disoccupazione
La condizione di chi ha perso il lavoro o non riesce a trovarlo
La disoccupazione è la condizione di chi è rimasto senza lavoro per cause che non dipendono dalla sua volontà, non ha un'altra attività retribuita ed è alla ricerca di un nuovo lavoro. L'inoccupazione, invece, è la condizione di chi cerca lavoro per la prima volta, e riguarda quindi soprattutto i giovani. Disoccupazione e inoccupazione sono un grave problema non solo economico e sociale, ma anche umano
Una condizione difficile. Quando in casa c'è un disoccupato, tutta la famiglia ha problemi. E sono problemi diversi perché ci può essere il padre che ha perso il lavoro e deve trovarne un altro, così come ci può essere una figlia che si è diplomata ma non riesce a trovare un lavoro. Nel primo caso la situazione è più preoccupante perché è venuta a mancare una fonte di guadagno principale, e bisogna rimpiazzarla al più presto. Nel secondo caso la situazione ha conseguenze meno gravi, ma un intervallo eccessivo tra la fine degli studi e l'inizio di una attività lavorativa rischia di rendere inutile l'istruzione. In Italia è questo il caso prevalente, e infatti i giovani in cerca di primo impiego ‒ gli inoccupati ‒ sono più numerosi degli adulti disoccupati che cercano un nuovo impiego. La situazione degli adulti però è più grave: mentre i giovani possono accontentarsi di lavori provvisori e poco remunerativi, che comunque consentono loro di acquistare un po' di esperienza, gli adulti devono trovare presto un lavoro adeguato alla propria preparazione professionale e che offra garanzie di stabilità, specialmente se si tratta di capifamiglia. Sia la disoccupazione sia l'inoccupazione possono essere gravi oppure lievi, e ciò dipende essenzialmente dalla loro durata. Questa infatti può essere così breve che gli interessati non vanno neppure a iscriversi presso i Centri pubblici per l'impiego, dove si certifica e si assiste la condizione di chi si offre sul mercato del lavoro. Quando invece la ricerca si protrae per molte settimane o supera l'anno, sia la disoccupazione sia l'inoccupazione diventano 'di lunga durata', provocando malessere sociale e drammi umani.
Sussidi. A volte chi non trova un impiego all'altezza delle proprie capacità professionali può temporaneamente ottenere dallo Stato un'indennità di mobilità o un sussidio di disoccupazione, che integrano soltanto in parte la retribuzione perduta. In Italia esiste la cassa integrazione guadagni, pagata ai lavoratori delle aziende in crisi che, anziché licenziati, vengono sospesi in attesa del risanamento. Talvolta il disoccupato trova un impiego all'altezza delle sue capacità, ma pagato assai meno di quello che ha perduto; oppure in una sede lontana, in un'altra provincia o regione. In casi come questi, un capofamiglia si trova di fronte a scelte davvero ardue, perché la riduzione dei guadagni rende difficile se non impossibile assolvere agli obblighi contratti quando aveva un lavoro: mutui, prestiti, cambiali.
Gli effetti della disoccupazione non sono soltanto economici, ma anche sociali. Infatti nella società contemporanea l'occupazione è un importante indicatore di prestigio. Pertanto chi rimane privo di un impiego, anche se lo sta cercando attivamente, rischia con la propria famiglia di essere emarginato rispetto alla comunità, come se diventasse un cittadino di seconda categoria.
