Cosmologia
Con il termine 'cosmologia', derivato dal greco ϰόσμοϚ ('ordine', 'armonia', 'mondo'), si intende la conoscenza della struttura e dell'ordinamento dell'universo. A partire dalla rivoluzione copernicana, la cosmologia occidentale è diventata un'indagine scientifica sempre più approfondita delle leggi che governano l'universo fisico, ma la sua risonanza mistica, extrascientifica (tanto amplificata nella filosofia della Grande Catena dell'Essere, che sostiene la compenetrazione di società politica e cosmo) è durata ben oltre Copernico. In effetti solo molto più recentemente, con la generale accettazione della teoria dell'evoluzione di Darwin e con il declino delle dottrine cristiane tradizionali della realtà di paradiso e inferno - declino sfociato nell'attuale teologia della 'morte di Dio' -, la cosmologia occidentale si è svuotata del suo tradizionale contenuto religioso. Come ha notato argutamente Bertrand Russell (v., 1946, p. 808): "Il darwinismo fu un'estensione a tutta la vita animale e vegetale della teoria malthusiana della popolazione, già parte integrante del pensiero politico ed economico dei benthamiani: una libera competizione su scala mondiale, vinta dagli animali che più assomigliavano a capitalisti di successo". Se, come sosteneva Max Weber, il puritanesimo era compatibile con lo spirito del capitalismo, anzi contribuì addirittura a formarlo, la concezione scientifica delle origini e dell'evoluzione dell'universo nata in tale spirito, finì per scalzare la dottrina teologica della creazione e del destino ultimo dell'uomo. La cosmologia è stata 'de-misticizzata', anche se non ha perso, agli occhi degli scienziati, il suo fascino misterioso (v., per esempio, Hawking, 1988). Al di fuori della tradizione scientifica occidentale (o dove essa è stata introdotta con scarse conseguenze sulla religione tradizionale), la cosmologia conserva le sue risonanze mistiche. Dovunque, e in particolare nelle economie non industriali, l'uomo deve fare i conti con le condizioni climatiche e ambientali, e, quindi, deve interpretarle, capirle e collegarle significativamente con la propria vita sociale e individuale. In tal senso la cosmologia può essere considerata come un insieme di credenze circa le potenze e le forze che governano i rapporti fra l'uomo e l'ambiente. Naturalmente l'elaborazione di tali interpretazioni metafisiche dell'universo e del suo significato sociale non preclude l'esistenza parallela di una comprensione non mistica dei fenomeni naturali, per esempio di una conoscenza del regno vegetale e di quello animale fondata sull'esperienza.
La distinzione, consacrata dal tempo, fra 'religioni universali' o 'del Libro' e religioni della 'piccola tradizione' (precedenti l'introduzione della scrittura) non suggerisce immediate implicazioni cosmologiche. L'analoga distinzione fra religioni escatologiche (che asseriscono l'esistenza di inferno e paradiso o di un ciclo di rinascite) e religioni non escatologiche, 'immediate', che si riferiscono a questo mondo piuttosto che all'aldilà, è più indicativa. È possibile, per esempio, che nelle religioni che pongono la sede della valutazione etica e morale esclusivamente in questo mondo l'universo e i rapporti dell'uomo con esso siano caricati più intensamente di significati mistici (siano più 'animistici'). Probabilmente, però, questa distinzione in termini escatologici viene ignorata nell'effettiva 'religione popolare' della vita quotidiana (v. Lewis, 1986, pp. 94-107). In questo contesto la differenza che sembra rilevante è quella fra le religioni monoteistiche di origine semitica (giudaismo, cristianesimo e islamismo) e le escatologie politeistiche dell'induismo e del buddhismo. Queste ultime tendono a fornire, in modo diretto e immediato, un sostegno alle credenze 'animistiche' locali e a fondersi con esse in un'elaborata sintesi. Tale sostegno mistico è meno diretto e pervasivo nel caso del cristianesimo e dell'islamismo monoteistici, dove il sincretismo fra credenze universali e credenze locali, pur presente, è un processo più travagliato e di più incerta lettura. Tuttavia, anche se, in base alla distinzione fatta, sono prevedibili differenze di accento tra le cosmologie delle religioni escatologiche politeistiche e delle religioni locali 'immediate', da una parte, e quelle delle escatologie monoteistiche, dall'altra, va detto che temi cosmologici simili si presentano in entrambi i tipi di concezioni. Essi riflettono gli aspetti universali della condizione umana, relativi alla mortalità, alla differenza fra i sessi e alla definizione di società e cultura umane.
Le narrazioni cosmogoniche sulle origini della vita umana tendono, come hanno rilevato Lévi-Strauss (v., 1962) e altri, a parlare di un incesto primordiale, interpretabile, come fa l'antropologo francese richiamandosi alla lettura freudiana del mito di Edipo, come l'atto che segna il "passaggio dalla natura alla cultura". Così, nella Bibbia, Eva è carne della carne di Adamo e i loro rapporti sono incestuosi. Da tale incesto deriva la Caduta, la separazione del Cielo dalla Terra, dimora dell'uomo destinato alla morte. (Per altre interpretazioni, v. Koolemans Beynen, 1990).Seguendo un filone simile a quello del mito della Genesi, gli aborigeni australiani narrano che all'inizio dell'Età del Sogno le due sorelle Wawilak attraversavano la foresta di Arnhem raccogliendo animali e piante che eleggevano a totem. Poiché esse generarono figli che erano frutto di relazioni incestuose, cioè di rapporti con elementi del proprio clan, dovettero ben presto affrontare il Grande Pitone, che le divorò insieme ai loro figli e scatenò un tremendo diluvio. In seguito le due donne apparvero in sogno agli uomini del clan, rivelando loro i sacri misteri clanici affinché li celebrassero (v. Warner, 1937).
Gli indiani Tucano dell'Amazzonia narrano e rappresentano in forma di dramma episodi simili di incesto cosmogonico. Il Padre Sole, la loro divinità creatrice, commise incesto con la propria figlia all'epoca della creazione, e questo fatto viene commemorato in riti che, paradossalmente, esaltano le rigorose norme esogamiche caratteristiche dei Tucano. L'originario atto cosmico del rapporto incestuoso produsse, secondo la leggenda, la pianta allucinogena (Banisteriopsis caapi) che gli sciamani Tucano usano regolarmente per avere visioni estatiche da essi paragonate a un rapporto sessuale incestuoso. "Allucinazione e coito sono equivalenti [...] in quanto esperienze ansiogene, data la loro relazione con il problema dell'incesto" (v. Reichel-Dolmatoff, 1968). Gli indiani Tucano sostengono di assumere la droga per tornare nell'utero, fons et origo di tutte le cose, dove l'individuo 'vede' le divinità tribali, la creazione dell'universo e dell'umanità, la prima coppia umana, la creazione degli animali e l'istituzione dell'ordine sociale, in particolare delle norme esogamiche. Sotto l'effetto della droga, il soggetto si identifica con un fallo che penetra nel grembo di sua madre.
In altri racconti della creazione, per il resto simili ai precedenti, l'accento è posto sulla separazione della dimora umana da quella divina (della Terra dal Cielo), seguita all'atto originario dell'incesto cosmico. Così, in uno dei miti indù sulle origini, il Padre Cielo si congiunge con sua figlia, la Terra; la vergogna provata dalla figlia per questo rapporto incestuoso spiega la suddetta separazione (v. O'Flaherty, 1985, p. 185). Altrove, e specialmente in molti miti cosmogonici africani, la separazione della Terra dal Cielo e il relativo allontanamento dell'uomo dalla divinità, accompagnato dall'introduzione della morte, sono imputati ad atti di empietà e trasgressione compiuti dall'uomo, ma non specificamente all'incesto. Resta, come tratto comune, la suddivisione dell'universo nelle sue parti costitutive e l'introduzione della morte come conseguenza dell'immoralità dei primi esseri umani. La progenie umana è, fin dall'inizio, destinata a morire.
