Attività logica del giudice, consistente nell’applicare le norme di legge al fatto da lui accertato. In senso più ampio, tutta l’attività che si svolge dinanzi all’autorità giudiziaria per giungere alla pronuncia finale, cioè alla decisione, che indica il g. in senso stretto. In tale significato è sinonimo di processo.
In diritto penale, fase del procedimento, disciplinata dal libro VII del codice di procedura penale. Si compone di 3 momenti: gli atti preliminari al dibattimento; il dibattimento; e gli atti successivi al dibattimento. Il momento dibattimentale è tutelato attraverso un sistema di garanzie tipiche del rito accusatorio: la formazione delle prove avviene nel contraddittorio (➔ contraddittorio, principio di) delle parti; il giudice che decide deve avere assistito all’assunzione delle prove; le attività processuali dovrebbero svolgersi in udienze concentrate nel tempo. Oltre che nella forma ordinaria, il g. può aver luogo attraverso una serie di procedimenti definiti speciali perché differenziati, semplificati, acceleratori o anticipati rispetto al rito ordinario. Essi sono, nell’ordine di cui al libro VI c.p.p.: il g. abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti, il g. direttissimo, il g. immediato e il procedimento per decreto (➔ decreto). G abbreviato Introdotto nel codice di procedura penale del 1988, il g. abbreviato (artt. 438-443 c.p.p.) è un procedimento qualificato speciale in quanto non dà luogo al momento dibattimentale ma, su richiesta dell’imputato, può essere definito nella fase dell’udienza preliminare e permette di attribuire valore probatorio agli atti delle indagini preliminari, costituendo un’eccezione al principio del contraddittorio dibattimentale nel momento della formazione della prova. Presupposti di questo rito sono: la richiesta di rinvio a g.; la fissazione dell’udienza preliminare; la richiesta dell’imputato, rispetto alla quale, dopo la l. 479/1999, non è più necessario il consenso del pubblico ministero; e la definibilità del processo allo stato degli atti, raccolti cioè nel corso delle indagini preliminari, salva la necessità di ulteriore attività di acquisizione probatoria. In questo tipo di rito si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste per l’udienza preliminare. G. direttissimo Procedimento speciale disciplinato dagli art. 449-452 c.p.p., caratterizzato dalla dipendenza della sua instaurazione da una scelta insindacabile del pubblico ministero e dalla mancanza dell’udienza preliminare, quindi del controllo giurisdizionale sul rinvio a giudizio che nel rito ordinario è appunto affidato al giudice per l’udienza preliminare. Per i reati di competenza del tribunale collegiale o della Corte d’assise, il g. direttissimo si può instaurare nei seguenti tre casi: a) quando una persona è stata arrestata in flagranza di un reato; se il pubblico ministero ritiene di dover procedere, può presentare direttamente l’imputato in stato di arresto davanti al giudice del dibattimento, per la convalida e il contestuale g., entro 48 ore dall’arresto; b) quando l’arresto in flagranza è già stato convalidato; in tale ipotesi, l’imputato è presentato in udienza dal pubblico ministero non oltre il quindicesimo giorno dall’arresto; c) quando una persona ha già reso confessione nel corso dell’interrogatorio; l’imputato, libero o in stato di custodia cautelare, viene citato a comparire a un’udienza non successiva al quindicesimo giorno dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato. Se il g. direttissimo viene proposto in casi diversi da questi, il giudice dispone con ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero. G. immediato Procedimento speciale, disciplinato dagli art. 453-458 c.p.p., che si contraddistingue per la mancanza dell’udienza preliminare e, di conseguenza, per l’accelerata instaurazione del dibattimento. Tipicamente il g. immediato viene richiesto dal pubblico ministero quando la prova appare evidente, la persona sottoposta alle indagini viene interrogata sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova, e non sono trascorsi più di novanta giorni dall'iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro. Tuttavia, anche l’imputato può fare istanza di g. immediato, ai sensi dell’art. 419, co. 5, c.p.p., e rinunciare all’udienza preliminare: in tal caso il giudice dell’udienza preliminare non effettua alcun tipo di controllo ed emette il decreto di g. immediato.
Aristotele chiamò g. l’atto intellettuale di porre in relazione un soggetto con un predicato, atto espresso linguisticamente dall’uso copulativo del verbo essere in un enunciato dichiarativo (per es., Socrate è uomo). Dal punto di vista della ‘qualità’, Aristotele distingueva il g. in affermativo e negativo; dal punto di vista della ‘quantità’, in universale e particolare, a seconda che il predicato fosse affermato (o negato) da tutti o soltanto da alcuni dei componenti la molteplicità espressa dal soggetto. Una ulteriore distinzione aristotelica tra i g. (che affonda le radici nelle dottrine della sostanza e della definizione) dipendeva inoltre dal particolare tipo di relazione intercorrente tra soggetto e predicato, che può essere per Aristotele di semplice inerenza, di possibilità o di necessità (➔ modalità).
I. Kant riprese questa tripartizione aristotelica, liberata dai suoi presupposti ontologici, distinguendo, sotto il titolo della modalità, i g. in assertori, problematici e apodittici, a seconda che la relazione tra soggetto e predicato fosse di realtà (enunciazione di uno stato di fatto contingente), di possibilità o di necessità. Per quanto in una mutata prospettiva gnoseologica, Kant continuava la tradizione del formalismo aristotelico, la cui teorizzazione dei tipi di conoscenza in deduzione e induzione tenne presente nel distinguere i g. in analitici e sintetici. Distinzione da cui mosse la sua indagine gnoseologica, concepita come ricerca della possibilità di g. sintetici che fossero però a priori come gli analitici. Diverso da questi g. era quello a cui nella Kritik der Urteilskraft Kant attribuiva l’interpretazione estetica e teleologica della realtà, g. ‘riflettente’ e non ‘determinante’ come quello conoscitivo.
