e Silla la ristabilì con il limite del decennio. Nell'Impero tale limite non fu più necessario.
Nomina e proclamazione. - La nomina dei consoli fino a Tiberio spettò ai comizî centuriati, che dovevano essere presieduti da uno dei consoli uscenti, e dapprima non vi fu una data fissa per questa elezione, ma essa variò in rapporto al ritorno in Roma dei consoli dalle spedizioni guerresche e al principio dell'anno consolare, il quale principio fu prima affatto inconstante, e soltanto nel 153 a. C., dopo varie vicende, passò definitivamente al primo gennaio. Quando Silla tolse ai consoli il comando militare nell'anno di carica, sicché questo veniva trascorso esclusivamente in Roma, pare che le elezioni avessero luogo in luglio. Negli ultimi tempi della repubblica vi furono parecchi turbamenti, come nei modi, così anche nella data delle elezioni, e durante l'Impero questa fu in rapporto con la pluralità. dei collegi nello stesso anno, ma la regola generale fu che i consoli ordinarî, che entravano in carica il primo gennaio, fossero nominati qualche mese prima, e i suffecti (v. sotto) tutti insieme, ad anno cominciato. Per tutto il tempo tra il momento dell'elezione e quello dell'entrata in carica, l'eletto si diceva consul designatus, e come tale gli spettavano alcuni diritti e privilegi.
Nel 14 d. C. Tiberio tolse ai comizî l'elezione in genere di tutti i magistrati repubblicani ordinarî, e quindi anche quella dei consoli, e ne conferì il diritto al Senato. Il tentativo di Caligola di restituire questo diritto ai comizî fu effimero, e l'elezione rimase al Senato per tutto il tempo del principato, ma la libertà di elezione del Senato fu limitata sin dal principio dal diritto dell'imperatore di esaminare la lista dei candidati e di ammettere all'elezione soltanto i prescelti (nominatio o iudicium o suffragium principis) e di raccomandare questo o quel candidato. Dapprima si trattò di una semplice raccomandazione di fatto (suffragatio), non obbligatoria per il Senato, ma poi la raccomandazione del principe obbligò effettivamente il Senato alla nomina, e, poiché da Nerone in poi il principe soleva raccomandare tanti candidati quanti erano i posti e i candidati Caesaris dovevano essere eletti senza contrasto dal Senato, si può dire che di fatto da allora in poi la nomina dei consoli era fatta dagl'imperatori e il procedimento elettivo si riduceva a una formalità.
L'elezione non era perfetta senza la proclamazione o pubblicazione dell'eletto (renuntiatio), la quale teneva dietro immediatamente all'elezione, finché questa fu comiziale, ed era pronunciata dal magistrato stesso che presiedeva i comizî. Invece, quando l'elezione passò al Senato, la proclamazione era fatta soltanto qualche giorno dopo l'elezione, in quei comizî che negli Atti dei fratelli Arvali sono chiamati comitia consularia, ai quali dunque spettava una specie di acclamazione.
Con Diocleziano e con Costantino la nomina dei consoli ordinarî fu fatta direttamente dagl'imperatori, di guisa che per essa venne meno ogni formalità di elezione. Invece i consoli suffecti continuarono ad essere eletti dal Senato, ma la nomina doveva essere confermata dall'imperatore.
Quando nel 395 l'Impero fu diviso definitivamente in parte orientale e in parte occidentale, i due consoli furono generalmente nominati l'uno da un imperatore e l'altro dall'altro, e della nomina i governi rispettivi si davano reciprocamente comunicazione per mezzo di messi. S'intende agevolmente come la pubblicazione non sempre potesse avvenire contemporaneamente, e con ciò si riconnette la formula et qui de Oriente o de Occidente fuerit nuntiatus, che vediamo adoperata quando la divulgazione della nomina del console dell'una parte non era ancora avvenuta nell'altra parte dell'Impero.
Insediamento. - Avvenuta l'elezione, il console doveva anzitutto osservare gli auspici, e se questi eran favorevoli si recava solennemente in Campidoglio, preceduto dai littori e accompagnato dagli amici, e là per la prima volta si sedeva sulla sella curulis, e sacrificava a Giove tori bianchi e subito dopo teneva la prima seduta del Senato e pronunciava una concione. La processione al Campidoglio (processus consularis) assunse durante l'Impero una solennità sempre maggiore: a metà del sec. II aveva già i caratteri della pompa trionfale (fasci adornati di lauro, toga picta, currus triumphalis), come risulta tra l'altro da parecchie monete, e lo splendore si accrebbe ancora nel Basso Impero. Entro i primi cinque giorni dall'entrata in carica i consoli dovevano iurare in leges nel tempio di Castore alla presenza del questore. Nel 45 a. C. il giuramento comprese anche gli atti di Cesare dittatore, e durante l'Impero vi si aggiungevano gli atti dell'imperatore regnante e dei predecessori.
Insegne. - I segni distintivi dei consoli sono i dodici littori coi fasci, la sella curulis, la toga praetexta, orlata di porpora, in pace, e il paludamentum, per lo più purpureo, di rado bianco, in guerra.
