Cooperazione economica internazionale
La cooperazione economica internazionale attuale ha caratteristiche che la distinguono abbastanza nettamente da quella del passato. È di natura pubblica, è a dimensione multilaterale, è consapevole ed è estesa a campi molto vasti e complessi, quali il regime degli scambi commerciali tra paesi, il regime dei pagamenti internazionali e la canalizzazione del capitale privato e pubblico verso i paesi in via di sviluppo. Per di più la collaborazione internazionale sul piano economico si è talmente estesa nel periodo susseguente alla seconda guerra mondiale che in retrospettiva i progressi del passato appaiono, spesso a torto, non solo molto lenti, ma anche poco significativi.In passato, infatti, la cooperazione economica internazionale era stata, se non proprio inconsapevole, almeno ancorata ad automatismi di sistema o basata sul rispetto volontario di regole del gioco di carattere generale e dai contorni piuttosto labili. Si pensi, a guisa di esempio, al sistema monetario aureo (il gold standard) durante gli anni dal 1875 al 1914 o alle regole della libera concorrenza nella produzione e negli scambi commerciali affermatesi in Europa a partire dalla fine del XVIII secolo.La cooperazione economica internazionale consapevole, pubblica, multilaterale e a largo raggio ha avuto le sue prime manifestazioni precise, anche se sporadiche, tra il 1919 e il 1939 in materia di scambi commerciali e di pagamenti internazionali (ivi inclusi i pagamenti privati). Essa si è allargata, in oggetto e soggetti, ed è divenuta più intensa e sistematica dalla fine della seconda guerra mondiale in poi.Ciò è avvenuto per motivi economici e politici che si sono rinforzati a vicenda, ma che hanno trovato modo di esplicarsi anche a ragione di una rinnovata fiducia nelle istituzioni multilaterali e nel valore della cooperazione a tutti i livelli: settoriale, regionale e globale. Tale valore è stato sentito come più comune e accettabile per l'affermarsi, da un lato, delle teorie dell'integrazione economica tra paesi e, dall'altro, dell'idea che la salvaguardia della pace nel mondo passi attraverso l'attenuazione degli attriti economici tra gli Stati.
Nel quadro degli accordi di pace raggiunti a Parigi nel 1919 si stabilirono, a carico della Germania, responsabilità riparatorie che nella sostanza si possono considerare più come parte del bagaglio diplomatico europeo tradizionale che del nuovo ordine internazionale postbellico propugnato dal presidente americano Wilson. Su quegli accordi ebbe gran peso, in particolare, l'intransigenza della Francia. Il problema delle riparazioni tedesche divenne il banco di prova del nuovo ordine, ma ne dimostrò solo l'intrinseca debolezza.La fissazione di obblighi riparatori che eccedevano le capacità sociali e politiche, prim'ancora che economiche, della Germania dette origine a un processo di riaggiustamento che terminò solo quando la redistribuzione degli oneri diventò in sostanza più accettabile per la nazione che doveva sopportarli. Tale processo, che richiese numerose iterazioni sia politiche che economiche, si snodò attraverso due piani multilaterali - il piano Dawes del 1924 e il piano Young del 1929 - che nella sostanza richiesero una discreta dose di collaborazione tra le nazioni vincitrici (ivi compresi gli Stati Uniti) e la Germania, ma nella forma e nella proiezione politica contribuirono invece a far estraniare quest'ultima dal consesso europeo dominato dalle nazioni vincitrici e dalle forme organizzative dell'ordine postbellico che a esse facevano capo.
Quale primo esperimento di un meccanismo globale di sicurezza collettiva, la Società delle Nazioni, entrata in funzione il 10 gennaio del 1920, rappresentò un'innovazione di grande valore politico. Gli Stati membri non solo sottoscrissero regole di comportamento di carattere generale, ma assunsero in alcuni campi anche obblighi specifici. Accanto a quelli statutari, i paesi membri assunsero l'obbligo di operare attraverso organi comuni, quali l'Assemblea e il Consiglio, e di assicurare il funzionamento del Segretariato tecnico della Società. La Società cercò anche di promuovere la collaborazione economica e finanziaria tra gli Stati membri e sotto i suoi auspici furono organizzate tre conferenze internazionali: 1) la Conferenza sui problemi finanziari tenutasi a Bruxelles nel 1920; 2) la Conferenza economica di Ginevra tenutasi nel 1927; 3) la Conferenza economica e monetaria di Londra del 1932. Le prime due ebbero discreto successo, mentre la terza non fece altro che registrare l'ormai chiara divergenza degli intenti e delle politiche dei paesi membri, sia in campo commerciale che in quello dei regimi dei tassi di cambio. La Società promosse altresì la standardizzazione dell'informazione statistica sul piano internazionale e la sua diffusione. Cominciò proprio nel 1921 la pubblicazione del "Monthly bulletin of statistics" che ancora oggi, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, raccoglie tutte le più importanti statistiche economiche del mondo.
Importanti misure di semplificazione delle procedure doganali furono concordate nel 1923, mentre in fatto di misure restrittive del commercio internazionale i progressi furono molto scarsi.In ambito finanziario la cooperazione favorita dalla Società si manifestò soprattutto nel campo dei prestiti alle nazioni più deboli, quali l'Austria, l'Ungheria, la Grecia, l'Estonia e Danzica. Nove prestiti internazionali, dell'ammontare complessivo di 80 milioni di sterline, furono emessi tra il 1923 e il 1928 sotto i suoi auspici. Dopo l'abbandono delle parità auree da parte della Gran Bretagna, nel settembre del 1931, il sistema monetario internazionale basato sul gold standard si disintegrò rapidamente e a nulla approdarono gli sforzi della Società per riportare in esso maggior ordine e coerenza. Con tale fallimento, certamente non imputabile alla Società, questa venne tuttavia a perdere credibilità anche sul terreno della collaborazione tecnica.È da ricordare altresì, tra le innovazioni istituzionali del periodo, la costituzione - avvenuta simultaneamente a quella della Società delle Nazioni - dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labor Organization o ILO), che doveva far parte del gruppo di organizzazioni specializzate facenti capo alla Società. Ne rimase, invece, separata, continuando a operare in modo autonomo fino al periodo susseguente alla costituzione delle Nazioni Unite.
