Demografia
La demografia è la scienza che studia tutto ciò che concerne la popolazione. Secondo una definizione demografica, una popolazione è un insieme di individui che condividono specifiche caratteristiche in un determinato momento o periodo temporale. Esempi tipici di popolazione fanno riferimento a un'area delimitata dal punto di vista politico-amministrativo o geografico (per es., la popolazione residente in Italia al 1° gennaio 2006); oppure, meno frequentemente ma con uno sviluppo importante negli ultimi decenni, entro un'area delimitata si definisce 'popolazione' un insieme di individui che condividono una condizione o stato (per es., la popolazione degli studenti iscritti all'università in Italia al 1° gennaio 2006). La demografia studia come e perché una o più popolazioni evolvano nel tempo dal punto di vista quantitativo, mediante ingressi e uscite di individui. In assenza di ulteriori specificazioni, la demografia si occupa dello studio di popolazioni umane; i metodi e le tecniche demografiche trovano applicazione anche nello studio di popolazioni animali o vegetali, o di popolazioni di organizzazioni (demografia delle organizzazioni).
Le componenti tipiche della dinamica delle popolazioni umane sono gli ingressi (nascite e immigrazioni) e le uscite (decessi ed emigrazioni). L'identità contabile di base della demografia, o 'equazione della popolazione', indica che la popolazione a un tempo t, P(t), si ottiene a partire dalla popolazione al tempo 0, P(0), aggiungendo le nascite e le immigrazioni che avvengono tra 0 e t [rispettivamente N(0,t) e I(0,t)] e sottraendo i decessi e le emigrazioni che avvengono tra 0 e t [rispettivamente D(0,t) e E(0,t)]: P(t) 5 P(0) 1 N(0,t) 1 I(0,t) 2 D(0,t) 2 E(0,t). Nell'ipotesi in cui siano assenti i flussi migratori, la dinamica dipende solamente dalle nascite e dai decessi: si tratta del caso di una popolazione chiusa, il cui esempio più semplice è quello degli abitanti della Terra. Proprio per il ruolo determinante nella dinamica delle popolazioni, la nascita, l'immigrazione, il decesso e l'emigrazione sono considerati gli eventi demografici per eccellenza, e in quanto tali costituiscono oggetti primari di analisi per i demografi.
Ci sono, però, altri eventi che vengono studiati in demografia, tra i quali possiamo annoverare il matrimonio e la convivenza, il divorzio, la vedovanza e lo scioglimento di unioni non coniugali, la compromissione dello stato di salute, il primo rapporto sessuale e l'autonomia residenziale dalla famiglia dei genitori.
La nascita della demografia come scienza è associata al contributo di diversi autori a cavallo tra il XVII e il XVIII sec. John Graunt nel 1662, partendo dai registri sui decessi della città di Londra, pubblica un volume che costituisce l'origine dell'approccio formale allo studio degli eventi demografici. Nel 1683, William Petty con un approccio pionieristico illustra l'importanza dell'applicazione del metodo quantitativo alle scienze sociali e promuove l'enumerazione delle famiglie per lo studio delle popolazioni urbane. Nel XVIII sec. studiosi appartenenti a diversi Paesi europei contribuiscono a sistematizzare dal punto di vista formale la demografia: tra essi, Leonhard Euler e Johann Peter Süssmilch. Il secolo si chiude con la pubblicazione, nel 1798, del saggio di Thomas Malthus, contenente un'analisi del legame tra dinamica della popolazione e risorse, che avrà un impatto fondamentale nello sviluppo del pensiero scientifico.
I metodi e le tecniche utilizzati dalla demografia hanno condotto allo sviluppo di un nocciolo duro di conoscenze sulla effettiva dinamica delle popolazioni. Sappiamo, per esempio, che la popolazione mondiale, che ha raggiunto i 6,5 miliardi nel corso del 2006, è cresciuta con una velocità elevatissima a partire dal 1800 (con una popolazione stimata attorno a 954 milioni di abitanti) e soprattutto dal 1900 (1,6 miliardi di abitanti). Il paradigma interpretativo principale della demografia mette al centro il concetto di 'transizione demografica', nozione proposta attorno agli anni 1940-1950 da Frank Notestein. In generale, una transizione demografica è un passaggio da una situazione di equilibrio, caratterizzato da una crescita sostanzialmente stabile della popolazione, dovuta a una specifica combinazione di natalità, mortalità e (con un ruolo sovente meno centrale) movimenti migratori, a una nuova situazione di equilibrio. Anche se sono esistite più fasi storiche con queste caratteristiche, la transizione demografica per eccellenza è un passaggio che è iniziato in gran parte dei Paesi europei nel corso del XIX sec., e nel resto del mondo nel corso del XX secolo.
