Ecotossicologia
L'ecotossicologia è l'area di studio che integra l'analisi degli effetti ecologici e tossicologici degli inquinanti chimici. Sebbene l'interesse degli ecotossicologi sia rivolto prevalentemente ai livelli di organizzazione superiori quali popolazione, struttura di comunità ed ecosistemi, man mano che si sale lungo i livelli organizzativi diventa sempre più diffìcile mettere in relazione un effetto riscontrato con una specifica sostanza chimica. Questo saggio è organizzato in tre sezioni principali: il movimento degli inquinanti nell'aria, nell'acqua e nel suolo, lungo le reti trofiche con le biotrasformazioni; gli effetti degli inquinanti sugli organismi viventi; infine, gli effetti degli inquinanti a livello di popolazione, di struttura della comunità e, ove possibile, a livello dell'intero ecosistema.
Introduzione
L'ecotossicologia fonde i campi dell'ecologia e della tossicologia, sebbene le definizioni e l'enfasi che i vari ricercatori pongono su certi aspetti della materia dipendano in gran parte dal fatto che costoro abbiano avuto una formazione in campo ecologico o in campo tossicologico. Da quando, nel 1977, è stato coniato il termine ecotossicologia da R. Truhaut, questa disciplina è diventata un campo di studio a sé stante e come tale viene insegnata. Ciò nonostante la materia è ancora influenzata dall'impostazione personale di chi se ne occupa.
Truhaut definì l'ecotossicologia come "la branca della tossicologia che si occupa dello studio degli effetti tossici, causati da sostanze inquinanti naturali o sintetiche, sui costituenti degli ecosistemi, animali (compreso l'uomo), vegetali e microrganismi in un contesto integrato". Questa è chiaramente la definizione di un tossicologo. F. Moriarty nel suo libro pionieristico Ecotoxicology: the study of pollutants in ecosystems (Ecotossicologia: lo studio degli inquinanti negli ecosistemi), pubblicato nel 1983, definisce l'ecotossicologia come "lo studio degli effetti degli inquinanti sugli ecosistemi". Altrettanto chiaramente questa è la defrnizione di un ecologo. Sebbene nessuno discuta l'importanza di conoscere gli effetti a livello di ecosistema, solo raramente possiamo misurare tali effetti sull'ecosistema nel suo complesso; perciò l'ecotossicologia è obbligata a occuparsi di livelli di organizzazione inferiori rispetto all'ecosistema. V.E. Forbes e T.L. Forbes (1994), dopo aver discusso molte altre definizioni, definirono l'ecotossicologia come "il campo di studio che integra gli effetti ecologici e tossicologici degli inquinanti chimici sulle popolazioni, le comunità e gli ecosistemi e la distribuzione di questi inquinanti nell'ambiente".
Muovendosi verso livelli di organizzazione più complessi diventa sempre più difficile mettere in relazione un effetto con una specifica sostanza chimica e, inoltre, le osservazioni richiedono tempi di misurazione più lunghi. Questi concetti sono rappresentati schematicamente in figura (fig. 1).
Gli inquinanti e la loro distribuzione negli ecosistemi
Prenderemo in considerazione le principali classi di sostanze inquinanti, il loro movimento e la loro distribuzione nell'ambiente. Alcuni inquinanti vengono studiati in base alla classe chimica di appartenenza - per esempio, metalli organoclorurati -, altri in base alla via attraverso cui entrano nell'ambiente, come altri pesticidi e i sottoprodotti della produzione di energia.
Metalli
Come è noto, i metalli sono presentI In natura, ma in questo contesto ne considereremo gli effetti tossici quando, in seguito ad attività umane, essi vengono riversati in eccesso nell'ambiente. Nella figura (fig. 2) è riportata l'incidenza relativa delle emissioni naturali e a opera dell 'uomo di metalli nell'ambiente. Il metallo a più elevato rapporto tra emissioni provocate dall'uomo e emissioni naturali è il piombo, dovuto in gran parte al suo utilizzo nella benzina; è stato calcolato che 1'80÷90% del piombo presente nell'aria negli anni Ottanta proveniva da questa fonte. Nei paesi occidentali questa fonte è diminuita considerevolmente, ma costituisce ancora un problema in molte zone del mondo. Mentre gli elementi metallici di per sé non possono essere creati o distrutti, quelli organometallici possono essere prodotti o decomposti. Accanto al tetraetilpiombo, prodotto utilizzato nella benzina, un altro composto organometallico di sintesi che viene disperso nell'ambiente è il tributilstagno (TBT), che viene usato come antivegetativo per le imbarcazioni e il cui effetto sull'ambiente marino, in particolare sui mitili, è riportato in seguito.
Pochi organometallici vengono sintetizzati in natura; il più importante di questi è il metilmercurio. Il mercurio inorganico può essere metilato dai microrganismi; si forma il dimetilmercurio che viene assorbito molto più facilmente dagli organismi. Con la realizzazione di bacini idroelettrici, l'inondazione dei terreni può liberare mercurio dal suolo, che viene metilato e si accumula in tutte le forme viventi della zona. Per esempio, la realizzazione del Churchill-Nelson River Hydroelectric Development Project a Manitoba in Canada determinò, subito dopo l'allagamento, un aumento del livello di mercurio nel pesce, passando nei pesci predatori da circa 0,5 a circa 2,5 ppm. Cinque anni dopo l'allagamento i livelli di mercurio nel pesce non hanno mostrato nessuna diminuzione. Livelli elevati vennero notati anche nei mammiferi che si nutrono di pesce, sebbene non fossero stati rilevati effetti tossici. Una proporzione considerevole della popolazione umana indigena ha mostrato livelli ematici superiori a 20 ppb, ma senza che si mettessero in evidenza effetti negativi. Un altro progetto canadese che ha destato notevoli preoccupazioni e controversie è stato il James Bay Project. Nel complesso esso ha comportato la deviazione di tre fiumi e l'inondazione di un'area di 14.000 km² il cui terreno è ricco di mercurio, interessando una zona delle dimensioni della Francia. È tuttora in corso un acceso dibattito scientifico sulla durata del periodo di incremento e successiva diminuzione del livello di mercurio nel pesce e c'è chi sostiene che il lago sarebbe uno dei bacini idrici con il maggior inquinamento da mercurio al mondo, destinato a rimanere un notevole problema per circa 80÷100 anni.
Organoclorurati
Benché alcuni composti organoclorurati (OC) siano presenti in natura, quelli d'importanza ecotossicologica sono composti sintetici prodotti o come pesticidi o per scopi industriali. Tra i primi vi sono alcuni composti ben noti quali il DDT, diclorodifeniltricloroetano, e il dieldrin, mentre tra i secondi i policlorobifenili (PCB) e le diossine policlorurate (PCCD).
Gli OC sono composti stabili, poco solubili in acqua e molto solubili nei lipidi. Queste caratteristiche fanno sì che tali composti vengano bioaccumulati lungo la catena alimentare, in particolare al suo apice. Questo fenomeno, basato su dati ottenuti da studi eseguiti nei Grandi Laghi nordamericani, è rappresentato in figura (fig. 3).
Uno dei primi esempi di problemi causati dal bioaccumulo fu quello degli svassi del Lago Clear in Califomia. Nel 1949 questo lago venne cosparso con DDT per tenere sotto controllo una zanzara che, pur non essendo pericolosa per la salute, nei mesi estivi si moltiplicava in quantità tali da causare fastidi notevoli. Il bioaccumulo di questo insetticida all'apice della catena alimentare ha causato la perdita dell'intera popolazione di svassi occidentali, stimata pari a un migliaio di coppie prima che venisse sparso il DDT.
Uno degli effetti a diffusione maggiore dei pesticidi a base di composti organoclorurati è la riduzione di molte specie di uccelli ittiofagi e rapaci in tutto l'emisfero settentrionale (v. oltre).
Un gruppo di OC usato per un'ampia gamma di scopi industriali, e che per questo ha causato gravi problemi ambientali, è quello dei PCB. Questi composti, che vennero usati per la prima volta in campo industriale agli inizi degli anni Trenta, sono molto stabili ma non sono stati rinvenuti nell'ambiente fino alla metà degli anni Sessanta. La valutazione tossicologica di questo complesso gruppo di sostanze chimiche verrà presa in considerazione più avanti.
Fu la scoperta dei pesticidi a base di composti organoclorurati nella fauna del continente antartico, alla fine degli anni Sessanta, la prima preoccupante dimostrazione della natura globale della contaminazione ambientale dovuta a questi composti: infatti, nessuno di essi era mai stato utilizzato su quel continente. Mentre i livelli in Antartide erano bassi, lo stesso non si poteva dire per l'Artide, dove venivano registrati livelli di PCB piuttosto elevati nella flora e nella fauna. Nella popolazione umana indigena del Canada artico il livello di PCB risultava circa quattro volte superiore a quello degli abitanti della parte meridionale del paese.
Le piante sono uno strumento importante per il monitoraggio dell'inquinamento da organoclorurati: esiste infatti una relazione lineare tra la concentrazione di questi prodotti nel fogliame e quella dell'aria. La distribuzione dei vari composti organoclorurati su scala planetaria è piuttosto varia. L'esaclorobenzene (HCB), che in base alla sua elevata pressione di vapore dovrebbe avere un lungo tempo di permanenza in atmosfera, presenta uno schema di distribuzione abbastanza simmetrico, con valori bassi ai tropici e valori molto più elevati alle latitudini maggiori. Questa tendenza può essere spiegata dall'effetto condensante delle basse temperature, particolarmente importante per un composto volatile come l'HCB. Ciò è avvalorato dal fatto che i livelli sull'Everest e sul Monte Kenya sono più alti rispetto ai tropici (Calamari et al., 1995). Questa condensazione degli organoclorurati in atmosfera giustifica i livelli elevati nella fauna artica, mentre la quantità trasportata dipende dalla volatilità (fig. 4). A differenza dell'HCB, la concentrazione di DDT nelle piante è più elevata ai tropici e nelle zone subtropicali dove il suo uso è maggiore rispetto ai paesi a latitudini superiori e la temperatura elevata fa aumentare la tensione di vapore di questo composto poco volatile.
