Abstract
La devolution, che ha trovato la sua principale attuazione con le riforme costituzionali attuate nel Regno Unito, a partire dal 1998, con lo Scotland Act, il Government of Wales Act e gli altri Atti per l’Irlanda del Nord e la “Grande Londra”, si propone all’attenzione del costituzionalista come una formula di ampio spettro istituzionale che pone in discussione la tradizionale concezione dello Stato unitario. Tutt’altro che una formula astratta, si concretizza in un sistema di trasferimento di poteri costituzionali alle aree substatali che instaura un processo altamente dinamico suscettibile di molti sviluppi nei rapporti tra istituzioni centrali e istituzioni devolute, le cui evoluzioni possono sconfinare nella federalizzazione o (nelle sue forme più blande) confondersi con il regionalismo. In ultima analisi, nella nozione di “Stato devoluto” può individuarsi una nuova definizione della statualità del post-welfare?
Il termine devolution è comunemente utilizzato per definire quel trasferimento di poteri costituzionali che, negli Stati unitari, si realizza a favore delle aree substatali che si caratterizzano per specifici caratteri nazionali o per particolari esigenze amministrative o di autogoverno. Il suo prototipo trova applicazione nel Regno Unito dove, sulla base di vivaci rivendicazioni nazionaliste nelle cosiddette “aree celtiche” (Scozia e Galles) e analogamente in Irlanda del Nord, nella Greater London e nelle regioni dell’Inghilterra (ma qui senza successo), il pensiero devoluzionistico dapprima si delineava in chiave teorica nella seconda metà del XX secolo, e infine si realizzava dal 1998 in poi attraverso la serie di devolution acts che ha contribuito a un sensibile mutamento dell’assetto costituzionale dello Stato britannico. Partendo dallo Scotland Act 1998 che forma l’intervento devolutivo più completo nella sua formulazione normativa, la devolution britannica è diventata un paradigma del decentramento “per grandi aree” delle funzioni di governo che da alcuni decenni è in corso in alcune democrazie dell’Unione europea. È spesso contigua al regionalismo o al federalismo: di entrambi condivide infatti alcuni elementi essenziali. A tale riguardo, erroneamente vista come sinonimo della regionalizzazione, se ne è fatto uso, non senza una buona misura di approssimazione simbolica, nel pensiero dei riformatori del titolo V della Costituzione italiana e nelle fittizie ritualità del “leghismo”. Dando credito a quelle argomentazioni che rappresentano le politiche di carattere devolutivo come analoghe e, in alcuni casi, perfino coincidenti con i processi di cripto-federalizzazione o di marcata regionalizzazione che sono propri degli orientamenti riformisti negli Stati dell’Unione europea che hanno abbandonato le antiche tradizioni centraliste, è corretto considerare la devolution come una componente emblematica della multilevel governance di cui si alimentano le democrazie avanzate.
Ove se ne consideri la matrice giuridica primaria, la nozione di devolution ha natura privatistica: è infatti una categoria generale a cui, per esempio, afferiscono alcune forme di trasmissione di diritti mortis causa. Così è nel sistema di common law ove la si riferisce a quella delegation o deputation attraverso cui si realizzano varie modalità di trasmissione di diritti o di poteri nel quadro del diritto successorio, fallimentare e del trust. Tuttavia è nel campo del diritto pubblico che occorre dirigere l’osservazione. Con riguardo alla forma di governo parlamentare evolutasi a Westminster, un tratto devolutivo si ravvisa nell’incrementale sviluppo di quell’attività normativa dell’esecutivo che rientra nella delegated o subordinate legislation che è un trasferimento fattuale di un potere normativo che, pur garantito dalle regole classiche della separazione dei poteri, dalla sua sede originaria nel legislativo muove verso la sfera potestativa del Primo Ministro e del suo Gabinetto quali depositari della fiducia maggioritaria. Quest’ultima annotazione è illuminante poiché se si guarda sia alla delegation legislativa che si espande a vantaggio dell’esecutivo, sia al trasferimento devolutivo territoriale che si effettua a favore di grandi unità di governo decentrate, in entrambi si ravvisano momenti costituzionalmente significativi di traslazione di un potere costituzionale, quello legislativo, dal soggetto che ne il titolare originario (ossia il Parlamento) verso altre sfere potestative. Questo trasferimento è assistito da congegni securitari che rientrano nel quadri dei “freni e contrappesi” costituzionali: nel caso della devolution all’esecutivo dell’esercizio della normazione resiste l’istituto della delega; nel caso della devolution che attua su scala territoriale, alla delega si sovrappone una garanzia di fondo che riposa sulla persistenza dogmatica della sovranità del Parlamento a fronte di ogni possibile contropotere esistente nel Paese.
