Croazia
(App. II, i, p. 731; III, i, p. 455; v. Croazia-Slavonia, XI, p. 990; v. Iugoslavia, App. IV, ii, p. 275; V, iii, p. 88)
Popolazione
La Repubblica di C. è uno degli Stati sovrani nati dalla dissoluzione della vecchia Iugoslavia, conservando la superficie territoriale (56.538 km²) e i confini dell'omonima repubblica federata preesistente nell'ambito di quel paese. Proclamata l'indipendenza, a seguito di un referendum, nel 1991, e ottenuto quasi immediatamente il riconoscimento dei principali Stati europei e poco dopo quello di altri paesi e degli organismi internazionali, la nuova repubblica si è dotata di una Costituzione di tipo presidenziale.
Ai Croati, che costituiscono i quattro quinti della popolazione, per lo più cattolici, si affianca una cospicua minoranza serba (11-12%) di religione ortodossa; con l'appoggio della Serbia e dei Serbo-bosniaci, tale minoranza ha tenuto dal 1991 al 1995-96 sotto il proprio controllo armato alcune regioni del paese (la Slavonia, contigua alla Serbia e alla Bosnia, e l'autoproclamatasi Repubblica Serba di Krajina, sorta di enclave nell'entroterra dalmata), sulle quali la C. ha ristabilito poi il proprio dominio in parte tramite accordi, in parte con operazioni militari cruente, cui sono seguiti esodi e ritorni incrociati delle due etnie. Ci sono poi nel paese piccole minoranze di musulmani e ancor più ridotti gruppi di Sloveni, Ungheresi, Italiani e Albanesi, per lo più in prossimità dei confini o comunque in vicinanza dei rispettivi paesi (gli Italiani, residuo di una comunità ben più vasta fuggita alla fine della Seconda guerra mondiale, si trovano soprattutto nelle città e cittadine dell'Istria croata e, in misura minima, della Dalmazia).
Contrasti violenti con la Serbia si sono verificati pure per la questione della Bosnia ed Erzegovina (v. in questa Appendice), anche se, nel corso degli ultimi anni, prima dell'intervento NATO contro la Repubblica Federale di Iugoslavia (1999), si erano manifestati alcuni segnali di distensione, con la riapertura dei collegamenti ferroviari. Rimangono ancora aperte alcune controversie con i paesi confinanti e soprattutto la questione delle minoranze etniche. Tutta questa situazione ha contribuito a tenere finora la C. lontana, nonostante il discreto livello di sviluppo economico del paese, anche da un semplice accordo di associazione con l'Unione Europea.
La popolazione della C. (quasi 4,5 milioni di ab. nel 1998) è in lieve diminuzione dai primi anni Novanta, sia come riflesso dei conflitti interni, sia a causa del calo del tasso di natalità.
La capitale, Zagabria, importante centro industriale e terziario, è collocata sulla Sava a breve distanza dal confine sloveno; ha un volto urbano centro-europeo e conta poco più di 700.000 abitanti. Di aspetto prevalentemente veneto e italico, invece, le città di Spalato (Split), capoluogo storico della Dalmazia, e di Fiume (Rijeka), con circa 200.000 ab. ciascuna; di minor peso demografico, ma di analoghe tradizioni urbane, sono Pola (Pula) in Istria, Zara (Zadar) e Ragusa (Dubrovnik) in Dalmazia, e vari centri minori.