In seguito alla transizione demografica, da una situazione pretransizionale di crescita a ritmi bassi, esito della combinazione di livelli di natalità e mortalità entrambi elevati, si passa a una situazione post-transizionale di crescita, sempre a tassi vicini allo zero, esito della combinazione di livelli di natalità e mortalità entrambi bassi se comparati con quelli precedenti. Durante il periodo transizionale la mortalità cala, salvo rare eccezioni, prima della natalità e, di conseguenza, il passaggio da un equilibrio all'altro viene ottenuto attraverso un importante aumento del tasso di crescita della popolazione; successivamente, inizia anche il calo della fecondità. L'esito del processo di transizione demografica è dunque una moltiplicazione della popolazione iniziale, tanto più importante quanto più è lunga la fase transizionale e quanto più sfasati sono il calo della mortalità e quello della natalità, mitigata dalla diffusa scelta di emigrare compiuta dai 'figli della transizione demografica'.
Lo schema della transizione demografica è particolarmente adatto a inquadrare l'impressionante crescita della popolazione mondiale a partire dal 1800 e per questo costituisce un vero e proprio paradigma teorico per la demografia. Secondo l'interpretazione di Massimo Livi Bacci, la transizione demografica costituisce un passaggio dalla dispersione all'efficienza e dal disordine all'ordine. Nell'equilibrio post-transizionale una crescita ridotta o nulla si registra in modo più 'efficiente', senza sprecare quelle risorse umane che venivano sacrificate agli elevati livelli di mortalità infantile durante il periodo pretransizionale. La situazione pretransizionale è inoltre 'disordinata' dal punto di vista del 'naturale' ordine di precedenza tra generazioni: è alta la probabilità che un figlio muoia prima del genitore o un nipote prima del nonno. La transizione demografica conduce a una situazione in cui emerge un ordine più naturale e per gli individui e le famiglie è possibile guardare al futuro anche in tal senso.
Alla transizione demografica è associato anche il concetto di 'transizione epidemiologica', analizzato nel 1971 da Abdel Omran. Si tratta della descrizione delle fasi transizionali attraverso il tipo di cause di morte prevalente. L'era pretransizionale è quella 'delle pestilenze e delle carestie', con una mortalità elevata e fluttuante (speranza di vita alla nascita compresa tra 20 e 40 anni ca.) e una componente importante di cause di morte infettive. Si tratta della situazione che Thomas R. Malthus ha di fronte a sé quando teorizza la criticità del legame popolazione-risorse; proprio le pandemie e le carestie, insieme alle guerre, sono i freni positivi malthusiani, che intervengono nei momenti di eccessivo sfruttamento delle risorse. Solo la scelta di mettere in azione freni preventivi, rinviando o rinunciando al matrimonio e rallentando dunque la crescita della popolazione, permette, nello schema malthusiano, di evitare che i freni positivi colpiscano. Durante la transizione demografica, la seconda fase della transizione epidemiologica vede un progressivo declino della mortalità collegato anche alla rarefazione delle epidemie; la speranza di vita alla nascita sale fino a 50 anni. La terza fase della transizione epidemiologica secondo Omran è successiva alla transizione demografica e vede una stabilizzazione della mortalità con l'emergere delle cause di morte di tipo 'degenerativo e causato dall'uomo' e l'ulteriore aumento della speranza di vita alla nascita.
