DISEGNO
(XIII, p. 9)
Disegno architettonico. - Nell'ambito di un rinnovato riconoscimento del valore del d., inteso come conoscenza ed espressione, e di un ritrovato piacere del disegnare, inteso come invenzione e rappresentazione, anche il d. architettonico ha avuto negli ultimi 20 anni nuovo sviluppo e soprattutto una più precisa definizione fra i numerosi aspetti del d. riferiti all'architettura e in particolare nei rapporti con l'architettura costruita.
Di fronte al nuovo interesse per il d. dell'architettura e alla varia e numerosa produzione grafica e pittorica, rivolta alla rappresentazione di architetture, reali o di fantasia, il significato e il ruolo del d. architettonico si è andato ancor più chiarendo e definendo, fino ad acquisire connotati precisi. Ciò anche in funzione delle sempre più varie tecniche di esecuzione di questi grafici che sono andate mano mano sviluppandosi, alla ricerca non tanto dalla massima oggettività, quanto piuttosto di una maggiore espressività anche negli elaborati geometrici, personalizzati nell'impostazione, nella tecnica, nell'ombreggiatura, nella colorazione. A questa maggiore individuazione della personalità dell'autore, e quindi a questa maggiore caratterizzazione dei d. dei vari autori, ha fatto riscontro, negli ultimi anni, lo sviluppo di un nuovo tipo di d. architettonico, quello assistito dal computer, che tende invece alla spersonalizzazione e all'assoluta obiettività degli elaborati (oltre che, evidentemente, a un'ancor maggiore precisione e velocità di esecuzione).
Alla base del concetto e del significato di d. architettonico è il rapporto con l'architettura, che lo definisce e lo differenzia dal d. di architettura. Anche se non è facile individuare esattamente i confini del d. architettonico, è possibile cercare di ritrovare, nella grande varietà di elaborati grafici riferiti all'architettura, quelli che abbiano un carattere preciso che potremmo dire ''creativo'', che nascano da una volontà architettonica e siano quindi riferiti all'architettura intesa come edificio realizzato per definirne gli elementi costitutivi.
D. architettonico e d. di architettura; e non interessa tanto se è nella carta o nella mente: in ogni caso è presente nelle immagini mentali che, con pochi o molti tratti, si trasformeranno in immagini disegnate. Immagini mentali in immagini reali e visibili, quando si tratta di manifestare un'idea, immagini visive in immagini visibili, quando si tratta di rappresentare dal vero.
Di conseguenza rimangono d. di architetture tutte quelle manifestazioni grafiche che abbiano per soggetto l'architettura, ma non siano volte alla realizzazione di quell'architettura né all'individuazione degli elementi che ne costituiscono la struttura grafica indispensabile: fanno parte allora dei d. di architettura tutte le fantasie grafiche, i capricci, i d. dal vero, gli appunti di viaggio, le scenografie e tutti quei d. che affrontino il soggetto architettonico con finalità differenti da quelle dell'architetto. Questo non basta, tuttavia, a definire ancora il carattere del d. architettonico che non è solo quello di progetto, cioè non è rappresentato soltanto dai grafici relativi alla realizzazione.
Mentre torniamo a ribadire il concetto che non è solo il soggetto a caratterizzare questo tipo di d. e a differenziarlo dal d. d'architettura, ma che è proprio l'intenzione architettonica con la quale si affrontano determinati aspetti della rappresentazione al di là della scelta del soggetto o di ciò che del soggetto si vuole individuare e rappresentare, del metodo di rappresentazione e della tecnica, cerchiamo di precisare meglio gli aspetti fondamentali che caratterizzano i d. architettonici. Aspetti che si esprimono poi in questi grafici, secondo intenzioni comuni ma con manifestazioni differenti, che, pur nella ricerca di obiettività, risultano alla fine legate alla personalità dell'autore; aspetti che presentano caratteri comuni perché tesi alla stessa finalità, ma che si differenziano a seconda del momento nel quale prendiamo in considerazione l'architettura da rappresentare.