Condizioni economiche
L'agricoltura croata è tradizionalmente organizzata sulla base di piccole proprietà contadine e, pur occupando una porzione molto ridotta della popolazione attiva (circa il 4% sul finire del millennio), produce discrete quantità di mais e altri cereali, di patate e di barbabietole da zucchero nelle pianure tra Sava, Drava e Danubio, di frutta (prugne, ciliege) sulle colline adiacenti. Si allevano suini e si ricava legname dalle estese foreste (più di un terzo del territorio nazionale). La bauxite dell'Istria e il petrolio sono tra le principali risorse del sottosuolo. L'industria in parte si basa su queste produzioni agricole e minerarie (zuccherifici, metallurgia dell'alluminio), in parte si fonda sulla tradizione delle città portuali (cantieri navali a Pola, Fiume, Spalato). Importantissima l'attività turistica nel pittoresco e straordinariamente articolato litorale nord-orientale dell'Adriatico: ridottosi drasticamente nei primi anni Novanta per i sanguinosi conflitti tra i paesi ex iugoslavi, il turismo è in ripresa con l'apporto di investimenti stranieri (questi ultimi, come del resto gli sbocchi commerciali del paese, sono principalmente tedeschi e italiani). *
bibliografia
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Storia
di Lucia Betti
La situazione nei territori iugoslavi, dopo le dichiarazioni di indipendenza di Slovenia e C. (giugno 1991), andò aggravandosi e peggiorò ulteriormente in seguito al riconoscimento da parte della CEE (15 gennaio 1992) dei due nuovi Stati sovrani. Nonostante i tentativi di mediazione della comunità internazionale, gli obiettivi delle leadership croata, serba e musulmana rimanevano divergenti, mentre continuavano le prove di forza fra Zagabria e Belgrado: un clima di terrore e di intimidazione regnava in molte parti dei territori, alimentato anche dalle diverse incursioni che l'esercito croato, tra la fine del 1992 e l'inizio del 1993, effettuò nelle 'aree protette' in Krajina e in Slavonia occidentale.
In queste aree e in Slavonia orientale (controllate dalle milizie serbe) dal marzo 1992 erano dislocati 14.000 caschi blu. Inviati dall'ONU come forze di peacekeeping, avevano lo scopo di sorvegliare il cessate il fuoco decretato dall'inizio di gennaio 1992. Un nuovo cessate il fuoco fra la Repubblica di C. e la Repubblica Serba di Krajina, peraltro ripetutamente violato come il precedente, fu raggiunto il 29 marzo 1994 grazie agli sforzi congiunti degli Stati Uniti, della Federazione Russa, dell'Unione Europea e della Conferenza internazionale per la ex Iugoslavia. In quel periodo la comunità internazionale si trovava a dover gestire la difficoltosa situazione della Bosnia ed Erzegovina e la C. appariva come un problema minore nell'agenda degli organismi internazionali, anche se la minaccia dell'uso della forza per la reintegrazione dei territori conquistati dai Serbi era molto frequente nella stampa e nella propaganda croate. La tensione continuava a essere alta mentre il gruppo di lavoro costituito da USA, Gran Bretagna, Germania e Russia, chiamato Z4 (Zagabria 4), negoziava (dicembre 1994) un accordo economico fra la Repubblica Serba di Krajina e la C.; in base a esso vennero riaperte alcune importanti installazioni di interesse comune, come l'autostrada Zagabria-Lipovac (Belgrado), l'oleodotto Adria da Fiume a Sisak e la centrale idroelettrica di Obrovac. Oltre a questo, il gruppo propose un accordo politico, noto come 'piano Z4', basato sull'attribuzione di un'ampia autonomia alla Krajina serba all'interno della Repubblica di C., inclusa la possibilità di avere una propria moneta e una propria bandiera. Il piano Z4 venne respinto tanto dal governo croato quanto dai Serbi di Croazia. Per il primo la proposta era inaccettabile perché minacciava la sovranità dello Stato croato su una parte del suo territorio, incoraggiando le già forti spinte regionaliste in Istria, Dalmazia e Slavonia. Per i secondi, invece, il piano avrebbe vanificato gli sforzi di riunificazione con la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, primo passo per stabilire la nascita della Grande Serbia.