Sono quattro le fasi fondamentali che, in oltre un secolo di storia costituzionale e politica del Regno Unito, definiscono il percorso storico della devolution.
In origine era la home rule, ossia l’autonomia del «governo domestico» che a cavallo tra Otto e Novecento era la principale rivendicazione dei movimenti nazionalisti in Irlanda, Scozia e Galles, interpreti del revival del senso di nazionalità nelle aree cd. «celtiche». Sotto il profilo strettamente costituzionale influiva la fisionomia plurima del Regno Unito come Stato che per definizione era unitario e centralizzato, ma aggregava quattro distinte constituent parts a caratterizzazione nazionale autonoma. Non mancarono orientamenti governativi favorevoli alla home rule, annullati con la prima guerra mondiale e in Irlanda sfociati nel violento separatismo che condusse alla nascita dell’Irish Free State (1922).
Negli anni Settanta del XX secolo la devolution era riproposta dai nazionalisti scozzesi e gallesi come evoluzione della home rule, ma con alterne fasi e con modalità differenziate. In Irlanda del Nord, era bruscamente interrotto l’esperimento devolutivo che nel 1921 aveva trovato attuazione con l’Assemblea dello Stormont. In Scozia e Galles, sotto l’azione dello Scottish National Party e del Plaid Cymru, la questione produsse un forte impatto sulla conduzione politica del quinquennio laburista 1974-79, ma le riforme devolutive, giunte a un passo dalla realizzazione nel 1979 con lo Scotland e il Wales Bill, si infransero contro l’esito sfavorevole dei referendum indetti nelle due aree. Nell’arcigno periodo di governo thatcheriano nulla fu concesso alla devolution, e lo Scottish National Party spostava le sue pretese sul piano indipendentistico.
La terza fase è sotto l’egida della “valanga elettorale” laburista del maggio 1997. Recependo le proposte istituzionali formulate dalla pluripartitica Scottish Constitutional Convention, il manifesto elettorale del New Labour “Britain Deserves Better” poneva la devolution fra le priorità del momento, presto tradotte nei quattro atti devolutivi del 1998: lo Scotland Act, il Government of Wales Act, il Northern Ireland Act e il Greater London Authority Act, ratificati da altrettanti referendum che sostenevano le logiche del riformismo laburista stabilendo un solido legame tra devolution e democrazia diretta. In seguito, ben numerose e tutte incrementali sono state le trasformazioni di un sistema devolutivo asimmetrico. In Galles, la devolution si avvicinava al modello delineato con lo Scotland Act: ciò avveniva con un nuovo Government of Wales Act 2006, e con il referendum del 2011 che estendeva i poteri dell’Assemblea di Cardiff. Dopo un periodo di stasi, nell’Irlanda del Nord alcuni positivi progressi si realizzavano per via politica, dando effetto agli intenti di una formula devolutiva sui generis che era finalizzata a porre ordine nei rapporti tra comunità tradizionalmente in conflitto. Considerevole era l’avanzamento dell’attività normativa del Parlamento di Edimburgo, l’unico dotato di uno status competitivo con il legislativo di Westminster. In Scozia la devolution raggiungeva livelli di efficacia tali da produrre forti ripercussioni sugli equilibri costituzionali del Regno Unito; di ciò si occupava nel 2009 la Commission on Scottish Devolution (nota anche come Calman Commission) che, in contrasto con gli orientamenti dello Scottish National Party giunto nel frattempo al governo dell’area, esprimeva una valutazione ampiamente positiva sull’efficacia della formula devolutiva e ne auspicava un ulteriore avanzamento (le sue indicazioni erano fatte proprie nel 2010 dall’esecutivo di coalizione conservativo-liberaldemocratico).