Se per d. architettonico intendiamo il complesso di d. tesi a definire gli elementi costitutivi dell'edificio, possiamo far riferimento ai grafici necessari per la realizzazione dell'opera da costruire, nella sua fase inventiva, ma possiamo anche riferirci a quelli di una rappresentazione tesa alla documentazione dell'opera architettonica costruita: in definitiva, sono d. architettonici i d. di progetto e di rilievo, quelli che servono per la realizzazione dell'opera e quelli che servono per la documentazione di un'opera già realizzata. Poiché si tratta di rappresentare due momenti differenti dell'architettura, i d. di progetto e quelli di rilievo di uno stesso soggetto architettonico non saranno uguali. E non soltanto perché non esiste nessun'architettura realizzata che corrisponda esattamente al progetto, quanto perché sono differenti le finalità e il ragionamento che ne guidano l'ideazione e l'esecuzione.
Il progetto. - I d. di progetto consentono la rappresentazione grafica dello spazio architettonico ideato, individuato nelle componenti geometriche delle proiezioni ortogonali orizzontali − piante − e verticali − prospetti in scala − e delle proiezioni centrali − prospettive −, dopo le prime intuizioni fissate nei primi schizzi a mano libera, senza problemi di rappresentazione in scala, con la libertà e l'immediatezza dell'invenzione. Gli elaborati geometrici, invece, richiedono la massima precisione e obiettività di rappresentazione e la riduzione in scala, in modo da offrirsi con un linguaggio immediatamente comprensibile alla lettura degli interessati, a partire dall'autore stesso al committente, alle maestranze che devono realizzare l'architettura rappresentata da quegli elaborati.
I d. architettonici sono quindi lo strumento essenziale per l'esecuzione del progetto e sono costituiti dal progetto di massima, in scala 1/100, e dal progetto esecutivo in scala 1/50, 1/20 fino a 1/1. Se il progetto affronta temi più ampi di carattere urbanistico, le scale varieranno: planimetrie generali e sistemazioni urbane a scala 1/1000 o 1/500, d. d'insieme di edifici illustranti l'ubicazione, i rapporti, i volumi dei diversi edifici a scala 1/200.
L'importanza dei d. di progetto, in particolare di quelli autografi, va al di là del fatto costruttivo, qualificandosi documento fondamentale per la comprensione dell'opera compiuta: la quale non parla soltanto attraverso la visione diretta e la fruizione dello spazio, ma anche attraverso la ricostruzione del processo creativo che procede dalla prima idea fissata dagli schizzi iniziali, ai d. del progetto di massima e poi a quelli esecutivi: processo che leggiamo distintamente nelle sue varie fasi, proprio negli elaborati del progetto.
Ogni d., nei vari stadi di sviluppo e di approfondimento, costituisce, pertanto, una documentazione del processo d'invenzione e di sviluppo dell'idea progettuale, pur facendo parte del corpus dei d. architettonici, che hanno ancora valore tecnico-costruttivo. Un particolare valore autonomo lo attribuiamo a quei d. che finiscono per avere uguale importanza artistica: d. architettonici se sono d. personali in vista di un'opera architettonica; d. di architettura, se sono d. di carattere e finalità scenografici. Al di là del valore dell'opera architettonica, quei d., considerati come immagini figurative rivelatrici della personalità dell'autore, interessano la storia dell'arte (ma quelli riferiti al progetto, prima ancora, la storia dell'architettura).
Al progetto, così, viene attribuito il valore di opera compiuta come architettura pura, per l'individuazione spaziale che suggerisce e precisa nella rappresentazione teorica, indipendentemente dall'esperienza dinamica dello spazio realizzato.
Il rilievo. - Importanza non minore per la comprensione dell'edificio costruito hanno i d. di rilievo, che rappresentano insieme a quelli di progetto l'insieme dei d. architettonici.
Il d. di rilievo, che ha da sempre costituito una scuola di architettura indispensabile per chiunque volesse porsi dinanzi ai problemi delle proporzioni, degli stili e in genere dell'architettura dei maestri del passato, ha oggi guadagnato nuove posizioni sia per le nuove esigenze di recupero e di restauro di edifici antichi, sia per le nuove tecniche che ne consentono una realizzazione più precisa e più rapida (anche se a volte meno didattica e in fondo meno interessante).
