Damaso II
Tirolese di origine ("natione Noricus, qui alio vocabulo Baguurarius dicitur", scrive di lui l'anonimo autore della brevissima biografia di questo papa inserita nel Liber pontificalis), Poppone nacque tra la fine del sec. X e gli inizi del sec. XI, si ignora esattamente in quale anno, da famiglia nobile o comunque di un certo rango: le fonti lo mostrano infatti strettamente legato alla casa di Franconia ed alla persona del re dei Romani Enrico III (1039-1056). Non si conosce il nome dei suoi genitori; non si sa quando egli abbia abbracciato la vita ecclesiastica, né in seno a quale Chiesa egli abbia compiuto la sua carriera sacerdotale percorrendone tutti i gradi, sino all'ordinazione episcopale. Tra il 30 gennaio 1039 ed i primi dell'anno seguente succedette nella sede episcopale di Bressanone-Sabiona, in Alto Adige, al vescovo Hartwig (1027-30 gennaio 1039): i primi documenti noti relativi a Poppone, che sono del gennaio del 1040, lo qualificano infatti già come "Sancte Brixinensis Ecclesie episcopus" o come "Sebonensis episcopus".
Nel gennaio del 1040 Poppone si trovava ad Augusta, presso la corte di Enrico III, dal quale ottenne, insieme con altre concessioni fatte a lui personalmente ed alla sua Chiesa, la conferma dei beni e dei diritti feudali di cui aveva sin'allora goduto la Chiesa di Bressanone-Sabiona, come appare da tre diplomi sovrani datati il 16 di quello stesso mese. Nel primo di essi (Die Urkunden des Brixner, nr. 20), Enrico III dichiara di aver donato al vescovo di Bressanone Poppone ed ai suoi successori "quoddam nostri iuris predium" nella Marca di Carniola, situato tra il fiume Bistrika (un affluente di sinistra della Sava, nella Slovenia nordoccidentale) e la corte di Veldes; e inoltre la foresta di Leschack ("silva, que Leschac nuncupatur"). Nel secondo diploma (ibid., nr. 21), il re testimonia di aver confermato a Poppone ed alla sua Chiesa, su richiesta dello stesso presule, le donazioni fatte da suo padre e tutti i privilegi e le proprietà, "quas ipsa Ecclesia usque nunc visa est possidere": l'abbazia di Dissentis (allo sbocco dei passi del Lucomagno e dell'Oberalp, nel Cantone dei Grigioni a qualche distanza da Coira, in Svizzera), il "comitatum situm in valle Enica ab eo termino, qui Tridentinum a Brixenense dividit episcopatum" (cioè la Contea che comprendeva le alte valli dell'Inn e dell'Adige), e inoltre la città, le dogane, le riserve di caccia di Chiusa (Klausen), il centro alla confluenza del Tina nell'Isarco "sub Sabione", sotto lo sperone roccioso su cui si trovavano l'abitato romano e l'antica sede episcopale di Sabiona. Nel terzo documento (ibid., nr. 22), Enrico III dichiara di avere donato al vescovo di Bressanone Poppone "quendam nostri iuris saltum" nella Marca di Carniola, delimitato dai due rami sorgentiferi della Sava dalle loro origini sino alla loro confluenza, "saltum", sottolinea il sovrano, che "forestavimus, et banni nostri districtu circumvallavimus" e che, da allora in poi, avrebbe dovuto costituire una riserva di caccia e di pesca dei vescovi di Bressanone.
L'amichevole consuetudine e la collaborazione tra il vescovo ed il sovrano dovettero continuare anche negli anni successivi. Il quarto documento noto, nel quale si fa il nome di Poppone, infatti, mostra quest'ultimo sempre al seguito del re dei Romani e sempre attivo entro l'ambito della corte francone. Il luogo, in cui tale documento venne rilasciato (Pöchlarn, nell'Austria inferiore), l'epoca (fine estate del 1043), il fatto che Poppone vi venga definito dal sovrano "fidelis Nostri", l'ampiezza e il tipo dei privilegi concessi (l'immunità fiscale e giurisdizionale per tutti i Tirolesi di condizione libera soggetti alla Chiesa di Bressanone residenti a nord e a sud del passo del Brennero) rendono inoltre lecito ritenere che il presule fosse uomo di fiducia di Enrico III, che avesse partecipato alla campagna del 1041 contro Vratislao duca di Boemia, e che stesse allora collaborando attivamente alla preparazione della campagna contro il re d'Ungheria Pietro.