La concezione dell'universo come un tutto vivente non si ritrova soltanto nel buddhismo e nell'induismo: essa è un tratto peculiare anche di molte cosmologie tribali in cui l'uomo ha un rapporto mistico con le risorse da cui dipende la sua sopravvivenza. In queste cosmologie un concetto chiave è quello dell'utilizzazione armonica ed equilibrata dell'ambiente da parte dell'uomo. Così il Padre Sole dei Tucano popolò il mondo, creò animali e piante, e fissò per ogni specie delle norme di vita e di riproduzione particolari. Egli creò un numero definito di specie e pose ciascuna di esse sotto il controllo di spiriti guardiani affinché la proteggessero da ogni abuso. L'universo è in tal caso concepito come dotato di risorse limitate. L'energia del sole fa crescere le piante, maturare i frutti e mette gli animali e l'uomo in condizione di riprodursi; la riproduzione implica una forza creatrice maschile che feconda un mondo femminile. Una quantità limitata di energia procreatrice scorre continuamente fra l'uomo e gli animali, tra natura e società. Quando si mangia della selvaggina o della frutta, la loro energia si conserva, in quanto l'uomo che se ne è cibato acquisisce la loro forza vitale riproduttiva. La salute e il benessere umani, che dipendono da una misurata assunzione di cibo, rappresentano una carica di energia che alimenta anche le stelle, e il Tucano è consapevole di partecipare a una complessa rete di interazioni che si estende ben oltre la società, fino a comprendere l'intero universo.
La sopravvivenza del singolo individuo e dell'intera società dei Tucano dipende da norme di adattamento che fissano l'indice di natalità e l'entità del raccolto, e fanno da contrappeso al comportamento socialmente distruttivo. Lo spirito guardiano degli animali è un 'guardacaccia' sovrannaturale che protegge gelosamente tutta la selvaggina: il cacciatore ha bisogno del suo permesso per uccidere gli animali e dovrà praticare l'astinenza sessuale, osservare delle restrizioni alimentari e sottoporsi a pratiche di purificazione. Come in molti altri casi, anche fra i Tucano la caccia è considerata una sorta di corteggiamento, in cui l'uomo tenta di sedurre la propria preda. Durante la gravidanza, subito dopo il parto, durante un lutto e quando si preparano pozioni magiche e d'amore è proibito mangiare selvaggina. La malattia viene fatta risalire all'ostilità di altri uomini, ma anche alla vendetta delle prede e al malanimo dello spirito signore degli animali (o di altri spiriti). Più generalmente lo sciamano, la suprema autorità nella sfera ecologica - che controlla l'uso di sostanze tossiche per pescare, decide il numero degli animali che si possono cacciare, prescrive l'entità dei raccolti -, interpreta la malattia come uno sconvolgimento dell'armonia ecologica (v. Reichel-Dolmatoff, 1968).
Il concetto secondo cui la selvaggina va rispettata e non se ne può abusare è ancor più complesso nella tradizionale cultura degli Inuit (Eschimesi). Fra gli Eschimesi, come ha rilevato il famoso esploratore artico ed etnografo Rasmussen, "il maggior pericolo deriva dal fatto che il cibo degli uomini consiste esclusivamente di anime. Tutte le creature che dobbiamo uccidere per mangiare, tutte quelle che dobbiamo abbattere e distruggere per farne indumenti hanno un'anima come noi; un'anima che non muore con il corpo, e che quindi occorre placare affinché non si vendichi su di noi perché le abbiamo sottratto il corpo" (v. Rasmussen, 1930, p. 56). Per godere di tali risorse senza correre rischi, gli Eschimesi debbono rispettare scrupolosamente quelle che in effetti sono leggi rituali concernenti la selvaggina, che stabiliscono quando i diversi animali possono essere cacciati e i loro prodotti consumati. Il principio basilare è quello che impone di tener separati gli animali marini da quelli terrestri. Questo principio si collega alle diverse caratteristiche climatiche ed ecologiche e al ritmo delle stagioni, e in particolare prescrive di tener separate la caccia nella tundra (attività estiva) dalla cattura di animali marini (attività invernale). Perciò il caribù (o qualsiasi altro animale terrestre) non deve neppure essere posto a contatto con foche, trichechi e balene. La sua carne e quella di balena non vanno consumate nello stesso giorno; la sua pelle non può essere tagliata o cucita quando si vive sulla banchisa o durante la caccia al tricheco. Mangiare un animale fuori della stagione prescritta è una grave infrazione, ritenuta causa di malattia e di cattiva sorte. Al sopraggiungere dell'estate ci si deve astenere dal consumare cibi estivi finché tutti gli indumenti invernali non siano stati smessi o cambiati.
L'inosservanza di una di queste leggi - di cui in genere si rendono colpevoli le donne, che preparano cibi e vestiti - espone il trasgressore a gravi ambasce e mette a repentaglio anche il benessere della comunità. L'empio viene circondato da una nuvola maleodorante che tiene lontana la selvaggina. Queste conseguenze possono essere scongiurate o mitigate se il colpevole si confessa pubblicamente davanti a un'assemblea presieduta dallo sciamano (uno dei principali compiti di quest'ultimo è appunto quello di diagnosticare e curare la cattiva sorte o la malattia attribuite a queste violazioni del codice di comportamento nei confronti degli animali).
Gli Eschimesi, dunque, hanno, in effetti, principî da vegetariani e comportamenti da carnivori. Gli animali che essi cacciano hanno un'anima proprio come loro, sicché esiste un continuum spirituale fra gli animali e l'uomo. Di fatto, nella loro cosmologia, gli animali dotati di anima più prossimi all'uomo sono i cani, che, al pari dei loro padroni, oltre all'anima hanno anche un nome. In altre cosmologie il legame tra uomini, animali e vegetali è ancora più stretto. Così, secondo la concezione kemali (o tabù) - opposta alla concezione naturalistica tulah - degli aborigeni Ma'Betisek della Malesia, tutte le piante e tutti gli animali traggono origine dalle anime di esseri umani defunti e quindi posseggono caratteristiche umane; se vengono uccisi o distrutti dall'uomo, cercheranno di vendicarsi. Questa pericolosa eventualità, comunque, è presa in considerazione soltanto a posteriori, in singoli casi di malattia o di disgrazia fatti risalire alla collera di una data pianta o di un dato animale. Per la maggior parte del tempo, nel normale sfruttamento dei prodotti e dell'ambiente naturali, prevale la concezione utilitaristica tulah, secondo cui le piante e gli animali sono fondamentalmente differenti dagli uomini e di conseguenza possono essere utilizzati per l'alimentazione. Nelle attività economiche quotidiane le piante e gli animali sono concepiti semplicemente come cibo. Quindi le concezioni cosmologiche dei Ma'Betisek, concernenti lo sfruttamento del loro ambiente, rivelano un'ambivalenza di fondo: al livello della concreta, quotidiana ricerca di cibo, piante e animali non sono altro che generi alimentari, e gli uomini sono cacciatori e raccoglitori; invece, quando le cose vanno male, nelle occasioni in cui viene invocato il paradigma kemali, piante e animali diventano superiori agli uomini e li trasformano in prede (v. Karim, 1981); in questo caso non prevale più la concezione pratica, con la sua netta distinzione tra uomini e ambiente, ma è l'umanità di piante e animali ad assumere importanza predominante. Questa interessante cosmologia dei Ma'Batisek sembra presentare in forma insolitamente sistematica quello che è un aspetto comune a queste visioni del mondo, ovvero il fatto che, sebbene la sfera umana e quella naturale siano misticamente interconnesse, le attività economiche quotidiane sono portate avanti, con la massima disinvoltura, su basi pragmatiche. Così, per fare un esempio abbastanza diverso, la cultura giapponese contemporanea, altamente tecnologica, ha come componente la tradizione sincretistica shintoista-buddhista, che sottolinea con forza le proprietà mistiche comuni a uomini e animali; cosicché, in Giappone, accanto ai moderni laboratori per le ricerche mediche, sorgono santuari dedicati agli spiriti degli animali sacrificati in tali ricerche.