Dagli inizi degli anni trenta in poi, con l'insorgere della crisi economica mondiale, si vennero progressivamente ad attenuare i legami di cooperazione pubblica e multinazionale iniziatisi e sviluppatisi nel contesto della Società delle Nazioni. Insorsero, infatti, manifestazioni sempre più marcate di autarchia e di nazionalismo economico, la cui motivazione politica va almeno in parte cercata nell'incapacità delle nazioni uscite vincitrici dal primo conflitto mondiale di stabilire un ordine internazionale accettabile anche da quelle uscitene perdenti. Il persistente problema delle riparazioni tedesche, espressione tanto della debolezza del nuovo ordine wilsoniano quanto della corrispondente forza delle tradizioni nazionali europee, contribuì a far scemare nel tempo anche quel minimo di collaborazione tra Stati necessario al mantenimento degli ordini monetari e commerciali mondiali. Le manifestazioni autarchiche più evidenti si ebbero infatti sul terreno delle politiche commerciali e di quelle valutarie a partire dal 1930. Incominciò così la sequela delle misure restrittive degli scambi commerciali, dei controlli dei cambi, dei sussidi all'export e delle svalutazioni 'competitive' delle monete nazionali, che si estesero rapidamente a tutte le maggiori aree del mondo. Il rapido e pilotato declino dei comportamenti ispirati al liberalismo economico, fin'allora prevalenti, si manifestò in un contesto politico largamente influenzato in Europa dal nazionalismo, che portava con sé anche una forte componente di statalismo e di dirigismo economico. Depressione economica e disoccupazione, problemi apparentemente non suscettibili di essere trattati con le tradizionali ricette di politica economica, generarono sfiducia nell'ortodossia classica liberale e nelle sue capacità di rispondere alle emergenti realtà economiche e sociali.
Ma non fu solo il protezionismo commerciale - cui avevano dato la spinta iniziale gli Stati Uniti con l'introduzione nel 1930 della legge Smoot-Hawley - a contribuire in maniera possente al passaggio dalla cooperazione economica internazionale degli anni venti alla concorrenza sleale generalizzata degli anni trenta. Fattore di importanza non marginale fu anche il definitivo crollo del sistema monetario aureo internazionale che avvenne, come si è detto, nel 1931 con la sospensione della convertibilità in oro della sterlina inglese. Venne così a cessare, nel volgere di pochi anni, anche quel tipo di collaborazione valutaria e monetaria tra Stati che aveva richiesto minori sforzi consapevoli, essendo basata in larga misura su regole di comportamento comuni che, seppure non formalmente sottoscritte, erano per consuetudine considerate da rispettare e venivano in pratica osservate.Con l'erosione progressiva dei comportamenti ispirati al liberalismo economico, e dei meccanismi commerciali e finanziari comuni che di esso costituivano la dimostrazione pratica più tangibile, non solo divennero più accettabili gli interventi diretti delle autorità statali nelle economie dei vari paesi - ivi inclusi i sistemi finanziari - attraverso i salvataggi industriali e bancari, l'imprenditoria di Stato e in alcune istanze la pianificazione economica, ma cominciò anche a darsi per acquisita l'idea che, senza una massiccia e continua partecipazione delle autorità statali alla vita produttiva delle nazioni non sarebbe stato possibile il raggiungimento di migliori risultati.La legittimità politica ed economica conseguita dallo statalismo nazionalista europeo negli anni trenta derivò, infatti, almeno in parte, dagli apparenti successi economici dell'Italia e della Germania durante quegli anni.
La seconda guerra mondiale rappresentò uno spartiacque molto importante in materia di collaborazione economica internazionale. Innanzitutto perché essa scoppiò solo vent'anni dopo la fine della prima: il fallimento della pace e del nuovo ordine wilsoniano che doveva garantirla non poteva essere più evidente. Da qui l'impulso a cominciare da capo e a provare altre vie (Nazioni Unite, collaborazione regionale e funzionale).
In secondo luogo il ripensamento sulle cause delle due guerre mondiali portò al centro dell'attenzione la dimensione economica del problema della pace, da cui derivavano conclusioni quale la necessità di evitare le depressioni cicliche, di ridurre la disoccupazione e di assicurare, sia a livello nazionale che a livello internazionale, una migliore distribuzione del reddito.In terzo luogo la seconda guerra mondiale rese evidente il capovolgimento nei rapporti di forza verificatosi nel mondo, consacrando l'ascesa degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica e il corrispondente declino dell'Europa, la cui stessa ricostruzione postbellica venne a dipendere dagli aiuti economici americani (Piano Marshall).
Tale sconvolgimento degli equilibri politici, militari ed economici preesistenti, se finì con il subordinare l'Europa occidentale agli Stati Uniti e quella orientale all'Unione Sovietica, ben presto in forte concorrenza tra loro, contribuì anche a rendere più accettabile per l'Europa occidentale l'ordine economico globale postbellico elaborato dalle nazioni alleate e portato avanti soprattutto dagli Stati Uniti. A tale accettazione contribuirono altri fattori, quali il ricordo dell'esperienza delle riparazioni tedesche, il desiderio di rifondazione dell'Europa continentale su basi cooperative e la necessità di una protezione militare che solo gli Stati Uniti erano in grado di dare. Tuttavia, se non si considera il capovolgimento dei rapporti di forza tra le nazioni europee e l'Unione Sovietica, da una parte, e tra le nazioni europee e gli Stati Uniti dall'altra, diventa difficile spiegare sia l'entità che la rapidità del mutamento di posizione dell'Europa in fatto di collaborazione interregionale e internazionale.
La ricerca del nuovo ordine economico internazionale postbellico ebbe anche una matrice intellettuale ben definita. L'esperienza economica degli anni trenta e il fallimento palese delle ricette classico-liberali resero possibile la rapida accettazione delle emergenti teorie keynesiane e dei precetti da esse derivati. Tra questi, in primo luogo, la valorizzazione dell'intervento pubblico nell'economia - soprattutto dal lato della spesa - e la necessità dell'azione di politica economica per il conseguimento del pieno impiego delle risorse disponibili.
L'influenza delle nuove dottrine di stampo keynesiano sull'ordine economico internazionale postbellico è evidente sia nel sistema dei cambi fissi, il cui mantenimento dipende dalle politiche economiche, sia nella valorizzazione della collaborazione economica tra Stati. Le influenze classico-liberali si ritrovano invece nella valorizzazione della libertà degli scambi commerciali e nell'ordine giuridico che tale libertà doveva garantire.