Altri pesticidi
Se confrontati con gli organoclorurati, i composti organofosforati (OP) e i carbammati vengono spesso considerati più tossici, meno persistenti e con effetti più transitori. Benché in tutto ciò ci sia del vero, si tratta di una eccessiva semplificazione. La gamma di tossicità degli OP è ampia e alcuni sono meno tossici degli OC. Recentemente sono state avanzate preoccupazioni, almeno per quel che riguarda la salute umana, sugli effetti a lungo termine di questi composti, particolarmente in relazione all'ipotetica sindrome della Guerra del Golfo. L'effetto diretto sulla flora e la fauna è stata la mortalità, spesso su larga scala: sono noti numerosi casi di morie di uccelli causate dagli OP. In America Settentrionale, nel 75% degli incidenti riportati sono coinvolti il diazinon, il fenthion, il parathion o il phosphamidon, mentre in Europa i principali insetticidi a causare problemi sono il carophenothion e il chlorofenvinphos; tra i carbammati, il carbofuran ha causato i maggiori problemi. Alcuni casi di mortalità hanno coinvolto un numero notevole di animali, per esempio 10.000 tordi (Turdus migratorius) sui campi della Florida e 500 oche selvatiche (Anser anser) in Scozia. In questi casi la mortalità è stata confermata dalla conta diretta, ma potenzialmente sono più gravi le perdite su scala maggiore stimate in base a conte fatte su aree piccole e poi estrapolate rispetto all'area totale che era stata vaporizzata con una determinata sostanza. Basandosi sulla riduzione dei maschi canori dopo la vaporizzazione con phosphamidon delle foreste del New Brunswick è stato stimato che erano stati uccisi 2,9 milioni di uccelli canori. Utilizzando il numero di carcasse rinvenute in siti specifici e moltiplicandolo per il totale dell'area trattata, la USEP A (United States Environmental Protection Agency) ha stimato che la mortalità causata negli Stati Uniti dall'uso del carbofuran sul granturco è stata di 1,3÷1,6 milioni di uccelli all'anno. D. Pimentel e collaboratori (1993) hanno stimato che annualmente negli Stati Uniti vengono uccisi 67 milioni di uccelli. Esiste, ovviamente, una notevole incertezza, ma le cifre suggeriscono che l'uso dei pesticidi è in grado di contribuire in maniera significativa alla loro mortalità.
Altri composti utilizzati come pesticidi sono i derivati del piretro. Mentre i derivati naturali del piretro vengono utilizzati dal 1820 circa, l'uso su vasta scala di quelli sintetici è iniziato negli anni Ottanta. Questi composti costituiscono un esempio della natura arbitraria della distinzione tra sostanze chimiche naturali e sintetiche. Essi vengono metabolizzati rapidamente e hanno una bassa tossicità per gli animali a sangue caldo, ma mostrano un'elevata tossicità per gli invertebrati acquatici.
l diserbanti sono usati in grandi quantità e il loro uso va aumentando a una velocità maggiore rispetto a quella di altre categorie di pesticidi. Molti diserbanti, come quelli a base di acido fenossiacetico e urea, presentano una bassa tossicità per gli animali a sangue caldo, anche se alcuni, come il dipiridinio (per esempio, il paraquat), possono essere molto tossici. Comunque la maggiore preoccupazione dal punto di vista naturalistico circa l'uso dei diserbanti è l'alterazione dell'habitat. Più avanti verrà preso in considerazione l'impatto di questi cambiamenti sulla popolazione aviaria in Gran Bretagna.
Idrocarburi del petrolio
Si tratta di composti che si trovano in natura, ma la loro estrazione da parte dell'uomo e il successivo trasporto attraverso il globo hanno aumentato in modo significativo l'esposizione dell'ambiente a questo gruppo di sostanze. L'immissione di idrocarburi derivati dal petrolio negli oceani di tutto il mondo è stata stimata pari a 3,2 milioni di tonnellate/anno. La figura (fig. 5) dà una rappresentazione schematica dell'importanza relativa delle vie di ingresso nell'ambiente. Le due fonti principali sono lo smaltimento delle scorie e il trasporto. Gli sversamenti accidentali, nonostante l'attenzione che ricevono, sono responsabili solo di circa il 12% del totale.
Sostanze chimiche associate alla produzione di energia
L'uso di energia è fondamentale per il benessere umano, ma essa non può essere prodotta senza costi per l'ambiente. Le emissioni di diossido di carbonio dai combustibili fossili costituiscono un importante sottoprodotto della produzione di energia e da sole sono responsabili del cosiddetto effetto serra. Nella figura (fig. 6) sono riportate le emissioni di diossido di carbonio da parte dei paesi e delle regioni che ne producono in maggiore quantità. Gli Stati Uniti costituiscono il produttore principale: infatti la loro popolazione, che rappresenta il 4% di quella mondiale, produce più del 20% dell'inquinamento totale. Al momento, la produzione di diossido di carbonio pro capite in Cina è di sole 0,7 tonnellate/anno, mentre negli Stati Uniti è di 5,3 tonnellate/anno. Tuttavia, in Cina il tasso di crescita è molto rapido e si prevede che sarà il maggiore del secolo. I cambiamenti previsti in seguito al riscaldamento terrestre forniscono un'interessante opportunità per applicare l'ecotossicologia su scala globale e verranno presi in considerazione in seguito (v. oltre).
Vengono prodotti in notevole quantità anche ossidi di zolfo e di azoto; per i primi la fonte più importante è la combustione del carbone, per i secondi le emissioni gassose dei mezzi di trasporto. Gli ossidi di azoto e di zolfo si propagano per centinaia di chilometri nell'atmosfera: la combustione del carbone in Gran Bretagna è stata considerata responsabile dell'acidificazione dei laghi norvegesi. Più avanti verranno prese in considerazione le conseguenze delle cosiddette piogge acide (v. oltre).
Clorofluorocarburi
Come i PCB, i clorofluorocarburi (CFC) furono sintetizzati nei primi anni Trenta e inizialmente vennero considerati innocui in quanto inerti e non tossici. l due composti più comunemente usati sono F-11 e F-12. Esistono numerosi CFC e solitamente per indicarli viene usato un modo sintetico: il primo numero indica il numero di atomi di fluoro, il secondo il numero di atomi di idrogeno più uno. Così F-12 contiene un atomo di fluoro e uno di idrogeno.
Fu solo negli anni Settanta che vennero intrapresi i primi studi che dimostravano l'accumulo di CFC negli strati più alti dell'atmosfera. Il problema derivato da questo accumulo è la distruzione dello strato di ozono che protegge la Terra dalle radiazioni ultraviolette dannose. La natura globale del problema è dimostrata dal fatto che, nonostante la maggior parte dei CFC venga rilasciata nell'emisfero settentrionale, il danno maggiore è stato riscontrato sull'Antartide. Anche gli effetti del buco dell'ozono verranno presi in considerazione più avanti.
Altre sostanze chimiche
Le categorie citate sopra non comprendono tutte le classi di sostanze chimiche rinvenute nell'ambiente, ma solo quelle che suscitano le preoccupazioni maggiori. Il volume totale di sostanze chimiche introdotte nell'ambiente ogni anno è immenso: più di 6 miliardi di tonnellate di diossido di carbonio, 100 milioni di tonnellate di diossido di zolfo e 60 milioni di tonnellate di ossidi di azoto. Ogni anno nell'ambiente vengono riversati due milioni e mezzo di tonnellate di pesticidi e 300.000 tonnellate di piombo.
Ci sono in serbo nuovi problemi per gli ecotossicologi? Si tratta di una domanda complessa alla quale è impossibile rispondere in senso assoluto. l due esempi di sostanze chimiche 'dormienti' - i PCB e i CFC - già discussi non danno fiducia alle nostre capacità di prevedere gli effetti sull'ambiente di sostanze chimiche prodotte su vasta scala. Esistono forti istanze per varare un programma internazionale mirato a determinare l'attuale ammontare neII'ambiente dei prodotti chimici di ampio uso. Andrebbero fatte valutazioni su questi prodotti per individuare il comparto ambientale più probabile che essi raggiungono, quindi esaminarlo per verificare la presenza del prodotto stesso.
Gli effetti degli inquinanti sugli organismi
Benché in ecologia ci si occupi prevalentemente di popolazioni e di comunità piuttosto che di individui, la maggior parte dei test, specialmente quelli adottati ufficialmente, sono effettuati su singole specie. Un'altra differenza fondamentale tra la tossicologia umana e l'ecotossicologia è che negli studi sull'uomo si fa un'estrapolazione da molte specie a una specie, quella umana, mentre in ecotossicologia ci si occupa dell'estrapolazione da poche specie a un vasto numero di specie.
Verranno qui descritti brevemente i test ecotossicologici ufficiali, seguiti da una discussione sulle specie che costituiscono gli indicatori e sul concetto di biomarker (biomarcatore).
I test ecotossicologici ufficiali
La sperimentazione delle sostanze chimiche industriali nell'Unione Europea (VE) si basa su un approccio a più livelli: livello 0 per tutte le nuove sostanze chimiche industriali, livello l quando la produzione supera le 100 tonnellate/anno e livello 2 quando la produzione supera le 1000 tonnellate/anno. l dati ecotossicologici richiesti per i diversi livelli sono riassunti nella tabella (tab. I).
l test europei di livello 0 vengono spesso chiamati test MPD (Minimum Premarket Data, dati minimi pre-mercato) ed è importante che a questi test vengano sottoposte tutte le nuove sostanze chimiche. La responsabilità di presentare questi dati può essere conferita al produttore, ma con i prodotti chimici già esistenti ciò è più difficile. Perciò i test ecotossicologici per una nuova sostanza chimica dipendono dalla risposta di sole due tra milioni di specie presenti nell'ambiente. Questo problema di estrapolazione è essenzialmente impossibile da risolvere dal momento che non essendo possibile saggiare che poche specie non si può sapere se queste siano le più sensibili. Inoltre vi è ormai una notevole pressione affinché diminuisca il numero di animali utilizzati in queste determinazioni.