La connessione mistica tra uomini e animali è in molti casi precisata attraverso la distinzione fra animali domestici e selvatici (per esempio gli Eschimesi distinguono i loro cani, che hanno un nome e un'anima, dagli animali selvatici, che hanno soltanto un'anima). Questa distinzione rientra in una divisione cosmologica più ampia e di più vasta portata tra il sicuro mondo domestico delle interazioni umane e la terra selvaggia e desolata che lo circonda. Il contrasto tra il mondo umano, familiare e sicuro, e il pericoloso mondo selvaggio esterno è stato espresso da Lévi-Strauss (v., 1962) e da altri strutturalisti in termini di contrapposizione fra cultura e natura. Come questi antropologi hanno ampiamente dimostrato, tale distinzione (che corrisponde alla vecchia contrapposizione europea fra 'civilizzazione' e natura) assume un ruolo centrale in molte cosmologie: per esempio, i concetti cosmologici degli agricoltori-pastori Lugbara (Uganda) sono organizzati (v. Middleton, 1960) secondo il seguente schema (implicito).
Insediamenti umani Mondo selvaggio
uomini donne
sistema di parentela negazione del sistema di parentela
potere ancestrale stregoneria
diritto capovolto
costante mutevole
bene male
Insediamenti umani Mondo selvaggiouomini donnesistema di parentela negazione del sistema di parentelapotere ancestrale stregoneriadiritto capovoltocostante mutevolebene male In questo caso le donne sono associate alla 'natura' aspra e selvaggia e gli uomini, antiteticamente, alla 'cultura', il che evoca l'immagine, familiare nella tradizione culturale europea, della 'donna selvaggia', una creatura dalla sessualità insaziabile, che divora e contamina, secondo quella prospettiva maschilista che Mary Douglas giustamente chiama il 'complesso di Dalila'. Analogamente, nella cosmologia islamica, le donne sono rappresentate come creature selvagge e licenziose, dalla sessualità sfrenata, mentre gli uomini sono considerati esseri razionali, capaci di controllarsi e di agire in modo appropriato e secondo buon senso: essi sono i custodi della religione e della società. Data la loro instabilità emotiva, alle donne il retto comportamento va imposto attraverso vincoli sociali che le costringono in posizione subordinata. In tal modo le relazioni tra i sessi si basano su, o vengono giustificate attraverso il carattere attribuito alle donne di creature impulsive che, in mancanza di imposizioni, sarebbero incontrollabili (v. Abu-Lughod, 1986). Anche i cacciatori-raccoglitori africani associano frequentemente la donna alla foresta, e presso i boscimani !Kung le donne vengono scarificate sulle gambe, sulla parte inferiore del tronco e sul volto a imitazione della variegatura del mantello della grande antilope grigia. Molti antropologi, specialmente quelli influenzati dallo strutturalismo di Lévi-Strauss, hanno dato per scontata una connessione diretta e universale tra donna e natura in opposizione a quella tra uomo e cultura (v. Ortner, 1974). Ma in molte cosmologie le cose non sono così semplici (v. Goody, 1977). Per esempio, i coltivatori Lele dello Zaire (v. Douglas, 1963) distinguono rigorosamente tra il mondo sicuro del villaggio e il pericoloso regno della foresta; ma nella loro cosmologia il villaggio, con i suoi terreni coltivati, è un dominio femminile, mentre la foresta, dimora degli spiriti, è il luogo dove l'uomo caccia. La foresta è anche la fonte del vino di palma, delle fibre per fare gli abiti, del legname con cui costruire le abitazioni e delle sacre erbe medicamentose. In quanto casa degli spiriti - che abitano i corsi d'acqua e le loro sorgenti -, la foresta è un luogo sacro, dove soltanto l'uomo può entrare liberamente. L'accesso delle donne alla foresta è, invece, limitato: un giorno su tre non possono entrarvi e in determinate occasioni (lutto, mestruazioni, parto, novilunio, la partenza di un capo) possono farlo soltanto dopo che gli uomini hanno celebrato particolari riti. Ciò suggerisce che le donne Lele siano dotate di un potere mistico analogo, ma opposto, a quello della foresta. In effetti esiste uno stretto legame tra i due domini: da un lato gli spiriti della foresta non soltanto rendono fruttuosa l'attività venatoria degli uomini, ma presiedono anche alla fecondità delle donne; dall'altro, anche se gli uomini praticano l'astinenza sessuale prima della caccia ed evitano le donne mestruate, la battuta non avrà successo se non vi è armonia e pace nel villaggio. Perciò una caccia abbondante dimostra che la vita sociale scorre serenamente e quindi diventa una sorta di barometro spirituale del clima di fratellanza e assicura la fecondità delle donne.
A prima vista sembrerebbe che in questo caso, contrariamente al solito, le donne siano associate alla 'cultura' e gli uomini alla 'natura'; in realtà il rapporto fra questi termini antitetici si rivela più complesso: le donne sono sì opposte alla 'natura' (la foresta), ma sono pure legate a essa misticamente attraverso la loro capacità riproduttiva; e anche il dominio maschile non si limita alla foresta. Questo per quanto riguarda i Lele. In altre cosmologie l'opposizione tra sesso maschile e sesso femminile non è così accentuata e i concetti di natura e cultura, ove esistano, possono essere associati, rispettivamente, alle persone non sposate e a quelle sposate, piuttosto che alle donne e agli uomini. In altri casi ancora i concetti che noi indichiamo con i termini 'natura' e 'cultura' esistono a malapena e certamente fra di essi non intercorre quel rapporto di contrapposizione che gli Europei sogliono attribuire loro (v. MacCormack e Strathern, 1980).
Se è vero che le donne non sono sempre e inequivocabilmente associate al mondo selvaggio, tuttavia la maggior parte delle cosmologie tende ad attribuire loro poteri magici. Nella sua formulazione negativa (associata alle mestruazioni considerate contaminanti), tale attribuzione si risolve in genere nell'accusa di stregoneria. In termini positivi la fecondità femminile è concepita come una potente forza capace di generare e trasformare. Così, per esempio, fra gli indiani Barasana dell'Amazzonia le donne sono considerate esseri semi-immortali: grazie alle mestruazioni esse rinnovano continuamente il proprio corpo attraverso una 'muta interna' (e perciò sono più longeve degli uomini), e attraverso il parto rinascono nel bambino. La riproduzione femminile, poi, è intimamente associata all'agricoltura, tanto che i tuberi della manioca - l'alimento base dei Barasana - sono chiamati 'figli delle donne' (v. Hugh-Jones, 1979, p. 250). Altrove l'atto sessuale stesso ha una valenza cosmica: tra i Maori esso riepiloga l'unione originaria del Cielo (elemento maschile) e della Terra (elemento femminile); gli incantesimi usati nei riti del concepimento sono ritenuti gli stessi che consentirono al Progenitore di procreare il genere umano; l'utero della donna è indicato con lo stesso termine che indica l'autogenerazione del mondo, e si parla della placenta come della madre primordiale (v. Sahlins, 1985, p. 59).
