dialetto
La lingua del cuore
Di sicuro avete sentito parlare e magari parlate voi stessi un dialetto. Il fatto non è così eccezionale, se si pensa che l'Italia è la nazione europea più ricca di dialetti. Anzi, fino a pochi decenni fa la maggior parte della popolazione italiana sapeva parlare solo il dialetto e non conosceva l'italiano; perfino l'italiano stesso, all'inizio, non era che uno dei tanti dialetti parlati in Italia
La storia dei dialetti italiani è, per molti versi, la storia stessa dell'italiano. Infatti, l'italiano deriva dal latino, così come dal latino discendono i dialetti che si parlano in Italia. Inizialmente tutte le lingue derivate dal latino venivano chiamate lingue volgari o semplicemente volgari. La parola volgare vuol dire appunto parlato dal volgo (dal latino vulgus), cioè dal popolo, che ormai non conosceva più il latino. Così il siciliano, il bolognese, il piemontese, il veneziano, il lombardo, che oggi chiamiamo dialetti, all'inizio erano lingue volgari.
Il toscano all'inizio era solo uno dei tanti volgari. L'italiano si chiama così, infatti, solo dal 16° secolo; e con il termine italiano si indica il volgare toscano riconosciuto ormai come lingua di tutta la nazione. Il termine dialetto nasce in questo periodo per distinguere tutti i volgari parlati nelle varie parti del paese dal toscano divenuto nel frattempo l'italiano.
Contare i dialetti è veramente difficile, se non impossibile. È difficile da tracciare il confine tra un dialetto e l'altro. Infatti in ciascun paese e in ogni villaggio il dialetto ha spesso caratteristiche che lo differenziano da quello del paese o del villaggio vicino. In genere si fa riferimento a regioni, a province o a grandi città per definire i dialetti. E così parliamo di dialetto calabrese, piemontese o lombardo, milanese, cosentino, e così via. Ma in realtà sono denominazioni molto larghe e imprecise, perché spesso le differenze sono tali che non vi è possibilità di comprensione reciproca perfino all'interno della stessa regione.
Inoltre, i suoni dei dialetti dell'Italia settentrionale, centrale e meridionale possono essere notevolmente diversi tra loro. Parte di questa diversità dipende addirittura dalle lingue che vi erano parlate prima della diffusione del latino. Insomma i conti precisi non si possono fare. Data questa estrema diversità, si può tentare una classificazione dei dialetti? Gli studiosi, pur consapevoli dell'inevitabile imprecisione, hanno proposto una classificazione dei dialetti italiani basandosi più sulle somiglianze che sulle differenze.
Nemmeno gli studiosi trovano una risposta unica e condivisa sulle differenze tra una lingua e un dialetto. A ogni modo, si può dire che il dialetto potrebbe essere definito come una lingua utilizzata da un gruppo ristretto di persone, in un luogo specifico e che non ha usi ufficiali: si dice che una lingua ha usi ufficiali se è utilizzata nella scuola e nell'amministrazione, per esempio negli uffici pubblici e nei tribunali.
Così, per esempio, se vivete in Puglia e conoscete il dialetto potrete comunicare in dialetto pugliese con altri pugliesi. Ma se parlate con un romano, un veneziano, un marchigiano sarebbe molto difficile comunicare con loro continuando a usare il vostro dialetto. Una differenza evidente consiste dunque nella limitazione territoriale dei dialetti, nel fatto cioè che essi sono limitati a una determinata area geografica, rispetto all'italiano che si parla in tutta la nazione. Altre differenze sono di uso sociale: la scuola, i giornali, la televisione, il cinema, l'amministrazione pubblica usano infatti l'italiano e non il dialetto. Inoltre, chi conosce il dialetto in genere lo adopera molto di più in famiglia e con gli amici, mentre fuori di casa e con gli estranei usa più frequentemente l'italiano.
Il fatto che i dialetti non sono diffusi su vaste aree e che non sono usati come lingue ufficiali non significa che essi non siano comunque lingue. In effetti, anche lingue nazionali e importanti come l'italiano o il francese in origine erano parlate in zone non estese e da piccole comunità. Solo in seguito, e in conseguenza di determinate vicende storiche, tali lingue sono divenute più diffuse e usate ufficialmente.