Riduzione dei saggi sugli animali
Alla fine degli anni Settanta, quando vennero definiti gli attuali protocolli dei test, ci si preoccupava poco del numero di animali utilizzati in ciascun test. Benché questo non sia il luogo per dibattere gli aspetti etici dei diritti degli animali (v. i saggi di V. Silvestrini, La sperimentazione animale, e di D. von der Pfordten, La considerazione morale dei viventi non umani), non c'è dubbio che essi siano diventati un'istanza politica diffusa nei paesi occidentali e che esista una considerevole pressione affrnché in un prossimo futuro vengano modificate le varie procedure di saggio. Ci si trova di fronte al paradosso di una crescente domanda da parte del pubblico per una maggiore sicurezza riguardante gli effetti delle sostanze chimiche sulla salute umana e sull'ambiente e, nello stesso tempo, alla richiesta di riduzione o eliminazione degli esperimenti sugli animali.
Le due principali vie a disposizione, escludendo di vietare tutti i test, consistono nel ridurre il numero di animali utilizzati in ciascun test o nell'uso di saggi alternativi.
Attualmente sono disponibili procedure per ridurre il numero di animali nel saggio base per la DL50 (dose letale al 50%), che determina la dose di sostanza chimica in grado di uccidere metà degli animali in esperimento dopo un periodo di tempo determinato. Sono stati suggeriti nuovi metodi, basati su un numero ridotto di animali, ed è stata riscontrata una ragionevole concordanza tra i risultati ottenuti con queste procedure e i valori noti in letteratura. Inoltre un'elevata precisione del valore DL50 non è importante, visto l'alto grado d'incertezza che esiste estrapolando dai test sugli animali all'uomo o ad altre specie. Per fare un esempio specifico, per la diossina il valore della DL50 varia di oltre due ordini di grandezza tra le varie specie di mammiferi, andando da 0,6 flg/kg nelle cavie a 115 flg/kg nel coniglio. L'uomo è una cavia o un coniglio? C'è stato notevole interesse intorno alla possibilità di sostituire i test sui vertebrati con test sui batteri, sia per i costi, sia per ragioni etiche. Il Microtox® è uno dei test maggiormente utilizzati sui batteri: esso valuta la tossicità misurando la diminuzione nell'emissione di luce del Photobacterium phosphoreum. Questo fenomeno è associato alla respirazione cellulare, e la via biochimica è simile a quella che si ritrova negli organismi superiori. La validità del test Microtox® è stata valutata per confronto con dati classici di tossicità (DL50). Il più ampio set di dati di tossicità è relativo a un pesce ciprinide (Pimephales promelas): di questa specie sono disponibili le DL50 per oltre 400 composti chimici, con una gamma di tossicità che varia di 10 ordini di grandezza. Dal confronto dei risultati ottenuti con i due approcci si è potuto concludere che il test Microtox® funziona bene per i composti con una struttura chimica relativamente semplice e con un solo gruppo reattivo, meno bene per le strutture complesse, specialmente quelle la cui tossicità è fortemente influenzata dai cambiamenti di pR. Ciononostante, un numero sempre maggiore di paesi sta introducendo il test MicrotoX® nelle procedure di valutazione delle sostanze chimiche.
L'approccio dei biomarker
Un approccio che viene utilizzato sempre più spesso per quantificare l'esposizione a una sostanza e il suo impatto ambientale è quello di controllare taluni biomarker in animali e piante.
Ci sono diverse definizioni di biomarker, quella adottata in questo contesto defrnisce il biomarker una risposta biologica a una o più sostanze chimiche che dia una misura dell'esposizione e, talvolta, anche dell'effetto tossico su un organismo. È stato proposto che le risposte biologiche superiori al livello di organismo siano considerate indicatori ecologici. Anche se gli indicatori ecologici sono ovviamente importanti, essi sono meno sviluppati dei biomarker e la loro situazione attuale sarà discussa nel paragrafo sul monitoraggio dei sistemi biologici.
Sono stati fatti numerosi tentativi per suddividere i biomarker. La rivista Biomarkers fa la seguente suddivisione: marcatori di esposizione, di effetto e di suscettibilità. In quest'ultima categoria vengono inclusi i fattori genetici e le modifiche dei recettori che alterano la suscettibilità di un organismo all'esposizione a una sostanza chimica. Tuttavia queste suddivisioni appaiono artificiose. Tutti i biomarker sono, per definizione, biomarker di esposizione. Se poi siano anche marcatori di effetto dipende dallo stato delle conoscenze. Per esempio, l'induzione delle ossidasi a funzione mista (MFO, Mixed Function Oxidases), enzimi contenenti il gruppo eme, è un noto biomarker di esposizione per numerose sostanze chimiche e sono disponibili molti esempi che dimostrano come alcuni prodotti chimici presenti nell'ambiente causino questo processo, sebbene le conseguenze rimangano sconosciute. In pochi casi, come quello degli uccelli ittiofagi dei Grandi Laghi dell'America Settentrionale, sono disponibili dati sufficienti a mettere in relazione l'induzione delle ossidasi, espressa come equivalenti di diossina, con la morte degli embrioni. Questo concetto verrà affrontato in modo più dettagliato in seguito.
Biomarker specifici e non specifici. - La specificità dei biomarker per le sostanze chimiche è molto variabile: sia i biomarker specifici, sia quelli non specifici hanno il loro ruolo nella valutazione ambientale. Un biomarker non specifico può indicare che un qualche inquinante è presente in concentrazioni significative, ma non dice quale sia presente; in base a questa informazione può essere giustificata una dettagliata indagine chimica. Al contrario, un biomarker specifico ci dice quale sostanza chimica è presente, ma non dà alcuna informazione sulla presenza di altri composti.
Le ossidasi a funzione mista sono i biomarker non specifici studiati in modo più dettagliato. Questa grande famiglia di enzimi costituisce una delle principali componenti di difesa degli organismi contro le sostanze chimiche tossiche presenti nell'ambiente. Evolutisi originariamente per oltre 2 miliardi di anni per far fronte ai composti tossici rinvenibili in natura, ora questi enzimi giocano un ruolo importante nella detossificazione dai prodotti sintetizzati dall'uomo.
A metà degli anni Settanta venne suggerita l'idea di utilizzare l'induzione dell'attività delle MFO nel pesce come controllo dell'inquinamento dell'ambiente marino da parte del petrolio. Da allora sono stati pubblicati numerosi studi sui pesci, che vanno dagli sbocchi delle fogne di Los Angeles alle acque di scarico delle fabbriche che trattano la cellulosa in Svezia. L'induzione delle MFO dovuta alle acque di scarico delle cartiere si è dimostrato uno dei biomarker più sensibili per seguire le tracce di questo particolare tipo di inquinamento.
L'utilità delle MFO per la sorveglianza biologica è stata chiaramente dimostrata con l'inquinamento da idrocarburi policiclici aromatici e da organoclorurati, in una vasta gamma di organismi. Poiché la risposta è indotta da un'ampia gamma di sostanze chimiche, significa che il sistema è in grado di indicare l'esposizione, sufficiente a indurre una risposta biologica, a molti xenobiotici. Viceversa la risposta dice poco sull'agente o sugli agenti responsabili, ma può essere utilizzata per delimitare un'area per la quale vale la pena di investire tempo e fondi in indagini più dettagliate.
Al contrario, l'inibizione della acido-D-amminolevulinicodeidratasi (ALAD) è un indicatore sensibile e specifico di esposizione al piombo. L'ALAD è un enzima del percorso bio sintetico dell'eme e la sua inibizione riduce la capacità del sangue di trasportare ossigeno. Mentre una quantità di piombo nel sangue superiore a 30÷40 mg/dl può essere considerata diagnostica di avvelenamento da piombo nelle specie selvatiche, la determinazione del tasso di attività dell'ALAD può individuare un'esposizione al piombo prima che insorgano altre risposte tossicologiche e, quindi agire come un sensibile campanello d'allarme per l'esposizione a questo metallo. Le due principali fonti di piombo nell'ambiente sono i pallini di piombo usati nella caccia agli uccelli acquatici e l'uso di benzine addizionate con piombo. In molti paesi c'è un forte movimento a favore dell'utilizzo della benzina senza piombo e in alcuni di essi i pallini di piombo sono stati vietati. Ciononostante, su base planetaria, entrambi costituiscono ancora una fonte pericolosa di questo metallo tossico per l'ambiente.
Il concetto di esposizione significativa. - l biomarker hanno il vantaggio, rispetto alle analisi chimiche, di poter dimostrare se un organismo è esposto o meno in modo significativo. Per alcune classi di composti organici persistenti, soprattutto gli organoclorurati, i limiti di rilevamento sono attualmente al di sotto delle ppt. Anche se questi prodotti di sintesi possono essere individuati in quasi tutti i campioni, il loro significato fisiologico è raramente noto. Con i biomarker è possibile determinare se la fisiologia dell'organismo esposto si distacca in modo significativo da quella normale. Se si verifica questa condizione, allora si può considerare l'organismo come significativamente esposto ma, cosa altrettanto importante, se la fisiologia non risulta alterata in modo sostanziale, allora l'organismo non si può considerare esposto in modo significativo anche se la sostanza o le sostanze sono state rinvenute. La capacità di determinare se un organismo sia stato esposto o meno in modo significativo è importante per i processi decisionali come intraprendere o meno un'azione riparatrice o definire se questa abbia avuto successo. Prima di poter applicare il concetto di esposizione significativa è necessario soddisfare taluni criteri:
l) bisogna disporre di dati normali per ciascun biomarker: ciò è difficile per la diversità delle specie coinvolte ed è impossibile avere i dati per tutte le specie; il problema delle specie indicatori verrà discusso più avanti.
