Epistemologia
di Vincenzo Cappelletti
Epistemologia
Sommario: 1. Dalla gnoseologia all'epistemologia. 2. Il mentale tra il soggettivo e l'oggettivo. 3. La scienza del secondo Novecento e la sua filosofia. 4. Epistemologia e storiografia. 5. Orientamenti nuovi. □ Bibliografia.
1. Dalla gnoseologia all'epistemologia
L'epistemologia - una ‛teoria della scienza' che riconosce l'esemplarità del sapere positivo, e si propone di analizzarne metodi e strutture - caratterizza il panorama filosofico della seconda metà dei Novecento, e cerca di coinvolgere nei suoi programmi di rilevamento e riordinamento, metodologici ed assiomatici, le scienze umane e sociali dopo la fisica, la matematica e la biologia. L'interesse epistemologico, d'altra parte, è caratteristico anche della scienza del Novecento, volta a recuperare il significato delle rivoluzioni dell'inizio del secolo, e dei loro imprevisti sviluppi, nonché a definire il rapporto tra ricerca ed applicazioni - queste ultime, spesso, sottratte alla volontà dello scienziato - per un bisogno d'ordine etico.
Dopo Kant, in particolare con l'idealismo, avviene il declino della gnoseologia. ‟Hegel osserva che l'esame della facoltà di conoscere non potrebbe essere fatto se non conoscendo, ossia adoperando quella stessa conoscenza che si dovrebbe esaminare". (S. Vanni Rovighi). La soggettività rifluisce nella realtà e s'identifica con il principio, o con un momento, di essa. Il positivismo comtiano traspone la gnoseologia in termini di ‛fisica sociale'. Nell'epistemologia del nostro secolo avviene qualcosa di diverso: la conoscenza come situazione subordina a sé la conoscenza archetipica, assenta dalle filosofie del conoscere. Nucleo della situazione conoscitiva, la scienza della natura, vista come vittoriosa emergenza storica, e fatta consistere nell'oggettività intersoggettiva (M. Schlick, O. Neurath), nella convenzionalità (H. Poincaré, R. Carnap), nell'inferenza probabilistica (H. Reichenbach), nella delimitazione dell'esprimibile dall'inesprimibile (L. Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophicus), nell'assiomatica di gruppo (R. K. Merton). Anche il trascendentalismo, sensibile ad esigenze normative, scorge nel positivo sviluppo della scienza sicuri punti d'appoggio e criteri per il giudizio filosofico" (E. Cassirer). Per questo richiamo alla testimonianza positiva del conoscere, a un conoscere che dev'essere quale mostra d'esser stato nell'uso costruttivo e conclusivo fattone dal soggetto umano, la fioritura epistemologica del Novecento e il declino gnoseologico del secolo scorso si rivelano collegati da tramiti profondi.
Il postulato di un ‛massimo di datità" - formulato da N. Hartmann nella Metaphysik der Erkenntnis (1921) - rispecchia l'orientamento di tutta l'epistemologia contemporanea verso forme conoscitive che abbiano dato prova di sé nella concretezza, si direbbe nell'effettualità della storia, intellettuale e sociale; e in tal senso ebbe a esprimersi anche A. Einstein nella Herbert Spencer Lecture del 1933: On the method of theoretical physics, dove invitava non ad ‟ascoltare le parole", ma a ‟badare ai fatti" dei fisici teorici. Una teoria della scienza così impostata è poco incline ad amplificarne le tensioni di fondo, a raccoglierne la dilemmaticità ontologica. Non a caso queste ultime affiorano in certi autori: dalla ‟mescolanza" (Husserl) hartmanniana di criticismo, fenomenologia ed epistemologia stricto sensu; sulle pagine di un mediatore tra epistemologia, fenomenologia ed esistenzialismo come M. Merleau-Ponty in Phénoménologie de la perception (1945); soprattutto dalla husserliana Krisis der europdischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie (1936, ed. integrata 1954): conclusione di una Wissenschaftslehre preconizzata, con classica vastità di orizzonte, fin dalle Logische Untersuchungen (1900-1901).