Il documento in questione, una "liberalis institutio", è datato 11 settembre 1043, da Pöchlarn. In esso Enrico III dichiara di aver disposto, "ob amorem et petitionem" dello stesso Poppone "Sebonensis episcopus" e del marchese di Landsberg (Alta Baviera) Eckart, "ut omnes liberi in Valle Norica residentes ad episcopatum prenominati episcopi pertinentes nulli censum aut vectigalia persolvant, aut aliquo publico districtui subiaceant". Con la locuzione "valle Norica" si indicavano l'attuale Wipptal nel Tirolo austriaco (cioè la valle del Sill, il fiume che, nascendo dal Brennero, confluisce nell'Inn ad Innsbruck) e l'alta valle dell'Isarco, tra il Brennero e Bressanone, nell'Alto Adige.
Del resto, in quanto vescovo di Bressanone, Poppone era titolare di uno dei complessi feudali più ragguardevoli del Regno per importanza strategica. Esso, infatti, comprendeva allora, al di qua delle Alpi, l'intero bacino dell'Isarco sino a Chiusa nell'Alto Adige, la Val di Fassa nel Trentino, la Valle di Livinallongo nell'alto Bellunese, le sorgenti della Drava; ed oltre lo spartiacque alpino, parte dell'alta valle del Reno nel Grigioni svizzero, la valle dell'Inn sino allo Ziller, e infine, nella Carniola slovena, il territorio montuoso che culmina col monte Tricorno ed è compreso tra i corsi della Dolinka Sava e della Bohinjska Sava. Controllava dunque, con le vie d'accesso all'Italia del Nord attraverso le Alpi centrali ed orientali, anche gli itinerari del traffico transalpino dal medio corso del Danubio e dalla Baviera verso la pianura padano-veneta e verso Bregenz ed il lago di Costanza. E con i grandi del Regno il vescovo Poppone accompagnò Enrico III, quando questi discese in Italia nell'autunno del 1046: il 25 di ottobre partecipò al sinodo di Pavia convocato dal sovrano, nel corso del quale furono discusse questioni riguardanti la riforma della Chiesa e fu solennemente condannata la simonia. Col re fu quindi a Piacenza, a Lucca, a Sutri e a Roma, dove giunse il 23 dicembre.
Non si conosce, per il silenzio delle fonti note, la posizione da lui assunta nei confronti del problema suscitato dalla presenza contemporanea di tre pontefici, che si disputavano il soglio di Pietro e che erano stati i protagonisti delle tempestose vicende romane tra il 1044 ed il 1046: Benedetto IX, Silvestro III e Gregorio VI. Forse fece proprio l'atteggiamento del suo sovrano, che in un primo tempo aveva riconosciuto come valida l'elezione di Gregorio VI, ma che poi, di fronte alle gravi perplessità di natura canonica sollevate dal modo con cui essa era avvenuta, aveva deciso di ritornare sulle sue conclusioni. Certo è, ad ogni modo, che Poppone, dal momento in cui entrò in Italia, appoggiò l'azione di politica religiosa portata avanti con estrema fermezza da Enrico III.
Del problema dei tre pontefici si era già discusso a Pavia; a Parma erano stati presi contatti con Gregorio VI: probabilmente con l'approvazione di quest'ultimo, il re dei Romani aveva potuto convocare un secondo sinodo a Sutri, dinanzi al quale si sarebbero dovuti presentare Benedetto IX, Silvestro III e lo stesso Gregorio VI, per rispondere dell'accusa di simonia che era stata sollevata contro di loro. Il 20 dicembre 1046, quando il sinodo fu celebrato, nella cittadina laziale era giunto, dei tre pontefici, il solo Gregorio VI, che fu costretto dalle pressioni esercitate dal re e dai padri sinodali a riconoscersi colpevole e ad abdicare. Quanto a Silvestro III, fu dichiarato deposto. Un nuovo sinodo, tenutosi a Roma il 24 dicembre, decretò la decadenza di Benedetto IX ed elesse al soglio di Pietro il vescovo di Bamberga Suidger Morsleben von Horneburg, uomo di fiducia e candidato di Enrico III. Suidger fu consacrato vescovo di Roma col nome di Clemente II, e subito incoronò imperatore il sovrano francone.