2) l biomarker a disposizione devono indicare l'integrità delle principali funzioni dell'organismo e devono essere in grado di valutare l'impatto delle principali classi di sostanze chimiche d'interesse; sebbene questo obiettivo non sia stato ancora raggiunto, i rapidi progressi in questo campo sono molto incoraggianti.
La tabella (tab. 2) dà un lista dei criteri per valutare i biomarker in aggiunta a quelli sulla specificità modificati da Huggett et al. (1992).
Selezione delle specie sentinella o indicatori. - Uno dei problemi fondamentali in ecotossicologia è estrapolare a molte specie i risultati ottenuti su poche. Ovviamente il numero di specie che possono essere studiate è estremamente piccolo in confronto ai molti milioni esistenti, per cui deve essere posta molta attenzione nella loro scelta. Due concetti che hanno destato notevole favore ma anche molte controversie sono quelli di specie chiave e di specie più sensibile. Il concetto di specie chiave, cioè di specie che, se eliminata, causa il collasso di molte altre, fu proposto agli inizi degli anni Settanta e suscitò notevole interesse negli ecologi. Nonostante il discreto successo, questo concetto non si è consolidato e non è stato adottato dagli ecotossicologi. Il concetto di specie più sensibile venne proposto dai tossicologi in base al fatto che, se una certa specie risultava protetta, allora anche le altre lo sarebbero state. Purtroppo la ricerca della specie più sensibile non ha avuto successo. Per fare un esempio, nei molluschi il tributilstagno ha determinato l'incapacità di riprodursi a concentrazioni di pochi nanogrammi per litro, diversi ordini di grandezza inferiori rispetto alle concentrazioni che causano effetti in altre classi di organismi; tuttavia i mitili sono piuttosto resistenti alla maggior parte degli inquinanti e su questa base sono stati utilizzati per un ampio programma di controllo, chiamato mussel watch.
I criteri di scelta delle specie indicatori negli studi ecotossicologici sono i seguenti:
l) la specie dovrebbe essere ampiamente distribuita, relativamente abbondante e facile da campionare. Visti i limiti imposti al campionamento, le prime due considerazioni sono particolarmente importanti. Esiste una tendenza crescente all'uso di organismi inferiori dato che la nostra preoccupazione per gli animali è, in generale, di natura filogenetica.
2) È utile essere in grado di accertare agevolmente l'età dell'animale. Per segnalare una contaminazione avvenuta appena prima del campionamento dovrebbero essere usati animali giovani o con vita breve. Qualora vengano ricercate informazioni sugli effetti cumulativi bisogna utilizzare animali con vita lunga.
3) Se si vogliono misurare cambiamenti localizzati, le specie indicatori devono avere abitudini sedentarie. Per studiare la contaminazione di un'area ampia sono più adatte specie a diffusione estesa. In entrambi i casi deve essere nota la diffusione della specie indicatore.
4) Dovrebbero essere note la dieta e la posizione della specie indicatore all'interno della catena alimentare. Sebbene la considerazione più importante sia quella di scegliere la specie giusta per ciascuno studio, è utile, per quanto possibile, utilizzare specie per le quali siano disponibili parecchi dati di riferimento.
Microcosmi e mesocosmi
La distinzione originaria tra microcosmi e mesocosmi è andata sfumando. Il primo termine generalmente è usato per modelli in scala ridotta di ecosistemi naturali in contenitori artificiali mantenuti in laboratorio, mentre i mesocosmi possono essere definiti come unità sperimentali delimitate e parzialmente racchiuse, fuori dai laboratori. Tuttavia la differenza tra esperimenti in laboratorio e in esterno non è universalmente accettata e alcuni specialisti usano come criterio le dimensioni. Ovviamente, ogni distinzione fondata sulle dimensioni è arbitraria e la defrnizione originaria basata sul fatto che gli esperimenti avvengano in laboratorio o fuori appare più logica. Se non viene fatta questa distinzione, allora la cosa migliore è di trattarli come un continuum. Ciononostante entrambi i termini restano di uso frequente.
Le obiezioni degli ecologi sull'opportunità di basare le normative su accertamenti fatti su singole specie sono forti (Cairns et al., 1996): nessuna specie vive in isolamento, ma fa parte di una comunità vivente e dinamica. Ciononostante, in che misura un sistema costituito da poche alghe, batteri e invertebrati possa essere considerato in grado di riprodurre l'ambiente naturale è tuttora oggetto di accanito dibattito. La difficoltà con l'approccio microcosmo-mesocosmo è che nonostante i sistemi più grandi siano più realistici, gli esperimenti diventano più costosi e meno riproducibili.
Sono numerosi i sistemi utilizzati e la discussione che segue è necessariamente incompleta. Sono stati studiati specifici sistemi naturali ponendo blocchi di schiuma di poliuretano nell'area da studiare e lasciando che avvenisse la colonizzazione da parte degli organismi indigeni. La schiuma, una volta in laboratorio, può essere trattata con sostanze chimiche a dosi diverse o, alternativamente, è possibile raccogliere con questo sistema campioni da zone differenti lungo un gradi ente di contaminazione. È stato messo in evidenza che gli indicatori più attendibili degli effetti delle varie sostanze chimiche sono la ricchezza e la composizione in specie. Dal punto di vista normativo c'è la difficoltà di estrapolare gli effetti verificati su organismi inferiori agli organismi superiori, di interesse maggiore quando si debba tutelare la salute umana. C'è anche la difficoltà di trovare sufficiente competenza nell'identificazione tassonomica di alcuni gruppi, quali i protozoi.
Per la determinazione degli effetti di alcune sostanze chimiche sui sistemi acquatici sono stati utilizzati laghetti artificiali. A questi livelli ci sono difficoltà nell'ottenere un campione di dimensioni sufficientemente ampie per condurre uno studio dose-risposta e un buon grado di riproducibilità. Solitamente c'è un periodo iniziale in cui i laghetti sono comunicanti per permettere lo scambio di acqua e di microrganismi. Poi, per l'esperimento, i laghetti vengono isolati l'uno dall'altro, e al sistema vengono aggiunte le sostanze chimiche e il pesce (spesso in gabbie, in modo da permettere il libero movimento dei microrganismi dentro e fuori).
Sono state spesso usate anche correnti artificiali, a partire dal lavoro di Tidy nel secolo scorso, per il quale era "assolutamente necessario che l'acqua utilizzata nell'esperimento fosse corrente e non semplicemente esposta alla luce e all'aria stando in una bottiglia". La struttura dei sistemi a corrente varia considerevolmente per dimensioni e complessità: alcuni piccoli modelli a corrente in fibra di vetro, facili da usare, sono stati impiegati per studiare gli effetti su comunità di microrganismi; un limite è che il substrato non somiglia a quello naturale. Sistemi più complessi, in cui una parte dell'acqua di un ruscello viene deviata, sono stati usati per studiare comunità di macroinvertebrati.
All'estremità superiore della scala di dimensioni, i limnocorrals (sistemi che delimitano porzioni di sistemi naturali, detti enclosure, in acque aperte) e i littoral-corrals (enclosure ai bordi di un lago) sono stati usati per studiare il destino e gli effetti delle sostanze chimiche sui parametri di qualità dell'acqua, sul plancton, sui macroinvertebrati e sul pesce.
Fattori critici nel progettare microcosmi e mesocosmi sono il livello di realismo e la riduzione di variabilità. La difficoltà è che incrementando la complessità dei sistemi, per ottemperare al primo requisito, diminuisce la riproducibilità e aumenta la variabilità.
Monitoraggio dei sistemi biologici
Per controllare i sistemi biologici sono stati utilizzati numerosi approcci. l più importanti sono: misura della concentrazione degli inquinanti in specie sentinella o indicatori; determinazione degli effetti degli inquinanti sugli organismi e correlazione degli effetti con le concentrazioni negli organismi o nel loro ambiente; controllo degli effetti dell'inquinamento sulla presenza-assenza di specie in un sito o sull'abbondanza delle specie; identificazione di ceppi geneticamente differenti di specie che abbiano sviluppato resistenza in risposta a un inquinante.
Monitoraggio del livello dei residui chimici
Il primo approccio è stato ampiamente utilizzato ed esistono molti programmi nazionali a lungo termine, e anche alcuni internazionali come il mussel watch. Sebbene questi programmi forniscano dati utili su andamenti temporali e variazioni geografiche, essi tendono a essere fini a se stessi. Troppo raramente ci si pone il problema delle informazioni ottenute. Uno dei programmi in atto da più lungo tempo è quello del Canadian Wildlife Service, che ha studiato le uova dei gabbiani reali (Larus argentatus). Il programma è partito nel 1974: sono state raccolte uova da 13 colonie in tutta la porzione canadese dei Grandi Laghi. l dati ottenuti da uno dei siti per il DDE (1, l-dicloro-2,2-bisp-clorofeniletilene) sono mostrati in figura (fig. 7). Si può notare che subito dopo l'adozione di misure restrittive per questo pesticida, il livello è sceso rapidamente. Poi, negli anni Ottanta, venne raggiunto un plateau che nel corso degli ultimi 15 anni non ha mostrato che piccole variazioni. A partire dal 1987 le analisi sono state effettuate su più campioni aggregati invece che su singole uova. Ciò ha significato una considerevole riduzione dei costi di analisi, ma ha comportato la riduzione dell'informazione perché non era più noto l'intervallo di variabilità. Comunque, poiché le singole uova sono conservate in una banca di tessuti, è ancora possibile analizzare di nuovo i campioni e rielaborare i dati su base individuale. L'importanza di conservare i campioni divenne chiara nel 1981, quando venne identificata per la prima volta la diossina nelle uova dei gabbiani reali. Infatti fu possibile analizzarne i livelli nelle uova raccolte nei dieci anni precedenti e dimostrare che in quel periodo si era verificata una notevole diminuzione (v. figura 7b).