Razionalità assiomatica, mediazione sperimentale tra soggetto e natura, progrediente unificazione metodologica delle varie discipline scientifiche connotavano la scienza del primo trentennio del secolo: le troviamo enucleate e riaffermate in termini epistemologici da A. Einstein in Geometrie und Erfahrung (1921), dal manifesto del Circolo di Vienna Wissenschaftliche Weltauffassung (1929), da P. W. Bridgman in The nature ofphysical theory (1936) - dove lo sperimentalismo è inteso come ‛operativismo', un aver significato la nozione scientifica per le operazioni che essa denota. Anche studiosi destinati ad esercitare profonda influenza negli ultimi due decenni - K. Popper, la cui Logik der Forschung, edita nel 1935, sarà ripubblicata nel 1958 in inglese con il titolo The logie of scientific discovery; G. Bachelard di Le nouvel esprit scientifique (1934), La formation de l'esprit scientifique (1938), La philosophie du non (1940), ispiratore della più recente storiografia scientifica francese - avvertono in quegli anni che il rapporto tra forma logica e verifica sperimentale costituiva il carattere saliente, ma anche il nucleo problematico, della scienza dopo rivolgimenti concettuali - la relatività e la quantistica - che avevano allontanato il pensiero scientifico dall'esperienza comune. L'experimentum crucis convince sempre meno anch'esso, dopo che P. Duhem, echeggiando certamente anche motivi del Poincaré, in La théorie physique (1906) aveva insistito sulla possibilità di contrapporre alla confutazione d'ogni principio un'ipotesi ausiliaria per salvarlo. Dirà I. Lakatos che esperimenti cruciali sono ‟visti come tali decine d'anni dopo" (Criticism and the growth of knowledge, 1970), perché ogni esperienza negativa può essere riassorbita nel quadro teorico attraverso opportune convenzioni. La tesi convenzionalistica era stata espressa dal Poincaré in due opere destinate ad avere ampie ripercussioni: La science et l'hypothèse (1902) e La valeur de la science (1905). Intanto l'assiomatica, cioè il tentativo di enucleare e definire (implicitamente) tutti gli elementi conoscitivi dei sistemi scientifici, è assurta con D. Hilbert a metodo generale di rappresentazione e ricostruzione della scienza (Über den Zahlbegriff, 1900; Ober die Grundlagen der Logik und der Arithmetik, 1904). Qualsiasi sistema teorico può essere ricavato deduttivamente dai termini primitivi e dagli assiomi: è il significato della costruzione geometrica hilbertiana (Grundlagen der Geometrie, 1899), che si ripete ad opera dello stesso Hilbert e di P. Bernays nel campo della matematica (Grundlagen der Mathematik, 1934-1939). Il confronto tra nozioni e percezioni avviene, sì, al livello basso delle trascrizioni protocollari, ma poiché i termini protocollari sono definiti implicitamente dagli assiomi, il confronto è anche tra l'esperienza percettiva e questi ultimi, cioè coinvolge la logica (‛costanti' logiche e ‛calcolo' logico). La trasformazione della matematica in logica formale, ossia in un mezzo per ricavare asserti da altri asserti, è stata avviata da O. Frege (Die Grundlagen der Arithmetik, 1884; Grundgesetze der Arithmetik, begriffsschriftlich abgeleitet, 1893-1903), e proseguita da B. Russell e A. N. Whitehead. Russell, dopo il poderoso sforzo di dedurre l'intera matematica da nozioni primitive logiche (The principles of mathematics, 1903; Principia mathematica, 1910-1913 con A. N. Whitehead) ha costruito la ‛teoria dei tipi' per superare le antinomie logiche, come la predicabilità della proprietà impredicabile. ‟Una proprietà di proprietà è di tipo superiore ad una proprietà di cose: questa distinzione impedisce di formulare l'antinomia, e salva quindi la logica delle contraddizioni" (H. Reichenbach). Ma il divario tra una teoria così saldamente strutturata e il momento 0sservativo-sperimentale della conoscenza scientifica, lungi dall'attenuarsi, si accentua, e richiede una complessa mediazione costruttiva in Russell (Our knowledge of the external world, 1914; The analysis of mind, 1921; The analysis of matter, 1927; Logic and knowledge, 1956). L'epistemologia russelliana ha una ricorrente tendenza a superare la positività - quella del sapere matematico di fatto esistente -, oggettivando le entità logiche.