Durata dell'anno consolare. - Dapprima questa durata fu variabile e senza corrispondenza con l'anno civile, l'inizio del quale non coincideva con quello dell'anno consolare, e di ciò varie spiegazioni sono state tentate. Pare che soltanto nel sec. III a. C. si fissasse la data dell'inizio dell'anno consolare, e che questa tra il 276 e il 223 a. C. sia stata il primo maggio. Nel 222 a. C. o, al più tardi, nel 217 a. C., questa data passò al 15 marzo, e nel 193 al 1° gennaio. Negli ultimi anni della repubblica si vide qualche volta l'anno consolare più o meno abbreviato, come nel 45 a. C., quando Cesare, che era stato eletto console senza collega, si dimise il 1° ottobre e fece eleggere in sua vece altri consoli, e come nel 34-31 a. C., quando funzionarono i consoli fatti eleggere dai triumviri sin dal 39 a. C., con una durata limitata a una parte soltanto dell'anno. Ma dal 29 al 13 a.C. i fasti dimostrano che si tornò generalmente all'antico sistema dell'anno consolare intero, mentre per gli anni successivi, sino all'inizio dell'era cristiana, non si può stabilire una regola costante. Dall'anno 1° d. C. al 15, la durata ora è annuale, ora semestrale; dal 16 al regno di Nerone prevalse la durata semestrale; dal regno di Nerone in poi vediamo alternarsi arbitrariamente una durata quadrimestrale e bimestrale, in modo che l'una e l'altra durata possono riscontrarsi nell'orbita dello stesso anno, nel qual caso precedono i consoli di quattro mesi; nel sec. III predomina il periodo bimestrale. I periodi trimestrali o mensili furono eccezionalissimi. Il consolato degl'imperatori non fu per regola mai annuo, e, in genere, fu più breve di quello dei privati. Soltanto tardi il consolato tornò ad essere annuale, come fu p. es. sotto Zenone e Giustiniano.
Cessazione della magistratura. - Compiuto l'anno della magistratura i consoli uscivano di carica e l'abire consulatu si accompagnava con una concione al popolo, nella quale il console giurava se nihil contra leges fecisse. La cessazione della magistratura peraltro poteva avvenire anche durante l'anno di carica o per morte, o per dimissione, o per destituzione. La dimissione, abdicatio, era ammessa per quanto si atteneva all'imperium domi, e talvolta poteva essere volontaria nella forma, ma forzata nella sostanza, provocata cioè da deliberazione del Senato per palese incapacità. È da notare che la dimissione poteva avvenire anche nel periodo della designazione. La destituzione (abrogatio) poteva avvenire per una condanna, che avesse per effetto la perdita della cittadinanza, o per voto dei comizî, come si verificò per L. Cornelio Cinna console dell'87 a. C.
Surrogazione. - La surrogazione dei due consoli avveniva quando essi per qualcuna delle ragioni suaccennate cessassero dalla carica prima dello spirare legale di essa. In tali casi i senatori patrizî (patres) si costituivano come rappresentanti interinali della magistratura suprema (interregnum), e uno di essi, scelto con determinate forme, dopo un certo tempo convocava i comizî e faceva procedere alla nomina dei nuovi consoli, detti consules suffecti. La surrogazione naturalmente più di frequente si verificava per uno solo dei due consoli, venuto a mancare, e in tal caso l'iniziativa dell'elezione suppletiva spettava all'altro console. Durante l'Impero, quando il consolato durava per regola meno di un anno, e cioè, come si è visto, per lo più 6 e poi 4 e 2 mesi, per ciascuno di questi periodi si elessero diverse coppie consolari, ma poiché l'anno civile si continuò a indicare col nome dei due consoli entrati in carica il 1° di gennaio e designati come consules ordinarii, l'elezione degli altri consoli si considerò come suppletiva, e si applicò loro lo stesso titolo di suffecti.
Eponimia. - Fu uso generale e costante così nell'età repubblicana come in quella imperiale di denotare l'anno nei documenti pubblici e privati col nome dei consoli. Quando, durante la repubblica, invece dei consoli si elessero i tribuni militum consulari potestate, l'eponimia spettò a questi, e così anche tutte le volte che la nomina dei consoli fu sospesa per dar luogo alla creazione di una magistratura straordinaria (quali il decemvirato e la dittatura di Cesare) l'eponimia passò ad essa. Durante l'Impero, quando si presero a nominare per lo stesso anno diverse coppie consolari con durata limitata a una parte dell'anno, l'eponimia fu in genere affidata ai consoli che entravano in carica col primo gennaio, e che, come abbiamo già detto, si chiamavano ordinarii, sebbene non manchino esempî di eponimia di consoli suffecti, o di consoli ordinarii e suffecti insieme. L'eponimia era espressa generalmente col nome dei consoli in ablativo, seguito dal titolo consulibus abbreviato, e soltanto in qualche caso, durante l'Impero, vediamo usate queste altre forme di espressione: anno consulum (seguito dal nome dei consoli in genitivo o ablativo); consulatu (seguito come sopra); post consulatum (seguito dal nome dei consoli o del console dell'anno precedente, in genitivo e raramente in ablativo). Il primo esempio di quest'ultima formula risale al 307 d. C., ma essa cominciò a divenire comune alla metà del sec. IV, e si usava quando in certi luoghi non si conoscevano i nomi dei consoli dell'anno o quando quelli nominati in una parte dell'Impero non erano riconosciuti nell'altra.
Potere e competenza dei consoli. - Manca nelle fonti classiche una definizione vera e propria del potere dei consoli, né fa meraviglia; perché, cessata la monarchia, essi furono dapprima i soli rappresentanti dello stato, e rimasero poi sempre i supremi; furono, cioè, lo strumento principale, la persona fisica indispensabile per l'attuazione della vita e della volontà dello stato, che secondo il concetto romano s'impersona nella collettività dei cittadini (populus); il loro potere per ciò fu unitario e totalitario, abbracciando tutto il campo dell'azione politica; né la costituzione né singole leggi determinarono le loro attribuzioni speciali, come invece, col tempo, avvenne in persona di altri magistrati.
