CORTE d'ASSISE (XI, p. 541; App. II, 1, p. 704)
Il decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 560, che su progetto approvato dalla Consulta nazionale ripristinava la giuria tradizionale per i giudizî di competenza della Corte d'assise, nonostante la successwa determinazione delle circoscrizioni avvenuta con decreto 4 dicembre 1946, n. 580, non ebbe mai esecuzione: i disegni di legge presentati all'Assemblea costituente nel dicembre 1946 per disciplinare l'attuazione della giuria non vennero neppure portati in discussione. Del tema dei giudizî d'assise l'assemblea costituente ebbe invece modo di occuparsi, e non senza contrasti, nell'elaborazione delle norme costituzionali concernenti la magistratura.
Nella Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, due disposizioni fondamentali rappresentano il pu11to di partenza della regolamentazione successivamente intervenuta: l'art. 102 ult. comma secondo il quale "la legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia" (a cui è raccordato l'art. 108, nel quale pure si prevede, più in generale, la partecipazíone di "estranei all'amministrazione della giustizia"); e l'art. 111, comma 1°. che stabilisce il principio per cui "tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati". Intorno a queste due norme costituzionali han fatto sostanzialmente perno tutti gli ampi lavori ministeriali e legislativi svoltisi durante la prima legislatura repubblicana intorno all'assetto da darsi definitivamente alla tormentata materia dei giudizî d'assise. Si ritenne infatti, da un lato, che l'espressa previsione della diretta partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia, prevista dalla carta costituzionale con evidente riferimento ai giudizî d'assise, impedisse di accogliere i voti da più parti formulati per un ritorno ad istituti analoghi alla "gran corte criminale", tribunale specializzato per i più gravi delitti, composto interamente di giudici togati; e, d'altro lato, che l'obbligo della motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali fosse d'ostacolo al ripristino della giuria tradizionale; caratterizzata dalla separazione tra il verdetto pronunciato dai giurati e la sentenza resa dal magistrato togato. Si aggiungeva anzi che proprio la "diretta" partecipazione popolare postulata dalla Costituzione implicasse una partecipazione integrale dell'elemento popolare al giudizio, non solo dunque sul fatto attribuito all'imputato, ma anche sulle dirette conseguenze giuridiche derivanti dal responso sul fatto. Contro la giuria tradizionale operava inoltre il motivo della sfiducia verso giudici ritenuti incolti e la correlativa aspirazione a richiedere per i giudici popolari requisiti almeno in parte analoghi a quelli emersi all'epoca dell'istituzione e dell'attuazione dell'assessorato.
Fu così che la Commissione ministeriale per la riforma del codice di procedura penale, nei lavori svolti nei primi mesi del 1949, si orientò subito verso la soluzione che suol prendere, anche se non del tutto propriamente, il nome di "scabinato ,' (o assessorato): in cui il concorso dell'elemento popolare (scelto tra persone fornite di particolari requisiti anche culturali) con l'elemento togato si realizza mediante l'istituzione di un unico collegio giudicante, i cui componenti sono egualmente competenti su tutte le questioni che comunque formano oggetto del processo e le cui deliberazioni vengono formate in modo analogo a quello proprio dei collegi composti di soli giudici togati. La Commissione stessa accolse inoltre nel suo progetto i voti che da più tempo e da più parti venivano formulati per l'istituzione di giudizî d'appello anche in relazione alle materie di competenza delle corti d'assise, maggiormente bisognose anzi, per la gravità delle conseguenze, di quella revisione del giudizio di fatto che sinora era stata limitata (in Itdlia a somiglianza d'altri paesi) ai soli giudizî di competenza del Pretore e del Tribunale. Propose di chiamare il nuovo organo giudicante di primo grado "Tribunale d'Assise" e il nuovo organo giudicante di secondo grado "Corte di assise".
Da queste linee non si discostò il disegno di legge per il "Riordinamento dei giudizi d'assise", presentato dal ministro Grassi il 20 luglio 1949 alla Camera dei Deputati. Pur essendo venute ripetutamente in luce nel corso dei dibattiti le tre tendenze fondamentali in materia (verso la corte criminale di soli giudici togati, verso la giuria vera e propria e verso il collegio unico ad elemento misto), gli orientamenti si concentrarono, soprattutto in omaggio al ricordato art. 102 cost., sulle ultime due tendenze: quella favorevole alla giuria trovò espressione in una relazione di minoranza (sostenuta particolarmente dai deputati delle sinistre) e quella favorevole al collegio unico, proposto dal progetto ministeriale, nella relazione di maggioranza. Il dibattito terminò, con l'approvazione di tutte le linee ispiratrici del progetto, solo il 27 giugno 1950. Al senato si determinò uno schieramento analogo ed il progetto ebbe la maggioranza, modificandosi peraltro la denominazione dei "tribunali di assise" quella di "corti di assise" e quella di "corti d'assise" in "corti d'assise d'appello". Gli emendamenti furono sollecitamente accolti dalla Camera e si ebbe così la legge 10 aprile 1951, n. 287, che disciplina attualmente l'intera materia.