Come per il progetto, anche per il rilievo possiamo dire che la sua funzione va al di là del semplice fatto tecnico, di documentazione dell'edificio o del monumento, consentendo proprio attraverso i d. architettonici la ricostruzione della sua ''storia'', l'individuazione delle fasi di costruzione, e una serie di considerazioni possibili solo attraverso la pratica del rilievo.
Il rilevamento, oggi, studia e registra l'origine di un edificio e le sue vicende storiche fino allo stato attuale, analizzandone le successive trasformazioni, mettendone in evidenza gli elementi caratteristici, evidenziandone le strutture e le condizioni statiche, differenziandone l'impianto decorativo, individuandone la tipologia, precisandone la distribuzione funzionale. Con il rilievo architettonico, i valori spaziali e architettonici vengono tradotti in un insieme di d., a diverse scale, che riflettono con assoluta precisione lo stato di fatto dell'edificio, precisando in particolare le eventuali anomalie.
Non si può dimenticare, tuttavia, che il rilievo, per quanto obiettivo possa risultare (anche con l'aiuto di tecniche aggiornate e di strumentazioni adatte), rimane sempre uno strumento d'interpretazione, in quanto strumento critico, attraverso una vasta serie di informazioni e un'operazione di trattamento grafico degli aspetti architettonici, costruttivi e funzionali.
Alla base del rilievo architettonico esiste un'indagine che affronta i diversi aspetti dell'edificio: storico, in quanto ogni opera architettonica, antica o moderna, non può considerarsi avulsa dal proprio contesto storico e culturale; tecnico (i sistemi costruttivi, i materiali, il degrado); cognitivo (esecuzione, significato dell'opera, sistemazione nel tempo); strumentale (rapporti con altre discipline); funzionale (destinazione, distribuzione).
Il rilievo si qualifica così come opera di misurazione, di definizione geometrica e di ritrovamento di leggi compositive e proporzioni, ma anche come opera di lettura e di conoscenza storica, che diventa subito critica, allorché tracciamo sulla carta il segno del primo muro e definiamo impianto, struttura, funzione, architettura. Alcuni operatori e storici pensano che il rilievo debba essere caratterizzato anche a seconda dello scopo per cui è progettato ed eseguito: da una disciplina unitaria dovrebbero discendere le varie applicazioni relative al rilievo per la lettura critica, per la documentazione storica, per il restauro, per l'archeologia, per l'estimo, ecc. Ma riteniamo che, proprio inteso come operazione ancor più generale di quanto la definizione di ''architettonico'' possa suggerire, il rilievo debba e possa essere ''unico'', capace cioè di soddisfare tutte le esigenze delle diverse specializzazioni.
Il ''rilevamento'', che è un aspetto del d. architettonico, è da intendere allora come la raccolta, l'analisi e l'interpretazione non solo dei dati dell'architettura presa in considerazione, inerenti all'aspetto propriamente architettonico, geometrico-scientifico (e cioè alla spazialità dell'organismo architettonico, ai materiali, alla struttura e alla funzionalità), ma anche di quelli riferiti al periodo storico in cui l'opera è stata costruita e di quelli inerenti all'uso dell'opera stessa da parte dell'uomo.
Come si svolge il procedimento di rilievo? In questa sede basti considerare i due aspetti fondamentali dei d. che lo individuano e lo definiscono: quelli in situ, eseguiti sul posto, che hanno il carattere di appunti dal vero, con piante e sezioni eseguite a mano libera, il più possibile proporzionate, e cioè vicine alle misure e alle proporzioni reali, con l'indicazione puntuale di tutte le misurazioni; e quelli eseguiti ''a tavolino'', nell'ambito della stesura in forma geometrica degli appunti presi sul posto, attraverso gli strumenti scientifici, che ne garantiscono la precisione e la fedeltà all'architettura rilevata.
Ma prima ancora di disegnare occorre rendersi conto dell'opera da rilevare, respirarne l'atmosfera, percorrerne gli spazi interni e girarle intorno per conoscerla e comprenderla nella sua interezza spaziale e architettonica. Così, se dovessimo individuare le fasi del rilievo, potremmo riassumerle in: a) conoscenza dell'opera, partecipazione allo spazio architettonico, fonti di archivio e bibliografiche; b) indagine storica e approccio conoscitivo; c) rilevamento a vista; d) rappresentazione grafica, messa in pulito degli appunti; e) lettura dell'opera, analisi critica; f) conclusioni.