La grande crescita della popolazione conseguente alla transizione demografica contribuisce ad attirare l'attenzione da parte dei governi e delle istituzioni internazionali. Viene organizzata una serie di conferenze internazionali su popolazione e sviluppo: Bucarest (1974), Città di Messico (1984), Il Cairo (1994). Se a Bucarest i Paesi del blocco comunista sostengono la teoria secondo cui il miglior contraccettivo è lo sviluppo, nelle conferenze seguenti si sviluppa l'idea che promuovere la pianificazione familiare possa essere vantaggioso sia per le coppie, che possono scegliere liberamente quanti figli avere e quando, sia per le società nel loro complesso, poiché la crescita veloce della popolazione costituisce un ostacolo per lo sviluppo economico. Politiche esplicitamente coercitive di riduzione della fecondità sono adottate dalla Cina: a partire dal 1979 si impone il limite di un solo figlio per coppia, con alcune eccezioni. Durante la Conferenza del Cairo, il concetto di salute sessuale e riproduttiva viene posto al centro del dibattito politico sulla popolazione: la promozione dei diritti individuali prevale rispetto alla discussione generale sulle possibili conseguenze negative della crescita della popolazione.
È ormai chiaro che il concetto di transizione demografica costituisce un idealtipo che è tanto più critico quanto più ci si avvicina all'attualità. Per quanto concerne la fecondità, lo schema prevede una stabilizzazione attorno al livello di sostituzione. Ebbene negli anni Settanta per la prima volta alcuni Paesi europei sperimentano livelli di fecondità sotto il livello di sostituzione. Ron Lesthaeghe e Dirk van de Kaa promuovono l'idea che esista una seconda transizione demografica, che si diffonderebbe a partire dall'Europa nord-occidentale, con l'affermazione di un modello di scelte di comportamento demografico libero da pressioni normative esterne, secolarizzato e focalizzato sull'autonomia individuale. Il rinvio delle scelte irreversibili, come quella di diventare genitore, l'espansione delle unioni non coniugali, la scelta di vivere da soli, l'aumento dell'instabilità dei matrimoni sono caratteristiche collegate all'idea di seconda transizione demografica. Ma è attorno agli anni Novanta che diventa evidente, prima nei Paesi dell'Europa meridionale, poi in alcuni Paesi ex comunisti e ancora in alcuni Paesi del Sud-Est asiatico, che il livello di sostituzione non costituisce necessariamente il naturale punto di arrivo del processo. Si registrano livelli di fecondità stabilmente bassi mai sperimentati in precedenza; la bassissima fecondità (lowest-low fertility), con un tasso di fecondità totale inferiore a 1,3 figli per donna, emerge in Italia e Spagna nel 1992. A questi livelli di fecondità, la riproduzione delle popolazioni non è possibile, malgrado la veloce espansione dell'immigrazione. In alcune nazioni e regioni si osservano livelli attorno a un figlio per donna, che, se mantenuti costanti e in assenza di migrazioni, portano al dimezzamento della popolazione nel passaggio dalla generazione dei genitori a quella dei figli.
Anche la dinamica post-transizionale della mortalità riserva importanti sorprese, positive ma anche negative. Jay Olshansky e Brian Ault propongono di aggiungere una quarta fase allo schema tripartito di transizione epidemiologica proposto da Omran: la fase delle 'malattie degenerative rinviate'. La prevenzione porta al rinvio di decessi causati da malattie cardiovascolari e, in parte, da tumori. La speranza di vita alla nascita raggiunge, attorno alla metà degli anni Novanta in Giappone, gli 85 anni. D'altra parte, le epidemie non sono scomparse. In particolare, l'emergere dell'epidemia di HIV-AIDS nei primi anni Ottanta segnala come i progressi nella longevità, tipici della transizione demografica, non siano necessariamente irreversibili e come la lotta contro le epidemie non sia conclusa definitivamente in seguito alla transizione demografica. Nel primo ventennio dell'epidemia di HIV-AIDS, l'Africa subsahariana è l'area più colpita, con livelli di prevalenza del virus che superano l'8% della popolazione adulta all'inizio del XXI secolo. In Botswana, la speranza di vita crolla da livelli superiori a 60 anni nella seconda metà degli anni Ottanta a livelli compresi tra 35 e 40 anni all'inizio del terzo millennio. In altri casi le crisi sociali conducono a importanti regressi nella mortalità: paradigmatico è il caso della Russia, in particolare degli uomini: il livello di speranza di vita nel 2000 (59 anni) è inferiore a quello di 60 anni raggiunto nel 1955-1956.