Nell'Africa centrale il 'calore' del rapporto sessuale umano è considerato fonte di fecondità. Ciò vale specialmente per i capi, la cui vita sessuale ha un'immediata rilevanza per la comunità. Nella valle del Luapula il capovillaggio e sua moglie compiono un rapporto sessuale rituale per tracciare le fondamenta di un nuovo villaggio. Al termine dell'atto la coppia deve detergersi dalle secrezioni sessuali e raccoglierle nel 'vaso matrimoniale' della moglie. Questo lavacro rituale rende 'caldo' e operoso il villaggio, e i liquidi sessuali conservati influiscono sulla vegetazione del luogo e regolano la fecondità. Nell'Africa centrale queste concezioni cosmiche sono sviluppate nel modo più elaborato tra i Bemba, che trattano il proprio capo come un 're divino'. Il re e i suoi sottocapi sono tenuti ad avere, a intervalli regolari, rapporti sessuali rituali con le proprie mogli, nell'interesse della comunità. Questi atti di 'pubblica intimità' sono allestiti da consiglieri con funzioni di sacerdoti nelle più vecchie abitazioni del territorio Bemba. Così il sovrano libera la propria energia regale - carica di significati mistici - per rinvigorire il suo popolo e rendere la terra fertile e ricca di prodotti. Il 'calore' in tal modo liberato per 'scaldare' il popolo e il terreno è potenzialmente pericoloso, e quindi viene 'imbrigliato' con proibizioni e precauzioni seguite con cura dai sacerdoti preposti alla salvaguardia della divinità del re (v. Richards, 1968).
L'idea che il rapporto sessuale e i liquidi sessuali abbiano una portata cosmica non è certamente monopolio delle culture centroafricane. La potenza magica del seme sacro è un concetto molto sviluppato nell'ascetismo indù, e l'efficacia terapeutica attribuita al proprio seme è stata sfruttata da profeti appartenenti a molte tradizioni religiose: fra i più recenti, uno dei più seguiti era il profeta Yali della Papua Nuova Guinea, che girava accompagnato da un esercito di 'fanciulle fiore', che vendevano ampolline del suo seme dai magici poteri. Non si deve, comunque, dare per scontato che il potenziale significato cosmico della sessualità, così pienamente sfruttato nei casi appena presentati, lo sia altrettanto in altre culture. Tra gli agricoltori-pastori della Somalia meridionale le metafore sessuali sono sì impiegate per descrivere la coltivazione della terra, ma restano metafore e non istituiscono collegamenti mistici, di natura cosmica, tra la fecondità umana e la fertilità della terra. Gli agricoltori somali, come quelli europei, chiamano 'terra vergine' un terreno incolto; quando disboscano la foresta per ricavarne un'area coltivabile, paragonano esplicitamente tale atto a una deflorazione, e addirittura assimilano i graffi causati dai rovi e dagli sterpi, nel corso di questa operazione, a quelli che talvolta ci si procura durante il rapporto sessuale. In questo caso sono chiaramente in gioco delle immagini sessuali polivalenti, il che potrebbe indurre a collegare, in quanto forme di una medesima fertilità femminile, la fecondità della terra e quella della donna. Nel pensiero dei Somali, comunque, una tale connessione non si dà: piuttosto, in questa cultura islamica, la fecondità della donna e quella della terra dipendono in egual misura dalla benevolenza di Dio.
L'interazione tra la sessualità umana e la cosmologia non è a senso unico: come la prima può influenzare la seconda, così la seconda può influire sulla prima. Ciò è particolarmente evidente nelle teorie culturali del rapporto sessuale e del concepimento: per esempio, secondo le teorie della 'nascita virginale', proprie degli abitanti delle isole Trobriand e di alcune comunità aborigene australiane, i padri hanno un ruolo secondario nella procreazione, in quanto le donne sono fecondate dagli spiriti, e quindi i loro figli discendono direttamente dagli antenati.Gli abitanti delle Trobriand, che calcolano la discendenza per linea femminile (matrilinearità), fanno risalire l'origine dei propri diversi clan ad altrettanti rapporti incestuosi fra fratelli e sorelle (le coppie originarie) emersi insieme dal mondo ctonio. I figli sono dunque reincarnazioni degli spiriti del clan materno. In armonia con queste concezioni, si ritiene che il sangue dei figli provenga dalla madre, mentre la somiglianza fisica tra i figli è fatta risalire al padre. Anche in altre tradizioni come quelle cristiana e musulmana, conformemente alle rispettive cosmologie, nella procreazione è presente un elemento spirituale: per entrambe le tradizioni Dio è la fonte ultima della fertilità. Attribuendo un'importanza prevalente all'aspetto spirituale del concepimento, si giunge logicamente al concetto di nascita virginale, che occupa una posizione predominante nella tradizionale cosmologia cristiana. D'altra parte, in molte cosmologie, i rapporti fra gli dei e le loro partners umane, per come sono concepiti, comportano spesso la fecondazione ad opera di una divinità e la nascita da una vergine.
Per un verso la cosmologia rispecchia la società, per l'altro la società si conforma alla cosmologia. Quindi la cosmologia svolge, nei confronti del mondo sociale, il doppio ruolo di immagine e di modello ideale. Come abbiamo visto, le leggi cosmologiche sulla selvaggina vigenti tra gli Eschimesi, imponendo di tener separati gli animali estivi da quelli invernali (e i rispettivi prodotti), riflettono il ritmo delle stagioni e l'adattamento della società eschimese alle condizioni ambientali locali. Contemporaneamente esse sanciscono l'assetto stagionale dell'organizzazione sociale, caratterizzata da grandi insediamenti d'inverno, e dalla frammentazione in piccoli gruppi dediti alla caccia con le slitte d'estate. Comunque non esiste necessariamente un rapporto causale fra ritmi ecologici stagionali e cosmologia. Tra i pastori nomadi somali, per esempio, esistono spiccate differenze nel tipo di economia e nella configurazione dei loro insediamenti a seconda delle stagioni, e anche il carattere, o spirito, della loro vita sociale muta radicalmente da una stagione all'altra; ma, contrariamente a quanto accade fra gli Eschimesi, fra i Somali musulmani, e in molti altri casi analoghi, queste differenze stagionali non sono riflesse in concezioni cosmologiche.