Ai primi dell'anno 1047 Poppone partecipò al sinodo convocato in Roma da papa Clemente II per discutere la riforma ecclesiastica, sinodo che, celebrato il 5 di gennaio, promulgò un decreto contro i simoniaci. Nel corso di quella assise il vescovo di Bressanone ottenne dall'imperatore e dal papa, per l'arcivescovo di Ravenna Umfredo, documenti di conferma dell'antico privilegio - contestato dal patriarca di Aquileia e dall'arcivescovo di Milano - di occupare "nisi imperator assit" il posto d'onore alla destra del pontefice. Non sappiamo, per il silenzio delle fonti a noi note, se abbia poi accompagnato - come sembra probabile - l'imperatore e il papa nella spedizione in Italia meridionale, dove Enrico III si proponeva di far riconoscere la propria alta sovranità sia agli eredi degli antichi dinasti longobardi, sia ai capi normanni. Certo si trovava con il suo sovrano quando questi, nella primavera di quello stesso anno, mosse per far ritorno in Germania, dopo aver rinunziato a piegare la resistenza dei Beneventani.
La prematura scomparsa di Clemente II, morto improvvisamente presso Pesaro il 9 ottobre 1047, non solo provocò il ridestarsi dei conflitti di potere tra le fazioni romane, ma fornì un più ampio spazio di manovra alla dissidenza antimperiale in Italia ed in Germania. Gli avversari di Enrico III colsero infatti questo evento inatteso per cercare di rompere il rapporto di tutela che legava la Sede apostolica al potere imperiale e che era stato instaurato appunto dal sovrano francone nell'anno precedente. In Italia il marchese di Canossa Bonifacio, uno dei maggiori feudatari italiani dell'Impero, si accordò con i conti di Tuscolo, il cui soffocante controllo sul sommo pontificato era stato finalmente rimosso, dopo trent'anni, dalla politica ecclesiastica avviata dal nuovo imperatore. Grazie all'appoggio di Bonifacio il deposto Benedetto IX, la cui presenza nell'Urbe è testimoniata a partire dal 1° di novembre, poté far ritorno in Roma e sul soglio di Pietro. D'accordo, con ogni probabilità, con Bonifacio, il principe Guaimario di Salerno attaccò in quel medesimo torno di tempo Capua, che gli era stata strappata l'anno avanti da Enrico III. In Germania si acuì la rivolta aperta, che ardeva fin dall'estate e che aveva uno dei suoi più ragguardevoli esponenti in Goffredo I il Barbuto duca dell'Alta Lorena, unito da legami di parentela alla moglie dello stesso Bonifacio di Canossa.
I rapporti di amichevole consuetudine e di costante collaborazione, che legavano Poppone ad Enrico III, spiegano come mai quest'ultimo, nel Natale di quello stesso anno 1047, abbia potuto indicare proprio nel vescovo di Bressanone il successore di Clemente II ad una delegazione romana, che si era recata presso di lui a Pöhlde, nella Sassonia, per fornirgli ragguagli sulla situazione romana, tornata critica dopo la restaurazione di Benedetto IX, e per sollecitare un suo autorevole intervento, che valesse a rimettere ordine all'interno della Chiesa e dell'Urbe. Designando il futuro pontefice, Enrico III non aveva compiuto un atto illegittimo: aveva infatti agito in forza dei diritti che gli derivavano dal fatto di essere imperatore e "patricius Romanorum". Informato di essere stato proposto al soglio pontificio, Poppone raggiunse immediatamente la corte imperiale. Il 25 gennaio 1048 si trovava infatti ad Ulma, dove Enrico III fece a lui, in quanto vescovo di Bressanone, una nuova, ampia donazione, concedendogli in Val Pusteria (Pustertal) un'estesa riserva di caccia, che costituì con terre sottratte alla giurisdizione del conte locale, Sigefredo: la Valle di Tures (Tauferstal), la Valle Aurina (Ahrntal), la Val Predoi, l'alta Val Pusteria tra Brunico (Bruneck) e Monguelfo (Wels-berg), la valle di Casiesi. Nel diploma relativo, il sovrano non definisce Poppone "vescovo eletto di Roma", ma lo indica solo come vescovo di Bressanone. Lo qualifica tuttavia "Nostri fidelis", e sottolinea di essere stato indotto a compiere il suo atto di liberalità anche per ricompensare il presule della sua preziosa collaborazione: "ob petitionem et servitium Nostri fidelis et dilecti Brixenensis Ecclesiae episcopi".