I metodi e le tecniche tradizionali della demografia e gli schemi teorici basati su di essi prendono le mosse da informazioni di tipo aggregato, usualmente provenienti da fonti ufficiali di stato o di movimento. Lo sviluppo delle indagini demografiche (indagini campionarie sui comportamenti demografici), la diffusione di generalizzazioni delle tavole di sopravvivenza, facilmente utilizzabili grazie ai progressi dell'informatica, e la sempre più feconda interazione tra demografia e altre discipline sociali (in particolare, sociologia ed economia) conducono, a partire dagli anni Ottanta, a un rinnovamento metodologico e tecnico basato sull'analisi delle scelte demografiche individuali. Tale rinnovamento è dovuto anche alla necessità, per la disciplina, di spiegare scelte demografiche complesse ed eterogenee come quelle osservate nelle società attuali. Le indagini demografiche utilizzano le metodologie proprie delle indagini campionarie per studiare i comportamenti demografici, partendo da informazioni individuali raccolte mediante intervista.
Oggetto dell'intervista è in particolare la sperimentazione degli eventi relativi alla fecondità e alla dinamica familiare (formazione e scioglimento delle unioni) o migratoria. Pascal Whelpton, a partire dal 1946, introduce l'utilizzo delle indagini campionarie per lo studio della fecondità. Le indagini demografiche diventano parte del cuore della disciplina a partire dal progetto denominato World fertility survey (WFS). Tra il 1973 e il 1984, in sessantasei Paesi vengono condotte indagini caratterizzate da un contenuto comparabile, che contemplano tra l'altro una dettagliata ricostruzione retrospettiva relativa a fecondità, formazione delle unioni, mortalità infantile. Successivamente, la ricostruzione retrospettiva viene utilizzata in diversi progetti sia internazionali sia nazionali, fino a diventare la tecnica di raccolta dati principale per la spiegazione dei comportamenti demografici diversi dalla mortalità. Le Demographic and health surveys (DHS) forniscono, utilizzando la ricostruzione retrospettiva e l'osservazione trasversale, le principali informazioni sulla dinamica della popolazione e sullo stato di salute in gran parte dei Paesi in via di sviluppo all'inizio del XXI secolo. Nello stesso periodo, si diffondono le indagini longitudinali, che raccolgono informazioni sugli stessi individui e/o famiglie nel corso del tempo, in alcuni casi (studi di coorte) addirittura a partire dalla nascita.
La costruzione di tavole di sopravvivenza, tecnica centrale della demografia almeno a partire da Graunt, viene estesa ai dati provenienti da indagini campionarie, e non solamente in ambito demografico. Particolare impatto ha lo sviluppo dell'informatica, che consente di stimare in modo agevole le funzioni tipiche delle tavole di sopravvivenza a partire da informazioni individuali. Un lavoro di David Cox pubblicato nel 1972 dà inizio a una veloce diffusione dei modelli di regressione applicati a dati relativi alla sopravvivenza; il modello di regressione di Cox trova ampie possibilità di applicazione nelle nuove indagini demografiche, come la WFS. I contributi statistico-metodologici stimolano in seguito e in modo costante a innovare l'analisi delle scelte demografiche a partire da informazioni individuali, anche unite a informazioni macro nell'approccio cosiddetto 'multilivello': l'analisi delle biografie, o event-history analysis, diviene il cuore tecnico della microdemografia.
Parallelamente allo sviluppo delle fonti e delle tecniche di analisi 'micro', alcuni risultati in discipline sociali contigue hanno avuto un forte impatto sulla demografia. L'approccio del corso di vita, un programma interdisciplinare di studi che si sviluppa soprattutto in ambito sociologico a partire dagli anni Sessanta, pone gli eventi demografici e, appunto, i corsi di vita, esito della successione di tali eventi, come fattori primari per lo studio della dinamica sociale. Secondo tale approccio i fattori che spiegano in modo primario i corsi di vita di un individuo 'ego' sono di tre ordini: (a) la collocazione geografico-temporale, e dunque i fattori 'macro' condivisi con gli appartenenti a una specifica popolazione, riconducibili alla dimensione 'periodo' dell'analisi demografica tradizionale; (b) lo sviluppo individuale, contenente le scelte effettuate da ego e le traiettorie (anche biologicamente determinate) di sviluppo, riconducibili all'età; (c) i fattori legati alla rete sociale o familiare, ovvero l'intersezione con i corsi di vita di individui che per ego sono particolarmente rilevanti (riconducibili alla dimensione di coorte come gruppo di coetanei e amici).