Un punto cruciale rimane quello di stabilire quali specie si debbano utilizzare per un dato programma, come già discusso per le specie indicatori. Nel caso sopra citato era chiaro che sarebbero stati adatti gli uccelli che si cibano di pesce e il gabbiano reale, che nidi fica in colonie di considerevoli dimensioni sul terreno, risultava la specie più accessibile.
Valutazione degli effetti degli inquinanti sugli organismi
Esistono due modi di considerare questo approccio. Il primo è utilizzare le conoscenze ottenute dai programmi di monitoraggio e cercare eventuali effetti quando, in base alle conoscenze tossicologiche, la concentrazione di una o più sostanze inquinanti sia abbastanza elevata da rendere probabile la loro manifestazione. Il secondo tipo di approccio è quello di cercare determinati effetti e, qualora essi vengano trovati, metterli in relazione con i livelli degli inquinanti.
La difficoltà del primo metodo è la limitata quantità di dati tossicologici disponibili, specialmente sulle specie bersaglio. Tale difficoltà è aggravata dal fatto che è raro che si abbia a che fare con singoli composti; quando ci si trova di fronte a miscele complesse, che variano dal punto di vista temporale e geografico, il problema diventa praticamente irrisolvibile.
Solitamente si assume che gli effetti delle miscele di sostanze chimiche siano additivi. Benché ciò sia generalmente vero, in un numero di casi relativamente piccolo, ma significativo, la tossicità è considerevolmente superiore a quella additiva, viene cioè potenziata (sinergismo). Può verificarsi anche il caso inverso, quando c'è antagonismo e l'effetto totale è inferiore a quello additivo. Il concetto è rappresentato in modo schematico nella figura (fig. 8).
Per affrontare il problema del potenziamento è necessario conoscere i meccanismi d'azione degli inquinanti. l due meccanismi che possono causare il potenziamento possono essere così schematizzati:
l) il composto A inibisce un enzima che detossifica dal composto B e la velocità di detossificazione dal composto B viene quindi ridotta.
2) il composto A induce un enzima che attiva il composto B e perciò incrementa l'attivazione del composto B.
Un esempio del primo sistema è l'associazione di insetticidi a base di piretro con fungicidi che inibiscono la biosintesi dell'ergosterolo. Questi fungicidi possono inibire il sistema delle MFO delle api che normalmente le detossifica dai derivati del piretro. Nelle api è stato riscontrato un potenziamento fino a venti volte degli effetti.
Un esempio del secondo sistema è l'attivazione degli idrocarburi policiclici aromatici a metaboliti cancerogeni dopo che il sistema delle MFO è stato indotto da composti quali le diossine. È stato ipotizzato che l'elevata incidenza di tumori nelle balene Beluga (Delphinapterus leucas) del St. Lawrence River in Canada sia dovuto a questo meccanismo.
La maggior parte degli aspetti riguardanti il secondo approccio è stata trattata nel paragrafo sui biomarker. Il vantaggio del metodo dei biomarker consiste nel fatto che, se si osservano modificazioni, esse dimostrano che la sostanza inquinante è presente in concentrazione sufficiente per causare un effetto.
Cambiamenti nella composizione in specie
In generale, gli ecotossicologi sono più interessati agli effetti a livello di popolazione, o superiori, che a quelli sui singoli individui. Attualmente una delle principali preoccupazioni riguarda la perdita di diversità, anche se gli effetti dell'inquinamento sono spesso minori di quelli causati dalla distruzione dell'habitat. Comunque, esistono sempre maggiori prove a sostegno del fatto che fenomeni come le piogge acide e il riscaldamento del pianeta stiano producendo effetti a livello di ecosistema (v. oltre).
Sono stati ideati numerosi programmi per esaminare la composizione in specie. In Gran Bretagna è stato predisposto il River Invertebrate Prediction and Classification 8ystem (Sistema di previsione e classificazione degli invertebrati di fiume) per valutare la qualità biologica dei fiumi. Le informazioni così raccolte vengono utilizzate per fare previsioni sulla fauna a macroinvertebrati attesa in assenza di forti stress ambientali. La fauna osservata in un'area che si sospetta inquinata può essere confrontata con quella in assenza di inquinamento. Eventuali differenze indicano la presenza di stress ambientali che necessitano di essere studiati. Attualmente in Gran Bretagna sono presenti circa 9000 siti utilizzati per valutare in questo modo la qualità biologica. Negli Stati Uniti un indice, noto come index of biotic integrity (indice di integrità biotica), è un'altra misura degli effetti di contaminanti sulle comunità acquatiche. Questo indice utilizza pesci e caratteristiche fisiche dell'acqua per ricavare un parametro quantitativo dell'integrità delle comunità acquatiche. Questo indice può essere usato per stimare l'impatto dei contaminanti sullo stato dell'ambiente acquatico dopo uno sversamento. Il sistema è utilizzato in diversi stati come base normativa, ma è un problema adottarlo su scala più ampia per la variabilità geografica delle varie regioni di un paese.
Sviluppo di resistenze dovute agli inquinanti
Di solito, ma non sempre, la resistenza è controllata da un singolo gene. La maggior parte degli studi sulla resistenza si è occupata degli effetti dei pesticidi, anche se sono noti numerosi casi di resistenza ai metalli pesanti.
La resistenza degli insetti ai pesticidi è diventata un problema grave e nelle ultime valutazioni sono risultate resistenti diverse centinaia di specie. Gli insetti possono essere resistenti a più di un insetticida e spesso a insetticidi appartenenti a più di una classe. Il raggiungimento della resistenza a più di un insetticida mediante un singolo meccanismo viene definito resistenza crociata, mentre quando sono coinvolti diversi meccanismi di resistenza si parla di resistenza multipla.
Il più importante meccanismo di resistenza è la presenza di vie metaboliche che aumentano la velocità di degradazione dell'insetticida. Altri meccanismi sono costituiti da risposte comportamentali che consentono di evitare l'insetticida, da minore sensibilità a tale composto o da cambiamenti morfologici, come una diminuzione della permeabilità della cuticola.
Nella maggior parte dei casi i meccanismi che permettono ai singoli insetti di resistere agli insetticidi sono già presenti in un piccolo numero di individui prima che si verifichi l'esposizione alla sostanza. Questi individui sono in grado di sopravvivere e si riproducono, mentre i loro conspecifici muoiono. Così il carattere genetico che prima era raro diventa comune e l'insetticida perde la sua efficacia. Questo cambiamento non è privo di costi per l'insetto, perché gli individui che sono resistenti agli insetticidi sono meno adatti da altri punti di vista. Per esempio, l'energia utilizzata per la detossificazione non è disponibile per la crescita; in altri termini, gli alleli per la resistenza sono favoriti nei luoghi inquinati, ma vengono selezionati sfavorevolmente nei luoghi non inquinati.
l tentativi di controllo degli insetti che infestano le piante di cotone negli Stati Uniti meridionali sono un buon esempio dei cambiamenti di struttura della comunità che possono verificarsi con l'instaurarsi di una resistenza. Durante il periodo che andava dal 1945 fino a metà degli anni Cinquanta si ottenne il controllo quasi completo dei principali agenti infestanti, l'antonomo del cotone e la pulce del cotone, con gli organoclorurati DDT ed endrin, a cui fece seguito uno spettacolare incremento della produzione. A metà degli anni Cinquanta l'antonomo del cotone stava diventando resistente agli organoclorurati e fu necessario ricorrere ai composti organofosforati che, pur facendo aumentare i costi, mantenevano il cotone ancora redditizio. Inizialmente il controllo venne ottenuto aumentando le dosi e la frequenza delle applicazioni dei pesticidi. Mentre l'antonomo veniva controllato in questo modo, quelli che prima erano infestanti minori, come il verme della capsula e il verme della gemma del tabacco aumentarono di numero e divennero gli infestanti principali. Dalla metà fino alla fine degli anni Sessanta tutti gli infestanti divennero estremamente resistenti a ogni insetticida e la produzione del cotone crollò drasticamente. Per risolvere questo problema furono necessarie pratiche tradizionali di coltivazione e l'introduzione dell'lntegrated Pest Management (Controllo integrato degli organismi infestanti), basato su nuove varietà di cotone a stagione breve.
Benché la maggior parte dei casi di resistenza sia da attribuirsi agli insetticidi, altri inquinanti ambientali hanno causato effetti simili. Uno dei casi più interessanti è stato il verificarsi del melanismo industriale (v. anche il saggio di A. Kratochwil e A. Schwabe, Evoluzione, coevoluzione e biodiversità). L'annerimento delle zone industrializzate della Gran Bretagna fu uno dei risultati della rivoluzione industriale iniziata alla fine del 18° secolo. Una sua conseguenza fu la diffusione di forme melaniche che si mimetizzavano meglio in questo tipo di ambienti e erano quindi meglio protette contro i predatori. Benché ciò si sia verificato in molte specie di artropodi, l'esempio migliore è quello delle falene. L'incidenza del melanismo è cresciuta, in alcuni casi drasticamente, a partire dal 1850 circa. Nel caso della falena picchiettata (Biston betularia) il primo esemplare melanico fu trovato a Manchester nel 1848 ma nel 1895 il 98% degli esemplari presenti in quell'area era melanico. Leggi recenti, come la Clean Air Act (Legge per l'aria pulita), hanno fatto diminuire l'inquinamento atmosferico; la frequenza della varietà melanica ha cominciato a diminuire e attualmente è di circa il 50%. La chiara relazione tra la frequenza della forma melanica e l'inquinamento dell'aria è rappresentata in figura (fig. 9).