Infine un accenno ai diversi metodi di rilievo: a) metodo diretto (attraverso l'approccio diretto e manuale con l'edificio): indispensabile per il rilevamento delle piante interne e delle sezioni delle costruzioni; b) metodo strumentale (attraverso metodologie impiegate in topografia), inteso soprattutto come complementare al metodo diretto e a quello fotogrammetrico; viene impiegato principalmente per rilevamenti di precisione o di grande estensione; c) metodo fotogrammetrico (attraverso i sistemi della geometria descrittiva e della restituzione prospettica), impiegato laddove si voglia notevole precisione nel rilievo e grande quantità di informazioni.
Disegno architettonico e personalità. - Due relazioni differenti nella forma e nella sostanza legano il d. all'architettura, differenziando ancora il d. architettonico da quello di architettura.
La prima è di carattere strettamente tecnico e strumentale: il d. architettonico, con i suoi mezzi espressivi, descrive nell'insieme e nei particolari l'opera architettonica in fieri, ancora da realizzare, quando è d. di progetto, o l'opera costruita, nello stato attuale, quando è d. di rilievo. L'astrattizza, se così si può dire, nelle componenti geometriche oggettive delle sezioni orizzontali e delle sezioni verticali che, se da un lato individuano separatamente i vari piani di rappresentazione e di lettura, dall'altra ne suggeriscono la ricomposizione nella sintesi del progetto.
La seconda è di carattere estetico: il d. di architettura, che rappresenta e interpreta soggettivamente il tema architettonico, si esprime come attività artistica autonoma, offrendo all'interesse dell'osservatore l'immagine di opere architettoniche già realizzate, immagini di fantasia o di architetture soltanto pensate e disegnate.
Nel primo caso, il d. di progetto è spersonalizzato al massimo, alla ricerca di un'obiettività che faccia dell'espressione grafica un linguaggio universale; nel secondo, intende rievocare con i propri mezzi, e agendo sulla qualità dell'immaginazione dell'individuo, il fascino di un'architettura, anche se riesce a farlo solo limitatamente, cogliendo un aspetto parziale, un momento della visione personale architettonica che è invece essenzialmente dinamica, nell'impossibilità di trasferire in sé il ''gioco dei volumi sotto la luce'' e nell'atmosfera, e cioè è inimitabile realtà dello spazio architettonico.
Il d. architettonico di progetto non è soltanto, allora, quello obiettivo e impersonale degli elaborati geometrici, ma anche quello soggettivo e personalizzato degli abbozzi e degli schizzi, nei quali l'autore non cerca l'idea, ma cerca di rappresentare l'idea che è andata formandosi nella sua mente. E mentre, come già detto, i d. professionali o tecnici portati avanti con l'aiuto degli strumenti, delle squadre, delle righe e del tecnigrafo, tesi alla rappresentazione obiettiva per la realizzazione dell'opera, raggiungono raramente l'interesse e il valore di espressione personale, gli altri, le ''idee disegnate'', conservano intatto il fascino dell'invenzione e si propongono come opere d'arte.
Tutto ciò è tanto più vero oggi che il lavoro di progettazione non è più svolto dall'architetto chiuso nel suo isolamento, ma sempre più spesso da studi, organizzati per il ''progetto integrale'', nei quali i diversi e molteplici aspetti del progetto architettonico vengono affrontati separatamente da specialisti, secondo un'organizzazione che, come scrive V. Gregotti, "tende a trasformare lo studio professionale in una struttura molto vicina al modello dell'impresa di servizio". Ma aggiunge: "Questo articolarsi dei centri di produzione del progetto non ha dato per ora grandi risultati qualitativi. Al contrario sembra tendere a mediocrizzare il progetto trasformandone i risultati non in senso civile, cosciente e misurato, ma piuttosto come elisione di ogni tensione, come risposta burocratica alla molteplicità degli interessi, alle preoccupazioni demografiche. Mi pare evidente che lo sforzo sviluppato in questo mezzo secolo per organizzare il progetto come sistema integrale, dotato di ogni indicazione a tutti i livelli, non deriva tanto da una distanza tecnologica tra progetto ed esecuzione né solo da una mancanza di unità nelle persone tra i due momenti, quanto da una progressiva divaricazione culturale tra mondo della produzione edilizia e mondo della progettazione architettonica...".