Le linee fondamentali della legge possono così riassumersi:
a) istituzione, in ogni distretto di Corte d'appello, di una o più Corti d'assise e di una o più Corti d'assise di appello, composte rispettivamente, le prime, di un consigliere d'appello investito delle funzioni di presidente, di un giudice togato e di sei giudici popolari, e le seconde di un consigliere di cassazione investito delle funzioni di presidente, di un consigliere di corte d'appello e di sei giudici popolari: corti formanti, entrambe, un collegio unico a tutti gli effetti (artt. 1 segg.);
b) scelta dei giudici popolari attraverso la formazione, da parte di commissioni comunali, di appositi pubblici elenchi di tutti i cittadini aventi determinati requisiti (godimento dei diritti civili e politici, età tra i 30 e i 65 anni, titolo finale di studî di scuola media per i giudici popolari di Corte d'assise e titolo finale di scuola media di secondo grado per i giudici di Corte d'assise di appello), fatte salve alcune incompatibilità (magistrati e funzionarî dell'ordine giudiziario, appartenenti alle forze armate o alla polizia, ministri del culto o religiosi). Dagli elenchi, attraverso un particolare procedimento di controllo, si passa alla formazione di veri e proprî albi, approvati con decreto del presidente del tribunale, sulla base dei quali vengono infine formate le liste generali dei giudici popolari per le varie Corti di assise e Corti di assise d'appello e le schede individuali destinate alla scelta mediante sorteggio dei giudici destinati a formare i collegi giudicanti per le varie sessioni di assise o di assise d'appello (artt. 9 segg., 13 segg.);
c) formazione del collegio per ogni sessione mediante pubblico procedimento giudiziario di sorteggio, sotto la presidenza del presidente della Corte e con obbligo di preavviso di almeno dieci giorni agli avvocati difensori delle parti nelle cause da trattare nella sessione (artt. 25 segg.);
d) completa autonomia della Corte d'assise di primo grado dalla Corte di appello, alla stessa guisa che per gli altri giudici di primo grado (pretore e tribunale), il presidente della Corte d'appello restando competente solo all'emanazione del decreto di convocazione delle corti del proprio distretto;
e) competenza per materia (è questa una delle innovazioni più salienti e più generalmente approvate) fissata per le corti di assise in relazione alla natura dei reati (cosiddetto criterio qualitativo): delitti, consumati come tentati, contro la personalità dello stato, strage, epidemia e avvelenamento di acque o di sostanze alimentari, omicidio volontario nelle sue varie forme e omicidio preterintenzionale, infanticidio, istigazione o aiuto al suicidio, delitti di schiavismo, rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a fine di estorsione e altri delitti quali il duello, il commercio di sostanze alimentari contraffatte e i maltrattamenti, quando siano seguiti dalla morte d'una o più persone (art. 37);
f) totale eliminazione di ogni differenza tra i procedimenti di competenza del tribunale e quelli di competenza della Corte d'assise, sia per quanto riguarda la fase istruttoria sia per quanto riguarda la fase del giudizio (artt. 39 segg.). In particolare anche l'istruzione sommaria dei procedimenti di competenza della Corte d'assise è affidata al procuratore della repubblica, come la istruttoria formale è affidata al giudice istruttore, salvi i casi di eccezionale avocazione dell'istruttoria stessa al procuratore generale o alla sezione istruttoria (l. 24 novembre 1951, n. 1324, art. 3). È mantenuta anche per i procedimenti di competenza della Corte d'assise la possibilità del giudizio direttissimo, nei casi contemplati dal codice penale o da leggi speciali (quale la legge per i delitti commessi col mezzo della stampa).
Con decreto 30 agosto 1951, n. 757 il governo provvedette a stabilire il numero delle Corti di assise e quello delle Corti di assise di appello, nonché le rispettive loro sedi e circoscrizioni. Le Corti d'assise di primo grado sono 90 e quelle di appello 30.
Con l. 27 dicembre 1956, n. 1441 le donne sono state ammesse a far parte delle Corti d'assise e delle Corti d'assise d'appello, stabilendosi peraltro che esse non possono superare in ogni collegio il numero di tre; e particolari disposizioni sono state dettate al fine di assicurare la possibilità di una siffatta composizione dei collegi.
Il sistema del collegio unico a composizione mista, attuato con la legge del 1951 e l'esperienza che ne è stata sinora fatta nella pratica lasciano tuttora scarsamente soddisfatti gli ambienti più direttamente interessati all'amministrazione della giustizia e segnatamente l'ambiente forense. Particolarmente è lamentata l'eccessiva subordinazione dell'elemento popolare all'elemento togato, il quale ultimo, specie nei giudizî d'appello finisce con l'avere un'assai maggiore conoscenza del processo e con il determinare la decisione. L'ultimo congresso nazionale forense (2 ottobre 1959) ha auspicato a maggioranza che "si pervenga rapidamente ad una riforma che disponga la integrale composizione della Corte d'assise di primo grado e della Corte di assise di appello con magistrati togati". La minoranza ha invece auspicato il ritorno all'autentica giuria popolare. Ma proprio il netto divario tra le soluzioni proposte è uno degli elementi che inducono a pensare che il sistema attuato con la riforma del 1951 sia destinato a restare in vigore.
Bibl.: A. Jannitti Piromallo, il nuovo ordinamento delle Corti di Assise, 2ª ed. aggiorn., Milano 1953 (e bibliogr., ivi p. 3 segg.); G. Lattanzi, La legge sulle corti di assise, Milano 1952; G. Sabatini, Trattato dei procedimenti speciali e complementari nel processo penale, Torino 1956, pp. 318-452.