Effetti degli inquinanti a livelli superiori di organizzazione
La principale preoccupazione degli ecologi è l'integrità strutturale e funzionale degli ecosistemi: gli ecotossicologi sono interessati all'eventualità che le sostanze inquinanti possano danneggiare gli ecosistemi. Il problema è che non solo l'importanza degli effetti aumenta man mano che si sale nel livello di organizzazione ma insieme aumentano il tempo di risposta e la difficoltà di collegare gli effetti specifici alle specifiche sostanze chimiche (v. figura 1). Può essere infatti difficile riuscire a distinguere tra effetti delle sostanze chimiche sugli ecosistemi e fluttuazioni naturali. La natura dell'inquinamento è cambiata nel corso degli anni: problemi acuti e localizzati hanno lasciato il passo a problemi cronici e più diffusi nell'ambiente. Negli anni Sessanta e Settanta vi era molta preoccupazione per gli effetti regionali delle piogge acide sugli ecosistemi acquatici e terrestri. Più recentemente l'attenzione si è spostata sugli effetti dei clorofluorocarburi sullo strato di ozono e sul riscaldamento globale del pianeta.
Piogge acide
Benché la locuzione piogge acide sia stata coniata da A. Smith nel 1852 per descrivere i problemi intorno a Manchester, soltanto negli anni Cinquanta si cominciò a focalizzare l'attenzione sui loro effetti sull'ambiente. All'inizio, tali effetti erano localizzati intorno alle industrie, ma la costruzione di alte ciminiere per diluire l'inquinamento e l'aumento degli scarichi veicolari trasformarono un problema da locale a diffuso. L'immissione globale di ossidi di zolfo è approssimativamente di 100 milioni di tonnellate/anno, quella di ossidi di azoto è di circa 60 milioni di tonnellate/anno. La fonte principale dei primi è il carbone utilizzato nelle centrali elettriche, mentre i secondi provengono piuttosto dagli scarichi degli autoveicoli.
L'effetto delle piogge acide prodotte da questi inquinanti è conosciuto meglio per l'ambiente acquatico che per quello terrestre, perché i cambiamenti del pH e della concentrazione di ioni sono misurabili più facilmente nell'acqua che nel terreno. In Norvegia un'indagine su un migliaio di laghi ha rivelato che il numero di laghi sterili è raddoppiato tra il 1974 e il 1986. Gran parte dell'inquinamento che colpisce i laghi norvegesi arriva dalla Gran Bretagna, mettendo in evidenza la natura diffusa del problema. Uno degli effetti più importanti dell'acidificazione è la maggiore biodisponibilità dei metalli: l'aumento della concentrazione di alluminio può causare incapacità riproduttiva nei pesci ed è considerato la causa principale di riduzione delle popolazioni ittiche dei laghi acidificati. L'aumento di mercurio non ha sui pesci un effetto così diretto, ma porta all'accumulo di questo metallo tossico nella catena alimentare.
In Canada sono stati condotti studi dettagliati per determinare i danni agli ecosistemi causati dall'acidificazione in ambienti lacustri sperimentali. In questo studio il pH di un lago scarsamente tamponato nella regione nordoccidentale dell'Ontario è stato ridotto da 6,8 a 5,0 in un periodo di otto anni (Schindler et al., 1985). Le principali osservazioni, oltre agli effetti attesi sulle popolazioni di pesci, sono state i cambiamenti nella composizione in specie del fitoplancton, la scomparsa dei crostacei bentonici e la comparsa di alghe filamentose. Nonostante questi cambiamenti nella composizione in specie, l'acidificazione non ha causato diminuzione della produzione primaria o della concentrazione di nutrienti. Questi studi sperimentali hanno permesso una valutazione dettagliata dello stato di molti laghi acidificati 'naturalmente' a opera delle attività umane.
La contrazione delle foreste in Europa è diventata una grave questione politica, specialmente in Germania, dove il termine waldsterben (morte delle foreste) è ormai una parola d'uso comune. Negli anni Settanta si osservarono danni all'abete argentato in molte aree e dalla fine degli anni Settanta tali danni furono constatati in molte altre specie, soprattutto di pini. In alcune aree della Germania è stato stimato che ne era colpito l'80% degli alberi. Più recentemente sono stati avanzati dubbi sul fatto che le piogge acide siano la causa principale della waldsterben. Uno studio dettagliato (Kandler, 1992) è arrivato alla conclusione che l'ipotesi secondo la quale la contrazione su larga scala delle foreste europee, verificatasi dalla fine degli anni Settanta, fosse dovuta alle piogge acide non è stata confermata in dieci anni di ricerche. A tale proposito, viene fatto notare che non esiste una buona correlazione con la distribuzione spaziale e temporale delle sostanze che inquinano l'aria. Sembra probabile che la dinamica delle foreste sia influenzata da un'ampia varietà di fattori sia naturali sia non naturali.
Il buco nello strato di ozono
Nel 1984, per mezzo di una strumentazione collocata in Antartide, si scoprì che la concentrazione di ozono nella stratosfera (che protegge la Terra dalle radiazioni ultraviolette dannose) era pari al 40% dei valori riscontrati negli anni Cinquanta. Inizialmente questa scoperta non venne confermata dai dati raccolti mediante i satelliti. Ciò a causa di un errore di taratura per la concentrazione minima di ozono: al computer era stato detto di ignorare i valori al di sotto delle 180 unità Dobson, mentre ormai i valori erano inferiori alle 125 unità. Una volta chiarito questo problema fu dimostrato mediante il controllo satellitare che la diminuzione dell'ozono stava verificandosi in tutta la stratosfera a eccezione che sui tropici. La principale preoccupazione è il possibile aumento dei tumori, soprattutto alle latitudini più settentrionali; infatti, benché qui l'assottigliamento non sia grave come in Antartide, queste zone sono molto più popolate.
Sul fronte ambientale è stata espressa preoccupazione per gli effetti di un aumento della radiazione ultravioletta sulla produzione del plancton. Tuttavia gli effetti stimati (10÷20%) sono piccoli in confronto alle fluttuazioni annuali e non si è ancora data una risposta al quesito principale, e cioè se questo tipo di riduzione sarebbe importante qualora si verificasse ai valori minimi della fluttuazione naturale. Gli studi che utilizzano i mesocosmi indicano effetti differenziali sulle alghe e sulle larve degli insetti. Infatti, anche se inizialmente le alghe diminuiscono, questa perdita è più che compensata dalla successiva diminuzione nella popolazione di insetti che riduce quindi la predazione sulle alghe. Resta da dimostrare se tali effetti si verifichino in natura.
La diminuzione dell'ozono nella stratosfera è causata dai clorofluorocarburi (CFC). Questi composti sono chimicamente inerti, da qui la scelta che era stata fatta di utilizzarli come sostanze 'sicure' come liquidi refrigeranti nei frigoriferi e come propellenti nei prodotti spray. L'importanza internazionale del problema è chiaramente dimostrata dal fatto che, nonostante il 95% dei CFC venga liberato nell'emisfero settentrionale, la ridistribuzione è sufficientemente rapida da far sì che le concentrazioni nei due emisferi siano simili. Per meglio dire, l'effetto maggiore si è osservato in Antartide. F. Sherwood Rowland e M. Molina (i quali hanno ottenuto nel 1995 il premio Nobel per la chimica) furono in grado di dimostrare che i CFC - di cui venivano rilasciate nell'atmosfera circa 800.000 tonnellate/anno - non si scomponevano, ma si accumulavano nell'atmosfera. A questo punto la causa del buco nello strato di ozono era stata trovata ed era disponibile l'informazione sul probabile 'colpevole' chimico.
Per riuscire a controllare i CFC è stata intrapresa un'azione internazionale, concordando una serie di protocolli per ridurre l'uso di questi composti. Nonostante alcuni insuccessi nell'applicazione e alcuni usi illeciti di tali sostanze, la regolamentazione dei CFC è da considerarsi un successo per la comunità internazionale (Tolba, 1992).
Cambiamento del clima
Attualmente una delle questioni più controverse in campo ecotossicologico è il cambiamento del clima. L'unico fatto su cui si concorda è che i livelli di diossido di carbonio nell'atmosfera terrestre stanno crescendo in modo costante. Viceversa, l'impatto dell'aumento di questo composto (e di altri gas che determinano l'effetto serra) è stato oggetto di notevole dibattito. Ciò non sorprende, in quanto la riduzione di 6 miliardi di tonnellate di diossido di carbonio emesse annualmente dalle attività umane comporterà costi notevoli (Wigley et al., 1996). Mentre alcune modeste riduzioni sono state concordate da parte dell'Unione Europea, non è finora stato possibile indurre ad agire il singolo maggior produttore, gli Stati Uniti, dove l'emissione pro capite è cinque volte la media mondiale e due volte quella dell'Europa occidentale. Mentre dovrebbe essere possibile stabilizzare, e anche lentamente ridurre, le emissioni di diossido di carbonio nel mondo industrializzato, è difficile pensare di poter evitare aumenti nei paesi in via di sviluppo. L'industrializzazione della Cina, basata in gran parte sul carbone, sta facendo aumentare rapidamente le emissioni provenienti da questo paese ed è probabile che all'inizio del 21⁰ secolo esse supereranno quelle degli Stati Uniti (Flavin e Tunali, 1996).
Nonostante l'argomento sia ancora controverso, sta emergendo un consenso da parte dell'Intergovemmental Panel on Climate Change (Comitato intergovernativo sul cambiamento del clima) sul fatto che si stia verificando un riscaldamento del pianeta tale per cui un raddoppiamento dei livelli di diossido di carbonio (che continuando alla velocità attuale avverrebbe nel 2030) causerà aumenti significativi della temperatura terrestre. Le valutazioni sull'attuale innalzamento della temperatura variano come la gravità delle sue conseguenze; uno degli effetti principali sarà la modifica della distribuzione globale delle precipitazioni, un altro sarà l'innalzamento del livello dei mari.