La pianificazione del nuovo ordine economico internazionale da instaurare a vittoria avvenuta cominciò tra le nazioni alleate nell'agosto del 1941 con la Conferenza atlantica, in cui Stati Uniti e Gran Bretagna enunciarono gli obiettivi da perseguire. Una più precisa definizione di tali obiettivi avvenne con l'Accordo di Aiuto Reciproco (Mutual Aid Agreement) firmato dalle stesse due nazioni nel febbraio del 1942, che rese esplicito il loro impegno a instaurare un sistema commerciale basato sul libero scambio. Anche se la precisazione di tale sistema dovette attendere fino alla Conferenza di Londra dell'ottobre 1946, nella quale fu preparata la bozza di statuto dell'Organizzazione Mondiale per il Commercio (International Trade Organization o ITO), l'obiettivo della ricostituzione di un ordine commerciale liberale non fu mai perso di vista, soprattutto da parte degli Stati Uniti, sia durante il conflitto che dopo la sua fine.Il negoziato sul nuovo ordine monetario internazionale cominciò invece nella primavera del 1943 dopo la pubblicazione delle proposte americana (di Harry Dexter White) e inglese (di John Maynard Keynes). Entrambe miravano a promuovere un sistema internazionale di pagamenti all'interno del quale l'equilibrio dei conti con l'estero (e dei tassi di cambio) potesse essere mantenuto da ciascuno Stato membro senza troppo sacrificare l'occupazione interna. A tal fine ambedue i piani prevedevano la predisposizione di riserve comuni, che fossero accessibili agli Stati membri e da tutti accettate come mezzo di pagamento, da utilizzare per fronteggiare crisi temporanee di liquidità.In questo campo il passo dall'elaborazione dei principî alle decisioni sulle strutture fu molto breve. Nel luglio del 1944, alla Conferenza tenutasi a Bretton Woods, nello Stato americano del New Hampshire, fu infatti decisa la costituzione del Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Fund o IMF), l'organizzazione che doveva sovrintendere al funzionamento dell'ordine monetario nel dopoguerra.Durante la medesima Conferenza fu decisa la costituzione della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (International Bank for Reconstruction and Development o IBRD), che doveva servire a incanalare il capitale privato e pubblico prima verso la ricostruzione dell'Europa e poi verso lo sviluppo dei paesi emergenti. Tale banca, arricchitasi successivamente di due affiliate, si è trasformata nella vera e propria Banca Mondiale.Il coronamento dell'obiettivo della cooperazione multilaterale generalizzata avvenne, alla Conferenza di San Francisco del giugno 1945, con l'approvazione della Carta delle Nazioni Unite da parte delle cinquanta nazioni che vi parteciparono. Accanto ai meccanismi per la sicurezza collettiva vennero a collocarsi, nell'ambito delle Nazioni Unite, molteplici organismi di cooperazione settoriale e regionale. Tra i primi possono essere ricordate l'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura (Food and Agriculture Organization o FAO), l'Organizzazione per lo Sviluppo Industriale (United Nations Industrial Development Organization o UNIDO), l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labor Organization o ILO) e l'Organizzazione per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization o UNESCO). Tra i secondi vanno notate le Commissioni Economiche Regionali per l'Europa, l'Africa, l'Asia e l'America Latina (United Nations Economic Commissions for Europe, Africa, Asia and Latin America o UNECE, UNECAF, UNECA e UNECLA).
Al primo gradino della scala su cui si collocano i più importanti presupposti concettuali della cooperazione internazionale affermatisi nel secolo in corso sta la teoria del funzionalismo. Essa è basata sull'assunto che lo sviluppo della cooperazione tra gli Stati in campo economico e sociale sia prerequisito essenziale alla soluzione definitiva dei conflitti politici e all'eventuale eliminazione di quelli militari.
Le attività funzionali, in quanto più direttamente e immediatamente mirate al raggiungimento di obiettivi concreti e comunemente riconoscibili, quali la prosperità economica, la giustizia sociale, il miglioramento dei sistemi educativi, dovrebbero costituire il fondamento di una collaborazione più stabile e duratura tra gli Stati.
Il funzionalismo mira, quindi, all'aggregazione degli sforzi di collaborazione tra Stati sul terreno tecnico, dove la definizione degli obiettivi comuni da raggiungere dovrebbe essere più semplice e la collaborazione per il loro raggiungimento più facile e accettabile. Esso si basa sulla premessa della razionalità umana, e sul postulato che ne deriva della superiorità dell'armonia nelle relazioni sociali ed economiche sui conflitti.
Le teorie del regionalismo hanno costituito, insieme al funzionalismo, una delle premesse concettuali più solide alla cooperazione economica internazionale. L'integrazione regionale è, in termini generali, il processo attraverso il quale i rapporti tra unità autonome limitrofe cambiano, in quanto si riduce l'autonomia di ciascuna di esse e aumenta corrispondentemente l'autorità dell'aggregato da esse formato.Elemento essenziale del processo di integrazione regionale è la relativa omogeneità tra le parti componenti. Al suo successo, infatti, contribuisce in maniera determinante la comunanza di cultura e di tradizioni sociali e politiche che è, almeno in parte, anche funzione della vicinanza fisica. L'esistenza di queste basi naturali rende possibile l'innesto di processi diretti esplicitamente al superamento delle autonomie delle singole unità. Le direzioni in cui muove tale processo sono svariate: leghe o coalizioni a fini di difesa, federazioni o confederazioni a fini politici, unioni doganali o zone di libero scambio, mercati comuni o vere e proprie unioni economiche.
Il progetto, o visione, di un mondo unificato e capace di fornire ordine, giustizia e benessere all'umanità intera ha lungamente occupato l'immaginazione e le menti di pensatori illustri di tutte le maggiori discipline sociali. Solo di recente, però, l'idea di un governo mondiale, raggiunto attraverso il consenso tra gli Stati e tendente al raggiungimento degli obiettivi morali e delle aspirazioni più elevate dell'umanità, è entrata nel novero degli obiettivi politici considerati legittimi e raggiungibili. In teoria l'idea di un governo mondiale costituisce un'alternativa esplicita e radicale non solo all'empirismo della tradizionale balance of power, ma anche alle più moderne teorie della sicurezza collettiva e dell'integrazione regionale (o funzionale), per il raggiungimento e il mantenimento della pace nel mondo. Il suo presupposto concettuale più qualificante sta, infatti, nell'idea che la guerra sia una conseguenza naturale e ineluttabile del sistema politico internazionale basato sugli Stati singoli. Pertanto, al fine del raggiungimento della pace, tale sistema andrebbe abolito e sostituito da un altro basato su un'autorità centrale che trascenda e superi quella statale singola.