L'importanza della rappresentazione del cosmo come modello ideale è particolarmente evidente in quelle culture che progettano e realizzano gli insediamenti secondo principî cosmologici, costruendo microcosmi umani a immagine e somiglianza del macrocosmo. Un esempio ben noto è quello dei Dogon - una popolazione del Mali -, che fanno risalire la creazione alla frantumazione dell'uovo cosmico, provocata da vibrazioni interne. I loro villaggi hanno forma quadrata o ovale a rappresentare questo uovo cosmico aperto dal germogliare di semi; l'uovo cosmico è anche una persona allo stato embrionale. Il villaggio è orientato secondo la direzione nord-sud: l'officina del fabbro sorge in corrispondenza della testa, i santuari in corrispondenza dei piedi; le capanne usate dalle donne durante le mestruazioni, situate a est e a ovest, sono le mani, e le abitazioni dei nuclei familiari formano il torace. Il principio cosmico fondamentale della dualità gemellare è rappresentato da un santuario di forma conica (elemento maschile) e da un mortaio di pietra (elemento femminile). Gli stessi villaggi sono costruiti e raggruppati a coppie, un elemento delle quali rappresenta il 'cielo', l'altro la 'terra'. Gruppi più grandi di villaggi sono disposti secondo gli stessi principî cosmologici. Su scala ancora più vasta i Dogon hanno modellato il proprio paesaggio (entro i limiti del possibile) in base al principio secondo cui il mondo si è sviluppato a partire da un movimento a spirale dei semi contenuti nell'uovo cosmico (v. Griaule e Dieterlen, 1954). Analogamente, come ha dimostrato Lévi-Strauss (v., 1948), gli indiani dell'Amazzonia conferiscono ai propri villaggi la forma circolare che rispecchia la loro mappa del cosmo. I contadini delle Ande, a loro volta, concepiscono la propria geografia sociale come un'incarnazione della cosmologia; in particolare concepiscono le montagne in termini antropomorfici: le comunità che vivono in prossimità della vetta costituiscono la testa, quelle che abitano a mezza costa il cuore e i visceri, e quelle insediate più a valle le gambe. Il benessere e la prosperità degli uomini sono strettamente legati alle mistiche forze vitali delle montagne, che vanno periodicamente alimentate con sangue e grasso di vittime all'uopo sacrificate. Secondo le credenze locali, gli stessi contadini nascono nei laghi vicini alla vetta del monte, da cui scendono a valle nel corso della vita. Quando muoiono, essi vengono sepolti e le loro anime fanno ritorno ai laghi ancestrali in cima alla montagna. Le malattie umane sono assimilate direttamente alle sciagure montane, come le valanghe, e per guarirne si devono dedicare sacrifici alla montagna (v. Bastien, 1978).
In nessun caso il valore politico dell'intreccio fra ordinamento politico e macrocosmo è tanto evidente come nei sistemi politici basati sulla natura divina del re. In questi sistemi lo Stato è parte integrante del macrocosmo, che ne rafforza i fondamenti e conferisce alle azioni politiche una risonanza cosmica, mentre, analogamente, ogni perturbazione dell'ordine cosmico influisce direttamente sulle attività umane. Così, nella monarchia divina dei Bemba (Africa centrale), dove, come si è visto, i rapporti sessuali del re rendono feconde le donne e la terra, il re è considerato un'incarnazione della divinità. Ogni singolo monarca è completamente identificato con il fondatore della dinastia - così come ogni papa è un nuovo Pietro -, tant'è vero che il re attualmente in carica racconta gli incontri col missionario-esploratore inglese David Livingstone come se fossero episodi della propria vita (anziché dei suoi predecessori). Il monarca è il 'padrone' e il 'padre' della terra e da lui ci si aspetta che nutra il suo popolo e se ne prenda cura; la sua salute e il suo benessere sono intimamente legati a quelli dei suoi sudditi: se si ammala o resta ferito o subisce qualche disgrazia, la vita e la prosperità dell'intera popolazione sono messe a repentaglio. Egli deve quindi essere tenuto al riparo da tutti i contatti pericolosi: con la malattia, con la morte, con elementi contaminanti. La sua morte è una sciagura per tutti: la terra perde il proprio 'calore' e diventa 'fredda', 'va in pezzi'.
Nella tradizione della monarchia divina classica, tratteggiata da J.G. Frazer (v., 1890), quando il re dei Bemba era in fin di vita, veniva strangolato ritualmente dai suoi fedeli consiglieri, in modo che non potesse portare con sé, nella tomba, la vitalità del paese.L'idea che il re incarni la divinità ed eserciti il proprio potere sugli uomini e sul cosmo fu senza dubbio sviluppata in modo molto più elaborato nel Sudest asiatico, dove il re era tipicamente considerato il "numinoso centro del mondo" (v. Geertz, 1980, p. 112). Egli assicurava la prosperità del regno: la produttività della terra, la fecondità delle donne, la salute del popolo, l'armonia sociale e persino la bellezza fisica del paesaggio e dei sudditi; inoltre teneva lontane le calamità naturali. Fastosi rituali di Stato rappresentavano contemporaneamente la divinità del re e la prosperità del regno. In ogni sua manifestazione questo culto nazionale del re divino ribadiva il fondamento cosmico dello status mondano e i principî gerarchici che governano l'universo. In Polinesia i re divini erano tenuti a praticare il cannibalismo rituale e a spartire con i sudditi la propria parte di carne umana (dei prigionieri di guerra). Fra i Maori, dove la carne umana si consuma insieme con quella di uccelli e pesci nel corso di riti venatori, si ritiene che i capi accrescano il proprio mana divorando gli occhi dei nemici (v. Best, 1902). Altrove, come nel famoso Impero azteco, i sacrifici umani agli dei, su vasta scala, sostituivano il cannibalismo rituale nella funzione di conservare l'equilibrio del cosmo e della società (v. Vaillant, 1950).
Benché in Europa il monarca non fosse così completamente divinizzato, idee simili ispirarono la teoria, ivi diffusa durante il Medioevo, della discendenza, ovvero dell'istituzione divina, della monarchia, teoria che fu poi ulteriormente sviluppata nella dottrina della 'Catena dell'Essere'. Questa 'Grande Catena dell'Essere', come Pope la chiamò nel suo celebre Essay on man (1733-1734), esprimeva la completezza della creazione divina, il suo rigido ordinamento gerarchico e la sua unità fondamentale, che abbraccia tutto il creato: dal trono divino all'ultimo degli oggetti inanimati. Il simbolismo dello Stato, o della Corte, e delle sue condizioni, è usato per rappresentare e interpretare la salute del singolo individuo, il quale diventa un microcosmo che riproduce il macrocosmico mondo politico. Ciò rinforza continuamente la dipendenza e l'interdipendenza mistiche fra governati e governanti.Con tale politicizzazione la cosmologia diventa ideologia, come nel noto sistema castale indù e nella dottrina del karma. Le prime quattro suddivisioni del genere umano, ordinate gerarchicamente, sono: i brahmaṇa, gli kṣatriya, i vaiśya e gli śūdra, rispettivamente la 'testa', le 'spalle', le 'cosce' e i 'piedi' di Brahma, la divinità creatrice indù. I paria, gli intoccabili, non fanno parte di questa gerarchia ordinata cosmicamente, essendo troppo contaminanti e umili per rientrarvi, persino al più basso livello. Le prime tre suddivisioni costituiscono le caste pure, o dei cosiddetti 'nati due volte', che partecipano all'iniziazione, alla seconda nascita e alla vita religiosa. La loro fragile purità rischia continuamente di essere contaminata dalle caste 'impure' e soprattutto dagli 'intoccabili'. Questi ordini inferiori, secondo le concezioni brahmaniche, vengono al mondo per svolgere lavori contaminanti, come svuotare latrine o scuoiare animali morti. La posizione degli individui, in questa gerarchia stabilita dalla divinità, rispecchia, secondo la dottrina del karma, la loro condotta in vite precedenti; perciò le caste inferiori stanno pagando per i misfatti commessi nelle vite passate. Questo è ciò che pensano gli appartenenti alle caste superiori. Da parte loro, comunque, i membri delle caste inferiori sostengono di essere stati ingiustamente 'declassati' oppure di discendere da antenati appartenenti a una casta superiore, sposatisi con membri di caste inferiori (v. Sharma, 1973).