La fase attuale si pone direttamente sotto l’egida dello Scottish National Party, promotore del referendum del settembre 2014 concernente non più il punto devolutivo, bensì l’indipendenza scozzese. Si realizzava la profezia degli antidevoluzionisti del XX secolo, per cui fatalmente la concessione alla Scozia della devolution avrebbe condotto all’affermazione di temibili istanze separatiste delle quali era la premessa costituzionalmente ovvia, trovando conferma l’asserzione del continuum tra devoluzionismo e indipendentismo, e della devolution come fattore di disgregazione del Regno Unito. Lo sfavorevole responso popolare, respingendo l’istanza separatista con un netto ma non schiacciante 55% dei voti, ha aperto il passo a un ulteriore progresso della devolution scozzese, secondo formule diversificate che spaziano dalla devolution plus alla più radicale devolution max, e che implicano il trasferimento di nuovi consistenti poteri legislativi e di autogoverno. Queste nuove opportunità devolutive, alla cui realizzazione il nuovo governo monopartitico conservatore è formalmente impegnato, indicano oggi la nuova frontiera della trasformazione in senso devolutivo della statualità del Regno Unito secondo prospettive che si accostano sempre più alla federalizzazione dello Stato e sono tenute come modello da altri separatismi europei.
L'odierno decentramento devolutivo in atto nella gran parte del Regno Unito, erede dell’antica nozione di home-rule-all-round ossia di autogoverno generalizzato, non si propone come un unico modello dottrinalmente precostituito, e la sua analisi in chiave teorica non può evitare l’osservazione delle sue strutture storiche. Per orientarsi nel complesso quadro delle istituzioni devolute occorre innanzitutto rammentare che di essa è conveniente parlare al plurale sia ponendone in rilievo i caratteri marcatamente asimmetrici, sia sottolineando che non in tutto il Regno Unito lo schema devolutivo ha avuto fortuna allorché di esso, in aree ove è assente una chiara identità nazionale, si è inteso proporre un innaturale connubio con il regionalismo: il rigetto referendario (2004) del progetto devolutivo formulato per la regione inglese North East ha dimostrato che la devolution non è una formula costituzionale applicabile a qualunque ipotesi di decentramento. Nondimeno, sebbene la consegna del “marchio di fabbrica” della devolution sia dovuta inequivocabilmente al sistema costituzionale del Regno Unito, va rilevato come nelle maggiori democrazie europee una singolare coincidenza di tempi abbia caratterizzato l’avvio di attente riflessioni sull’attuazione di nuove forme di regionalismo, alcune tra le quali recanti elementi che si possono considerare di carattere devolutivo.