5) Sviluppo e dimensioni della cooperazione economica internazionale nel dopoguerra
Tra i campi della collaborazione economica internazionale aventi carattere generale tre risultano essere di gran lunga i più importanti: quello delle relazioni commerciali, quello dei pagamenti internazionali e quello dell'aiuto allo sviluppo economico, che comprende sia i trasferimenti diretti di risorse ai paesi più poveri sia le concessioni fatte loro dai paesi industrializzati in materia di commercio e di pagamenti. La cooperazione economica regionale, sia tra paesi industrializzati che tra paesi in via di sviluppo, completa questo quadro.
A partire dalla fine della seconda guerra mondiale notevoli sforzi sono stati fatti a livello internazionale al fine di ridurre gli ostacoli che erano stati frapposti al commercio estero durante gli anni trenta. Si trattava infatti di ridurre per quanto possibile le barriere tariffarie e non tariffarie (quali ad esempio i contingenti all'importazione, i sussidi all'esportazione, le autorizzazioni amministrative all'export e all'import, i contingentamenti delle divise estere) erette durante gli anni del protezionismo e delle politiche 'volte a nuocere al vicino' (beggar-thy-neighbour policies), che avevano contribuito in modo determinante a ridurre l'interscambio commerciale mondiale.La liberalizzazione tariffaria negoziata a livello internazionale cominciò e si sviluppò nell'ambito dell'Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio (General Agreement on Tariffs and Trade o GATT) raggiunto, nell'ottobre del 1947, tra i più importanti paesi industrializzati dell'Occidente ed entrato in vigore il 1° gennaio dell'anno successivo. Tale accordo, che doveva durare solo fino all'entrata in vigore dell'Organizzazione Internazionale per il Commercio, ha invece continuato a funzionare e a fornire il quadro di riferimento entro il quale si sono svolti tutti i più importanti negoziati internazionali in materia di commercio. Di fatto il GATT è diventato una struttura permanente - dato che la Carta dell'Avana contenente la costituzione dell'ITO non fu mai ratificata dalla maggioranza dei 53 paesi che la sottoscrissero nel 1948 - e si è esteso dai paesi industrializzati non solo alla stragrande maggioranza dei paesi in via di sviluppo, ma anche a un certo numero di quelli a economia pianificata. Da 23 i paesi membri del GATT sono diventati 95 nel novembre 1987, dei quali 23 erano paesi industrializzati, 5 paesi a economia pianificata e 67 paesi in via di sviluppo (PVS).I punti chiave del GATT sono quattro: 1) la non discriminazione, ossia l'accettazione incondizionata del principio della nazione più favorita (most favoured nation), secondo il quale ogni riduzione di tariffe commerciali conclusa tra due o più Stati membri deve essere automaticamente estesa agli altri; 2) l'impegno ad abolire tutte le barriere tariffarie tra gli Stati membri sulla base della reciprocità (eccetto quelle esistenti in agricoltura); 3) la condanna dell'uso delle restrizioni quantitative all'import; 4) l'impegno a risolvere ogni disputa tra paesi membri, in materia di commercio, nell'ambito delle strutture e nel rispetto delle procedure previste in tali accordi.
Sotto gli auspici del GATT si sono svolte numerose conferenze negoziali tese a ridurre le barriere tariffarie al commercio internazionale ancora esistenti: a Ginevra nel 1947, ad Annecy nel 1949, a Torquay nel 1950-1951, a Ginevra nel 1956, 1960-1961 (Dillon round) e 1964-1967 (Kennedy round), a Tokyo e a Ginevra tra il 1973 e il 1979 (Tokyo round). Le ultime tre tornate negoziali portarono a una riduzione complessiva di circa il 75% nei dazi nominali praticati sull'import di prodotti industriali. Attualmente è in corso l'Uruguay round, cominciato a Punta del Este nel 1986.Nelle tre più importanti aree industrializzate - Europa, Stati Uniti e Giappone - i dazi nominali medi praticati sull'import di manufatti sono attualmente del 6-7%, mentre quelli sui semimanufatti e sulle materie prime (con l'eccezione di alcuni prodotti agricolo-alimentari) sono ancora più bassi: rispettivamente del 3-4% e dello 0,2-0,5%. Oltre ai dazi nominali è diminuita nel tempo anche la cosiddetta dispersione tariffaria, specialmente dopo il Tokyo round, durante il quale i dazi all'import più elevati furono ridotti più che proporzionalmente rispetto a quelli meno elevati. La liberalizzazione tariffaria ha progredito talmente che i dazi hanno ormai generalmente cessato di costituire una seria barriera al commercio internazionale (v. tabb. I e II).
Le strutture tariffarie dei paesi industrializzati membri del GATT mantengono, tuttavia, alcune caratteristiche che vanno in senso opposto a quello della liberalizzazione tariffaria non discriminatoria. Da un lato i prodotti importati dai paesi in via di sviluppo sono sottoposti a dazi più alti della media, dall'altro i dazi sull'import aumentano con il grado di lavorazione dei beni importati: essi sono più bassi per le materie prime che per i semimanufatti e i manufatti. Ciò significa che il dazio effettivo, e quindi il grado di protezione effettivamente praticato, è più alto di quello nominale.Inoltre l'import di materie prime agricolo-alimentari è ancora soggetto a dazi variabili da parte della CEE, e a dazi fissi elevati, in aggiunta a contingenti all'importazione, da parte del Giappone. L'importanza, poi, delle barriere non tariffarie non è mai venuta del tutto meno neanche durante gli anni d'oro della liberalizzazione. In alcuni settori industriali - acciaio, mezzi di trasporto, chimica - e in quello tessile e dell'abbigliamento la loro importanza è perfino aumentata negli ultimi anni, con l'espandersi dei cosiddetti accordi di autolimitazione delle esportazioni e dei contingenti all'import di prodotti tessili e di abbigliamento provenienti dai paesi in via di sviluppo, nell'ambito degli Accordi Multifibre (Multifiber Arrangements o MFA).
Il sistema di cooperazione monetaria concepito a Bretton Woods, e basato sul mantenimento di rapporti di cambio fissi e sul binomio oro-dollaro quale strumento di riserva, ha costituito un altro punto di riferimento chiave nell'ordine economico internazionale postbellico. Un sistema di cambi fissi, infatti, presuppone la collaborazione fattiva tra gli Stati membri fin dall'atto della fissazione dei tassi di cambio tra le loro monete. Senza tale collaborazione nessun accordo quadro può nemmeno cominciare. Dal grado di realismo di tali rapporti di cambio inizialmente fissati dipende poi in buona misura la sostenibilità del sistema nel tempo e il suo buon funzionamento. Un sistema di cambi fissi presuppone, inoltre, l'esistenza di un meccanismo di aggiustamento degli squilibri della bilancia dei pagamenti basato sul senso di responsabilità dei paesi membri. Questi infatti debbono darsi carico del riequilibrio dei rispettivi conti con l'estero attraverso l'adozione di adeguate e tempestive misure di politica economica.