Nell'aprile-maggio 1995, inoltre, dopo mesi di scontri lungo il percorso dell'autostrada Zagabria-Lipovac, l'esercito croato sferrò un'offensiva contro le forze secessioniste in Slavonia occidentale. La vittoriosa azione, nota come operazione Flash, spinse la leadership croata a perseguire la riconquista della Krajina, roccaforte dei ribelli serbi, avvenuta in una seconda fase. Il 3 agosto 1995, infatti, le truppe croate lanciarono l'operazione Oluja. Gli scontri proseguirono fino al 7 agosto, terminando con la completa disfatta dei Serbi di Krajina e generando, secondo fonti ONU, un massiccio esodo di 170.000 Serbi verso la Bosnia ed Erzegovina e la Repubblica Federale di Iugoslavia. La Krajina fu letteralmente svuotata. La 'pulizia etnica' fu accompagnata dall'eliminazione di molti anziani rimasti e dalla distruzione, secondo fonti ONU, del 73% delle abitazioni. Due delle tre 'aree protette' erano state così riconquistate dalle forze militari croate. La terza, la Slavonia orientale, rimaneva sotto il controllo delle autorità serbe locali. La C. venne richiamata più volte dalla comunità internazionale affinché rispettasse il diritto della popolazione serba locale a vivere nella regione, a partire o a ritornarvi: i negoziati però procedevano lentamente e la tensione continuava a crescere. All'inizio di novembre il presidente F. Tudjman si recò negli Stati Uniti, dove sottoscrisse, insieme ai presidenti bosniaco e serbo, A. Izetbegović e S. Milošević, gli Accordi di Dayton per la Bosnia ed Erzegovina (v. in questa Appendice), imposti dagli Stati Uniti e ratificati a Parigi il 14 dicembre 1995. A completamento di questi venne firmato l'Accordo di Erdut (dal nome della città della Slavonia orientale in cui si svolse l'incontro) fra i Serbi locali e i Croati, che poneva la Slavonia orientale sotto l'autorità delle Nazioni Unite per un periodo non superiore ai due anni, con lo scopo di agevolare l'integrazione pacifica della regione nel territorio croato. Uno sviluppo di tale accordo scaturì poi, nell'agosto 1996, con la sottoscrizione, da parte dei presidenti Tudjman e Milošević incontratisi ad Atene, di un accordo per la normalizzazione delle relazioni fra Zagabria e Belgrado. Nel 1996, inoltre, la C., pur non avendo ottemperato alle richieste del rispetto delle minoranze, della libertà di stampa e delle opposizioni, divenne membro del Consiglio d'Europa. L'acquisizione del nuovo status non impedì a Tudjman di continuare la sua politica aggressiva nei confronti dei paesi confinanti, cosicché, fra il 1996 e il 1997 anche i rapporti con l'Occidente (Washington e UE) andarono incrinandosi, in quanto la C. ostacolava e rallentava il ritorno dei rifugiati serbi in Slavonia occidentale e in Krajina, non rispettando gli Accordi di Dayton nemmeno per l'individuazione dei criminali di guerra.
Nel 1995 Tudjman decise lo svolgimento anticipato delle elezioni parlamentari.
Nelle elezioni di ottobre però un'ampia parte dei votanti si espresse contro la politica di Tudjman e del suo partito, l'Unione democratica croata (HDZ, Hrvatska Demokratska Zajednica), che raggiunse il 45,2% delle preferenze su scala nazionale, mentre la coalizione composta dalla Dieta democratica istriana e dal Partito dei contadini insieme ai popolari, all'Unione cristiana e al Partito della Slavonia-Baranja, ottenne il 18,3%, i social-liberali l'11,6% e il Partito socialdemocratico (ex comunista) l'8,9%. L'astensione fu massiccia in tutto il paese e in Istria e Dalmazia la HDZ fu sconfitta dai partiti di ispirazione regionalista. Nonostante il diminuito consenso, Tudjman mantenne inalterate le sue scelte politiche. La libertà di stampa continuò a essere ostacolata; sul versante amministrativo le županije (regioni), prive, com'erano, di reale autonomia, subivano una crescente pressione in senso centralizzatore da parte del governo. Tale situazione pesava fortemente in quelle regioni, come l'Istria, la Dalmazia, il Fiumano e il Medjumurje, caratterizzate da un tessuto sociale multiculturale, dove rimanevano forti le spinte verso la convivenza multietnica e il rafforzamento dell'autonomia locale.
Le elezioni presidenziali del giugno 1997 riconfermarono Tudjman per la terza volta alla guida della nazione, ma la compattezza della HDZ, sul finire dello stesso anno, andò sgretolandosi. A minare l'unità del partito contribuì, tra l'altro, l'estenuante braccio di ferro alle Camere sulla proposta di legge del ministro L. Vokić che introduceva, sotto forma di circolare, forti restrizioni per l'accesso alle scuole gestite dalle minoranze, proposta osteggiata, oltre che dall'opposizione, dall'ala moderata della HDZ. Le tensioni politiche si intensificarono dopo l'emendamento al preambolo costituzionale, approvato il 12 dicembre 1997, là dove questo faceva riferimento alle minoranze, eliminando dall'elenco quelle slovena e musulmana. Tale scelta ebbe gravi ripercussioni interne, nonché nei rapporti tra C., Slovenia e Bosnia ed Erzegovina, e incrementò le frizioni già esistenti.