Si può con qualche approssimazione ipotizzare l’esistenza di un genus devolutivo che si orienta in senso verticale attraverso le relazioni tra unità devolute e istituzioni centrali, e in senso orizzontale attraverso la pluralità e diversità di formule di autogoverno all’interno del medesimo sistema costituzionale. Sotto quest’ultimo riguardo, interessanti annotazioni in tema di asimmetria possono derivare da una comparazione tra il caso del Regno Unito e le specialità che caratterizzano i regimi giuspubblicistici in Francia della Corsica, in Spagna della Catalogna, dei Paesi Baschi, della Galizia e delle Canarie, e, in Italia, delle Regioni a statuto speciale. Se il caso della Scozia e del Galles, aree a forte ed omogenea caratterizzazione nazionale, risulta più direttamente comparabile con quelli della Catalogna in Spagna, della Corsica in Francia e della Sardegna o dell’Alto Adige in Italia. Ad esplicite finalità di ripristino dei valori della convivenza civile e del godimento dei diritti sociali e politici è orientata la particolare forma di devolution attuata nelle sei contee dell'Ulster il cui caso, segnato da drammatici cleavages socio-politici risulta più direttamente comparabile con quello dei Paesi Baschi (a tal proposito può essere evocato anche il caso del Belgio). Infine l’organizzazione nominalmente devolutiva della Greater London risponde a quanto altrove in Europa si sta concependo a proposito dello status delle grandi aree metropolitane e dei regimi delle capitali di Stato che condividono la tensione verso il perseguimento di strategie amministrative di ampio spettro.
Che si tratti di devolution in senso proprio o di formule regionali che le somigliano o ne condividono le logiche intrinseche, almeno un elemento comune sembra emergere con chiarezza: tale è l’intrinseca dinamicità del procedimento devolutivo che non si esaurisce in formule statiche ma si riproduce rivolgendo allo Stato sempre nuovi quesiti costituzionalmente impegnativi. La celebre espressione per cui la devolution è «a process, not an event» dimostra che, laddove non sia di fatto paralizzata da patologiche condizioni di stasi politica, essa non consiste in un singolo momento riformatore ma si sviluppa secondo una connotazione procedimentale che contiene gli embrioni del federalismo o, nei casi estremi, della separazione, e che sul piano dell’analisi costituzionale offre copiosi argomenti transitologici.
Se trasferita in altri contesti interpretativi, e particolarmente in quelli che si riconducono alla dimensione del territorial government latamente inteso, la devolution risulta spesso omologata o connessa alla federalizzazione, della quale è considerata un presupposto o un elemento funzionale. D’altra parte non manca chi rappresenta la devolution e la federalizzazione come due percorsi costituzionali in netta e irriducibile antitesi, o suscettibili di riunione nella formula ibrida della federal devolution. Altre opzioni interpretative caratterizzate da maggiore prudenza o forse da semplice ambiguità considerano che non necessariamente la devolution postula la creazione di un'organizzazione statale composita che implichi nette demarcazioni di potere costituzionale primario del genere di quelle che sono proprie dello Stato federale, potendosi limitare a trasferimenti di potere strettamente controllati dall’interesse nazionale preminente; ma questa linea interpretativa mostra di non avere molto chiare le coordinate teoriche sulla natura dello stato federativo. In ogni caso la devolution, al di là dei suoi valori intrinseci come elemento di una connotazione pluralista dello Stato contemporaneo, è un primo stadio verso la riconfigurazione degli assetti di governo di un’unità statuale che intenda superare le rigidità del centralismo di derivazione liberale, il che può non escludere (come le vicende scozzesi hanno in qualche misura confermato) che essa può anche volgersi verso l’eclisse storica della statualità originaria. Per tale motivo i devoluzionisti ortodossi rappresentano la devolution stessa come una categoria costituzionale che deve arrestarsi entro la soglia della sovranità unitaria e non la oltrepassa per non essere una minaccia per l’integrità dello Stato.
Un contributo alla maggior comprensione della questione devolutiva va orientato nel senso dell’osservazione della sua concreta attuazione, il che va fatto ponendo nuovamente in rilievo che la devolution realizza un trasferimento di quote di potere legislativo e di una funzione di governo responsabile su scala territoriale che può introdurre in un ordinamento originariamente uniforme alcune eccezioni istituzionali.