A parte, quindi, la possibilità di sostenere il finanziamento dei disavanzi temporanei nella bilancia dei pagamenti dei paesi membri attraverso l'offerta di riserve centralmente mantenute, un sistema di cambi fissi presuppone la simmetria tra i comportamenti dei paesi in surplus e di quelli in deficit: i primi debbono essere pronti a reflazionare le loro economie, i secondi a deflazionarle.Da qui la necessità, ben tenuta presente a Bretton Woods, di una struttura organizzativa che non solo facesse rispettare le regole del gioco, ma rendesse anche più facili i rapporti di collaborazione tra i paesi membri, da cui dipende in ultima analisi il buon funzionamento del regime di cambi posto in essere: questa struttura è stata il Fondo Monetario Internazionale, che ha cominciato a operare nel marzo del 1947. Da qui anche la possibilità di accesso da parte di tutti i membri agli strumenti di riserva centralmente gestiti dal Fondo: ossia i diritti di prelievo (drawing rights) di cui ciascuno di essi veniva a godere con la partecipazione al sistema. Sia i diritti ordinari di prelievo che quelli straordinari (o speciali) altro non erano, infatti, che supplementi alle riserve in oro e alle valute convertibili mantenute a livello nazionale, supplementi utilizzabili - a seconda delle circostanze e a condizioni di accesso graduate in base all'entità dell'impiego - per far fronte a squilibri temporanei della bilancia dei pagamenti. La possibilità di mutare il valore delle parità monetarie era prevista solo in caso di squilibri fondamentali e previo assenso del Fondo Monetario (ossia degli altri Stati membri).Le riserve comuni a disposizione dei membri dell'IMF, circa 7 miliardi di dollari alla sua entrata in funzione, furono accresciute nel tempo in tre modi: 1) con aumenti periodici delle quote di partecipazione dei vari paesi; 2) con prestiti al Fondo da parte di paesi membri; 3) con l'istituzione dei cosiddetti diritti speciali di prelievo (special drawing rights).
Gli aumenti periodici nelle quote di partecipazione avrebbero dovuto costituire il modo normale per far crescere le riserve comuni. Essi furono, tuttavia, poco frequenti e di entità insufficiente. Per far fronte ai bisogni di credito internazionale dei paesi membri il Fondo dovette, dunque, utilizzare metodi di finanziamento straordinario. Il primo e più importante esempio di quei prestiti è dato dal cosiddetto Accordo Generale sui Prestiti (General Agreement to Borrow o GAB) stipulato nel 1961 tra il Fondo e dieci dei suoi paesi membri (Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Olanda, Belgio, Svezia e Giappone), i quali si impegnarono a fornirgli una linea di credito pari a 6 miliardi di dollari, a condizione, però, di poterne in pratica decidere l'utilizzo. Da qui il ruolo guida assunto da questi paesi (il cosiddetto Gruppo dei Dieci) nelle delibere monetarie internazionali. Un secondo importante esempio di finanziamento straordinario fu il prestito di 8 miliardi di dollari concesso al Fondo dall'Arabia Saudita nel 1981.
L'accordo sull'emissione dei diritti speciali di prelievo e sulla loro distribuzione tra i membri del Fondo, raggiunto nel 1967 a Rio de Janeiro su proposta del Gruppo dei Dieci e messo in atto nel 1969, costituì il terzo canale di finanziamento dell'IMF. Era, infatti, diventata allora palese l'insufficienza delle riserve globali in oro, dollari e sterline. Utilizzabili solo come mezzi di pagamento a livello ufficiale, questi diritti di prelievo erano 'speciali', e quindi diversi dai diritti ordinari di prelievo sulle quote nazionali disponibili presso il Fondo, in quanto il loro uso non era assoggettabile a condizioni, non dovevano essere restituiti (almeno fino al 70% del totale assegnato a ciascun paese) e potevano essere utilizzati direttamente senza bisogno della conversione in monete nazionali. L'emissione di tali diritti di prelievo, dunque, assumeva il carattere della creazione di nuova liquidità internazionale, donde la loro equiparazione alla moneta internazionale, almeno a livello di transazioni tra Stati (v. tab. III).
Il valore dei diritti speciali di prelievo, di cui furono distribuiti prima 9 miliardi (dal 1970 al 1972) e successivamente altri 12 (dal 1979 al 1981), venne fissato prima in termini di dollari USA e successivamente sulla base di una media dei valori delle monete dei principali paesi membri del Fondo: 16 tra il 1974 e il 1980, 5 a partire dal gennaio del 1981 (franco francese, marco, yen, sterlina inglese e dollaro USA). Le ponderazioni sono effettuate in base alla relativa importanza di ciascuno di questi paesi nel commercio mondiale e delle loro monete quale strumento di riserva tra il 1975 e il 1979.
L'acquisizione da parte dell'IMF di un'importanza sempre maggiore quale fonte primaria di crediti in valuta di riserva per i paesi membri può desumersi dal progressivo aumento dei prelievi totali da questi effettuati, che sono passati da circa 3 miliardi di dollari, tra il 1947 e il 1957, a più di 14 tra il 1958 e il 1968 e a circa 34 tra il 1969 e il 1979. Dopo l'abbandono dei cambi fissi, avvenuto in pratica nel febbraio 1973, anche se formalmente riconosciuto solo con gli accordi raggiunti nel 1976 in Giamaica, la quota dei prelievi effettuati dai paesi industrializzati è progressivamente diminuita. È invece andata aumentando quella dei paesi in via di sviluppo membri del Fondo, che fino a tempi più recenti hanno mantenuto un grado generalmente molto minore di flessibilità nei rapporti di cambio delle loro monete (v. tab. IV).