Russell crede al collegamento di idee e sensazioni, logica ed esperienza, attraverso un'attività inferenziale che presuppone un pensiero non riducibile ad esperienza percettiva. Nel profilo autobiografico per il volume a lui dedicato nella Library of Living Philosophers di P. A. Schilpp, scriverà (1944): ‟Non sono né un solipsista né un idealista; credo, pur senza buone ragioni, nel mondo della fisica e in quello della psicologia. Ma sembra chiaro che tutto quanto non sia oggetto d'esperienza debba, per essere conosciuto, esser inferito". Diversa, più filosofica la posizione del Whitehead, che però concorda con il Russell nel ritenere superabile il confine dal soggettivo al reale. In entrambi l'epistemologia riafferma la propria pretesa ad una ‛filosofia della natura' - e questa posizione non sempre avrà il debito rilievo. Whitehead aveva pubblicato nel 1898 un Treatise of universal algebra, sul calcolo logico. Nel 1903 escono i Principles of mathematics del Russell, allievo del Whitehead a Cambridge: i due decidono di unire gli sforzi, e nascono i Principia mathematica, già citati, in tre volumi. Poi si separano, e Whitehead intraprende la costruzione d'uno schema non newtoniano della realtà fisica attraverso memorie e volumi: An enquiry concerning the principles of natural knowledge (1919), The concept of nature (1920), The principles of relativity (1922), Science and the modem world (1925), Process and reality (1929), Adventure of ideas (1933), Nature and life (1934), Modes of thought (1938), Essays in science and philosophy (1947). Sullo sfondo, una polemica contro il sostanzialismo trasposto in materialismo, e contro la ‛biforcazione' della natura in due ‛sistemi di realtà': l'uno fatto di cause, oggettive, l'altro di effetti, mentali. ‟Il problema è discutere le relazioni inter se delle cose conosciute, astratte dal nudo fatto del loro esser note. La filosofia naturale non dovrebbe mai chiedersi che cosa sia nella mente e che cosa nella natura" (The concept of nature, 1920). Se il platonismo di Russell riaffiorerà in K. R. Popper, l'oggettivazione whiteheadiana della conoscenza scientifica la ritroveremo in K. Lorenz, pur senza tramiti diretti, ma per un comune bisogno di concretezza. In altri autori degli stessi anni la positività epistemologica tende a oggettivarsi ontologicamente, mentre Whitehead aveva distinto la propria filosofia della natura dalla metafisica intesa come ‟sintesi del conoscente e del conosciuto", e avvertito che il ricorso a quest'ultima equivaleva al ‟lancio d'un fiammifero in un magazzino di polveri". Significativa, al riguardo, la ricorrente polemica del Bachelard contro E. Meyerson, che in una breve ma intensa attività epistemologica e storiografica - da Identité et realité (1908) a Du cheminement de la pensée (1931) e a Réel et déterminisme dans la physique quantique (1933) - aveva sostenuto la possibilità d'un ritorno dall'epistemologia all'ontologia mediante una ‟possente preoccupazione per il nesso razionale", e con le tesi di La déduction rélativiste (1925) aveva destato l'interesse dello stesso Einstein.