Se considerata secondo questa visuale, la devolution forma un genus binario nel quale ciò che prende risalto non è l'elemento della successione costituzionale (che mina l’integrità dello Stato attraverso la netta separazione delle istituzioni) bensì quello della deputation secondo la quale entrambi i soggetti coesistono nel quadro di un comune sistema di riferimento. In altri termini, ponendo in essere istituti o processi devolutivi il legislativo centrale, che devolvendo si espone ai contraccolpi della nascita di istituzioni parlamentari alternative, resta comunque il titolare primo e ultimo del potere di legiferare e perfino di disporre del destino istituzionale delle unità di governo decentrate, quale corpo politico che, da un lato, individua forme di compartecipazione del potere legislativo e di governo a favore di altri organi costituzionalmente tipizzati, e, dall’altro lato, conserva il potere di operare sovranamente in quei settori funzionali che tradizionalmente si fanno risalire ai poteri giuridici che classicamente sono esclusivi dello Stato e non delegabili (organizzazione costituzionale, tutela dei diritti, difesa militare, affari esteri, fiscalità, monetazione, cittadinanza, ecc.).
In particolare due tra i devolution acts che nel 1998 hanno realizzato il trasferimento di potere nel Regno Unito, tali lo Scotland Act e il Government of Wales Act, pongono in risalto analogie e differenze dalle quali si desumono i caratteri essenziali della devolution.
L’atto scozzese ha attribuito al Parlamento scozzese il potere legislativo primario nelle cosiddette devolved matters (le quali non sono tuttavia enumerate nell’atto, bensì ricavate per esclusione sulla scorta dalla tipizzazione delle materie riservate al Parlamento di Westminster; una formula analoga di ripartizione delle materia compariva nella parte relativa al Titolo V di quell’ampio progetto di revisione costituzionale che è stato respinto dal referendum del 4 dicembre 2016, ma in questo caso di devolution “all’italiana” il nuovo assetto regionale si rivelava diretto più verso principi di accentramento o di devolution meramente formale). In concomitanza, un effettivo potere di autogoverno nelle medesime materie è stato conferito allo Scottish Executive politicamente responsabile verso il legislativo devoluto; a ciò si è aggiunta una limitata autonomia fiscale che tuttavia non copre l’intero fabbisogno dell’area. L’atto gallese assegnava all’Assemblea di Cardiff, prima del consistente conferimento di nuovi poteri legislativo del 2006, una devolution prevalentemente amministrativa.
Sebbene asimmetrici, i due sistemi devolutivi non mancano di analogie sistemiche. In primo luogo, tra queste, la tecnica di distribuzione delle competenze tra organi centrali e organi devoluti e l’affermazione del principio definitivo per cui la sede della sovranità resta indiscutibilmente collocata nel Parlamento di Westminster. In secondo luogo, l’incompletezza della formula di “devolution fiscale” che lascia saldamente nelle mani del Tesoro britannico le redini dell’autonomia devolutiva delle due aree. In entrambe – e in ciò consiste l’essenza stessa della devolution – il principale campo d'attuazione del processo di carattere devolutivo resta la questione del pluralismo parlamentare, che costituisce il nucleo del fatto costituzionale in un Paese che attribuisce la sovranità al legislativo. Facendo perno sulla sinonimia devolution-delegation, va tuttavia rilevato che, per quanto siano legislativamente attivi, i poteri devoluti restano pur sempre dei poteri derivati, e che le unità territoriali che si avvantaggiano del trasferimento di funzioni non si rivestono di quei peculiari caratteri della statualità che sono propri delle entità originarie che compongono “dal basso” uno Stato federale. La devolution, in altri termini, riconfigura gli equilibri di potere nello Stato unitario ma mira a conservare indenne l’ortodossia che regola i rapporti di sovranità in tale struttura statuale: perfino il trasferimento alle unità decentrate di poteri di legislazione esclusiva in un numero significativo di devolved matters non è ex se condizione sufficiente per fondare un equo rapporto di ordinazione fra le istituzioni centrali di governo e le istituzioni devolute. La Corte Suprema del Regno Unito, istituita con il Constitutional Reform Act 2005 ed entrata in attività nel 2009, vigila sull’equilibrio di questi delicati rapporti e una serie di decisioni relative ai cd. “devolution cases” dimostra quanto la questione del governo multilivello stia diventando costituzionalmente significativa.