Bisogna però precisare che non tutti gli architetti cercano nei loro d. di progetto, anche esecutivi, l'obiettività e la specializzazione del linguaggio: basti pensare ai d. di F.L. Wright − e non solo alle prospettive, ma alle piante, spesso unite alle sezioni o a uno schizzo assonometrico o prospettico −, che sono inconfondibili nello stile del segno, nel tratteggio, nelle campiture di colore sul supporto di carta da spolvero; o a quelli di M. Ridolfi, che disegna i suoi esecutivi a mano libera, a matita, sovrapponendo le piante alle sezioni, gli schemi ai materiali, precisando le misure e arricchendo i grafici di annotazioni scritte, con un risultato che prima ancora che ''esecutivo'' è decisamente emozionante e poetico.
Il pensiero dei maestri. - Mentre il soggetto accomuna il d. architettonico ad altri tipi di d., quali quelli di architetture interpretate dal vero o solo immaginate (visioni o scenografie), e lo distingue da altri d. tecnici, che usano gli stessi metodi di rappresentazione (proiezioni ortogonali, centrali, assonometriche, quotate) ma affrontano temi non di architettura (meccanici, industriali), è proprio il fine ultimo di rappresentare gli elementi dell'architettura in fieri o di documentare e rilevare gli elementi dell'architettura costruita che lo qualifica come d. architettonico.
È interessante ascoltare il parere dei maestri del passato e dei maestri dell'architettura contemporanea sull'argomento. Dice Vasari nelle Vite: "E tutti questi o profili o altrimenti che vogliamo chiamarli, servono così all'architettura e alla scultura come alla pittura, ma alla architettura massimamente; perciocché i disegni di quella non sono composti se non di linee, il che non è altro, quanto all'architettura, che il principio e la fine di quell'arte, perché il restante, mediante i modelli di legname tratti dalle dette linee, non è altro che opera di scalpellini o muratori".
L. B. Alberti precisa ancora meglio la qualità del d. architettonico: "Tra il disegno del dipintore, e quello dell'architettore, ci è questa differenza, che il dipintore si affatica in minutissime ombre e linee ed angoli per far risaltare di una tavola piana in fuori i rilievi; e lo architettore non si curando delle ombre, fa risaltare in fuori i rilievi mediante il disegno della pianta, come quello che vuole che le cose sue siano riportate non dalla apparente prospettiva, ma da verissimi scompartimenti, fondati su la ragione".
Così i d. del pittore, dello scultore, dell'architetto vengono separati e differenziati fin dall'inizio della loro storia critica. Una divisione che durerà fino ai giorni nostri, accettata da quasi tutti, respinta da pochi studiosi e storici. Tra questi L. Grassi, che nella sua Storia del disegno (1947) non solo respinge la separazione tra d. architettonico e d. di architettura, immagini della fantasia o scenografie, ma anche quella tra il d. del pittore, dello scultore, dell'architetto: "... l'atteggiamento critico degli studiosi tedeschi − scrive − nei confronti del problema del disegno, ha assunto un orientamento decisamente teoricizzante. Da un lato, si è insistito molto sul significato, i nessi e caratteri della scrittura disegnativa o grafia dell'artista (Degenhart); dall'altro, muovendo da una presunta diversità costitutiva tra il disegno del pittore, dell'architetto e dello scultore, si è indagato, più o meno astrattamente, su la distinzione tra un Architekturzeichnung (Linfert), e un Bildhauerzeichnung (Keller, Heydenreich, Gradmann).