L'itinerario dell'epistemologia del Novecento si svolgerà alla ricerca di determinazioni univoche, e conciliabili con gli sviluppi delle scienze umane e teoretiche, del rapporto tra logica ed esperienza. E. Cassirer muore nel 1945, H. Reichenbach nel 1953, G. Bachelard nel 1962, R. Carnap nel 1970, B. Russell nel 1972. Con Cassirer culmina il tentativo di passare dalla positività dei metodi conoscitivi a principi trascendentali, e di annodare la scienza alla tradizione della filosofia moderna - finalità, quest'ultima, per seguita in Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit (1906-1940). Lo sbocco della riflessione di Cassirer è la sua antropologia, esposta in An essay on man (1944), e il momento epistemologico vi ha gran parte. Con classica compostezza, l'ultimo dei neokantiani di Marburgo indica nella nozione generale e nella legge scientifica l'essenza della comprensione razionale della natura; ogni presunto indeterminismo è trasceso dalla ragione che l'afferma, come lo stesso Cassirer aveva mostrato in Zur Einsteinschen Relativitätstheorie (1921) e nel vigoroso saggio Determinismus und Indeterminismus in der modernen Physik (1937). La ragione, divenuta il punto di forza della scienza moderna al posto della cosa sostanzializzata, determina il passaggio dal naturalismo al funzionalismo prima con Galilei, poi con la fisica matematica del secolo scorso: era stata la tesi di Substanzbegnff und Funktionsbegriff (1910), ricompreso nella vasta fenomenologia conoscitiva di Philosophie des symbolischen Formen (1923, 1925 e 1929). Razionalismo, o funzionalismo, simbolismo e strutturalismo, quest'ultimo considerato l'espressione di una tendenza generale di pensiero, diventata sempre più importante, in quasi tutti i campi della ricerca scientifica": la conoscenza si costituisce kantianamente nel e sul fenomeno, ma si collega con l'in sé, secondo il postulato della linguistica humboldtiana, attraverso strutture equivalenti e forme simboliche. Accolto con disinteresse a Oxford negli anni trenta, il pensiero di Cassirer desta rispetto in America nel decennio successivo, e resta comunque esemplare per vastità e coerenza. L'influenza carnappiana sugli studi epistemologici è, invece, molto larga in Europa e in America: orizzonte storico e speculativo non paragonabile a Cassirer, quello di Carnap, e d'altra parte una profonda conoscenza della fisica contemporanea, con una piena padronanza della logica simbolica. Der logische Aufbau der Welt, uscito nel 1928, era stato dopo l'Allgemeine Erkenntnislehre di M. Schlik (1918), dopo Relativitätstheorie und Erkenntnis a priori di H. Reichenbach (1920) e il Tractatus di L. Wittgenstein (1922), il fattore di coagulo del ‛positivismo logico'. Con H. Hahn e O. Neurath, Carnap aveva pubblicato nel 1929 il manifesto della corrente: Wissenschaftliche Weltauffassung: der Wiener Kreis. Non a caso Weltauffassung, concezione del mondo, sostituisce nel manifesto dei viennesi la consueta Weltanschauung e il riferimento, che essa contiene, al vedere e all'intuire. La nuova filosofia della conoscenza scientifica mette l'accento sul linguaggio, comunque sul momento espressivo, e ritiene di poter dimostrare la tesi empiristica mediante l'analisi della espressione: che è vuota, o tautologica, se non si riferisce a contenuti d'esperienza. La concezione scientifica del mondo' era diventata ‛positivismo logico' dopo il saggio di A. Blumberg e H. Feigl: Logical positivism. A new movement in European philosophy (1931). In Carnap troviamo tutti gli elementi del nuovo empirismo, o positivismo. L'opera citata del 1928 affronta la definizione di un ‛sistema costitutivo' - Konstitutionssystem - della conoscenza scientifica, dove le proposizioni acquistino significato rispetto a Erlebnisse, a vissuti, sensoriali, con l'innesto di connettivi logici che sono considerati, però, tautologie. Tra una logica ridotta a tautologia e un'esperienza vista come percezione non c'è più spazio per la metafisica: Carnap l'afferma nel 1931 in un articolo su ‟Erkenntnis" - Überwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache - che desta larga risonanza. Logische Syntax der Sprache (1934, ed. inglese 1937) rappresenta uno sviluppo fondamentale, il convenzionalismo: la libera costruzione di linguaggi, atti a ricevere i contenuti empirici. ‟In Logik gibt es keine Moral". Il ritorno al nesso di esperienza e linguaggio avviene con Introduction to semantics (1942), seguito da Formalisation of logic (1943) e da Meaning and necessity (1947). La ‛semantica' - inquadrata, con la ‛pragmatica' e la ‛sintattica', nella ‛semiotica' intesa come ‛teoria generale dei segni e dei linguaggi' - studia il linguaggio a prescindere dal soggetto che lo usa, ma in relazione agli oggetti che esso designa. La sintattica prescinde anche da ciò, mentre la pragmatica reintroduce il rapporto tra linguaggio e soggetto.