Interpretazioni rivoluzionarie della cosmologia ufficiale raggiungono un maggior grado di elaborazione in quelle che potremmo chiamare 'controcosmologie', sostenute da categorie sociali oppresse o da popolazioni assoggettate. È questo il caso, nel mondo musulmano, del culto degli spiriti hori, in Africa occidentale, e di quello, a esso collegato, degli spiriti zar, in Sudan e Nordafrica, i cui seguaci sono soprattutto donne (e alcuni uomini ex schiavi), e nei cui complicati pantheon i grandi santi dell'Islam sono assimilati a spiriti locali. Anche se queste visioni del mondo fanno riferimento a forze spirituali che si ritrovano, fino a un certo punto, nell'interpretazione popolare della cosmologia musulmana ufficiale di ispirazione maschilista, tuttavia la cosmologia ufficiale considera marginale l'adesione ai riti propri di tali concezioni, e la stigmatizza come una forma di superstizione o, peggio, di eresia (v. Lewis, 1991). In questo caso i due sessi, le cui differenze sono rigidamente tracciate nell'Islam conservatore, sono, in pratica, associati a due cosmologie contrapposte, ancorché sovrapposte. Talvolta questi culti (o religioni) sono, in effetti, basati su una religione tradizionale locale, abbandonata con l'adozione di una nuova religione universale ufficiale; quindi sono vere e proprie superstizioni. Così, in Birmania, l'attuale culto degli spiriti nat è uno sviluppo sincretistico della religione birmana prebuddhistica, che oggi sopravvive in aspra tensione con il buddhismo, religione ufficiale dello Stato. Questa religione nat è stata 'femminilizzata' e 'marginalizzata' dal buddhismo, religione tipicamente 'maschile'. Gli spiriti nat, che gli uomini condannano come malvagi e capricciosi, in contrasto con le benevole divinità buddhiste (deva), sono strettamente associati alle donne. Le malattie delle donne, che spesso vengono diagnosticate come casi di possessione da parte di questi spiriti, possono essere curate da donne-sciamano attraverso un processo di iniziazione che culmina in un matrimonio con cui la 'paziente' sposa il nat responsabile della sua malattia (v. Spiro, 1978).
Su radicali differenze di status sociale, anziché sessuali, si basa il culto di possessione da parte degli spiriti tumbura, praticato nel Sudan musulmano da ex schiavi di ambo i sessi, originari del sud del paese. Questo culto, che può essere considerato, almeno in parte, come il risultato di un sincretismo fra credenze preislamiche e islamiche, ha cercato di legittimarsi situandosi nel contesto dello schema cosmologico islamico, ovvero facendo risalire le proprie presunte origini ad Hassan e Hussein, i nipoti del profeta Maometto. Quando questi erano gravemente ammalati - si tramanda -, l'unica persona che potesse curarli era Bilal, il famoso muezzin del profeta, un negro originario, secondo questi miti, del Sudan meridionale. Bilal è una delle figure centrali nella cosmologia degli spiriti tumbura, che mescola rappresentazioni spirituali dell'esperienza politica dei sudanesi meridionali all'inizio di questo secolo con i grandi santi dell'Islam.Altre volte i settori oppressi di una popolazione possono correggere la cosmologia ufficiale a proprio favore e a spese dei propri oppressivi governanti: per esempio, gli schiavi degli Stati americani del sud parlavano - predicandone di nascosto l'avvento - di un'imminente dannazione e distruzione dei loro tirannici padroni bianchi ad opera di carri di fuoco (v. Raboteau, 1978). Seguendo una visione più radicale, i contadini dell'Europa medievale (e di altre parti del mondo) erano attratti dalla prospettiva di un mondo 'capovolto', dove tutte le gerarchie esistenti - fra gli animali e nella società umana - sarebbero state invertite e, finalmente, gli ultimi sarebbero diventati i primi (v., per es., Babcock, 1978; v. Lanternari, 1960).
Come nello studio del simbolismo anche in quello della cosmologia molti autori hanno cercato di individuare dei temi comuni. Nella sua famosa opera monumentale, The golden bough, Frazer (v., 1890), esponendo la sua teoria evoluzionistica dello sviluppo della religione dalla magia e della sua sostituzione con la scienza, delineò il complesso dei poteri magici associati alla monarchia divina. L''odissea' concettuale di Frazer prende le mosse dal caso del sacerdote del santuario di Diana sul lago di Nemi, ai tempi della Roma classica. Il fatto singolare che questo 're del bosco' (rex nemorensis) - questo l'appellativo del sacerdote - potesse entrare in carica soltanto uccidendo il proprio predecessore viene spiegato da Frazer attraverso il confronto con casi analoghi associati alla monarchia divina, riscontrati in altre epoche e in altri luoghi. Eliade (v., Traité ..., 1949) e altri autori hanno sottolineato la grande diffusione, nelle diverse cosmologie, del tema dell''albero cosmico' (o del mondo), un asse miracoloso dell'universo che collega la terra e i mondi celeste e ctonio, e permette ai mortali di visitare gli dei. In molte cosmologie quest'albero assume i caratteri di 'albero della vita', che rappresenta la rigenerazione dell'universo.Più ambiziosamente Lévi-Strauss (v., 1962) ha sostenuto che tutte le cosmologie sono basate su una dialettica fra coppie di opposti - sinistra/destra, femmina/maschio, notte/giorno, ecc. -, che culmina nella dicotomia natura/cultura. Il dualismo cosmologico che ne deriva è stato sostenuto anche da altri autori (v., per esempio, Wagner, 1975, e Willis, 1990), ma, come si è visto sopra, questo punto di vista appare criticabile, in quanto i costrutti utilizzati per definire tale dualismo (per esempio natura/cultura) sono sostanzialmente eurocentrici piuttosto che genuinamente universali. A questo riguardo si rende perciò necessaria un'accurata analisi empirica delle singole cosmologie.
L'influente impostazione strutturalistica, applicata al mito e alla cosmologia da Lévi-Strauss (v., 1964, 1966, 1968 e 1971) e dai suoi seguaci, presuppone che le cosmologie siano fondamentalmente delle strutture cognitive, il prodotto di un pensiero speculativo. Questa interpretazione filosofica, che ha una lunga storia, è condivisa anche da altri autori moderni. Per esempio era questo, sostanzialmente, il punto di vista sostenuto dall'antropologo inglese Edward Tylor, che interpretava, in termini rigorosamente razionalistici, i fenomeni cosmologici esotici come risposte essenzialmente intellettuali ai misteri dell'esistenza umana. Anche Émile Durkheim, il filosofo sociale francese fondatore della sociologia, sosteneva che la cosmologia fosse il risultato di una riflessione speculativa (oltre ad affondare le proprie radici nella situazione sociale, come si vedrà fra breve). Più recentemente l'antropologo sociale inglese Robin Horton (1975) ha ripreso e ampliato questa impostazione 'intellettualistica'. Riferendosi all'Africa, Horton dice: "La cosmologia africana di base [...] ha una struttura a due livelli; il primo livello è quello degli spiriti inferiori, il secondo quello dell'essere supremo. Gli spiriti inferiori sono responsabili degli eventi e dei processi che si verificano su scala locale, nel microcosmo della comunità e del suo ambiente, mentre l'essere supremo presiede agli eventi e ai processi che hanno luogo nel macrocosmo, cioè nel mondo intero. Come il microcosmo fa parte del macrocosmo, così gli spiriti inferiori sono concepiti o come manifestazioni dell'essere supremo o come entità il cui potere deriva, in definitiva, da lui. Dove la vita economica è dominata da un'agricoltura di sussistenza e il commercio è poco sviluppato è probabile che le relazioni sociali degli abitanti di una data area siano limitate entro i confini del loro microcosmo. Costoro, pur essendo consapevoli dell'esistenza di un mondo più vasto, vivranno nella convinzione che tale mondo non li riguardi direttamente [...]. È probabile che questo tipo di situazione favorisca una vita religiosa in cui si dedica la massima attenzione agli spiriti inferiori (responsabili del microcosmo), mentre se ne dedica molto poca all'essere supremo (responsabile del macrocosmo) [...]. Dove i fattori che favoriscono una più ampia comunicazione sono sviluppati, la vita sociale non sarà più rigidamente confinata entro i confini del microcosmo [...] minore attenzione sarà riservata agli spiriti e maggiore all'essere supremo" (v. Horton, 1975, pp. 219-220).