La pienezza del potere consolare fu soggetta però alle limitazioni intrinseche dell'annualità e della collegialità (v. sopra) e a quelle estrinseche che si manifestarono nello sviluppo della costituzione politica, quando, moltiplicandosi ognora i compiti dello stato, occorse che si creassero nuovi organi per le nuove esigenze amministrative; onde l'unità originaria dei poteri, che per qualche tempo si era conservata nelle mani dei consoli, si venne a scindere, e certe attribuzioni furono devolute a nuovi magistrati, come la parte principale dell'amministrazione della giustizia ai pretori, certe funzioni relative all'ordinamento della cittadinanza e al regime dei costumi, all'amministrazione delle finanze e delle opere pubbliche ai censori (per i periodi, naturalmente, in cui essi erano in carica), la cura dell'annona, delle vie e dei mercati agli edili curuli, ecc. Con l'istituzione del principato, poi, essi perdettero, in tutto, l'imperio militare, e, mentre la rappresentanza integrale dello stato passò agl'imperatori, l'importanza dei consoli andò ognora diminuendo, con qualche eccezione per quanto riguarda la giurisdizione civile e penale, fino a cessare completamente nel Basso impero.
Durante il periodo repubblicano la parte principale dell'imperium Consulare sta nel comando militare.
Il diritto di dichiarare guerra non spettava naturalmente ai consoli, ma, una volta dichiarata, il console in funzione, vestita la trabea e il cinctus Gabinus, apriva il tempio di Giano e partiva per la guerra insieme col collega. Generalmente i due consoli si dividevano tra loro le sfere di operazioni, ma potevano anche agire di conserva nello stesso teatro di guerra. E, una volta iniziate le operazioni, potevano estenderle a loro piacere. In origine spettò loro il diritto di stringere alleanze e trattati, ma questi, col tempo, furono subordinati all'approvazione del popolo, e dovevano limitarsi a disposizioni di carattere militare; che se in qualche caso ne compresero di carattere politico, le stipulazioni erano riservate al Senato e quelle consolari avevano soltanto carattere preparatorio. Le funzioni militari dei consoli erano inibite in Roma e, dal tempo di Silla, nell'Italia, a prescindere dalla leva (le cui operazioni cominciavano con la nomina, da parte dei consoli, dei tribuni, la qual nomina, però, fu devoluta gradualmente a elezione comiziale, e proseguivano con la nomina dei centurioni e decurioni e con l'arruolamento dei soldati che dovevano poi giurare in verba consulis) e dal trionfo, che in origine il console vincitore aveva facoltà di decretare a sé stesso, ma che fu poi sottoposto all'approvazione del Senato, che doveva all'uopo fornire i mezzi. Soltanto in casi eccezionali, quando l'ordine era minacciato da nemici esterni e interni, il Senato poteva proclamare, col cosiddetto senatusconsultum ultimum, lo stato d'assedio e conferire ai magistrati supremi (anche al di qua del primo miglio da Roma) poteri illimitati, compreso anche il diritto di vita e di morte.
Quanto poi alle competenze civili, i consoli hanno il diritto di convocare il Senato e il popolo, di presiederne le adunanze, di avanzarvi proposte, e di dare ad altri la parola. Fino a Silla ebbero anche facoltà d'intercedere contro le deliberazioni del Senato, seguite a proposte di altro console o di pretori, non però di tribuni della plebe. Nei comizî del popolo i consoli propongono leggi o altre deliberazioni, e dirigono le elezioni di magistrati, controllandone le qualifiche. Come gli altri magistrati, hanno il diritto di emanare avvisi, ordini, editti, sia per invito del Senato, sia di propria iniziativa. Con la creazione dei censori, furono sottratte a loro le operazioni del censimento, la cura e la manutenzione dei pubblici edifici, l'appalto dei dazî e delle costruzioni pubbliche, ma queste ultime operazioni tornavano a essere di loro competenza quando i censori non erano in carica. La disponibilità sulle proprietà dello stato, che i consoli dovettero possedere in origine come eredi della podestà regia, venne presto ridotta in angusti confini; potevano attingere al tesoro dello stato, ma sotto il controllo dei censori; loro spettava l'imposizione di tasse, ma subordinatamente all'approvazione del Senato, mentre la ripartizione di esse competeva ai censori, e quasi in ogni punto dell'amministrazione finanziaria le funzioni consolari erano quelle di organi esecutivi della volontà del Senato e del popolo.
