EDITTO (lat. edictum)
È un'ordinanza emessa dal magistrato, dal pontefice massimo, più tardi dal principe, che stabilisce una certa linea di condotta obbligatoria per i cittadini. Non dunque ogni manifestazione di volontà del magistrato e nemmeno il comando diretto al singolo cittadino cadono sotto il concetto di editto: questo è sempre una disposizione contenente prescrizioni generali per tutti coloro che si trovino in una situazione determinata.
Nel periodo repubblicano il ius edicendi compete dunque a tutti coloro che siano investiti di funzioni tali da poter imporre la loro volontà alla cittadinanza. In prima linea quindi al magistrato munito di imperium e cioè, in Roma, al console e al pretore e, in provincia, al governatore. La facoltà di edicere spetta però anche al censore, quantunque non investito di imperium, in quanto egli ha la facoltà di riunire l'exercitus urbanus; e venne pure riconosciuta ai tribuni, quando la loro posizione si accostò a quella dei magistrati cittadini. Nessuna menzione di questo diritto s'incontra invece per i questori e per gli edili della plebe. Viceversa il ius edicendi spetta agli edili curuli in dipendenza della loro giurisdizione e del loro potere di polizia. Il magistrato può emanare editti sin dall'istante della sua designazione e prima dell'effettiva assunzione della carica; ma solo in quest'ultimo momento l'editto ottiene la sua efficacia. Anche il pontifex maximus gode del ius edicendi per la convocazione delle curie e per l'esercizio di talune sue funzioni.
La comunicazione al popolo avveniva, regolarmente, mediante dichiarazione orale fatta per mezzo di un araldo in contione. Ma certo, fin da epoca antica, questa comunicazione orale, che venne sempre formalmente conservata, fu per ragioni pratiche seguita dalla redazione scritta (proponere, proscribere), di solito su tavole di legno imbiancate (donde il termine album) con lettere nere e intestazioni rosse (rubricae) e dall'affissione del testo: la durata dell'affissione variava a seconda della natura dell'editto. L'efficacia dell'editto durava quanto la permanenza in carica del magistrato. L'editto di ciascun magistrato cittadino o provinciale si riferiva a quelle materie che rientravano nella sfera delle sue competenze. Particolare importanza assunse l'editto del pretore, che venne a costituire la base formale principale del ius honorarium o praetorium (v. sotto: Editto perpetuo; Editto translatizio).
Sotto il principato, il ius edicendi viene esercitato dal princeps, non perché egli sia magistrato, ma perché a lui, organo nuovo inserito nella costituzione repubblicana, sono conferiti l'imperium proconsulare (maius) e la potestas tribunicia: e appunto perché l'imperium del princeps come proconsulare maius si estende anche alle provincie senatorie, così i suoi edicta s'impongono anche ai governatori di quelle. Data l'estensione nello spazio e nel tempo del potere del principe, i suoi edicta valgono non solo per attuare misure amministrative provvisorie, ma anche per introdurre principî generali duraturi. Nella forma essi non differiscono da quelli dei magistrati; cominciano col nome del principe, e il contenuto è introdotto col verbo dicit ed esposto in discorso diretto. La pubblicazione è fatta di solito mediante l'affissione di una copia in albo, affissione la cui durata è variabile ma breve; inoltre copie degli editti vengono inviate a tutti i funzionarî, che sono tenuti a pubblicarli, con l'invito a darne conoscenza ai loro amministrati: e le copie ufficiali portano l'indicazione della data e del luogo di pubblicazione. Una prima differenza tra gli edicta imperiali e quelli dei magistrati è che il principe con essi non stabilisce, come ad esempio il pretore, un programma della propria attività, ma fissa invece ai magistrati delle norme e dei principî che essi devono seguire. Inoltre, mentre l'editto del magistrato vale solo per la durata della sua carica, tale principio non si applica agli editti imperiali. Essi valgono indefinitamente anche sotto i successori finché non vengano abrogati: e spesso anche l'abrogazione non consegue pienamente l'effetto voluto.
Di tale attività abbiamo tracce sin dal primo periodo del principato, quantunque essa non abbia la sua base in una concessione espressa al principe di fissare mediante editti norme obbligatorie per i magistrati e i cittadini. Si deve rilevare che gli editti degl'imperatori, almeno nei primi due secoli del principato, hanno solo raramente per oggetto il diritto privato; ma nel campo del diritto amministrativo essi esercitarono con gli editti un'influenza larga e profonda. Sotto l'impero assoluto la terminologia indicante le costituzioni dirette dall'imperatore al popolo, al Senato o agli alti funzionarî non è più netta e precisa: i varî gruppi si confondono l'unti con l'altro, e il termine edicta o edictales leges, di solito adoperato a indicare costituzioni dirette al popolo, è usato anche per quelle che hanno per destinatarî gli alti funzionarî. In quest'ultimo periodo poi s'incontrano con frequenza ordinanze dei praefecti praetorio, designate col nome di formae, programmata, commonitoria, praecepta, talora anche edicta: la maggior parte si riferisce all'amministrazione, ma talune hanno per oggetto anche la procedura e il diritto privato (per l'editto di Caracalla, v. caracalla; per l'editto di Milano, v. costantino; per l'editto di Teodorico, v. teodorico; per l'editto longobardo, v. longobardo, editto).