I paesi in via di sviluppo non solo hanno continuato a utilizzare le vie d'accesso ordinario ai finanziamenti del Fondo, quali i diritti ordinari di prelievo sulle quote versate e i crediti stand-by, vere e proprie linee di credito autorizzate in anticipo dall'IMF, ma sono anche diventati i beneficiari di una serie di iniziative prese per sopperire ai loro bisogni specifici. Tra esse ci sono la costituzione del Fondo per i Finanziamenti Compensativi (Compensatory Financing Facility o CFF), che ora permette a questi paesi di prelevare fino al 100% della quota da loro versata nel caso in cui i ricavi totali derivanti dal loro export cadano temporaneamente al di sotto di un certo limite; il Fondo Allargato per i Finanziamenti ai PVS (Extended Financing Facility o EFF), che permette loro di prelevare fino al 140% della quota versata qualora si trovino a dover fronteggiare disavanzi strutturali della bilancia dei pagamenti; il Fondo per l'Aggiustamento Strutturale (Structural Adjustment Facility o SAF), creato nel 1986, il cui scopo è fare prestiti a medio termine e a condizioni di favore ai paesi in via di sviluppo più poveri e più fortemente indebitati che si trovino a fronteggiare squilibri strutturali di bilancia dei pagamenti, con conseguenti forti vincoli alla loro crescita economica non solo nel breve, ma anche nel medio termine.
Portata improvvisamente al centro dell'attenzione generale negli anni cinquanta e sessanta dalla rapidità con cui si svolse il processo di decolonizzazione e dalla forte concorrenza che si sviluppò tra Est e Ovest per l'accaparramento delle simpatie e del sostegno politico dei molti paesi emergenti, la cooperazione allo sviluppo, convalidata dall'esperienza del Piano Marshall in Europa, divenne presto una componente chiave delle relazioni economiche internazionali e tale è rimasta negli anni successivi.Essa si è esplicitata in tre grandi aree - aiuti economici, preferenze commerciali e strumentazione finanziaria - in ciascuna delle quali gli interessi dei paesi in via di sviluppo sono stati oggetto di particolare attenzione da parte dei paesi industrializzati. Si è poi estrinsecata in parte attraverso meccanismi e strutture di carattere generale - quali il GATT e l'IMF - di cui i PVS sono diventati membri, in parte attraverso istituzioni a carattere specializzato - quali le Banche Internazionali e Regionali per lo Sviluppo - appositamente create per favorire il flusso dei capitali pubblici e privati verso tali paesi, e in parte, infine, a mezzo delle organizzazioni economiche funzionali create in seno alle Nazioni Unite, quali l'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura e l'Organizzazione per lo Sviluppo Industriale.
L'assistenza economica ai paesi poveri costituisce la forma più tangibile della collaborazione allo sviluppo tra il Nord e il Sud del mondo. Gli aiuti economici costituiscono, infatti, trasferimenti netti di risorse che vanno ad aggiungersi a quelle mobilizzabili a livello locale in vista dello sviluppo economico dei paesi che li ricevono. Essi sono, quindi, particolarmente importanti per l'accelerazione del processo di crescita che costituisce un obiettivo chiave di questi paesi.
La parte maggiore della cosiddetta assistenza pubblica allo sviluppo (Official Development Assistance o ODA) proviene in valore assoluto dai paesi industrializzati dell'Occidente, cui seguono i paesi produttori di petrolio, membri dell'OPEC (almeno a partire dalla metà degli anni settanta) e infine i paesi a economia pianificata dell'Europa orientale (fino al 1991). Considerata invece in relazione al prodotto interno lordo (PIL), l'assistenza allo sviluppo fornita dai paesi OPEC è la più alta, seguita da quelle dei paesi industrializzati e dei paesi a economia pianificata (v. tab. V).
In ordine di grandezza gli aiuti bilaterali, ossia quelli forniti da paese a paese e legati a condizioni di approvvigionamento nel paese donatore, sono rimasti di gran lunga i più importanti, anche se gli aiuti multilaterali, ossia quelli forniti attraverso le Banche di Sviluppo e gli organismi specializzati delle Nazioni Unite, hanno registrato nel tempo il tasso di crescita più alto. La tendenza alla multilateralizzazione degli aiuti economici ai PVS ha trovato l'espressione più concreta nella creazione, avvenuta nel 1959, dell'Associazione Internazionale per lo Sviluppo (International Development Association o IDA) in seno alla Banca Mondiale e del Fondo Speciale delle Nazioni Unite per l'assistenza tecnica ed economica allo sviluppo (United Nations Special Fund). L'IDA aveva come scopo specifico quello di fornire prestiti ai paesi più poveri a condizioni di particolare favore, anche se solo per la realizzazione di specifici progetti opportunamente valutati come prioritari e redditizi. Il Fondo Speciale, invece, fu l'antesignano del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UN Development Program o UNDP), creato nel 1965 con lo scopo di favorire il finanziamento di progetti e programmi di sviluppo per i PVS direttamente da parte delle Nazioni Unite.I flussi più importanti di capitale multilaterale che giungono ai PVS sono quelli canalizzati dalle Banche Internazionali per lo Sviluppo, la più grande delle quali è la Banca Mondiale (o IBRD). A suo complemento sono state costituite, anch'esse con capitale pubblico proveniente in gran parte dai paesi dell'OECD (Organization for Economic Cooperation and Development), quattro Banche Regionali per lo Sviluppo: la Banca Interamericana (Inter-American Development Bank o IDB) nel 1959, la Banca Africana (African Development Bank o AfDB) nel 1964, la Banca Asiatica (Asian Development Bank o AsDB) nel 1966 e la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (European Bank for Reconstruction and Development o EBRD) nel 1990. Funzione primaria di tutte queste banche è raccogliere capitali privati, mediante l'emissione nei principali mercati finanziari di obbligazioni garantite dai loro fondi di dotazione, per poterli prestare ai paesi membri più poveri per scopi ben definiti - finanziamenti di progetti e programmi - e accertati come validi sia dal punto di vista economico che da quello finanziario. Queste banche, che non hanno fine di lucro, permettono di fatto ai PVS che ne sono membri di accedere (tramite loro) ai mercati finanziari internazionali e di accendere prestiti a lungo termine ai costi più bassi possibili (v. tab. VI).