Per quel che riguarda l'amministrazione giudiziaria, ai consoli spettò in origine pienezza di giurisdizione civile e criminale, ma la civile fu tolta loro con l'istituzione della pretura nel 367 a. C., loro restando solo la facoltà di esercitare quella volontaria per le adozioni, manomissioni, emancipazioni, ecc. La criminale consisteva così nella coercizione all'obbedienza del cittadino inadempiente agli ordini del magistrato, come nella punizione in giudizio del reo di delitti (iudicatio). Mezzi della coercizione, che spettava al console come ad altri magistrati, erano: la pena di morte, la perdita della libertà, l'arresto, pene corporali, multa e sequestro; ma la pena di morte fu presto soppressa nell'interno di Roma, salvi i casi di bisogno eccezionale, e anche le pene corporali furono più o meno presto eliminate per quanto si atteneva ai cittadini romani; quanto poi alle multe, ne fu consentita l'imposizione soltanto fino a un certo limite, al di là del quale occorreva un iudicium populi, e in questo l'accusa spettava non al console, ma o ai questori o ai duoviri. La iudicatio, la facoltà, cioè, e la procedura di condanna del reo di qualche delitto, fu presto sottratta in grandissima parte ai consoli, perché i giudizî cosiddetti ordinarî, dei quali cioè era ammessa la provocatio al popolo (perché questa si verificasse occorreva che l'accusato fosse cittadino romano, il reato da lui commesso avesse carattere comune e non sacro e la pena fosse capitale o la multa superiore a una determinata misura), non avevano luogo, di regola, dinnanzi ai consoli, ma dinnanzi ai questori o ai duoviri perduellionis, e questi stessi figuravano nei giudizî di appello. Tuttavia, poiché ai consoli spettò in origine il diritto di nomina dei questori, e questi dovevano ottenere da quelli il permesso di convocare i comizî per dar luogo al iudicium populi, da ciò deriva come la giurisdizione penale ordinaria in principio, se non di fatto, fosse un'attribuzione dell'imperio consolare, che rimaneva sospesa ogni volta che vi era appello al popolo. Restò invece ai consoli (e talora ai pretori) la giurisdizione nei giudizî cosiddetti eccezionali, nei quali cioè la provocatio non era ammessa, sia per ragion di persone (quando si trattava di non cittadini, cioè di schiavi, o di stranieri, o di donne), sia per la natura del reato (come nel caso del magistrato che conchiudesse un trattato internazionale che, per essere dannoso o indecoroso per Roma, fosse cassato dai comizî), sia per legge e per senatoconsulto. Invece i consoli rimasero affatto esclusi dai giudizî che, a partire dal sec. II a. C., furono deferiti d tribunali permanenti (quaestiones perpetuae), composti di giurati e presieduti da pretori, nei quali non si applicava la provocatio, non per una sospensione particolare di essa, ma per il principio generale che la sentenza pronunciata dai giurati era inappellabile.
Anche nella direzione e nella sorveglianza del culto divino i consoli furono in origine i successori del re, e, sebbene presto i singoli culti passassero ai grandi collegi sacerdotali, restarono ai consoli alcune importanti mansioni, come la promessa di voti e il loro scioglimento mercé sacrifici e giuochi; la presidenza dei ludi romani e di altri, la dedicazione di tempî, ecc.
Passando ora a parlare del potere consolare durante il periodo imperiale, osserveremo anzitutto che nella diarchia istituita da Augusto i consoli vanno riguardati come i più alti rappresentanti della podestà del Senato, e, poiché questa era destinata a essere circoscritta ogni giorno più e a divenire, ogni giorno più, illusoria, era inevitabile il decadimento parallelo del consolato. Perduto l'impero militare e con esso la competenza nella leva e nella nomina degli ufficiali, perduto lo ius agendi cum populo per la sospensione dei comizî popolari, restò ai consoli il diritto di convocare il Senato e di dirigerne le sedute, ma o tale diritto dovettero dividere col principe, o nell'influsso e nella cooperazione di questo trovarono una forte limitazione della loro importanza politica; il che si verificò anche quanto alla direzione delle elezioni, che da Tiberio furono trasferite al Senato. Frattanto, furono restituite al Senato parecchie competenze che gli erano state sottratte durante la repubblica, come alcune relative alla censura (la quale carica cessò da Domiziano in poi), ed altre relative alla giurisdizione, sia civile sia penale. Notevole fu specialmente nell'Impero l'allargamento di quest' ultima nelle mani dei consoli, poiché fu stabilito che contro ogni delitto potesse elevarsi accusa, come dinanzi all'imperatore, dinnanzi a loro, di guisa che, accanto ai tribunali ordinarî delle quaestiones, sorsero i due straordinarî dell'imperatore e dei consoli, nel quale ultimo i consoli erano assistiti dal Senato, che costituiva il loro consilium.
Nella monarchia istituita da Diocleziano, del consolato non rimase che il nome e lo splendore esteriore; rimase ai consoli l'eponimia, rimase loro fino a un certo momento la rappresentanza dell'unità ideale dell'Impero, e nei modi di nomina e di datazione si rispecchiarono poi i rapporti tra le due corti, di oriente e d'occidente; ma all'importanza politica della carica fu posto un termine definitivo: cessò l'apparente elezione senatoria, e la nomina fu fatta senz'altro dall'imperatore, o, al tempo della dominazione dei Goti, dal re, e non alla stregua di doti politiche, ma soltanto a scopo onorario (basti ricordare che Onorio fu nominato console il giorno stesso della sua nascita, e l'onore del consolato fu dato anche a principi stranieri, come a Clodoveo dall'imperatore Anastasio nel 508); ma di competenze specifiche della carica non udiamo più parlare. L'ultimo console dell'Impero occidentale fu Decio Teodoro Paolino, figlio di Venanzio, nell'anno 534, alla cui nomina si riferiscono le due lettere di re Atalarico conservate da Cassiodoro (Var., IX, 22, 23). Nell'Impero orientale l'ultimo console fu Flavio Basilio nel 541, dopo del quale Giustino II prese il consolato nel 566 e lo rinnovò nel 568 e i successori di lui lo rivestirono ciascuno nel primo anno di regno.