In base a studi effettuati nel Canada settentrionale è stata ipotizzata la possibilità che il riscaldamento terrestre, le piogge acide e la deplezione dello strato di ozono abbiano effetti combinati. La chiave di questi cambiamenti è la perdita di carbonio organico disciolto (DOC, Dissolved Organic Carbon) negli strati superficiali dei laghi. Il DOC dei laghi viene ridotto dalla diminuzione delle precipitazioni e dall'aumento dell'evaporazione causato dal riscaldamento globale. Questo permette una maggiore penetrazione dei raggi ultravioletti nella colonna d'acqua, aumentati a causa del buco nello strato di ozono. L'acidificazione, riducendo la produttività di alcune piante, fa ulteriormente aumentare il grado di penetrazione degli UV. Infatti sono stati riscontrati cambiamenti nelle comunità algali, con effetti maggiori nei laghi limpidi e poco profondi.
Analisi di casi significativi
Effetti di inquinanti persistenti nei Grandi Laghi dell'America Settentrionale
l Grandi Laghi, complessivamente, costituiscono il più grande volume di acqua dolce del mondo ed è stata proprio la loro estensione una delle cause di inquinamento. Sono infatti così grandi che la diluizione è sembrata per diverso tempo la soluzione per l'inquinamento. La via d'acqua costituita dai laghi fu uno dei principali fattori che portarono alla scoperta e allo sviluppo di questa parte del nuovo mondo. Lo sfruttamento delle cascate del Niagara per produrre elettricità portò al massiccio sviluppo industriale lungo questo fiume. Attualmente, nella regione dei Grandi Laghi vivono circa 36 milioni di persone e vi si trovano più di 13.000 impianti manifatturieri e industriali. Ciò ha determinato, a partire dagli anni Sessanta, l'insorgenza di gravi problemi alla flora e alla fauna di questi mari interni. I livelli residui di contaminanti ritrovati e i loro effetti sono stati studiati in modo dettagliato (Department of Environment Canada, 1991).
Le prime osservazioni all'inizio degli anni Settanta dimostrarono scarsa capacità riproduttiva e deformità nei pulcini in una colonia di rondini di mare (Sterna hirundo). Indagini successive misero in evidenza gravi danni riproduttivi nel gabbiano reale e la scomparsa del cormorano a cresta doppia (Phalacrocorax auritus) nei Grandi Laghi meridionali; una scarsa capacità riproduttiva del cormorano fu riscontrata anche nel Lago Huron.
Venne immediatamente suggerita l'ipotesi che conseguenze così gravi su una zona tanto ampia fossero causate da inquinanti, principalmente organoclorurati. Ciò fu proposto in base alla correlazione esistente tra i livelli di OC totali e gli effetti sulla riproduzione. Il problema di gran lunga più difficile da affrontare fu quello di mettere in relazione questi effetti con una o più specifiche sostanze chimiche. A parte le difficoltà intrinseche nell'affrontare gli effetti di miscele complesse, vi erano due ulteriori problemi. Innanzitutto i livelli della maggior parte degli OC variavano con modalità simili tra loro e, in secondo luogo, da studi condotti in laboratorio si era a conoscenza che gli effetti riscontrati - embriotossicità, edemi, anomalie strutturali, cambiamenti nel comportamento - erano causati da un'ampia gamma di OC. Solo nel caso dell'assottigliamento dei gusci delle uova dei cormorani fu possibile identificare una causa specifica con un elevato grado di certezza (v. oltre).
Vennero intrapresi dettagliati studi sul campo, che includevano immissione di uova, esperimenti con scambio di uova e studi sulle cure prestate al nido. Queste indagini furono rese più difficili dal fatto che, in seguito ai divieti e alle restrizioni sul loro utilizzo, i livelli della maggior parte degli OC erano in rapida diminuzione. Tutto ciò che fu possibile stabilire alla fine degli anni Settanta fu una generica correlazione con i livelli degli inquinanti.
Agli inizi degli anni Ottanta i problemi riproduttivi degli uccelli ittiofagi erano limitati a poche aree specifiche, invece che verificarsi un po' in tutti i laghi come era avvenuto nel decennio precedente. Tuttavia la diminuzione degli OC, che era stata una caratteristica degli anni Settanta, si è fermata e i livelli sono rimasti sostanzialmente costanti durante l'ultima metà degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, per cui attualmente esiste un problema di inquinamento cronico che, si presume, si protrarrà nel 21⁰ secolo.
A posteriori si può dire che né la chimica analitica, né la tossicologia sperimentale erano allora sufficientemente raffinate per affrontare il problema con il dettaglio necessario. La conferma che le diossine clorurate (PCDD) e i dibenzofurani clorurati (PCDF) erano presenti nei Grandi Laghi si ottenne soltanto nel 1980. Venne rapidamente sviluppata l'analisi di isomeri specifici e alla fine degli anni Novanta i chimici analitici erano in grado di valutare i livelli di ottanta OC, rispetto alla dozzina circa di un decennio prima. Allo stesso modo, benché si sapesse da tempo che il numero degli isomeri di PCB era molto grande, quasi tutti i primi lavori tossicologici furono svolti sulle miscele in commercio. Il lavoro su isomeri specifici rivelò subito grandi differenze nelle loro attività e vennero intrapresi studi sulle relazioni tra struttura e attività.
Nel frattempo i biologi molecolari stavano usando la diossina (in particolare la 2,3,7,8-tetracloro-p-diossina, 2,3,7,8TCDD) per isolare e caratterizzare i recettori. A metà degli anni Settanta l'identificazione del recettore Ah, per il suo forte legame specifico con la diossina, fu una scoperta chiave che portò la biologia molecolare nel campo della tossicologia. Il recettore Ah è responsabile del controllo del sistema delle MFO.
L'applicazione di questa biochimica complessa alle indagini sul campo ha portato a descrivere le miscele complesse di organoclorurati in termini di diossina-equivalenti. Ciò in seguito alla correlazione riscontrata tra la concentrazione richiesta per indurre una specifica monoossigenasi (la alchilidrocarburoidrossilasi) e la concentrazione di PCB, PCDF e PCDD responsabile di effetti tossici. In termini di diossinaequivalenti l'attività del composto più potente, la 2,3,7,8TCDD, è indicata pari a l e rispetto a questa viene calcolata l'attività degli altri composti. Questo numero può poi essere moltiplicato per la concentrazione, calcolando così l'equivalenza in termini di diossina. Nonostante la tossicità di altri composti, come i vari PCB, sia molto inferiore a quella della diossina, essi sono spesso presenti in concentrazioni maggiori e quindi contribuiscono ai diossina-equivalenti totali più di quanto non faccia la diossina stessa. Questo metodo viene utilizzato anche al contrario: viene misurato il grado di induzione dell'enzima e poi questo viene convertito in TCDD-equivalenti. Questo metodo di valutazione biologica è rapido ed economico se confrontato con l'analisi chimica convenzionale mediante gascromatografia o spettrometria di massa.
Sono stati determinati i diossina-equivalenti per campioni di uova di uccelli ittiofagi, in colonie di cormorani a cresta doppia (Phalacrocorax auritus) e rondini di mare (Hydroprogne caspia) nei laghi Michigan e Ontario. Tracciando un grafico del successo riproduttivo delle colonie del cormorano e della rondine di mare rispetto ai diossina-equivalenti presenti nelle uova di ciascuna colonia è stato messo in evidenza un elevato grado di correlazione (fig. 10).
Quello dell'insuccesso riproduttivo degli uccelli ittiofagi nei Grandi Laghi nordamericani è un esempio del modo in cui due linee di ricerca all'inizio completamente distinte, la biologia molecolare e l'indagine dei biologi sul campo, alla fine si siano fuse fornendo una risposta completa a uno specifico problema.
Insuccesso riproduttivo dei molluschi dovuto a tributilstagno
Un esempio ben noto degli effetti degli inquinanti nell'ambiente marino è quello del tributilstagno che viene rilasciato dalle vernici antivegetative. Dalla metà degli anni Sessanta il tributilstagno è stato usato come molluschicida su barche, su moli e su altre strutture marittime e negli anni Novanta la sua utilizzazione è aumentata, essendone stata ampiamente riconosciuta l'estrema efficacia. Sono emersi subito problemi a causa della diminuzione delle popolazioni di ostriche e di buccini nel nord della Francia e nel sud dell'Inghilterra.
Gli studi più dettagliati sono stati condotti nel 1969 dal Plymouth Marine Laboratory in Gran Bretagna dopo la scoperta del fenomeno dell'imposex nelle nucelle (Nucella lapillus). L'imposex (femmine che sviluppano caratteristiche maschili) si esprime con lo sviluppo nelle femmine di un piccolo pene. Uno strato di cute può crescere tra la papilla genitale e il pene e, nei casi più estremi, questo occlude la papilla impedendo la liberazione delle uova e determinando l'insuccesso riproduttivo (Bryan et al., 1986).
Dopo il primo rapporto sull'imposex nello Stretto di Plymouth, venne svolta un'indagine più ampia intorno alla penisola sudoccidentale dell 'Inghilterra, la quale rivelò che l'imposex era diffuso e che i suoi maggiori effetti si riscontravano lungo le coste della Manica. Una scoperta importante fu la relazione tra il grado di imposex e la distanza dai porti, suggerendo che l'imposex fosse causato da un inquinante associato all'industria nautica. Un'altra importante scoperta fu che l'incidenza dell'imposex stava decisamente aumentando rispetto alla sua prima individuazione e questo indicava che il livello dell'inquinante stava crescendo. Questi dati suggerirono che il TBT potesse essere l'agente responsabile.