Le banche internazionali pubbliche sono diventate col tempo dei veri e propri referenti nel processo di sviluppo dei loro membri, e si sono impegnate, oltre che nella canalizzazione di capitale estero, in un costante e fruttuoso dialogo sulle politiche di sviluppo da perseguire. La loro influenza, quindi, è aumentata ben al di là dei pur cospicui flussi di fondi avviati nella direzione dei PVS. Il loro impegno nell'agevolare la crescita e l'aggiustamento strutturale dei paesi membri, diventato più forte negli anni ottanta, rappresenta sotto molti aspetti lo sviluppo logico di un'attività di consulenza e di coinvolgimento nelle decisioni di politica economica da prendere a livello nazionale. Iniziata con i progetti finanziati direttamente, questa attività ha proseguito con l'assistenza settoriale e s'è ampliata con il dialogo sulle condizioni di contorno necessarie al successo di tutti gli interventi, sia progettuali che settoriali: regimi commerciali e dei tassi di cambio, trattamenti fiscali e creditizi dei settori agricolo e industriale, regimi di commercializzazione delle produzioni interne, tanto per citarne alcuni dei più importanti. A differenza degli aiuti economici che costituiscono aggiunte nette alle risorse interne disponibili, il commercio internazionale è un modo per scambiare risorse interne con risorse estere, attraverso i beni che le incorporano. Con l'esportazione dei beni prodotti utilizzando lavoro, capitale e risorse naturali nazionali diventa, infatti, possibile importare beni prodotti all'estero con le risorse ivi disponibili. L'interesse dei PVS ai regimi di commercio, quindi, ha origini e ragioni diverse da quelle ben più dirette e facilmente comprensibili che sottostanno agli aiuti economici. Il commercio, infatti, può favorire lo sviluppo sia attraverso l'acquisizione di capitali e di beni non producibili (o più costosamente producibili) all'interno, sia permettendo un più pieno ed efficiente utilizzo di tutte le risorse interne, ivi incluse quelle naturali. Il commercio può ancora favorire lo sviluppo attraverso i suoi effetti sull'organizzazione della produzione sia in termini di scala che di tecniche produttive.
Trovatisi a competere con i paesi industrializzati in condizioni percepite come svantaggiose in termini di accesso alle tecniche di produzione, di dimensioni produttive, di conoscenze dei mercati e di capacità manageriali e di marketing, molti paesi in via di sviluppo interessati a giocare a fondo la carta dell'industrializzazione basata sull'export, hanno chiesto con insistenza, e ottenuto negli anni settanta, preferenze commerciali, ossia condizioni privilegiate di accesso ai mercati di molti dei paesi industrializzati. Il Sistema delle Preferenze Generalizzate (Generalized System of Preferences o GSP), instaurato tra il 1971 e il 1975 dai maggiori paesi industrializzati, ha costituito la concessione più tangibile offerta ai PVS per quel che riguarda l'accesso ai mercati dei paesi concedenti in condizioni di vantaggio tariffario.
Sul terreno dell'adattamento delle strutture finanziarie multilaterali ai bisogni specifici dei paesi in via di sviluppo la cooperazione internazionale ha trovato diverse forme ed è continuata nel tempo, soprattutto in seno all'IMF. Si è già fatta menzione della costituzione, all'interno dell'IMF, del Fondo per i Finanziamenti Compensativi e del Fondo Allargato per i Finanziamenti dei PVS. In aggiunta a questi sono stati costituiti un Fondo per il Finanziamento degli Accordi di Stabilizzazione dei prezzi delle materie prime (Buffer Stock Financing Facility) e un Fondo per il Finanziamento delle Importazioni Alimentari (Food Facility). Nella stessa direzione è andata sia la costituzione del Fondo per l'Energia (Oil Facility), attraverso il quale l'IMF ha potuto prestare a paesi in via di sviluppo deficitari di energia fondi provenienti dai paesi eccedentari, sia la recente creazione del Fondo per l'Aggiustamento Strutturale (Structural Adjustment Facility), finanziato con i riflussi del Trust Fund nato dai ricavi provenienti dalle vendite d'oro effettuate dall'IMF tra il 1976 e il 1980.Negli anni più recenti il Fondo Monetario Internazionale ha anche assunto, con il consenso dei paesi industrializzati che ne sono membri, un ruolo chiave nella rinegoziazione e ristrutturazione delle posizioni debitorie dei PVS più fortemente esposti, in modo particolare quelli dell'America Latina.
Assistenza finanziaria ai PVS è anche fornita da altre strutture multilaterali come quelle della Comunità Europea nel quadro della Convenzione di Lomé, negoziata tra la Comunità e i paesi associati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico.
Iniziata formalmente con l'unione doganale tra i vari Stati tedeschi (Zollverein) a partire dal 1834 e continuata nel secolo successivo con l'unione economica tra Belgio e Lussemburgo avvenuta nel 1922, la cooperazione economica regionale ha ripreso vigore in Europa dopo la seconda guerra mondiale sotto la spinta sia di nuove realtà geografiche e politiche che di rinnovati slanci ideali.Le tappe di tale collaborazione sono ben note. La Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA) fu fondata nel 1951 da Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo. Con essa si abolirono tutte le barriere, commerciali e non, alla libera circolazione del carbone e dell'acciaio tra gli Stati membri e si eliminarono tutte le più importanti forme di intervento governativo nei mercati di questi prodotti.
La Comunità Economica Europea (CEE), un'unione doganale mirante a divenire un mercato comune tra i paesi membri, fu creata nel 1957 ed entrò in funzione l'anno successivo. Ne facevano parte gli stessi paesi della CECA, mentre altri tre paesi (Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda) ne divennero membri nel 1973, la Grecia nel 1981 e Spagna e Portogallo nel 1986. I sei paesi firmatari del trattato costitutivo della Comunità (il Trattato di Roma) si impegnavano a eliminare i dazi esistenti sulle reciproche importazioni e a unificare il trattamento tariffario praticato sull'import dai paesi terzi. Il primo obiettivo fu raggiunto nel 1968, il secondo nel 1970. A questo punto la Comunità si trasformò da zona di libero scambio in vera unione doganale. Sono poi cadute all'interno della Comunità anche le barriere più importanti alla libera circolazione di capitale e manodopera, creando così le condizioni per la formazione di un vero e proprio mercato comune tra i paesi membri. Politiche comuni sono state introdotte in alcuni settori chiave, la più importante in agricoltura.
Più lenta e difficile è stata l'armonizzazione delle politiche macroeconomiche nazionali, anche se un passo avanti sul cammino della cooperazione in campo monetario è stato fatto con l'entrata in funzione nel marzo del 1979 del Sistema Monetario Europeo (European Monetary System o EMS). Con esso si sono fissati i rapporti di cambio di ciascuna moneta (8 in principio, in quanto la Gran Bretagna si era rifiutata di parteciparvi) in termini di ECU (un'unità di conto data dal valore medio delle stesse), e i limiti di oscillazione di tali parità. Si sono così venuti a stabilire rapporti di cambio semifissi tra le monete dei paesi membri, mentre le stesse fluttuano in blocco nei confronti di quelle dei paesi terzi: dollaro, yen, ecc. Per rendere meno difficili gli sconfinamenti temporanei delle parità centrali tra le monete dei paesi membri è stato costituito un Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria (European Monetary Cooperation Fund o EMCF) il cui scopo è quello di fornire finanziamenti ai paesi membri che si trovino a fronteggiare problemi della bilancia dei pagamenti di breve o medio periodo.Un altro esempio di cooperazione economica regionale in Europa è costituito dall'Associazione Europea di Libero Scambio (European Free Trade Association o EFTA), costituita nel 1960 da Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia e Svizzera. Suo scopo, più limitato di quello della Comunità Economica Europea, era abolire le barriere doganali esistenti tra i paesi membri, lasciando ciascuno di essi libero di regolamentare su base bilaterale i propri rapporti commerciali con i paesi terzi. Tre dei paesi firmatari dell'accordo costitutivo dell'EFTA - Gran Bretagna, Danimarca e Portogallo - ne sono successivamente usciti per entrare a far parte della CEE. Ne sono invece divenuti membri la Finlandia (nel 1961) e l'Islanda (nel 1970).