Conviene subito avvertire come tali ricerche non potevano, e non possono, suscitare un interesse critico favorevole presso la nostra cultura e mentalità... appare ancor più grave l'edificio di carta che si è voluto costruire intorno a concetti altrettanto empirici, presupponendo cioè una distinzione che si vorrebbe universale e teoretica − tra un Malerzeichnung, un Architektur-zeichnung, un Bildhauerzeinchnung. E mentre il disegno del pittore ''rimane nella stessa sfera dell'immaginazione libera da finalità come in un dipinto'', in stretta e immancabile dipendenza dal problema bidimensionale della pittura, il disegno architettonico dovrebbe necessariamente riflettere una realtà tridimensionale, mentre il disegno scultoreo sarebbe un che di mezzo tra i due primi... Naturalmente lo Strichbild o, diciam meglio, la grafia verrebbe a differenziarsi nei tre casi, propriamente in base a tale empiristica ed impersonalissima classificazione, che si direbbe un aspetto deteriore della vecchia distinzione tra le diverse arti.
In realtà: un disegno o schizzo, eseguito e ''pensato'' in vista di un'opera architettonica o per un dipinto o per una scultura, può ben racchiudere nel proprio organismo grafico la tendenza o sensibilità architettonica pittorica o plastica dell'artista, quale si manifesta in quel determinato e concreto momento creativo; ma il fenomeno riguarda la personalità dell'artista, che può inconsapevolmente ''trasferire'' nel disegno... valori eminentemente scultorei, anche se egli sia solamente pittore, e viceversa. Conviene riconoscere che, relativamente al problema del ''disegno architettonico'' − che non può costituire, comunque, un problema teoretico − le analisi di Carl Linfert manifestano, sotto un certo aspetto, una visione più approfondita che ben si addice all'argomento, di per sé complesso, della architettura. Il Linfert osserva, ad esempio, che la invenzione architettonica − sia essa fantastica o, in quanto realtà spaziale, realizzabile − si manifesta sulla carta in maniera fondamentalmente diversa, nei confronti del disegno pittorico: perché la carta, nel disegno architettonico, non ha valore, assume lo stesso significato astratto del vuoto aereo entro cui si iscrivano linee architettoniche pure e semplici. Per questo ed altri motivi il giudizio sul disegno architettonico dovrebbe configurarsi differentemente ed a parte.
In verità il maggior peso che nel campo architettonico assume il problema della tecnica, intesa come ricerca dei mezzi in cui viene concretandosi l'imagine architettonica; il distacco tra un disegno o schizzo autografo, e un progetto delineato con precisione geometrica a traverso misurazioni, dalla pianta all'alzato, all'effetto assonometrico; lo stesso divario esistente tra un disegno ''pensato'' in vista di un'opera architettonica, e un altro di carattere scenografico, che è dire tendenzialmente pittoresco e vedutistico, sembrano fornire un valido appoggio alle argomentazioni del Linfert. Ma se tali distinzioni e classificazioni mantengono inalterato il loro valore in sede filologica, e cioè precedentemente al giudizio estetico sulla opera architettonica, è propriamente l'opera in quanto imagine figurativa e rivelazione poetica della personalità, che interessa la critica o storia dell'arte".
C'è da chiedersi allora quale sia la posizione di un architetto di fronte al d. architettonico. Ma soprattutto quale sia il rapporto tra l'idea progettuale, l'invenzione, e il d. di quel progetto. Risponde G. Michelucci, l'autore di tante opere, dalla Chiesa dell'Autostrada del Sole, alla Cassa di Risparmio di Colle Val d'Elsa: "Quando ho un problema architettonico da risolvere, e devo inventare uno spazio, non mi chiudo nel mio studio, seduto ad un tavolo da disegno, davanti al foglio bianco in attesa di tracciare con la matita la mia architettura e di cercarla attraverso i disegni, prospettive e volumetrie. Ho bisogno di pensarci, di maturarla, di vederla: allora continuo la mia vita di sempre, passeggio per le strade di Firenze, mi guardo intorno, vado in giro e penso...chiarendo dentro di me il problema da risolvere e da maturare, e portando con me un libretto di appunti per segnarci le idee che mano mano mi vengono in mente... Quando ho chiaro nella mia mente quello che voglio, quando vedo l'architettura, quando riesco a percorrerla, quando sono in grado di viverne lo spazio, quando sento la resistenza del muro, allora soltanto posso disegnare...".