Editto perpetuo. - L'editto più importante, soprattutto per lo sviluppo del diritto romano, è quello del pretore, la cui funzione è quella di ius dicere cioè di porre i principî giuridici secondo i quali debbono essere risolte le controversie private. Ma il pretore, in forza della sua iurisdictio, la quale non è che uno degli aspetti del potere di comando, cioè dell'imperium, non è vincolato nell'esercizio della sua attività dalle norme del ius civile: egli può con varî provvedimenti mutare quella che sarebbe la posizione delle parti secondo il ius civile: così come può accordare tutela a rapporti non riconosciuti da questo. Tutti questi provvedimenti, che ebbero sviluppo e incremento soprattutto dopo la lex Aebutia (della prima metà del sec. II a. C.), trovano la loro espressione esteriore e la loro indicazione programmatica nell'editto, cioè nella comunicazione ufficiale nella quale i pretori indicavano i criterî cui si sarebbero attenuti nell'esercizio della loro giurisdizione rispetto alle singole ipotesi concrete. Il termine edictum indicava qui la clausola speciale con la quale il pretore annunciava il provvedimento che egli avrebbe adottato in quel caso. Ma, a cominciare dal sec. III a. C., diventò usuale che il magistrato salendo alla carica pubblicasse il programma generale che egli avrebbe seguito nell'amministrazione della giustizia. Il termine edictum ebbe così un duplice significato: valse cioè a indicare da un lato il programma generale, dall'altro le singole clausole, partes o capita dell'editto.
L'editto generale emanato al principio dell'anno di carica, nel quale era l'elenco dei principî sotto l'osservanza dei quali il pretore avrebbe concessa la tutela processuale, e che doveva valere per tutta la durata della magistratura, era designato con l'espressione edictum perpetuum e si contrapponeva a quegli editti che il pretore poteva emanare per il singolo caso, prout res incidit, che i moderni designano col termine di edicta repentina. Dapprincipio il magistrato non era nemmeno obbligato ad attenersi ai principî fissati nell'editto perpetuo: ma più tardi, da una lex Cornelia del 67 a. C., affinché l'editto costituisse veramente una garanzia per i cittadini, fu stabilito che i pretori dovessero seguire i loro editti perpetui: ma, almeno durante il principato, la norma non fu seguita con molto rigore.
Il termine edictum perpetuum assunse poi un nuovo significato quando Adriano, nell'intento di concentrare e unificare la formazione delle norme di diritto, diede incarico al giurista Salvio Giuliano di riordinare l'editto e di fissarne il testo, che steso in un libellus venne approvato da un senatoconsulto, nell'oratio del quale l'imperatore si riservava future modificazioni. Tale codificazione fu compiuta attorno al 130 d. C., probabilmente nel 134: e il termine edictum perpetuum designa ormai questo editto codificato, che non può essere modificato se non dall'imperatore.
La redazione giulianea dell'editto perpetuo ha potuto essere ricostruita in base ai Digesta di Salvio Giuliano, e i commenti Ad edictum di Gaio, Ulpiano e Paolo; benemerito di questa ricostruzione è stato soprattutto O. Lenel. Da tale ricostruzione si rileva che tutto il materiale edittale era diviso in quattro grandi parti: una prima, introduttiva, riguardante l'inizio del processo fino alla concessione del giudizio: una seconda, dedicata al procedimento ordinario; una terza, in cui si riuniscono procedimenti speciali e sommarî; una quarta, per l'esecuzione e le nullità. Seguiva poi un'appendice e l'editto degli edili curuli.
Editto translatizio. - Con questo nome (edictum translatitium o vetus) era chiamato quel nucleo dell'editto del pretore (v. sopra) che, essendosi dimostrato utile ed efficace alla prova dei fatti, veniva tramandato da un pretore a un altro (Cic., Ad fam., III, 8, 4; Ad Att., V, 21, 11; In Verr., II, 1, 44, 115, 45, 117). Anche questa parte dell'editto aveva però valore non già perché translatizia, ma perché veniva accolta dal pretore (che avrebbe potuto rifiutarla o modificarla) nel suo editto annuale.
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