Anche tra i paesi dell'Europa orientale si sono fatti, a partire dal 1949, sforzi notevoli di integrazione economica. La costituzione del COMECON (Consiglio per la Mutua Assistenza Economica), di cui furono membri fondatori Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania, Cecoslovacchia e Unione Sovietica (Albania e Germania Orientale ne divennero membri rispettivamente nel 1949 e 1950), dette luogo prima a una collaborazione commerciale e creditizia e successivamente a sforzi di integrazione vera e propria in campo industriale e agricolo. Dal 1961 l'Albania ha cessato di partecipare alle attività del COMECON, mentre nel 1962 ne è diventata membro a pieno titolo la Mongolia. Corea, Cuba, Vietnam del Nord e Cina vi si sono successivamente associati. (Nel 1991 il COMECON è stato sciolto in seguito ai rivolgimenti politici e sociali verificatisi nell'URSS col nuovo corso avviato da Gorbacëv [N.d.R.]).
La cooperazione economica a livello regionale non ha trovato manifestazioni concrete soltanto tra i paesi industrializzati dell'Europa occidentale e tra quelli a economia pianificata dell'Europa orientale e dell'Asia, ma si è manifestata come chiara tendenza anche tra i paesi in via di sviluppo. Paesi di varia dimensione, struttura economica e livello di sviluppo, si sono associati in almeno otto gruppi e hanno provato a integrare le loro economie. Seppure effettuati in forme diverse e con risultati differenti da gruppo a gruppo, tali sforzi di cooperazione regionale hanno avuto il comune, espresso obiettivo di favorire la crescita economica dei paesi membri.
Elenchiamo qui di seguito gli otto gruppi.
1. L'Associazione Latino-Americana di Libero Scambio (Latin American Free Trade Association o LAFTA), creata nel 1960 da Argentina, Messico, Brasile, Cile, Paraguay, Uruguay e Perù, cui si aggiunsero prima del 1970 Colombia, Ecuador, Venezuela e Bolivia.
2. Il Mercato Comune Centro-Americano (Central American Common Market o CACM), costituito anch'esso nel 1960 da Costa Rica, Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua e discioltosi negli anni settanta in seguito a insanabili contrasti politici tra i suoi membri.
3. Il Gruppo Andino (Andean Group), formato nel 1966 da Bolivia, Venezuela, Ecuador, Colombia, Perù e Cile (tutti paesi membri del LAFTA) ed entrato in funzione nel 1969 senza il Venezuela. Quest'ultimo paese ne ridivenne membro nel 1973, mentre il Cile uscì dal Gruppo nel 1976. Scopo principale di questi paesi era di passare dalla liberalizzazione delle loro relazioni commerciali alla creazione di un vero e proprio mercato comune.
4. La Zona di Libero Scambio dei Caraibi (Caribbean Free Trade Area o CARIFTA), formata nel 1968 da cinque ex colonie britanniche: Antigua, Barbados, Guiana, Giamaica, Trinidad-Tobago. Essa si è trasformata nel 1973 in Comunità Caraibica e Mercato Comune (Caribbean Community and Common Market o CARICOM) con l'aggiunta di altri sette paesi: Honduras Britannico, Dominica, Granada, Montserrat, Saint Kitts-Nevis-Anguilla, Saint Lucia, Saint Vincent.
5. L'Unione Doganale ed Economica dell'Africa Centrale (Central African Customs and Economic Union o CACEU), formata nel 1964 da Camerun, Repubblica Centrale Africana, Congo e Gabon.
6. La Comunità dell'Africa Orientale (East African Community o EAC), di cui facevano parte sin dai tempi coloniali Kenya, Tanzania e Uganda, e che è durata fino alla metà degli anni settanta.
7. La Comunità Economica dei Paesi dell'Africa Occidentale (Economic Community of West African States o ECOWAS), abbozzata nel 1967 e costituita nel 1974 da Costa d'Avorio, Dahomey, Liberia, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Alto Volta, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone e Togo.
8. L'Associazione dei Paesi del Sudest Asiatico (Association of South-East Asian Nations o ASEAN), formata nel 1967 da Indonesia, Malesia, Singapore, Thailandia e Filippine al fine di favorire la cooperazione economica, culturale e sociale tra i suoi membri.
6. Conclusione
Il giudizio sulla cooperazione internazionale in campo economico dipende in parte dalla prospettiva di valutazione adottata.Se la si valuta dal punto di vista dei risultati direttamente conseguiti, il giudizio non può che essere positivo. La collaborazione economica ha contribuito decisamente all'allargamento delle relazioni commerciali internazionali e alla loro stabilità. Essa ha altresì favorito un lungo periodo di relativa calma in campo finanziario e valutario (che sembra però essere scemata negli anni più recenti). Nel campo dello sviluppo la cooperazione internazionale ha conseguito i successi più rilevanti con la creazione e il mantenimento di un ampio sistema di supporto alla crescita economica dei paesi più poveri.Anche la cooperazione economica su scala regionale ha fatto grandi progressi, pur se più vistosi in Europa occidentale e in Asia che in Africa e in America Latina.
Dal punto di vista delle relazioni internazionali in senso lato, gli effetti della cooperazione economica tra Stati sono meno evidenti e generalizzati. Il funzionalismo ha creato una collaborazione fattiva in alcuni importanti settori specifici quali l'agricoltura, l'educazione, le condizioni di lavoro, i rapporti scientifici, senza però estendersi automaticamente ad altri settori altrettanto importanti e di carattere generale, quali la risoluzione dei conflitti regionali e il disarmo.Il moltiplicatore della collaborazione economica internazionale sembra pertanto aver avuto un valore non trascurabile, anche se non grandissimo, e aver operato per gradi e senza automatismi evidenti. (V. anche Economia internazionale; Integrazione internazionale).
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