Bibl.: L. Lange, Römische Alterthümer, 3ª ed., Berlino 1879, p. 724 segg.; E. Herzog, Geschichte und System der römischen Staatsverfassung, Lipsia 1884, I, p. 688 segg.; Th. Mommsen, Röm. Staatsrecht, II, 3ª ed., Lipsia 1887, p. 74 segg.; id., Gesammelte Schriften, Berlino 1907, VI, p. 324 segg., 362 segg.; id., Disegno del diritto pubblico romano, trad. di P. Bonfante, Milano 1904, p. 184 segg.; E. De Ruggiero, voce Consul, in Diz. epigrafico di antichità romane, II, p. 679 segg.; Humbert e Bloch, in Daremberg e Saglio, Dict. des ant. gr. et romaines, I, p. 1455 segg.; Kübler, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, c. 1112 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907, pp. 1 segg., 403 segg.; II, pp. 82, 212; E. Pais, Sui fasti consolari, in Ricerche sulla storia e sul diritto pubblico di Roma, s. 2ª, Roma 1916; P. Willems, Le droit public romain, 5ª ed., Lovanio 1911, pp. 228 segg., 456 segg., 595 segg.; K. J. Beloch, Römische Geschichte, Berlino 1926, pp. i segg., 231 segg., 247 segg.
Medioevo. - I consoli dei comuni sono i primi che la storia del Medioevo ricordi; essi compaiono nella fase più antica del comune medievale, sia in Italia, sia nella Francia meridionale. Varie opinioni furono formulate intorno all'origine di questi consoli. Il Savigny espose l'ipotesi della continuazione del municipio durante l'età barbarica e ritenne che alle curie municipali romane sopravvissute alle invasioni presiedessero decurioni col titolo di consoli. L'opinione generale degli storici nega però tale sopravvivenza del municipio e ammette soltanto che in alcune città si possa essere conservato l'ufficio del curatore o pater civitatis, sovrintendente all'organizzazione amministrativa interna cittadina, divenuto subalterno del conte, e accanto ad esso qualche ufficiale dell'antico municipio, come l'exactor, percettore degli speciali tributi cittadini, e l'exceptor, protocollista municipale. Soltanto nel sec. XI i maggiorenti della città riuscirono, sia con accordi sia con la violenza, a impadronirsi del governo cittadino, tenuto sino allora dal conte o dal vescovo conte, oppure in certi casi dal visconte e dai loro ufficiali. Dopo di ciò troviamo a capo del governo cittadino i consoli, e la loro esistenza dimostra che ormai l'oligarchia cittadina, formata di feudali minori residenti in città e addetti alla difesa delle mura e delle porte e, spesso, di mercanti, ha costituito un regime autonomo. Quanto all'origine del nome, che troviamo per la prima volta a Pisa nel periodo 1081-1085, non è improbabile che abbia influito a far risorgere il glorioso appellativo l'esempio delle città marinare del basso Tirreno, Napoli, Gaeta e Amalfi, dove il capo del governo si chiama sovente consul et dusc.
Il numero di questi consoli varia; ve n'ha talvolta 12, talvolta un numero minore, sino a due. Sembra che in molte città ci fosse una relazione fra il numero dei consoli e i quartieri o le porte della città (uno o più consoli per quartiere o per porta).
Elezioni. - I consoli duravano ordinariamente in carica un anno ed erano eletti dall'assemblea cittadina più importante, fosse questa il parlamento generale dì tutto il popolo, o il consiglio maggiore. L'elezione si faceva però attraverso speciali commissioni, a cui la scelta era attribuita. Anche in Francia, nei comuni del mezzogiomo, l'elezione dei consoli era fatta per due gradi. Nei primi tempi i consoli appartengono a una ristretta cerchia di cittadini composta della nobiltà e dei grossi mercanti. Poi si stringono accordi con ceti più larghi della popolazione e in molti luoghi la dignità consolare è equamente divisa fra nobili, mercanti e artigiani.
Poteri. - Il loro potere era amplissimo e comprendeva il comando dell'esercito cittadino, l'amministrazione e anche la giurisdizione: quest'ultima però era talvolta confidata a speciali consoli, per i quali vedi più avanti. Questi poteri trovavano una restrizione nel giuramento che i consoli prestavano nell'atto d'assumere il governo: essi dovevano infatti giurare il breve consulum, cioè un complesso di capitoli che dava loro norma nel governare; tale brevi è il nucleo del successivo statuto cittadino. I consoli erano retribuiti per le loro funzioni; tale retribuzione si diceva feudo, conservandosi il senso originario dì beni che venivano dati in godimento per ricompensare determinate funzioni. I consoli erano quasi sempre assistiti nelle loro funzioni politiche e amministrative da un consiglio ristretto, che aveva di consueto il titolo di credenza. Tale forma di governo conservò pieno vigore sino alla prima metà del sec. XIII; poi le discordie comunali portarono a sostituire i consoli con un capo unico, chiamato di fuori, il podestà; in pochi anni, questa nuova forma di governo divenne generale e i consoli, che soltanto in alcuni comuni sopravvissero per qualche tempo accanto al podestà, scomparvero del tutto.
Consoli dei placiti. - Come si è detto, i consoli esercitavano anche la giurisdizione penale e civile, secondo l'estensione dell'autonomia acquisita dal comune. Per gli affari civili però, che esigevano una più larga preparazione giuridica nel giudicante, non tardò a formarsi, nei comuni più importanti, una magistratura apposita. In principio si deferivano le cause civili ad alcuni consoli, scelti fra gli altri, poi si costituirono consoli appositi detti consoli dei placiti, oppure de iustitia, mentre gli altri che attendevano al governo della città erano detti consoli de communi.
