Hanák, Dušan
Regista, fotografo e poeta slovacco, nato a Bratislava il 27 aprile 1938. È il più noto e premiato regista slovacco insieme a Jurai Jakubisko e con il suo lungometraggio d'esordio, 322 (1970), poté arricchire la Nová Vlna, in via di 'normalizzazione' dopo la repressione sovietica della Primavera di Praga, con una storia forte e decisa: fu il primo film dell'Est europeo sulla malattia e la solitudine (vincitore ex aequo all'Internationales Filmfestival Mannheim-Heidelberg). H. riuscì a girare con una certa regolarità ‒ come Věra Chytilová a Praga ‒ anche in quel periodo e per tutti gli anni Ottanta, grazie al suo talento e a una mitezza di carattere proporzionale alla forza etica, incappando in inevitabili censure. Nel 1990 ha ripreso a lavorare regolarmente scegliendo, poi, di rimanere in Slovacchia, anche dopo la democratica ma lacerante fine della seconda Repubblica Cecoslovacca (1990-1992).
Nel 1960 H. fu ammesso alla FAMU di Praga e conseguì il diploma di laurea con il cortometraggio Učenie (1965, Apprendistato, premiato all'Internationale Kurzfilmtage di Oberhausen nel 1966) dove vengono ritratti, scegliendo il Cinéma vérité (con secchi primi piani e dettagli che ricordano Konkurs, 1963, di Miloš Forman o legando due ministorie 'comparate' sull'eco di O nĕčem jiném, 1963, di Věra Chytilová), giovani che nel tempo libero suonano il rock and roll e ragazze disilluse dalla vita che studiano per l'esame da parrucchiera. In Artisti (1966) si racconta il dimesso mondo di un piccolo circo ambulante, alternando momenti di montaggio pausato ad altri più incalzanti. Ancora un documentario incentrato sui lunghi silenzi tra le parole della liturgia è Omša (1967, La messa), risolto con dettagli e inquadrature 'semplici', dove, in un paesaggio nevoso, anziane donne che entrano nella chiesa di un villaggio, i bambini, i banchi consunti, un vecchio prete dall'altare sono attori di una messa perduta nel tempo, ma viva.322 permise ad H. ‒ facendo tesoro della lezione di Michelangelo Antonioni e Štefan Uher ‒ di unire tre temi poco contemplati dall'estetica socialista: il vuoto esistenziale che colpisce a venti anni (il playboy) come a quaranta (il cuoco, marito ammalato e tradito); una crisi matrimoniale dai tratti 'borghesi' (la moglie ama 'le cose' e, soprattutto, la sua Fiat 600); la terribile solitudine della malattia. Il titolo (numero della pratica medica del protagonista) allude alla spersonalizzazione dell'uomo contemporaneo, ma appare anche un atto d'accusa contro il ritorno del neosocialismo 'realista' che, in quei mesi, stava spazzando via quello dal 'volto umano' dello slovacco A. Dubček. Obrazy starého světa (1972, Immagini di un vecchio mondo) è un poetico e severo documentario in bianco e nero, (con echi da Robert J. Flaherty a S.I. Witkiewicz), sugli sfortunati della società. Alternando fotografia fissa e riprese, con il ricorso al grandangolo per ingigantire i dolori fisici della vita, Obrazi provoca un forte shock visivo: al tempo fu accusato di 'apologia della bruttezza estetica' e censurato ('liberato' nel 1988, ha ricevuto poi numerosi riconoscimenti). Ružové sny (1976; Sogni rosa), commedia dal finale amaro, fu la prima fiction dell'Est sul problema dei rapporti (che i regimi socialisti consideravano 'risolti') tra comunità zigane e gǎge (i non Zingari). Vi si narra infatti, con rimandi formaniani e felliniani, la storia d'amore, avversata dalle due comunità, tra il postino del villaggio e la sua innamorata zingara. In Ja milujem, ty miluješ (1980, Io amo, tu ami; proiettato solo nel 1988 e vincitore dell'Orso d'argento al Festival di Berlino del 1989), la commedia (al noto mimo Boleslav Polívka è affidato un ruolo 'comico' che si conclude con la morte del personaggio) oscilla tra documentario e realismo magico, riproponendo i motivi dell'amore e il mondo dei rifiutati. In Tichá radost′ (1986, Gioia silenziosa) H. elabora uno studio, dai risvolti psicoanalitici, sull'incomunicabilità e la fine di un amore, utilizzando come set la vita in un ospedale e mantenendo il tratto documentaristico specie nella fotografia di interni che utilizza solo luce naturale. In Súkromné živote (1990, Vite private) H., nel riproporre il luogo narrativo della vita in ospedale, riprende, dopo cinque anni di inattività, il tema dell'incomunicabilità e della crisi della coppia e accentua il tono bergmaniano. Papierové hlavy (1996, Teste di carta) è una parodia del vecchio regime comunista, realizzata con fine humour e ricorrendo a un abile montaggio tra scene documentarie (le piazze di Bratislava durante la rivoluzione di velluto del novembre 1989) e originali creazioni scenografiche (grandi teste di carta carnascialesche alludenti ai vecchi gerarchi).
Negli anni successivi ha incontrato difficoltà nel trovare finanziamenti per nuovi progetti e si è dedicato alla docenza presso l'Accademia del cinema di Bratislava, alla fotografia e ha esordito come poeta.
J.L. Manceu, Vingt ans après, Dusan Hanak, in "Cinéma quatre-vingt-neuf", avril 1989, pp. 15-16; P. Branko, Premeny poetiki Dusana Hanaka (Cambiamenti di poetica in Dušan Hanak), in "Dialog", 1990, 25, pp. 1-4.