In seguito, in una prospettiva antipsicologistica e platonista, la nozione di g. è stata al centro delle riflessioni di G. Frege e A. Meinong. Nell’ambito della sua teoria del significato Frege ha distinto tra il contenuto concettuale (o proposizionale) di un enunciato (il Gedanke), esprimibile linguisticamente da un enunciato interrogativo, e l’atto del g., che equivale ad asserire la verità di quel contenuto. Una distinzione analoga è presente anche nella teoria degli oggetti di Meinong, che considera il g. come il riconoscimento o il disconoscimento di un ‘obiettivo’, ossia di un contenuto di pensiero che ne è l’oggetto.
Nel linguaggio scolastico, il parere che l’insegnante scrive sul compito o su un apposito verbale e da cui il consiglio di classe o la commissione d’esame ricava la valutazione o il voto.
La concezione di un g. universale dell’umanità da parte di una divinità suprema appartiene alle religioni monoteistiche in quanto solo queste, storicamente, conoscono sia un rapporto etico tra uomo e divinità sia un’esperienza del tempo come durata, che si annullerà quando un atto decisivo della divinità segnerà il trapasso dell’uomo nell’‘eternità’ secondo le regole stabilite e previste da quel rapporto etico. Più diffusa è l’idea di un g. individuale da cui dipendono le sorti del singolo morto. Il criterio del g. è vario e non sempre di carattere morale: dopo la morte il destino dell’individuo iniziato è diverso, per es., da quello del non-iniziato, il morto non sepolto non può avere la stessa sorte del sepolto ecc. Ciò non implica necessariamente il g. personale di qualche essere soprannaturale, ma spesso ne è accompagnato.
Nel concetto del g. universale confluiscono l’idea del g. e quella parimenti diffusa del cataclisma cosmico, seguito da un rinnovamento del mondo. Per es. nel mazdeismo, accanto a tradizioni relative al g. individuale, si trova la dottrina del g. universale: alla fine dell’ultimo ciclo di 3000 anni, i morti risorgono per esser giudicati; contemporaneamente avviene la fine del mondo e la vittoria finale del dio Ahura Mazdā sugli spiriti del male. Nella credenza musulmana i motivi del g. individuale s’incontrano con quelli, elaboratissimi, del g. universale che comporta cataclismi naturali, la morte dei vivi con la successiva resurrezione di tutti, la pesatura delle anime, il passaggio di un ponte sottile che porta nel paradiso, ma da cui i peccatori cadono nell’inferno.
Nel Vecchio Testamento non vi è l’idea d’un g. divino individuale: i defunti calano nel soggiorno dei morti (nello shĕ’ōl), dove vivono nel silenzio e nel buio; si delinea soltanto, nella letteratura profetica, l’idea di un g. universale atteso nell’ordine storico come g. di Dio sui nemici d’Israele. Nella letteratura apocalittica, a cominciare da Daniele, l’idea del g. divino assume maggiore sviluppo e significato etico-religioso, sempre restando carica di elementi terreni e politici. Nella predicazione di Cristo, incentrata sull’annuncio dell’imminente avvento del regno di Dio, torna più volte l’idea del g. universale, in particolare nella cosiddetta apocalisse sinottica. Negli scritti apostolici si parla di Cristo stesso come giudice. Nell’Apocalisse, la descrizione della fine cosmica si arricchisce di particolari attinti alla folta letteratura apocalittico-giudaica, mentre particolare importanza assume l’idea di un regno millenario durante il quale i giusti, prima dell’universale g. e della fine dei tempi, regnerebbero con Cristo sulla terra.
La teologia cattolica insegna che alla risurrezione seguirà il g. universale nel quale sarà solennemente pronunciata da Cristo giudice la sentenza per gli eletti alla gloria del paradiso e per i dannati alle eterne pene infernali. La risurrezione e il g. universale segneranno così la fine del tempo e della storia. Oltre al g. universale, vi è un g. individuale post mortem, secondo una dottrina delinetasi nel Medioevo e che assegna a ogni anima subito dopo il trapasso il castigo o il premio. Nella Riforma, in Lutero e negli anabattisti torna invece la concezione del primitivo cristianesimo, per la quale le anime restano come dormienti fino al giorno del g. universale. Questa è la dottrina largamente diffusa ancor oggi nel protestantesimo.
La rappresentazione del g. finale, molto semplice nell’arte paleocristiana (Cristo, circondato da santi, accoglie le anime elette oppure separa il gregge), diventa grandiosa e complessa nell’arte bizantina che ne crea lo schema iconografico perpetuatosi poi nel Medioevo: Cristo fra gli Apostoli e le gerarchie angeliche in trono, supplicato da Maria e s. Giovanni Battista, con davanti a sé l’altare su cui sono deposti la croce e gli altri strumenti della passione; risurrezione dei morti, destati dagli angeli con le trombe: eletti e dannati, sui quali si riversa il fiume di fuoco. A questo schema si fusero poi motivi tolti dalla rappresentazione dell’Apocalisse (come gli angeli che avvolgono il cielo come se fosse un rotolo di pergamena). Il g. finale decora generalmente la parete d’ingresso dell’interno della chiesa.
G. di Dio Presso i popoli primitivi e nell’Alto Medioevo, quello che, in mancanza di prova, si desumeva, nella presunzione dell’assistenza divina, dall’esito dell’ordalia; chi ne riusciva integro (o, nel duello, vincitore) era ritenuto innocente del misfatto.