Il sorgere dell'interesse semantico nell'epistemologia, e i rapporti tra sintattica e semantica, hanno notevole rilievo, e segnano la parabola del formalismo, nonché del convenzionalismo in quanto tale. Importanza primaria riveste l'opera del logico A. Tarski, attivo tra il 1920 e il 1936 nella Scuola di Varsavia (T. Kotarbinski, J. Łukasiewicz, 5. Łésniewski, K. Ajdukiewicz), poi negli Stati Uniti. I primi lavori di questi studiosi, in lingua polacca, rimasero pressoché ignoti; in seguito l'uso dell'inglese li inserì nel circuito culturale europeo e americano. Tarski muove dalla metamatematica, della quale è considerato fondatore insieme a D. Hilbert (A. Mostowski). Egli affronta le antinomie semantiche - diverse da quelle logiche, risolte dal Russell con la teoria dei tipi -, in un quadro filosofico nel quale si muove con evidenti tendenze nominalistiche (The semantie conception of truth and the foundations of semantics, 1944; Logie, semantics, metamathematics, 1956). Nella citata Introduction Carnap fissa con chiarezza il distacco della semantica dal formalismo: ‟In anni recenti molti filosofi e ricercatori, interessati all'analisi logica della scienza, hanno capito la necessità, oltre che dell'analisi puramente formale del linguaggio, di un'analisi della sua funzione significante - in altri termini, di una teoria del significato e dell'interpretazione". Tarski, al quale Carnap riconosce il merito di una ‛costruzione organica' in questo campo, cerca di definire la verità delle proposizioni rispetto all'oggettività che esse denotano. A tal fine introduce la nozione di modello, che gli permette di distinguere due insiemi di proposizioni, vere e false rispetto al modello dato. Il modello interpreta un linguaggio e contiene una pluralità di piani, dal linguaggio oggettivo ai vari metalinguaggi, ciascuno dei quali può esprimere i livelli sottostanti, ma non se stesso. Tale gerarchia risolve, secondo Tarski, le antinomie semantiche, del tipo del paradosso di Epimenide o antinomie del mentitore: quella per cui chi dice di mentire, deve e non deve, può e non può essere creduto. Carnap osserva che una semantica così intesa lascia aperto il problema del rapporto fra verità fattuale e verità logica: Tarski, in effetti, distingue modalità diverse di espressione - interpretata e no, generalizzata e no -, ma non coinvolge l'esperienza nella sua problematica. Non a caso si dichiarerà d'accordo con Tarski il falsificazionista Popper. La semantica interferisce anche con gli sviluppi dell'assiomatica - uno dei capitoli della scienza del Novecento più ricchi di implicanze filosofiche, non sempre rese esplicite. Secondo il lucido giudizio di H. Weyl, D. Hilbert ‟era riuscito a salvare la matematica classica con una reinterpretazione radicale del suo significato senza ridurne l'inventario, formalizzandola, cioè trasformandola in linea di principio da un sistema di risultati intuitivi in un gioco di formule che procede secondo regole fisse". Ma la teoria degl'insiemi pone l'assiomatica di fronte ai problemi dell'infinito, e provoca la reazione intuizionistica, che ha in L. E. J. Brouwer il suo maggior esponente. Brouwer distingue serie finite e infinite in base all'esistenza o meno di leggi che limitano le scelte soggettive, e le possibilità oggettive, oltre il termine del segmento finito, che è stato analizzato o costruito (Über Definitionsbereike