Le questioni aperte con la Slovenia riguardavano controversie monetarie, economiche e commerciali, quali la disputa relativa alla sovranità sulle acque del Golfo di Pirano (accesso della Slovenia al mare), il rifiuto da parte slovena di riconoscere i depositi monetari dei cittadini croati e il futuro della centrale nucleare di Krško. Con la Bosnia ed Erzegovina la diatriba concerneva l'utilizzo del porto croato di Ploce, accesso della Bosnia ed Erzegovina all'Adriatico, e il diritto di transito della C. attraverso Neum, piccolo villaggio bosniaco sulla costa adriatica. Anche dopo la firma di un accordo al riguardo (settembre 1998), le relazioni fra i due paesi rimasero comunque lontane da un'effettiva stabilizzazione; Tudjman aveva offerto fin dal 1992 il suo appoggio ai Croato-Bosniaci impegnati nello sforzo di creare un loro Stato e fra gli obiettivi di Zagabria rimaneva quello di assicurarsi il controllo di buona parte della Bosnia (in particolare dell'Erzegovina) per una futura costituzione della 'Grande Croazia'. Tale politica aveva tuttavia subito il contraccolpo della morte del ministro della Difesa G. Šušak, favorevole a suo tempo alla spartizione della Bosnia e all'annessione delle zone abitate dai Croato-Bosniaci alla Repubblica Croata. Ne conseguì un'accelerazione della lotta interna alla HDZ che rese ancor più profonde le incertezze che gravavano sia sul futuro delle relazioni croato-bosniache sia sugli sviluppi della politica interna croata.
In campo economico la situazione non si presentava migliore, nonostante fonti ufficiali disegnassero un quadro rassicurante delle condizioni economico-finanziarie croate. Questa posizione si scontrava, però, con quella presentata da fonti non governative che mettevano in rilievo, per es., come il processo di privatizzazione, la cui conclusione era stata annunciata dal ministro I. Penić per la fine del 1997, fosse ancora in atto nel 1998. Dopo la recessione e la guerra, l'economia era tornata a crescere grazie al settore turistico ed edile, mentre la produzione industriale rimaneva insoddisfacente. Nel 1998 le tensioni sociali aumentarono. L'introduzione, il 1° gennaio, dell'imposta sul valore aggiunto divenne uno degli argomenti di politica interna più discusso. Dure critiche furono espresse dal partito socialdemocratico e dalle associazioni dei lavoratori per l'aumentato costo della vita e per il deteriorarsi delle condizioni sociali che la nuova imposta aveva cominciato a produrre in un sistema economico claudicante. Molti gli scioperi organizzati dalle varie categorie dei lavoratori, nonostante i tentativi di dissuasione da parte del governo. Nei mesi successivi al ripristino della sovranità croata in Slavonia orientale, il 15 gennaio 1998, gli osservatori internazionali denunciarono, inoltre, l'aumentata insicurezza della comunità serba e l'inerzia della C. nel rispettare gli accordi di pace.
Nel 1999 la situazione interna del paese, già allo stremo, venne aggravata dal conflitto nel Kosovo, nei confronti del quale il presidente Tudjman non si espresse mai direttamente a favore o contro, così come per l'intervento aereo NATO contro la Iugoslavia. Tali incertezze erano determinate dall'effetto che la guerra per il Kosovo stava avendo anche sulla C., colpendo le prospettive del turismo e, quindi, la maggior fonte di risorse dell'economia. I numerosi scioperi di lavoratori e di pensionati, in attesa del pagamento di stipendi e di pensioni, i fallimenti di banche e di imprese contribuivano ad accentuare le tensioni di un paese alla vigilia di nuove consultazioni elettorali politiche.
Con la morte di Tudjman, avvenuta il 10 dicembre 1999, la C. si trovò ad affrontare sia le elezioni parlamentari previste per il gennaio 2000, sia le elezioni presidenziali dopo sessanta giorni dalla morte del presidente.
bibliografia
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