Non dissimile è l'affermazione dell'architetto J. J. P. Ond, che scrive in una lettera: "Io lavoro ad un progetto fino a che non sento (forse è più giusto dire fino a che non so) che esso per me è finito e non può essere migliorato. Allora mi fermo. Con questo non voglio intendere che esso sia il migliore dei migliori in generale, ma per me lo è, almeno in quel momento. In ulteriori progetti cercherò di trovare nuove soluzioni: ma in quel momento quel progetto ha una fine!... Generalmente l'intera cosa, durante questo procedimento, viene ridisegnata moltissime volte. È un lavoro terribile, per il mio assistente, rifare sempre lo stesso disegno con minimi mutamenti...".
Altrettanto chiarificatrici sono le osservazioni dell'architetto austriaco C. Holzmeister a proposito del d. architettonico e della progettazione: "In un primo momento... i grafici vanno eseguiti nella scala più piccola, tanto piccola da rendere sufficiente la pressione della matita tenera, per rappresentare una finestra, ed un solo tratto a generare un cono d'ombra; il gioco delle forme, l'analisi dei loro reciproci rapporti, può, solo in questo modo, essere trasferito graficamente sulla carta, come espressione personale di sensazioni architettoniche... Piante e prospetti, sezioni e volumi così si fondono, diventano unità architettonica, le une in dipendenza degli altri".
Come pure illuminante è capire la diversa posizione e il differente modo di approccio al progetto di autori come P. L. Nervi e O. Niemeyer, che pure hanno lavorato insieme in alcune realizzazioni architettoniche. P. L. Nervi, che, in realtà, concepisce e disegna i suoi progetti incominciando dai grafici dei particolari alla scala del tutto personale di 1/4, a chi gli chiede se è vero che non ama disegnare, risponde che piuttosto che ''schizzare'' le sue idee egli cerca di esprimerle con un modellino: ''Non disegno se non in geometrico; io vedo le mie architetture non in schizzi prospettici ma nelle proiezioni di pianta e prospetto, nelle sezioni, già e sempre in scala, e con l'omino in piedi (accanto ai disegni di piante) che mi aiuti a capire il rapporto tra l'uomo e l'architettura inventata; una cosa che può sembrare perfino banale ma che invece risulta utilissima per non dimenticare l'uomo e le sue dimensioni...".
O. Niemeyer, autore delle principali opere architettoniche del Brasile (dopo aver progettato insieme a L. Costa la nuova capitale, Brasilia), dichiara di disegnare le sue architetture a scala 1/500 per scendere soltanto dopo a scale maggiori, al momento dell'esecuzione, e a chi gli chiede cosa intende per d. architettonico, risponde disegnando: disegnando gli schemi costruttivi del palazzo delle Nazioni Unite a Parigi per dimostrare le nuove impensabili possibilità del cemento armato; i pilastri del ministero degli Esteri a Brasilia, dalla strana forma, che "si allontanano dalle pareti, e consentono alla gente di girarci intorno, con sempre nuove prospettive...; e poi la sezione della cattedrale che al posto della classica chiesa gotica che si alza al cielo, si ''nasconde'' invece sotto il livello della piazza ed è sormontata da una grande corona, attraverso cui penetra trionfalmente la luce"; e ancora disegna gli ''archi'' che reggono il volume sospeso degli uffici della sede della Mondadori a Milano, organizzati secondo un ritmo musicale; e a proposito delle forme nuove, assolutamente libere, semisferiche, una poggiata e una capovolta, del Parlamento e del Senato nel Palazzo del governo a Brasilia, precisa come siano "dettate dalla ricerca di una migliore visibilità interna, e come offrano prospettive straordinarie all'esterno... I disegni architettonici? All'inizio solo pochi disegni geometrici in scala 1/500, poi quelli a scala 1/100 e infine pochi esecutivi. L'importante è l'idea iniziale". Conclude Niemeyer: "Perché disegno? E perché insegno all'Università a disegnare? perché io mi esprimo disegnando: e ai miei allievi, per prima cosa, insegno a disegnare".