Consoli delle arti. - Altri consoli troviamo nei comuni italiani, e sono quelli che governavano le corporazioni dei mercanti e degli artefici, in fiore già nel sec. XIII. Questo appellativo dato ai capi delle corporazioni pare s'introducesse per imitazione del titolo dei capi del comune e accennasse alla libertà piena degli artefici. Nomi più antichi che ricordano l'organizzazione coattiva e la dipendenza dal potere pubblico sono quelli di gastaldi, oppure di ministeriales che contraddistinguevano i capi delle antichissime arti di alcune città, come Venezia, Verona, Bologna, ecc. I consoli delle arti avevano la direzione della corporazione, regolavano i rapporti fra i consociati ed esercitavano anche la giurisdizione sui consociati per controversie vertenti fra loro, e ciò sulla base dell'impegno reciproco che essi prendevano giurando sullo statuto. Quando poi le arti riuscirono ad avere un'ingerenza nel governo del comune, furono per l'appunto i consoli delle arti principali, in particolar modo dei mercanti, a esser chiamati ad assistere col loro parere prima i consoli del comune e più tardi il podestà, sino a che fu costituita un'apposita magistratura formata dai rappresentanti delle arti (priori o anziani), ai quali fu affidato il governo della città.
Consoli delle colonie. - Accanto ai consoli cittadini, del comune, del placito e delle arti, troviamo nel Medioevo altri consoli che perdurarono poi attraverso i secoli e formarono un istituto che ancora fiorisce (v. sotto). Si tratta dei consoli che reggevano le colonie di quei mercanti, che esercitavano il traffico nei centri commerciali stranieri. Furono particolarmente i mercanti toscani quelli che, organizzati in corporazioni a somiglianza di quanto avveniva nella madre patria, si fecero governare da consoli, i quali, come i consoli dei mercanti della città d'origine, esercitavano la giurisdizione sui consociati. Si tratta fin qui di consoli puramente commerciali, che sovente stanno in stretta relazione con l'arte rispettiva della madre patria, come i consoli dei mercanti fiorentini con l'arte di Calimala. Sennonché altri tipi di consoli vengono ad aggiungersi a questi. Vediamo così come al console dei mercanti fiorentini a Costantinopoli venissero attribuite dal comune di Firenze nel sec. XIV particolari funzioni di vigilanza sui connazionali, nonché il compito d'invigilare a che non fossero violati i privilegi concessi dall'imperatore bizantino; un altro console molto prossimo a questo è quello genovese di Caffa, che veniva nominato a Genova con lo stesso procedimento che si usava per gli altri ufficiali della repubblica, anno per anno, e governava la lontana colonia, assistito da un consiglio di 24 membri. A questi si possono accostare i consoli inviati da Marsiglia ad accompagnare le carovane mercantesche. Si viene così a creare un tipo di console che ha già la funzione di rappresentante del governo nazionale. L'evoluzione ulteriore si trova nella storia delle capitolazioni.
Bibl.: K. Kap-Herr, Baiulus, Potestà und Consules, in Deutsche Zeitschrift für Geschichtswissenschaft, I, Friburgo in B. 1895; L. Heinemann, Zur Entstehung der Stadverfassung in Italien, Lipsia 1896; L. Halphen, Consul, consul et dux, Consul romanorum, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, XXVI (1906); V. Franchini, Il titolo di Consul in Ravenna attraverso l'alto Medioevo, Perugia 1909; A. Solmi, Il comune nella storia del diritto, in Enciclopedia giuridica italiana, III, ii, Milano 1922; A. Rapisardi Mirabelli, Il diritto consolare nella storia e nella pratica odierna degli Stati, Torino 1910.
Età moderna. - Nell'età moderna i consoli (o agenti consolari in senso lato, come contrapposto ad agenti diplomatici) sono gli agenti preposti a quegli uffici che ogni stato istituisce nei diversi luoghi di paesi stranieri, dove lo ritenga necessario, col compito di proteggere i suoi interessi economico-commerciali, di prestare assistenza ai suoi cittadini o protetti ivi presenti e d'attendere nei loro riguardi a un complesso di funzioni prevalentemente di carattere amministrativo (e solo eccezionalmente ormai di carattere giudiziario). Giuridicamente vanno annoverati fra i principali organi permanenti dello stato per le sue relazioni internazionali.
L'istituto moderno del consolato si è sviluppato sulle tracce di quei consoli che nel Medioevo (v. sopra) reggevano le colonie dei loro connazionali mercanti stabiliti all'estero. Questo aspetto del consolato medievale, che a poco a poco con lo sviluppo del commercio era divenuto un'istituzione permanente, subì nell'età moderna una riduzione notevole di compiti. La costituzione dei grandi stati moderni importava anzitutto la concezione dello stato come potenza territoriale sovrana e quindi la progressiva avocazione allo stato della funzione giudiziaria e l'imposizione del suo diritto a tutte le persone viventi sul territorio. La funzione prima caratteristica dei consoli venne così a cadere nei paesi civili europei e restò, insieme con altre attribuzioni e prerogative dei consoli e delle colonie straniere, come un'eccezione limitata ai cosiddetti paesi di capitolazioni (v.). Inoltre l'istituzione delle ambasciate permanenti tolse ai consoli quel tanto di tutela degl'interessi politici del proprio stato, che di fronte all'estero era pure stata loro affidata. Benché gli obbiettivi commerciali dello stato anche nei secoli della crescente diplomazia non facessero trascurare l'organizzazione del servizio consolare (le ordinanze francesi del 1681, del 1772 e del 1781 servirono al proposito di modello), la poca importanza, o per lti meno la poca appariscenza che ancora durante la prima metà del sec. XIX esso rivestiva nella vita internazionale può desumersi anche dal posto affatto incidentale che gli veniva assegnato nei trattati più autorevoli di diritto positivo internazionale (come in de Martens, Klüber, Wheaton, Kent, Foelix, ecc.). Sennonché nel secolo XIX importanza nuova dovevano conferire all'istituto consolare, con lo sviluppo delle grandi industrie e dei mezzi di comunicazione, le moltiplicate relazioni economico-commerciali, il pieno cosmopolitismo della vita sociale moderna, l'imponente fenomeno dell'emigrazione. Al console oggi fa capo la protezione - nel senso più lato - degl'interessi sociali-economici dello stato, dipendenti dalla presenza all'estero di suoi cittadini, più o meno numerosi.