Il diploma definiva con precisione i confini della riserva: i bacini del Rionero e del Riobianco, affluenti di destra del torrente Aurino, lo stesso torrente Aurino, lo spartiacque alpino, il bacino del Rio Pudia e del Rio Casìes, la Rienza dalla confluenza del Casìes sino a quella col torrente Aurino. Tale donazione consolidava dunque, in vista dei futuri impegni ecclesiastici e politici, il peso e la forza anche economici del pontefice designato, la cui signoria temporale veniva in tal modo estesa su buona parte della Val Pusteria.
Messosi in viaggio per l'Italia, Poppone, secondo le direttive ricevute, raggiunse Bonifacio di Canossa e gli chiese, a nome dell'imperatore, di essere scortato a Roma, dove avrebbe assunto la dignità pontificia. Il marchese si rifiutò di collaborare con lui, in quanto, sostenne, "Romani reduxerunt papam: et potestatem, quam prius habuit, recepit et omnes pacificavit in se" (così riferiscono gli Annales Romani). Non avendo con sé forze sufficienti ed autorità bastevole per imporsi e superare l'ostacolo, Poppone dovette acconciarsi a riprendere la via della Germania, senza aver potuto prendere possesso della sua legittima sede. Solo quando Enrico III ebbe preso duramente posizione nei confronti del riottoso feudatario minacciando un intervento militare in Italia, se i suoi ordini non fossero stati eseguiti, rientrò nella penisola. Questa volta fu accolto degnamente e trovò appoggio e collaborazione: Bonifacio si affrettò infatti ad imporre la sua autorità a Roma "per suum legatum", che esautorò ed espulse dalla città Benedetto IX, preparando così l'avvento del pontefice eletto.
Ciò che aveva indotto il marchese di Canossa ad abbandonare la linea politica di confronto diretto con l'Impero e ad ottemperare - sia pure a malincuore - alle direttive del suo sovrano, erano stati con ogni probabilità una realistica analisi delle obiettive possibilità di manovra che gli sarebbero rimaste nel caso in cui si fosse verificata effettivamente l'azione militare minacciata da Enrico III; la consapevolezza della scarsa consistenza degli appoggi locali, sui quali avrebbe in una simile eventualità potuto contare - in ultima analisi, solo sui conti di Tuscolo, dopo l'accordo intercorso tra Guaimario di Salerno e Pandolfo di Capua -; e, infine, fondati timori circa la solidità della sua stessa signoria al di qua e al di là dell'Appennino.
Senza incontrare opposizioni, Poppone fece il suo solenne ingresso in Roma ai primi di luglio del 1048, scortato dal marchese di Canossa. Il 17, ottava domenica dopo la Pentecoste, nella basilica di S. Pietro venne consacrato papa col nome di Damaso II.
Si ignora quale atteggiamento avesse assunto D., quando era soltanto vescovo di Bressanone, nei confronti della dibattuta e sofferta questione della riforma ecclesiastica. Si può tuttavia ritenere che, come gli altri papi eletti su designazione di Enrico III, egli fosse uomo di austeri costumi, sollecito dei veri interessi della Chiesa, e che avesse dato prova di possedere qualità morali superiori. Il suo compito si presentava in ogni caso difficile, perché l'opera di rinnovamento spirituale, che si voleva promuovere, avrebbe dovuto accordarsi in qualche modo con il ruolo di garante della stabilità interna dell'Impero, specie in una zona cronicamente nevralgica quale era allora l'Italia meridionale, ruolo che proprio Enrico III assegnava al papato in campo politico. Il nuovo pontefice, tuttavia, non fece a tempo a dar prova di sé.
Dopo appena ventiquattro giorni di pontificato, infatti, morì improvvisamente a Palestrina, il 9 di agosto, stroncato forse, come il suo predecessore immediato, dalla malaria. La voce comune, raccolta da Bennone, parlò (come spesso avveniva a quei tempi in occasione di scomparse improvvise di personalità in vista) di avvelenamento.
Il corpo del pontefice venne inumato nella basilica romana di S. Lorenzo fuori le Mura. Sotto il portico dell'attuale facciata di questa chiesa si trova un sarcofago di età tardo antica, con scene di vendemmia, nel quale una tradizione, che risulta già affermata nel sec. XVI, indica il sepolcro di papa Damaso II.
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