Anche gli sviluppi delle scienze economiche hanno un forte impatto sulla demografia. A partire dagli anni Sessanta, Gary Becker e altri economisti fondano una scuola di pensiero, nota come New home economics, il cui scopo è, tra gli altri, spiegare i comportamenti demografici utilizzando i modelli di scelta razionale tipici della microeconomia. Proprio per l'estensione dell'analisi economica a domini in passato non considerati, nel 1992 a Becker viene assegnato il Premio Nobel per l'economia. Tutti gli eventi demografici sono analizzati a partire dallo schema della scelta razionale, a volte in condizioni di interazione. Anche l'analisi di eventi non riconducibili a scelte esplicite, come, per esempio, la mortalità infantile, viene creativamente rinnovata studiando le decisioni da parte dei genitori di investire in salute per i propri figli. Il nuovo approccio della microdemografia si colloca all'intersezione tra la tradizione demografica e i nuovi sviluppi nell'ambito dell'approccio del corso di vita e della New home economics, ed è per questo fortemente interdisciplinare.
All'inizio del terzo millennio appare chiaro come la situazione idealizzata dallo schema della transizione demografica non sia un equilibrio cui tendere 'naturalmente'. Rimangono forti differenze tra Nord e Sud del mondo. Nei Paesi più sviluppati del Nord del mondo, l'invecchiamento della popolazione conseguente all'aumento della longevità, ma soprattutto al forte calo della fecondità, pone questioni non paragonabili a situazioni affrontate nel passato. Problemi nella sostenibilità dello stato sociale, costruito nel sistema demografico dei Paesi ricchi durante il XX sec., e scarsità nell'offerta di lavoro sono le sfide principali per le società del Nord del mondo. Nel Sud del mondo, la popolazione di diversi Paesi continua a crescere a ritmi sostenuti e i livelli di sopravvivenza sono molto diversi da quelli dei Paesi ricchi. Nel 2000 le Nazioni Unite lanciano il programma Obiettivi di sviluppo del millennio, ponendo per il 2015 alcuni obiettivi quantitativi relativi alla situazione dei Paesi più poveri. Gli obiettivi si riferiscono, tra l'altro, allo sradicamento della povertà estrema e della fame, alla promozione dell'eguaglianza tra uomo e donna, alla riduzione della mortalità infantile, al miglioramento della salute delle madri, alla lotta alle malattie (in particolare HIV-AIDS e malaria), alla sostenibilità ambientale.
Le persistenti differenze di crescita all'inizio del terzo millennio, insieme al generale impatto della globalizzazione, fanno inoltre ritenere plausibile un forte incremento dei flussi migratori internazionali. La crescita della popolazione mondiale continua all'inizio del millennio; unita allo sviluppo del benessere di alcuni Paesi di forte peso demografico, come per esempio Cina e India, tale crescita sembra porre di nuovo sul tavolo la sostenibilità ambientale dell'aumento della popolazione. Forse, però, la crescita della popolazione non continuerà a contribuire all'incremento dell'impatto ambientale: la diffusione del controllo delle nascite e il completamento delle fasi teoriche della transizione demografica sembrano poter avere un impatto globale. In un articolo apparso su "Nature" nel 2001, Wolfgang Lutz e colleghi proclamano la fine della crescita della popolazione del mondo: viene ritenuto probabile che durante il XXI sec. la popolazione inizi a diminuire. Ancora una volta, nuove sfide si profilano all'orizzonte per la demografia.
Caselli 2006: Caselli, Graziella - Vallin, Jacques - Wunsch, Guillaume, Demography: analysis and synthesis. A treatise in population studies, Amsterdam, Elsevier, 2006, 4 v.
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