Dalmazia
Regione costiera della Penisola Balcanica sull’Adriatico, oggi divisa tra diverse repubbliche della ex Iugoslavia.
I contatti tra dalmati e greci, con insediamenti greco-illirici, per es. a Pharos (Lesina), Issa (Lissa), Tragourion (Traù), Corcyra nigra (Curzola), sono documentati da fonti letterarie e resti archeologici. L’ascesa dei dalmati si pone nel 2° sec. a.C., quando conquistarono l’egemonia sull’alto Adriatico ed entrarono in contrasto con Roma. Alla lunga serie delle cosiddette guerre dalmatiche (la prima nel 156 a.C.) pose fine la pacificazione della regione iniziata da Ottaviano e resa definitiva da Tiberio (6-9 d.C.). Diocleziano, che era dalmata, divise la regione in Dalmatia (capitale Salona) e Praevalitana (capitale Scodra). Con la divisione dell’impero, la Dalmatia restò all’Occidente, mentre la Praevalitana passò all’Oriente.
La D. passò quindi a Odoacre (sino al 490 circa) e ai goti di Teodorico, e solo con la restaurazione giustinianea si aprì per essa un periodo di pace e di benessere. In principio, sotto i bizantini la D. rappresentò il posto avanzato dell’impero verso Occidente, ma in seguito le città marinare della D., in pratica abbandonate a sé stesse da Bisanzio, trovarono in Venezia aiuto contro i pirati slavi e narentani. Nel 1000 il doge Pietro Orseolo II assunse il titolo di doge di D. (Dalmatiae dux). Dal sec. 12° ai primi del 15° Venezia e l’Ungheria si contesero il possesso della D., fino a quando nel 1409 Venezia, contro pagamento di 100.000 ducati, ottenne da Ladislao, re di Napoli e di Ungheria, la cessione di tutti i suoi diritti sulla Dalmazia. Allora Venezia attuò la riorganizzazione amministrativa della D., dove scomparve il comune per fare posto ad amministrazioni cittadine rette da un capitano o conte inviato da Venezia. La Serenissima fu duramente impegnata nei secoli che seguirono a difendere i propri possessi di D. dall’espansione turca, ma alla caduta della Repubblica di Venezia nel (1797) la D. passò in mani austriache. Dal 1806 al 1809 entrò a far parte del regno d’Italia, per poi inserirsi dal 1809 al 1813 nelle Province illiriche; tornò all’Austria nel 1814. L’esplosione rivoluzionaria del 1848-49, se vide i dalmato-veneti partecipi della vicenda italiana, incoraggiò anche i dalmato-croati, guidati dal bano Jelačić e appoggiati da Vienna. Contro l’elemento conservatore e austriacante, e contro i cosiddetti «marcolini» auspicanti un ritorno della Repubblica di Venezia, le correnti liberali e democratiche di italiani e slavi meridionali trovarono un punto d’incontro nell’Unione liberale di A. Baiamonti. Tuttavia fra l’elemento dalmato-italiano, composto essenzialmente di borghesia urbana, e quello dalmato-croato, quasi esclusivamente contadino e di gran lunga più numeroso, maturavano seri motivi di contrasto. La guerra del 1859, l’impresa garibaldina e l’unificazione italiana riproposero il problema del confine fra italiani e iugoslavi. In seguito alle riforme costituzionali austriache del 1860-61 (che diedero vita al Reichsrat bicamerale e alle Diete provinciali), in D. alla Dieta provinciale di Zara le elezioni inviarono 29 dalmato-italiani e 12 dalmato-croati, grazie alla legge elettorale che era favorevole alla borghesia cittadina. Ne derivò un gravissimo elemento di contrasto, che doveva segnare la fine della felice simbiosi italo-slava in Dalmazia. Si consolidarono dunque due movimenti politico-nazionali, quello degli «autonomi», prevalentemente composto di italiani, facenti capo a N. Tommaseo e a Baiamonti, che rivendicavano l’individualità e l’autonomia della D., e l’altro degli «annessionisti», che avevano come organo di battaglia Il Nazionale di Zara ed erano favorevoli a un’unione della D. alla Croazia. Da allora la lotta politica si svolse in D. su questo tema, con acceso contrasto per la conquista delle amministrazioni locali. Gli «unionisti» croati, dopo la trasformazione dell’Austria-Ungheria in monarchia costituzionale, si posero su un piano di stretto lealismo asburgico, ed ebbero buon gioco presso Vienna nell’accusare di separatismo la classe dirigente dalmato-italiana, il cui principale punto debole stava nel contrasto fra la borghesia cittadina, proprietaria terriera, e le masse rurali slave. Nel 1882, con l’appoggio dell’Austria, cadeva l’amministrazione italiana di Spalato; con la città occupata militarmente, le elezioni diedero i risultati voluti dal governo e dai dalmato-croati: 28 seggi agli unionisti e 8 al partito degli autonomi, mentre già dal 1880 erano state soppresse le scuole italiane e a poco a poco gli italiani venivano esclusi da tutte le amministrazioni. Nel 1909 la lingua italiana fu proibita in tutti gli uffici dello Stato. Mossi dall’esigenza di rimanere italiani e non essere del tutto annientati culturalmente, A. Cippico, R. Ghiglianovich, B. Dudani e altri diedero un fondamento nazionale alla politica di Sonnino, mentre il Patto di Londra (1915) assicurava all’Italia il controllo di larga parte della Dalmazia. Tale esito fu ribaltato dal Trattato di Rapallo (1920), che assegnò la D. alla Iugoslavia, a eccezione di Zara e delle isole del Quarnaro. In D. intanto si accendeva un conflitto tra il nazionalismo italiano e quello iugoslavo, destinato ad acuirsi a causa della politica antislava del regime fascista. In seguito all’attacco tedesco alla Iugoslavia (aprile 1941), l’Italia occupò la D., istituendovi un governatorato e creando un clima di terrore col regime militare del generale M. Roatta. La D. fu dunque in parte annessa al regno d’Italia e in parte all’effimero Stato croato indipendente. Dopo l’8 settembre 1943, fu prima annessa dallo Stato ustascia croato, quindi liberata dai partigiani guidati da Tito (dic. 1944). Con la nascita della Repubblica socialista federale iugoslava (1946), la maggior parte della D. fu inclusa nella Repubblica di Croazia, della quale ha seguito le sorti anche dopo la secessione dalla Iugoslavia nel 1991, rimanendo divisa tra Croazia, Montenegro e, per un breve tratto, Bosnia Erzegovina.