coscienza infelice
Figura della dialettica dell’autocoscienza nella Fenomenologia dello spirito di Hegel, che ha come riferimento storico la religione giudaica e quella cristiana. In tale figura la coscienza si sdoppia in una coscienza mutevole e in una immutevole. L’uomo attribuisce la prima a sé, la seconda a un essere trascendente (Dio). Ciò che appartiene all’al di qua appare all’uomo come qualcosa di mutevole, di inessenziale, di caduco, e dunque privo di valore; la speranza umana è tutta rivolta al trascendente. Ma questa speranza è «senza compimento», perché l’al di là è «irraggiungibile», qualcosa che «nel raggiungimento sfugge o piuttosto è già sfuggito». Il rapporto della coscienza con l’immutabile, con il trascendente, è quindi un rapporto infelice, che nasconde e presuppone una lacerazione, una scissione della coscienza all’interno di sé stessa. Da questa scissione la coscienza non riesce a recuperarsi. Il suo atteggiamento verso il trascendente si configura quindi come qualcosa di doloroso, come nostalgia per una conciliazione impossibile, come «devozione»: «Il suo pensare come tale rimane l’indistinto brusio del suono delle campane, o una calda nebulosità, un pensiero musicale che non giunge al concetto. Spinta da questa nostalgia, la coscienza si mette alla ricerca dell’immutabile come fosse qualcosa di singolo, e registra l’ennesimo scacco, poiché essa trova soltanto un sepolcro» (allusione alle Crociate). La figura della c. i. ha avuto una grande importanza nella storia del pensiero filosofico: l’interpretazione della religione cristiana data da Feuerbach (➔) come situazione di scissione della coscienza umana, deve moltissimo a tale figura. Della c. i. Wahl (➔) ha fatto la chiave di volta dell’intera filosofia di Hegel.