Atteggiamento di chi riconosce per vera una proposizione o una nozione. Con riferimento alle opinioni in materia di religione, il termine esprime un concetto per molti rispetti identico a quello di ‘fede’; ma mentre questo si è svolto prevalentemente su un piano religioso e teologico, il concetto di c. ha serbato un valore gnoseologico più generale. Esso non implica di per sé la validità oggettiva della nozione alla quale impegna, e si distingue sia dal dubbio sia dalla certezza o convinzione, che presuppone una dimostrazione rigorosa.
Nella storia della filosofia la nozione di c., elaborata nell’antichità da Platone e Aristotele e ripresa in campo religioso da s. Agostino e s. Tommaso, ha assunto un ruolo di primo piano nell’elaborazione di D. Hume, soprattutto per il suo impiego nell’analisi della causalità. Ripresa dagli empiristi inglesi dell’Ottocento (J.S. Mill), dai teorici della dottrina dell’intenzionalità della coscienza (F. Brentano ed E. Husserl), essa ha trovato uno sviluppo nel suo significato pratico nel pragmatismo (C.S. Peirce e G. Santayana), fino alla dottrina della ‘volontà di credere’ di W. James.
Consiglio di c. Nel comune medievale, consiglio di persone esperte e fidate che assisteva i consoli nel disbrigo delle pratiche più delicate del governo. Esso formava pertanto il germe del consiglio minore, detto anche ‘senato’ o ‘consiglio degli anziani’.
Si disse c. anche la speciale organizzazione popolare formata dall’unione delle arti minori. Dal 12° sec. essa si costituì, nelle maggiori città lombarde, per effetto della progressiva tendenza democratica dei Comuni italiani e operò contro il vecchio Comune, accusato di favorire gli interessi delle classi aristocratiche o delle arti maggiori.