È fuor di dubbio che al Regno Unito debba essere attribuito un ruolo pioneristico nella storica realizzazione di un sistema di devolution che, sebbene informato a princìpi comuni coerentemente con i quali si è orientata l’impegnativa azione riformatrice in tutte le aree di sua applicazione, si declina in un dinamico pluralismo che rende ancora più ricca di implicazioni (potenzialmente anche estreme se le si considera, come nel caso scozzese, come una sfida alla statualità unitaria) l’incessante condizione di transizione della Costituzione flessibile.
La propensione della devolution di ogni ordine e grado a produrre rilevanti trasformazioni del quadro costituzionale suggerisce peraltro che essa sia da considerare come una species del più ampio genus delle garanzie fondamentali che le democrazie sociali nate nel secondo dopoguerra hanno approntato, nella fase più avanzata del loro sviluppo che oggi assume i caratteri del post-welfare, a tutela della configurazione costituzionale delle collettività territoriali. Anche sotto questo profilo la devolution si propone sotto una pluralità di configurazioni, tra le quali sono significative la modernizzazione ab intra di assetti costituzionali un tempo centralizzati; la creazione di vaste piattaforme istituzionali per il perseguimento di nuove politiche di programmazione dello sviluppo macroeconomico e dell’offerta dei servizi sociali; dell’attitudine a promuovere la razionalizzazione di una rete di amministrazioni locali d’impronta tradizionale; della risposta politica alle pressioni trasformatrici provenienti dalla cd. “Europa delle Regioni” e dai separatismi di stampo regionale o nazionalista. La devolution si propone pertanto come formula ampia e tendenzialmente omnicomprensiva, e in tale prospettiva vanno interpretate le profonde trasformazioni che essa determina nello Stato unitario. La stessa fisionomia dello Stato-nazione, già in via di superamento sotto le pressioni dei particolarismi interni e dell’Unione Europea, risulta fortemente modificata dai processi devolutivi.
Quale può essere, in conclusione, l’ubi consistam dello Stato devoluto?
- struttura policentrica dell’organizzazione statuale;
- asimmetria delle istituzioni devolute;
- inedite espressioni della democrazia parlamentare decentrate;
- sviluppo di nuove forme di democrazia partecipativa e di espressione della società civile;
- convivenza tra sistemi elettorali diversificati e valorizzazione politica dei partiti regionali e delle sub-strutture dei grandi partiti nazionali;
- probabile diversificazione in chiave territoriale dello statuto dei diritti fondamentali e dei regimi dei diritti sociali, economici e culturali;
- sottrazione di numerose scelte politiche all’esclusiva potestà dell’esecutivo centrale;
- formazione di nuove metodologie della contrattazione tra livelli di governo;
- creazione di nuove forme di raccordo, concertazione o formale codecisione tra istituzioni centrali e istituzioni decentrate di governo;
- nascita o sviluppo di nuove forme di giurisdizione deputate pressoché esclusivamente a far fronte ai conflitti territoriali;
- trasformazione dell’apparato ministeriale centrale e la creazione di nuovi dicasteri preposti alla gestione politica dei rapporti con le istituzioni devolute;
- elaborazione di nuove forme di interlocuzione le regioni interne allo Stato con gli organismi dell’Unione europea;
- avvio di nuovi meccanismi di cooperazione transfrontaliera;
- introduzione di forme organizzative e di distribuzione del potere che sono tipiche della federalizzazione;
- delinearsi di organici subsistemi costituzionali alternativi al classico assetto della costituzione nazionale;
- formazione di inerenti dottrine costituzionalistiche;
- conservazione della struttura unitaria dello Stato.
Si rinvia alle fonti citate nel testo.
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