W. Gropius invece afferma senza reticenze: "Io non faccio mai alcun disegno... e i grafici rappresentativi nel mio ufficio sono eseguiti da altre persone". E così pure M. Yamasaki, che precisa: "il 95% del mio lavoro si compie attraverso i modelli", o l'architetto giapponese-americano J.J. Pei che si dice molto "dolente di non eseguire mai personalmente alcun disegno... Io comprendo che ciò è affatto inconsueto, perché molti architetti si fanno un punto di onore nel collezionare i propri lavori grafici".
Architetture disegnate. - C'è da chiedersi che cosa spinge negli ultimi anni della nostra storia tanti architetti a dedicarsi al d. di architettura, o meglio a disegnare architetture che non saranno mai realizzate, non come progetto o come visioni prospettiche di progetti, ma come pure fantasie, vere e proprie scenografie, o meglio ancora utopie espresse con il disegno.
Da un lato c'è senza dubbio la crisi dell'architettura contemporanea, dopo gli anni fattivi della ricostruzione, la difficoltà d'inserirsi in un processo produttivo in buona parte monopolizzato da pochi studi professionali; dall'altra il desiderio di poter pensare e disegnare liberamente gli spazi più vicini alla nostra sensibilità e alla nostra immaginazione, insieme al riscoperto piacere del d., inteso come mezzo capace di rappresentare sulla carta le architetture che sogniamo, con effetti suggestivi di prospettiva e di colore.
Questi d. di architettura non sono d. architettonici, appartengono in ogni caso non alla storia dell'architettura ma alla storia del d., espressioni della fantasia e significativi di mentalità e di condizioni particolari.
Disegno elettronico. - Un aspetto particolarmente attuale del d. architettonico è la produzione di immagini (non solo d.) riferite all'architettura da realizzare, e cioè al progetto, definibile in senso lato come ''grafica elettronica'' o computer graphic.
Il d. elettronico consiste in un'immagine ottenuta attraverso un processo d'inserimento dei dati grafici (input grafico), in caso di progetto; in caso di rilievo il d. può essere ricavato direttamente da immagini fotografiche o elettroniche. La produzione diretta di immagini fa parte della computer graphic e diventa interattiva (IG o Interactive Graphic) dal momento che l'utente può e deve intervenire ogni momento per modificare l'immagine. Per Computer Aided Design (CAD) s'intende la progettazione assistita, che, nel suo complesso, non si manifesta solo con disegni.
Per disegnare è necessario usare macchine e programmi adatti, il cui insieme costituisce la stazione grafica o sistema grafico. Un buon programma (software) di d. deve permettere di disegnare delle forme e ubicarle nel piano, attraverso un cursore (una piccola croce) che compare sullo schermo e che è manovrato per mezzo di tastiera o di tavoletta grafica. Una volta posizionato il cursore, la macchina acquisisce le coordinate del punto selezionato e le memorizza su invio di un segnale, trasmesso attraverso la pressione dello stilo magnetico o di un particolare tasto funzionale. Sono possibili così manipolazioni al terminale del d. (funzioni ausiliarie), come la cancellazione totale o parziale, la ripetizione di uno o più elementi, la traslazione e il ribaltamento di immagini, le variazioni di scala, in aumento o in diminuzione.
L'immissione dei dati grafici ha bisogno di strumenti di input capaci di adattarsi alle esigenze e alle abitudini di chi disegna; attualmente al posto della ''penna luminosa'' (che funziona per contatto con lo schermo videografico eccitando per mezzo di un impulso luminoso il punto del quale si vogliono recepire le coordinate) si usa il cosiddetto mouse, costituito da una piccola scatola collegata con un filo al computer e contenente una sfera che consente lo scorrimento sulla tavoletta grafica (digitizer). Per l'effettiva produzione di d. (hard copy) ci si avvale di macchine (plotters) che producono d. vettoriali, manovrando vere e proprie penne, o stampanti, che possono essere a carattere intero o a matrice di punti. Esistono vari tipi di plotters: i plotters (detti a XY) funzionano come un tecnigrafo con due componenti di d.; e possono essere piani se la carta rimane fissa e le penne si muovono, o a rulli, se il d. è ottenuto dalla combinazione del movimento delle penne e dello scorrimento del rullo. Vedi tav. f. t.
Per il disegno industriale, v. industriale, disegno, in questa Appendice.
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