Questa ipotesi fu confermata da studi di laboratorio che permisero di stabilire una diretta relazione di causa/effetto. In questi studi livelli di TBT di pochi nano grammi per litro erano sufficienti a causare la sterilità nelle nucelle. La concentrazione alla quale non si avevano effetti (NOEC, No Observable Effect Level) è stata fissata a meno di 1,5 ng/l dall'Environmental criteria document (Documento sui criteri ambientali) pubblicato dall'Organizzazione mondiale della sanità. La sterilizzazione di alcune femmine compare già in presenza di 1÷2 ngll ed è completa in zone dove si riscontrano 6÷8 ng/l.
Dopo le prime scoperte in Francia e in Inghilterra, l'imposex è stato ampiamente documentato negli Stati Uniti, nel sud-est asiatico e in Giappone. Ancora più allarmante è una recente segnalazione dell'imposex nei buccini in zone aperte del Mare del Nord e la sua correlazione con la densità del traffico navale.
In Francia, le prime restrizioni all'uso di TBT furono poste nel 1982, seguite poi dal suo completo divieto. In Gran Bretagna l'uso di TBT sulle piccole imbarcazioni e sulle gabbie per l'acquacoltura è stato proibito nel 1987. Negli Stati Uniti numerosi stati hanno imposto restrizioni che, per la maggior parte, si basano più sulla limitazione dei tassi di dispersione che sul completo divieto dell'uso di TBT. Negli ultimi anni la quantità di TBT dispersa dalle vernici è diminuita considerevolmente incorporando il TBT in una matrice costituita da un copolimero.
Dopo i divieti e le restrizioni sull'uso di TBT in alcune zone è stato notato un miglioramento nelle popolazioni di buccini; tuttavia l'utilizzo di tale composto è ancora eccessivo, soprattutto in Estremo Oriente.
Assottigliamento dei gusci delle uova negli uccelli rapaci indotto da DDE
Nel 1965, in un convegno tenuto si a Medison, in Wisconsin, al quale parteciparono persone interessate ai falchi pellegrini (Falco peregrinus) provenienti dall'Europa e dall'America Settentrionale, venne segnalata una diminuzione delle popolazioni in tutta la regione olartica e addirittura la completa scomparsa del falco pellegrino nelle zone orientali dell'America Settentrionale. A metà degli anni Cinquanta, in Gran Bretagna, D. Ratcliffe aveva notato un aumento nella rottura delle uova di questa specie, ma allora non aveva tratto conclusioni da tale osservazione. Quando venne evidenziata la diminuzione di questa popolazione, questo studioso si ricordò della rottura delle uova e misurò lo spessore dei gusci di un gran numero di uova, raccolte in Gran Bretagna, che si trovavano in musei o in collezioni private, riuscendo a dimostrare che si era verificata una significativa diminuzione dello spessore a partire dalla metà degli anni Quaranta. In seguito si constatò che lo spessore dei gusci era diminuito in molte parti del mondo (fig. 11). Un lavoro sperimentale condotto sul gheppio americano (Falco sparverius) ha permesso di stabilire una relazione di causa-effetto con il DDE (1,1-dicloro-2,2-bis-p-clorofeniletilene). Fu inoltre possibile dimostrare che la relazione tra il grado di assottigliamento dei gusci e la quantità di residui di DDE in laboratorio era la stessa riscontrata sul campo. Due aspetti interessanti del fenomeno dell'assottigliamento dei gusci sono stati la grande differenza di sensibilità delle diverse specie e la scoperta che l'assottigliamento dei gusci era causato, a dosi riscontrabili nell'ambiente, solo dal DDE e da composti a esso molto simili. Molte specie di uccelli comunemente usate per i test - quaglie, fagiani e polli - sono quasi completamente insensibili, mentre altre, come le anatre, lo sono solo moderatamente. Invece, molte specie di uccelli ittiofagi e di rapaci sono estremamente sensibili. Perciò è improbabile che studi effettuati per autorizzare la commercializzazione di queste sostanze, anche oggigiorno, avrebbero potuto mettere in luce questo particolare effetto nocivo del DDE.
Si presume che il meccanismo di questi agenti tossici agisca attraverso l'inibizione della Ca-ATPasi dell'ovidotto riducendo il trasporto del calcio nel sito in cui avviene la formazione del guscio, ma i dettagli della farmaco dinamica coinvolta nella variabilità interspecifica rimangono ancora poco chiari. Venne subito suggerito che una riduzione del18÷ 20% dello spessore dei gusci fosse sufficiente a causare l'incapacità riproduttiva e il declino della popolazione. Questo è stato confermato da dati su scala mondiale (fig. 12) per il falco pellegrino (Falco peregrinus). In molte parti dell'emisfero settentrionale c'è stata una forte diminuzione nei livelli di DDE e un aumento dello spessore dei gusci delle uova. Ciò ha portato a un ampliamento delle popolazioni di falco pellegrino in quasi tutto il suo areale di distribuzione. Nella parte orientale dell'America Settentrionale, poiché la specie era completamente scomparsa, è stato necessario mettere a punto un programma di ripopolamento. Questo ha avuto molto successo e ora, in questa zona, è presente una popolazione autonomamente persistente.
Questa storia (Peakall, 1993) e quella del tributilstagno costituiscono gli esempi migliori di cambiamenti diffusi dell'ambiente che si è riusciti a mettere definitivamente in relazione con una specifica sostanza chimica.
Politica agricola comunitaria e diminuzione degli uccelli sui terreni coltivati
A partire dagli anni Ottanta, in Europa occidentale è stata notata una marcata diminuzione di molte specie di uccelli che vivono sui terreni agricoli. In Gran Bretagna (tab. 3), grazie a un programma di sorveglianza su lungo periodo della British Trust of Ornitology (Associazione britannica di ornitologia) il calo numerico e la diminuzione della varietà degli uccelli che vivono su terreni coltivati sono stati ben documentati (Campbell et al., 1997). Benché simili cambiamenti siano stati notati anche in altre regioni dell'Europa occidentale, i dati non sono così completi.
Anche se i cali sono ben documentati, determinarne le cause è più difficile. Data la scala di modificazione, sia temporale sia geografica, bisogna utilizzare un approccio epidemiologico. l principali criteri epidemiologici sono la relazione temporale, la specificità e la coerenza dell'associazione. Tali criteri non forniscono la prova della relazione causa-effetto con il criterio sperimentale, ma identificano un processo e una cornice entro cui è possibile elaborare un giudizio ponderato.
La relazione temporale. - È essenziale che il momento in cui insorge l'effetto sia correlato al momento in cui si verifica la presunta causa. In questo caso il periodo in cui si verifica il declino del numero di specie (v. tabella 3) è in relazione con l'insorgenza della fase più recente di intensificazione dell'agricoltura, che ha comportato un maggior uso di pesticidi. Tuttavia, durante lo stesso periodo nelle zone coltivabili sono variati anche altri parametri, quali l'aumento nella specializzazione delle colture e lo spostamento dalla primavera all'autunno della semina dei cereali.
Specificità dell'associazione. - I cali sono stati registrati nelle zone coltivate di tutta la Gran Bretagna e di gran parte dell'Europa occidentale. Le popolazioni di uccelli che vivono sui terreni coltivati sembrano aver maggior successo in Europa orientale, dove l'agricoltura segue ancora metodi più tradizionali. Comunque, come si è detto precedentemente, i dati raccolti negli altri paesi europei sono molto meno dettagliati di quelli disponibili in Gran Bretagna.
Coerenza dell'associazione. - L'idea che il decremento della disponibilità di cibo per gli uccelli, dovuto all'aumentato uso di insetticidi e di diserbanti, e della disponibilità di habitat, dovuto agli erbicidi (cioè alla perdita in natura di piante non da raccolto) possano alterare la sopravvivenza degli uccelli è ragionevole dal punto di vista biologico. Sia per le piante sia per gli invertebrati il Joint nature conservancy council report (Rapporto del consiglio congiunto per la protezione della natura) afferma che "il quadro complessivo, per quanto lungi dall'essere completo, è quello di un declino generale sia numerico, sia di diversità, avvenuto soprattutto negli ultimi 20÷30 anni". L'ipotesi che l'agricoltura intensiva sia la responsabile è avvalorata dal fatto che le popolazioni di uccelli sono più numerose sulle colture di tipo biologico, benché non sia stato possibile determinare quale fattore - uso di pesticidi, qualità dell 'habitat, rotazioni agrarie, ecc. - sia il principale responsabile di questo effetto.
Finora la ricerca più dettagliata è quella condotta sulla pernice grigia dal Game Conservancy (Potts, 1986). Questo studio, condotto su un arco di tempo di oltre 30 anni, include controlli a lungo termine sul campo che integrano studi teorici e sperimentazioni sull'uso dei pesticidi. Lo studio ha fornito prove convincenti che la sopravvivenza dei pulcini di pernice è stata ridotta dagli effetti indiretti dei diserbanti e degli insetticidi ad ampio spettro e che la semplice riduzione nell'uso di pesticidi porta a un significativo miglioramento nella sopravvivenza dei pulcini.
Anche se c'è da attender si che siano coinvolti diversi fattori, le prove attuali suggeriscono che gli effetti indiretti di diserbanti e insetticidi sono probabilmente la causa più importante dei cali documentati. Gli studi attuali sui cambiamenti delle popolazioni dove si pratica l'allontanamento e ulteriori studi dettagliati sulle colture di tipo biologico dovrebbero contribuire a fornire prove aggiuntive. Se un'agricoltura più intensiva farà seguito al previsto allargamento dell'Unione Europea, sorgeranno altre occasioni di studio, ma anche altri problemi per gli uccelli che vivono sui campi coltivati.
L'attuale politica agricola comune dell'Unione Europea ha indirettamente determinato un imponente esperimento di ecotossicologia, i cui risultati finali non sono ancora completamente chiari. Solo dopo averli interpretati la politica agricola comunitaria potrà essere riformata per il benessere a lungo termine della flora e della fauna e per un'agricoltura sostenibile.
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