Ma i dialetti sono lingue soprattutto perché, così come tutte le altre lingue, sono in grado di esprimere qualsiasi cosa. Molti pensano che con il dialetto si possa parlare solo delle cose più comuni come fare la spesa, commentare le partite di calcio, scherzare con gli amici. Ma questo non è vero: esiste infatti una tradizione di uso del dialetto anche in attività considerate 'elevate', come per esempio in letteratura.
Già nel 17° secolo, per esempio, Giambattista Basile pubblicò nel dialetto napoletano un volume che raccoglieva molte fiabe popolari: Lo cunto de li cunti, "Il racconto dei racconti" (cunto in napoletano vuol dire appunto "racconto", "storia", "fiaba"). Anche altri autori hanno usato il dialetto, come Carlo Goldoni, che scrive in veneziano molte commedie; o come, nell'Ottocento, il poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli e il poeta milanese Carlo Porta. In tempi molto più vicini a noi, ricordiamo poeti come Pier Paolo Pasolini, che scrive poesie in friulano, Albino Pierro che scrive nel dialetto lucano e Tonino Guerra in quello romagnolo. L'elenco potrebbe continuare, poiché esistono esempi di poeti dialettali per ciascun dialetto, anche se non tutti sono bravi come quelli citati.
Ma il dialetto non viene usato solo per le poesie: quello napoletano, infatti, è la lingua di uno dei più grandi autori teatrali del Novecento, Eduardo De Filippo.
Il dialetto è presente anche al cinema e in televisione, dove spesso è usato per caratterizzare personaggi popolari o comici. Non va dimenticato, inoltre, il dialetto nella canzone, prima fra tutte la canzone napoletana, che ha un'importanza e una diffusione internazionali. Molti artisti contemporanei, inoltre, come per esempio Fabrizio De André, Pino Daniele ed Eugenio Bennato, hanno realizzato bellissime canzoni ‒ e di successo ‒ usando il dialetto. Insomma, il dialetto ha una tradizione letteraria e artistica che dura fino ai nostri giorni.
I dialetti sono un patrimonio culturale di straordinario valore. E tuttavia durante i secoli hanno spesso avuto una reputazione negativa, poiché considerati lingue inferiori che impedivano l'apprendimento dell'italiano. Oggi è difficile crederci, ma al momento dell'unificazione (1861) solo 2 o 3 Italiani su 100 parlavano l'italiano, il resto della popolazione parlava solo dialetto. Inoltre i dialetti erano lingue molto distanti dall'italiano, quasi come lo sono attualmente l'italiano e lo spagnolo. Era necessario dunque che tutti conoscessero la lingua nazionale.
Tuttavia, molti pensarono di insegnare l'italiano senza tenere conto che il dialetto era la lingua materna, cioè la prima lingua: la lingua parlata prima di andare a scuola e fuori della scuola. Il dialetto era proibito a scuola, dove si doveva usare solo l'italiano, anche se per molti era una vera e propria lingua straniera. Fu un errore, che non consentì a molti né di imparare l'italiano né di acquisire un titolo di studio. Questo atteggiamento negativo durò per oltre un secolo, fino a pochi decenni fa, facendo nascere anche in molti quasi un senso di vergogna per il dialetto.
Dalla seconda metà del secolo scorso a oggi la situazione è radicalmente cambiata. Grazie a una notevole crescita economica e sociale, a un impegno più incisivo nell'istruzione e alla diffusione della radio e della televisione, oggi quasi tutti (oltre il 95% della popolazione) conoscono e usano l'italiano. Tuttavia questo non vuol dire che il dialetto è scomparso, poiché circa il 50% continua a usarlo. In altre parole circa trenta milioni di Italiani conoscono e usano sia l'italiano sia il dialetto: in relazione alle circostanze o a chi ci si rivolge molti scelgono se usare l'uno o l'altro. Anzi, perfino nella stessa frase spesso ci sono parole o espressioni sia italiane sia dialettali.