Una formazione secondaria, sorta nella più recente fase dello svolgimento dell'istituto consolare, è quella dei consoli onorarî (consules electi), o consoli mercanti (la distinzione inglese è fra consular officers e trading consular officers), detti pure agenti locali dalla legge consolare italiana, e in contrapposto ai consoli di carriera (o consules missi perché mandati ad hoc nel luogo dove risiedono). La distinzione ha valore giuridico-internazionale in quanto ai consoli di carriera nei trattati, o secondo la legislazione dei varî stati, vengono riservati magoiori diritti che ai consoli onorarî. Sono questi per lo più scelti fra i sudditi dello stato locale, comunemente nel ceto dei commercianti o industriali e non percepiscono per le loro funzioni alcuno stipendio, ma solo le tasse di consolato e indennizzo per le spese di cancelleria. Ragioni di mera economia hanno consigliato a tutti gli stati di valersi, con maggiore o minore larghezza, di tale categoria sussidiaria di consoli, tanto che non vi sono paesi oggi che non ne abbiano, a eccezione della Russia sovietica. Anzi, fino ai nostri giorni la Svizzera aveva soltanto consoli onorarî. Le due categorie di consoli hanno uguale carattere ufficiale ed esercitano uguali funzioni. Il problema giuridico-politico di tale equiparazione è stato oggetto da più tempo di severe critiche nel campo della dottrina internazionalista, e si riscontra infatti oggi una certa tendenza dei varî stati a istituire in maggior numero consolati di carriera.
L'indipendenza e reciproca uguaglianza degli stati importa che nessuno stato può mandare consoli all'estero, né esser tenuto a riceverli, senza previo accordo. Le convenzioni consolari, o altri trattati (per lo più di commercio, o di navigazione, o di stabilimento e d'amicizia) con disposizioni relative, stabiliscono anche delle eventuali eccezioni d'ammissione o d'esclusione dei consoli stranieri in dati luoghi (così la Russia rifiutò per molto tempo l'ammissione di consoli a Varsavia, la Germania a Strasburgo, per ragioni politiche evidenti). Il diritto consolare, come parte del diritto internazionale, ha precisamente la sua fonte quasi esclusiva nelle disposizioni delle dette convenzioni o trattati, che sono in massima uniformi anche per effetto della comune inscrizione della clausola della nazione più favorita, per cui una codificazione, nel senso internazionale, del diritto consolare è parsa da tempo attuabile. D'altra parte l'organizzazione del servizio consolare - come di ogni altro servizio statale - trova la sua fonte nel diritto interno dei singoli stati. Per l'Italia la legge 28 gennaio 1866 (e il regol. 7 giugno 1866), in parte modificata con la legge 9 giugno 1907, ha avuto due riforme con la legge 2 giugno 1927 n. 861 e con quella 2 giugno 1927, n. 862, che ha unificato le carriere diplomatica e consolare.
Nomina. - La nomina all'ufficio di console (non esistendo più l'elezione) è un atto amministrativo dello stato e costituisce il rapporto di servizio tra il funzionario e lo stato; consta di un documento che suole ancora andare sotto il nome di lettere patenti o brevetto. Ma dato che le funzioni del console debbono esercitarsi nel territorio di altro stato, bisogna attraverso l'agente diplomatico dello stato di nomina sottoporre la nomina del console al governo dello stato di residenza, il quale concede l'exequatur o placet (berat o firmano in Turchia) volta per volta per ogni singolo funzionario, e può rifiutarlo se la persona scelta non è persona grata (una deroga a ciò hanno costituito i trattati di pace 1919-20, secondo cui la Germania, l'Austria, l'Ungheria, la Bulgaria senza reciprocità sono obbligate ad approvare la designazione di tutto il personale consolare delle potenze alleate e associate).
L'exequatur viene di solito apposto in calce alle lettere patenti, ma può seguire anche per atto distinto (in Italia per decreto reale per i consoli di carriera e decreto ministeriale per quelli onorarî) e ne è data pubblicazione secondo la legge locale (in Italia mercé la lettura in pubblica udienza alla Corte d'appello della circoscrizione dove il console deve risiedere). Mercé l'exequatur il console straniero viene ammesso e riconosciuto. L'exequatur può essere revocato; cessa inoltre d'aver vigore ipso iure in caso di guerra fra i due stati (allora il consolato, con l'archivio, è affidato al console di uno stato amico) e per un mutamento di governo nell'uno o nell'altro stato, giusta l'opinione dei più (il mutamento della semplice persona del capo dello stato non ha effetto estintivo).