Per Horton, quindi, le cosmologie possiedono una struttura di base universale, che permette di adattare razionalmente le credenze cosmologiche alla situazione sociopolitica (e persino ecologica) locale, a sua volta elaborata concettualmente. Questa impostazione intellettualistico-razionalistica, che Horton adotta per spiegare la conversione religiosa al cristianesimo e all'Islam (in Africa), è anche, com'egli stesso riconosce, profondamente sociologica. L'interpretazione sociologica della cosmologia, cui contribuirono anche Marx e Weber, fu proposta per la prima volta, nella sua forma più radicale, da Durkheim. Secondo il sociologo francese le categorie fondamentali del pensiero hanno un'origine sociale: "Alla base della categoria del tempo - egli dice - c'è il ritmo della vita sociale; il territorio occupato dalla società dà luogo alla categoria dello spazio". L'origine sostanzialmente sociale delle idee è evidente nelle prime classificazioni sistematiche fatte dall'uomo, che erano "modellate sull'organizzazione sociale, o, meglio, [...] hanno assunto come sistema di riferimento concettuale l'insieme delle istituzioni sociali: le fratrie hanno fatto da modello al concetto di classe, i clan a quello di specie. Gli uomini sono stati in grado di organizzare le cose proprio perché erano a loro volta organizzati" (v. Durkheim, 1912).
Questa interpretazione sociologica radicale è stata sviluppata e ulteriormente esemplificata nel famoso saggio di Durkheim e Mauss De quelques formes primitives de classification (1901-1902). In quest'opera gli autori sostengono: "Il centro dei primi schemi della natura non è l'individuo, è la società. È questa che viene oggettivata, non l'uomo [...]. La forza che creò l'universo e tutte le cose in esso contenute fu dapprima concepita come un mitico antenato, il generatore della società". In questa prospettiva Durkheim e Mauss ritengono che l'organizzazione secondo 'metà' degli aborigeni australiani fornisca un modello per classificare tutti i fenomeni naturali e costituisca il 'materiale da costruzione' con cui è edificata la loro cosmologia: "Tutto ciò che esiste nell'universo è distribuito tra i diversi membri della tribù". Analogamente Durkheim e Mauss mostrano che la cosmologia degli indiani Zuni è essenzialmente modellata sulla configurazione dei clan nel pueblo: "La ripartizione delle cose in diversi ambiti e la divisione della società in clan non solo corrispondono l'una all'altra, ma sono inestricabilmente intrecciate e fuse" (v. Durkheim e Mauss, 1901-1902, p. 47).
Pur contestando a Durkheim il suo determinismo sociologico, il principale antropologo sociale inglese, E.E. Evans-Pritchard, adottò uno stile di analisi simile a quello del sociologo francese nella sua descrizione della religione e della cosmologia dei Nuer, una popolazione di lingua nilotica del Sudan meridionale. L'essere supremo della cosmologia dei Nuer, Kuoth, si presenta frammentato in una serie di 'rifrazioni' che corrispondono alle divisioni presenti nell'ordinamento segmentale delle unità sociopolitiche dei Nuer (v. Evans-Pritchard, 1956). Con maggior sottigliezza e maggior ricchezza di dettagli etnografici, un allievo di Evans-Pritchard, Godfrey Lienhardt (v., 1961) ha adottato un'impostazione simile nel suo studio sulla religione dei Dinka, una popolazione confinante con i Nuer. Ma chi ha sviluppato nel modo più approfondito e sistematico questa interpretazione durkheimiana della cosmologia è stata Mary Douglas, anch'essa allieva di Evans-Pritchard. La Douglas ribadisce il concetto che le cosmologie sono create a immagine della società: la cosmologia riflette la società. Il grado di elaborazione dei riti e il tipo di cosmologia variano in funzione di un particolare aspetto dell'esperienza sociale: il fattore chiave è la misura in cui le forze sociali influiscono sugli individui e li vincolano. Il punto cruciale è il controllo sociale: dove esso è debole la cosmologia è benevola e non ritualistica; dove esso è forte, la cosmologia impone l'osservanza di numerose regole e risulta pesantemente moralistica.
Inoltre, sostiene la Douglas, esiste una "correlazione fra manifestazioni di controllo sociale e manifestazioni di controllo corporeo": secondo questa autrice gli atteggiamenti sociali nei confronti del comportamento estatico e dei fenomeni di possessione, che indicano una perdita del controllo sul proprio corpo, possono essere usati per verificare tale teoria. Così la Douglas desume dalla descrizione della religione dei Nuer fatta da Evans-Pritchard che i Nuer temono la trance e la considerano pericolosa. I Mandari (v. Buxton, 1973), loro vicini, sono ancor più spaventati dal fenomeno della possessione, mentre i Dinka, a quanto risulta (v. Lienhardt, 1961), lo accolgono con grande gioia, considerandolo un'esperienza positiva e benefica. Queste differenze, secondo la Douglas, corrisponderebbero a diverse gradazioni di "gruppo e griglia" (group and grid) - vaghi concetti che ella impiega per indicare il dominio che le diverse società esercitano sui propri membri (v. Douglas, 1970, p. 96). Questa interpretazione della cosmologia nilotica sembra erronea e la tesi generale secondo cui un comportamento corporeo sfrenato (per esempio quello dovuto a possessione) sarebbe la risposta a una mancanza di controllo e di strutture è contraddetta da un gran numero di prove che dimostrano esattamente il contrario (v. Lewis, 1986, p. 84). Inoltre i concetti di "gruppo e griglia" sono formulati in termini troppo imprecisi e troppo poco coerenti per poter essere proficuamente applicati nell'analisi della base sociale delle cosmologie. Su analoghi presupposti durkheimiani si fonda l'interpretazione avanzata dalla Douglas (v., 1970) dei tabù, che ella considera un modo per imporre un ordinamento a un'esperienza priva di ordine. Immondo è, sostanzialmente, 'ciò che è fuori posto', e l'ambiguità e l'anomalia sono fonti di pericolo mistico e di tabù. Sono le categorie cosmologiche delle singole società a stabilire, indirettamente, che cosa sia ambiguo e/o anomalo. Così, fra i Lele dell'Africa centrale, "certi animali [...] costituiscono il cibo appropriato per gli uomini, altri per le donne, altri per i bambini, altri per le gestanti, altri ancora non possono essere mangiati da nessuno. In un modo o nell'altro, gli animali che essi considerano non adatti al consumo alimentare risultano ambigui in base al loro schema di classificazione. La loro tassonomia separa gli animali notturni da quelli diurni; quelli che vivono in alto (uccelli, scoiattoli e scimmie) da quelli che vivono in basso; gli animali acquatici da quelli terrestri. Gli animali dal comportamento ambiguo sono trattati come anomalie di un qualche tipo ed esclusi dalla dieta" (ibid., p. 196).