Se da un lato la disoccupazione può generare un'insicurezza economica per il lavoratore e la sua famiglia, dall'altro essa causa sicuramente una perdita economica per tutti, poiché lascia inattiva la persona che prima dava il proprio contributo al benessere del paese. Fu questa constatazione a promuovere i primi studi scientifici su un fenomeno apparso soltanto dopo la rivoluzione industriale avvenuta in Inghilterra fra il 1760 e il 1830. Sul finire dell'Ottocento si constatò che la disoccupazione aveva cause generali più che individuali: infatti aumentava nei periodi in cui l'economia andava male. In precedenza, invece, la mancanza di lavoro era vista come una specie di fatalità, e chi rimaneva inoperoso veniva considerato uno scansafatiche. Si notò, inoltre, che quando e dove le fabbriche lasciavano a casa i dipendenti si verificava una diminuzione non solo della produzione, ma anche dei consumi perché il mancato guadagno dei disoccupati sottraeva risorse all'intera comunità. Il famoso economista John Maynard Keynes arrivò ad affermare che, piuttosto che lasciare inattivi i disoccupati, conviene pagarli per fare lavori inutili come scavare buche e poi riempirle. Da allora è stato unanimemente adottato il concetto di 'disoccupazione involontaria' riferito ai fenomeni di licenziamento collettivo, quando più persone perdono il lavoro per il medesimo motivo: di solito, la crisi di un settore o la chiusura di un'azienda.
Meno visibile ma non minore può essere il travaglio umano del disoccupato. Qua e là sopravvive per esempio l'idea che la colpa possa anche essere sua. Ma quale 'colpa'? Di non avere trovato un lavoro per essersi dato poco da fare o per avere rifiutato impieghi poco pagati o troppo lontani? Oppure di essersi comportato in modo tale da farsi licenziare? Un lavoratore può perdere l'impiego quando l'imprenditore non ha più bisogno dell'attività da lui svolta, magari perché l'azienda ha cessato quel tipo di produzione o perché le sue competenze non sono più all'altezza delle necessità. In casi come questi la legislazione di molti paesi europei ammette il licenziamento, previsto anche nei casi di gravi infrazioni disciplinari.
Chiunque abbia sperimentato un periodo di disoccupazione ha conosciuto i suoi molteplici effetti, che sono stati ampiamente studiati dalla sociologia, dalla psicologia e anche dalla psichiatria. La disoccupazione demoralizza e deprime più di quanto ispiri rabbia o rivolta. Essa crea quasi sempre uno stato di mortificazione sociale e di instabilità emotiva. È sintomatico che si riguadagni stabilità appena si trova un altro lavoro, a meno di essere rimasti inattivi troppo a lungo.
L'inattività forzosa può sviluppare sentimenti di inferiorità quando si incolpa sé stessi per avere perso il posto, per non riuscire a trovarne un altro, o per entrambe le ragioni. Vi sono persone che, vergognandosi del proprio stato, diventano più introverse e meno socievoli, e tendono pertanto a perdere la fiducia in sé, a ritrarsi dalla società, ad allentare i legami familiari. Ma quando la disoccupazione è causata da licenziamenti collettivi e da chiusure di impianti, oppure ha ragioni strutturali che la rendono durevole e diffusa, i singoli non incolpano più sé stessi ma altri: imprenditori, affaristi, amministratori, politici.
Diverso è lo scenario dell'inoccupazione. I giovani non sperimentano il trauma iniziale, cioè la perdita del posto di lavoro, ma vanno incontro a un'odissea spesso frustrante di tentativi molteplici e di esperienze informali, di lavoretti occasionali e di contratti brevi. Nella ricerca del primo impiego, anche i laureati vengono aiutati dai rapporti di lavoro flessibili creati per favorire l'ingresso dei giovani nel mercato.
Tuttavia, queste forme possono rivelarsi una trappola quando gli impieghi brevi si susseguono senza portare a un'occupazione stabile. Un'altra trappola, in cui possono cadere i genitori stessi, è quella di aggiungere supplementi di istruzione, per esempio corsi integrativi o master specialistici, che hanno il solo effetto di prolungare l'inoccupazione e di ritardare il primo impiego. Chi deve assumere personale usa invece un altro criterio: a parità di età, fra il giovane che vanta un corso in più e quello che ha un'esperienza in più sceglie quasi sempre quest'ultimo. Sul mercato del lavoro, infatti, l'incontro fra domanda e offerta si sta 'individualizzando', per cui un pezzo di vita conta almeno come un pezzo di sapere, se non di più.