Complesso di sistematiche azioni di forza volte allo scopo di stroncare un movimento politico o religioso, di ridurre o addirittura eliminare una minoranza etnica, sociale e simili.
Delirio di p. Forma tematica frequentemente assunta dai deliri paranoici: si manifesta nella tendenza a ravvisare una intenzionale ostilità in avvenimenti che in realtà non hanno tale significato. Il soggetto è convinto di essere oggetto di controllo, di minacce e di influenzamenti dannosi attraverso raggi, elettricità, veleni, che mirano alla sua emarginazione ed eliminazione fisica. Si parla di tendenze persecutorie quando il quadro di p. non è conclamato ma resta latente, e se ne possono evidenziare tratti solo con esami psicologici accurati; situazioni oggettive di p. (per lo più a genesi politica) possono indurre col tempo uno sviluppo persecutorio anche in soggetti a ciò non predisposti.
Nel campo religioso, in senso stretto l’azione del potere costituito, allorché esso configura come un delitto e punisce l’adesione a una determinata credenza religiosa e tutti gli atti che ne sono conseguenza, oppure anche il solo fatto di non aderire, almeno nelle manifestazioni esteriori, alla religione dello Stato. In senso lato, il termine si applica anche ad atti di violenza compiuti da folle o individui irresponsabili.
Quando si parla di p. dei cristiani, si intende soprattutto la lotta del governo romano pagano contro il cristianesimo. Nei primi secoli dell’era cristiana l’autorità pubblica e la popolazione pagana giudicarono la professione della fede cristiana come incompatibile con l’esistenza dell’Impero Romano, e cercarono di impedire, anche con la violenza, la diffusione del cristianesimo. Il motivo principe dell’inevitabilità dello scontro fra le istituzioni (e la classe intellettuale) romane e gli strati sempre più vasti di adepti del cristianesimo è da ricercare all’interno della filosofia stessa della nuova religione, che si basava su concezioni completamente estranee alla tradizione politica e culturale della società romana, e proprio per questo costituiva un’antitesi che era impossibile non combattere. A differenza degli Ebrei, infatti, la cui religiosità rimaneva strettamente legata e circoscritta alla propria gente, l’ideologia cristiana si apriva a tutti senza alcuna distinzione di sesso, etnia e strato sociale, e il fulcro centrale del suo messaggio sottolineava la maggiore importanza della vita dopo la morte rispetto a quella terrena, con tutte le conseguenze che ciò comportava sul piano culturale. La società romana, strutturata su rigidi criteri gerarchici e imperniata sulla concezione che la vita dopo la morte altro non fosse che ombra e che l’unica occasione importante per l’esistenza del cittadino romano fosse quella di vivere nello Stato e per lo Stato, non poteva non considerare la religione cristiana come estremamente rivoluzionaria e tesa alla distruzione di tutto ciò su cui si reggeva il mondo romano e pagano, e quindi bollarla come superstitio illicita. Tradizionalmente, l’iniziatore della politica di p. sarebbe stato Nerone (nel 64); seguono quindi Domiziano (81-96); Traiano (98-117), il quale inviò a Plinio un rescritto prescrivente che i cristiani non dovessero esser ricercati ma puniti solo se denunciati; Adriano (117-138), del quale si ricorda un rescritto a Minicio Fundano; Antonino Pio (138-161); Marco Aurelio (161-180); Settimio Severo (193-211), che vietò (202) il proselitismo cristiano (secondo alcuni da questa data solamente si potrebbe parlare di p. vere e proprie); Massimino il Trace (m. 238). Le tre p. in seguito a editti sono quelle di Decio (editto del 249-250); Valeriano (editto del 257 e altro successivo); Diocleziano (editti del febbraio, aprile, novembre 303 e della primavera del 304). Misure ostili, in Oriente, furono prese successivamente anche da Galerio, Massimino Daia, Licinio. Carattere diverso ebbe il tentativo di Giuliano l’Apostata.