La Douglas ha cercato di applicare questa impostazione per spiegare le famose 'abominazioni' ebraiche cui fanno riferimento le leggi mosaiche riguardanti le specie animali edibili e non edibili: "Gli Ebrei hanno una classificazione molto rigida, che ripartisce le creature viventi in tre sfere, sulla base del loro comportamento e in base alle caratteristiche morfologiche più comuni degli animali appartenenti a ciascuna sfera. In questa classificazione non rientrano gli animali considerati anomali perché vivono fra due sfere, o perché posseggono caratteristiche distintive proprie dei membri di un'altra sfera, o perché non posseggono affatto caratteristiche distintive. Tutti gli esseri viventi che cadono al di fuori di questa classificazione non si possono toccare o mangiare" (v. Douglas, 1975, p. 266). E ancora: "Nel cielo i volatili bipedi volano per mezzo delle ali. Nelle acque i pesci con le squame nuotano per mezzo delle pinne. Sulla terra gli animali quadrupedi saltellano, saltano o camminano. Tutte le specie animali che non sono 'equipaggiate' per praticare il giusto tipo di locomozione nel proprio ambiente sono 'impure' " (v. Douglas, 1966; tr. it., p. 92). Di fatto, però, pochi degli animali indicati come 'abominazioni' nel Levitico sono anomali in questi termini, sicché l'ipotesi della Douglas, secondo cui gli elementi anomali rispetto a una data classificazione sono considerati pericolosi o tabù, in questo caso si rivela infondata. In effetti le sue idee fondamentali derivano dai suoi studi etnografici sui Lele, nella cui cosmologia il pangolino occupa una posizione di primaria importanza, dovuta - secondo la Douglas - al suo carattere anomalo, in quanto si tratta di un divoratore di formiche squamoso, che nuota, si arrampica sugli alberi e, come gli esseri umani, dà alla luce un piccolo per volta. Ma i presupposti durkheimiani sul potere generatore della società sono sempre presenti nel lavoro della Douglas, che, in definitiva, considera queste peculiarità cosmologiche come espressioni di fenomeni sociali. Così, confrontando il pangolino dei Lele con le 'abominazioni' degli Ebrei, ella giunge alla conclusione, ben poco convincente (v. Lewis, 1991), che queste ultime corrispondano all'importanza data dagli israeliti al matrimonio endogamo, mentre il primo è collegato alla pratica del matrimonio esogamo vigente presso i Lele. In questo caso la tesi della Douglas (v., 1975, p. 306) è che le valutazioni mistiche (positive o negative) degli animali considerati importanti in una data cosmologia riflettano le relazioni esterne della società (per esempio le pratiche matrimoniali esogamiche).
L'ipotesi, qui esemplificata, che la società determini la cosmologia è stata chiamata in causa in termini abbastanza simili, a proposito di categorie animali, anche da Edmund Leach (v., 1964). Tuttavia, altrove, Leach ha esaminato (a grandi linee) concezioni cosmologiche alternative, risalenti all'epoca del primo cristianesimo e associate ad assetti politici con esse contrastanti, scoprendo - con sua grande sorpresa - che "un'evidente gerarchia fra divinità si accompagna a una politica egualitaria fra gli uomini; un rigido monoteismo si accompagna a un ordinamento politico gerarchico tra gli uomini". Uno studio statistico americano, più ampio anche se meno raffinato, sembra abbia raccolto nuove prove a conferma di questa correlazione fra monoteismo e gerarchia politica (v. Harris, 1971, p. 558). Questo riscontro empirico di una relazione inversa o dialettica fra ordinamento politico e cosmologia indica i limiti dell'ingenua tesi durkheimiana secondo cui l'ordinamento cosmologico rifletterebbe fedelmente quello politico. Altrove si è trovato che popolazioni confinanti che hanno sistemi politici molto diversi l'una dall'altra condividono la stessa cosmologia non escatologica (si veda, per esempio, Fürer-Haimendorf, 1962). Naturalmente questa è una situazione tutt'altro che rara nel caso delle religioni universali escatologiche: società che condividono la stessa fede e la stessa cosmologia posseggono strutture politiche molto diverse. Pertanto, mentre deve esistere, ovviamente, un certo legame significativo fra una società e la sua cosmologia, siamo costretti a riconoscere che la stessa cosmologia (o cosmologie simili) può corrispondere a diversi tipi di strutture politiche, come accade, per esempio, nel caso del modello cosmologico 'di base', proposto da Horton per le società africane tradizionali.I tentativi di spiegare le cosmologie in termini di interessi delle classi dominanti e di conflitti di classe fanno parte, naturalmente, del paradigma marxista, ma le spiegazioni causali più radicali sono quelle avanzate dagli antropologi dell'American Culture and Personality School. Questi antropologi fanno risalire la cosmologia all'ecologia e all'economia attraverso le tappe intermedie costituite dalle pratiche di educazione dei figli e dalla formazione della personalità. Così Cora Dubois (v., 1944) ha studiato il modo in cui vengono allevati i figli e l'economia familiare presso gli Alor dell'isola di Timor (Indonesia). Gli uomini appartenenti a questa popolazione si occupano dell'allevamento di maiali e polli e si assentano per commerciare. Le donne coltivano i campi, che si trovano a una certa distanza dalle abitazioni, per cui affidano i propri figli più giovani alle cure dei fratelli più grandi e di parenti anziani. Già a due settimane dal parto la madre ha poco tempo da dedicare al proprio neonato, che può essere accudito da parecchie donne che si danno il cambio. Fin dai primissimi mesi il bambino viene nutrito con farinata e cibo premasticato; l'alimentazione non segue un ritmo regolare e i genitori non coccolano né accarezzano i propri bambini. Secondo la Dubois questa incuria materna porta alla formazione di un'imago parentale negativa, che, a sua volta, viene 'proiettata' sul piano celeste, dando vita a spiriti e dei collerici il cui atteggiamento, nei confronti dell'uomo, è essenzialmente punitivo. L'autorevole psicologo E. H. Erikson (v., 1950) segue lo stesso percorso deterministico dall'ambiente alla cosmologia, attraverso l'assetto socioeconomico, i sistemi educativi, la struttura fondamentale della personalità. A giudizio di chi scrive queste 'spiegazioni' della genesi della cosmologia sono semplicistiche e non convincenti. Dopotutto le cosmologie racchiudono, normalmente, i codici morali su cui si basa l'educazione dei figli e quindi, se proprio non la determinano, almeno la influenzano profondamente.Più in generale il rapporto fra società e cosmologia può essere paragonato a quello che esiste fra una famiglia e la sua casa. Famiglie di dimensioni e reddito simili hanno, grosso modo, esigenze pratiche analoghe (se non identiche). Queste esigenze in larga misura 'oggettive' possono essere soddisfatte in molti modi e stili diversi. Il gusto non è un criterio oggettivo. È possibile che ogni cosmologia debba soddisfare (come sostiene Horton) certi criteri fondamentali, ma gli stili, le forme e i materiali variano ampiamente. Società diverse, appartenenti allo stesso tipo strutturale generale, hanno, per così dire, gusti cosmologici contrastanti. Inoltre, avendo, di fatto, scelto un particolare 'arredamento' cosmico, quelli che vivono in tale ambiente sono inevitabilmente influenzati tanto dalle sue caratteristiche stilistiche ed estetiche quanto dalla sua adeguatezza alle esigenze sociali. Nel complesso, tenendo presente la distinzione fatta all'inizio fra cosmologie escatologiche e non escatologiche, sembra che le prime tendano a tollerare un più ampio spettro di tipi di formazione sociale rispetto alle seconde, essendo questo un aspetto proprio del loro carattere 'universale'. Le religioni non escatologiche sono, naturalmente, più particolaristiche, più direttamente aderenti a una specifica società. Esse possono assorbire altre religioni e altri culti, ma, per adattarsi a nuove formazioni sociali e politiche, possono trovarsi costrette a mutare la propria struttura. Da questo punto di vista le religioni universali, meno particolaristiche, si dimostrano più 'elastiche'. Infine le cosmologie, per quanto possano apparire rigidamente 'confezionate su misura' a immagine della società, tendono a vivere una propria esistenza metafisica. Inoltre sussiste un importante effetto di feedback tra cosmologia e società. In questa prospettiva l'asserzione di Marx "l'uomo fa la religione; la religione non fa mai l'uomo" sembra alquanto infondata. (V. anche Credenze e culti; Mito).
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