Condizione giuridica. - Può circoscriversi negativamente dicendo che i consoli non hanno carattere diplomatico in quanto non sia a loro particolarmente accordato (e quindi mancano delle prerogative, immunità e onori degli agenti diplomatici). Di conseguenza essi non rappresentano lo stato che li manda presso lo stato che li riceve, e non sono perciò autorizzati, salvo casi di necessità, a rivolgersi direttamente alle autorità centrali dello stato di residenza, ma debbono valersi del tramite del rappresentante diplomatico del loro stato. Qualora i consoli vengano anche investiti della rappresentanza del loro stato e perciò nominati incaricati d'affari, allora assumono, come tali, carattere diplomatico (ciò che suole avvenire per i consoli generali nominati in paesi dove il loro stato non abbia agente diplomatico). La tendenza generale, determinata dalla crescente importanza delle relazioni economiche, è in massima nel senso di avvicinare la condizione giuridica dei consoli di carriera a quella dei diplomatici e in ogni caso di favorire il passaggio da una carriera all'altra, quando non si è giunti alla fusione delle due carriere, come ha fatto la Francia e, nel 1927, l'Italia. Positivamente la condizione giuridica dei consoli è costituita dall'insieme di prerogative loro garantite dai diversi trattati che si estendono in minor misura al personale d'ufficio, non però ai membri di famiglia, e cioè: a) l'indipendenza dalla giurisdizione locale nell'esercizio della loro attività ufficiale (e quindi per lo più l'esenzione dall'arresto personale e dal carcere preventivo, salvo che per i reati più gravi); b) l'inviolabilità dell'archivio consolare e delle carte d'ufficio quivi conservate (con l'obbligo di tenerle separate dalle carte private) e in massima l'inaccessibilità dei locali d'ufficio e dell'abitazione del console di carriera e suddito dello stato di nomina, senza però che i detti locali possano servire di asilo; c) l'esenzione da imposte e tributi sotto condizione di reciprocità; d) il diritto d'adoperare, conformemente agli usi, le insegne del proprio stato (bandiere, stemmi, ecc.), sull'abitazione ufficiale o sulle imbarcazioni di cui il console viene ad usare nei porti.
Funzioni. - Innanzi tutto, funzioni generiche, relative: alla protezione in genere dei connazionali, compresa in questa l'assistenza e sovvenzione ai bisognosi con i fondi all'uopo messi a disposizione (il console tiene un registro matricolare di tutti i cittadini del suo stato residenti nella propria circoscrizione); alla vigilanza sul rispetto dei trattati e precisamente sui diritti spettanti in base a essi ai sudditi o protetti del proprio stato (contro le violazioni, nei casi più urgenti, il console può protestare direttamente e negli altri far rapporto all'agente diplomatico, o informare il proprio governo); alle periodiche, o spontanee e accidentali relazioni al proprio governo su quanto interessa la vita economica del paese di residenza (raccolte o bollettini consolari sono stati creati nei vari paesi, da cui vengono portate a conoscenza del pubblico le dette relazioni dei consoli). A queste funzioni generiche fanno riscontro numerose funzioni particolari, spettanti in massima parte al vasto campo dell'amministrazione: funzioni di polizia di fronte ai proprî connazionali e alle navi mercantili del proprio paese (concernenti la materia dei passaporti, il controllo delle misure di sicurezza e di sanità, l'ordine a bordo, ecc.); funzioni in vario senso protettive degl'interessi della navigazione mercantile nazionale; funzioni di giurisdizione volontaria (cfr. al riguardo l'art. 2 della convenzione dell'Aia, 12 giugno 1902 sulla tutela); apertura di successioni e loro salvaguardia, amministrazione e liquidazione; funzioni di stato civile, compresa la celebrazione di matrimonî fra connazionali (v. l'art. 368 del cod. civile); funzioni notarili (accoglimento e stesura di documenti e atti riguardanti i connazionali; atti di ultima volona, donazioni, contratti, che non siano diretti alla costituzione d'un diritto reale su immobili nel territorio dello stato di residenza se la legge locale esige l'intervento d'un pubblico ufficiale del paese; atti riguardanti anche stranieri se hanno ad oggetto cosa situata nello stato del console, o devono quivi avere esecuzione).
Bibl.: Per la parte storica: De Laigue, L'institution consulaire et son passé historique, in Revue d'histoire diplomatique, Parigi 1890; G. Salles, L'institution des Consulats, Parigi 1897; Cappello, Les Consulats et les bailages de la republique de Venise, in Revue de droit international et de législation comparée, Bruxelles 1897; A. Schaube, Storia del commercio dei popoli latini del Mediterraneo sino alla fine delle crociate, traduz. di P. Bonfante, Torino 1915.
Per la trattazione giuridica: H. B. Oppenheim, Handsbuch der Konsulate aller Länder, Erlangen 1854; F. de Cussy, Règlements consulaires des principaux états maritimes, Parigi 1852; A. De Clercq e G. de Vallat, Guide pratique des consulats, 5ª ed., voll. 2, Parigi 1898; B. W. von König, Handbuch des deutschen Konsularwesens, 8ª ed., Berlino 1914; Ph. Zorn, Deutsches Gesandtschaftsund Konsularrecht, in Stier-Somlo's Handbuch des Völkerrechts, II, iii, Stoccarda 1920, cap. II; Chester Lloyd Jones, The consular service of the U. S.; its history and activities, Philadelphia 1906; F. Magnoné, Manuel des officiers consulaires sardes et étrangers, voll. 2, Marsiglia 1848; L. Testa, Manuale pei regi consoli d'Italia, Torino 1888; S. Gemma, Console-Consolato, in Digesto italiano, VIII, ii, Torino 1895-98; F. P. Contuzzi, Trattato teorico-pratico di diritto consolare e diplomatico, voll. 2, Torino 1910-11; E. C. Stowell, Le consul: fonctions, immunités, organisation, exequatur. Essai d'exposé systématique, Parigi 1909; id., Consular Casse and Opinions, Washington 1909.
Per il grado di console nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, v. questa voce.