von Funktionen, 1927; Intuitionistische Betrachtungen über den Formalismus, 1928). Poiché alla legge corrisponderebbe un'insufficiente - sempre aperta - giustificazione costruttiva, deve poter corrispondere una giustificazione logica definita, ossia intuitiva. Nel 1932 K. Gödel pubblica le memorie Über formal unentscheidbare Sätze der Principia mathematica und verwandter Systeme e Über Vollständigkeit und Widerspruchsfteiheit, che dimostrano l'esistenza di limitazioni interne ad ogni sistema formale (assiomatico), capace di esprimere gli enunciati aritmetici. Vi sono formule indimostrabili, come la loro negazione. Si apre la via a sostanziali revisioni del programma hilbertiano, e il contributo di Tarski (On undecidable statements in enlarged systems of logic and the concept of truth, 1939; Undecidable theories, 1953) consiste nel dimostrare che l'insieme delle proposizioni vere in un dato modello non è definibile in esso. Le gerarchie linguistiche in linguaggi e metalinguaggi rivelano la propria inerenza ad un pensiero oggettivante, e dotato d'una capacità illimitata di oggettivazione. È la risposta alla ‛crisi dei fondamenti', avvenuta nella matematica dopo la convergenza con la logica, per la scoperta delle antinomie: e presuppone la mente come fattore attivo nella genesi delle teorie.
Negli anni cinquanta Carnap trasferisce la sua mediazione tra logica ed esperienza in una teoria della probabilità, che ripropone su nuove basi l'uso dell'inferenza induttiva (Logical foundations of probability, 1950; The continuum of inductive methods, 1952). Viene posta in primo piano la ‛conferma' intesa come ‟rapporto logico tra una conclusione ed un insieme di premesse atte a corroborarla" (Pasquinelli). Si apre una direzione feconda d'indagine, che porta peraltro verso sbocchi antintuitivi, e verso una crescente complicazione degli schemi logico-formali dell'inferenza scientifica. L'induttivismo, in sostanza, staccatosi dalla teoria classica o aprioristica della probabilità - riproposta dall'economista J. M. Keynes in A treatise on probability (1921) -, e non aderendo alle teorie soggettive - F. P. Ramsey, The foundations of mathematics (1931), B. De Finetti e L. Savage -, imposta la probabilità come rapporto tra ipotesi ed evidenza, e deve assegnare probabilità zero alle leggi della natura, per i limiti dell'esperienza attuale rispetto all'esperienza possibile. A queste carenze dell'induttivismo probabilistico del Carnap cercherà di ovviare il logico finlandese J. Hintikka (A two dimensional continuum of inductive methods, 1966), regredendo dai concetti di struttura e di stato verso quello, più omogeneo e semplice, di ‛costituente' - in tal modo, la probabilità della logica induttiva si riavvicina a quella aprioristica. Il Carnap induttivista e probabilista afferma, comunque, una forte presenza nell'epistemologia più recente, caratterizzata dal tentativo di tenere uniti i due momenti dell'originaria ‛concezione scientifica del mondo': l'empirismo e la logica formale, distaccatisi invece sempre più negli studiosi influenzati da K. Popper. Analiticità, significanza, induzione - uscito in Italia (1971) poco dopo la morte dell'autore - ha riproposto l'assimilazione dell'induttivismo a probabilismo: dall'evidenza all'ipotesi si giunge assegnando a quest'ultima un grado di probabilità, e l'ipotesi, prima d'essere probabilisticamente quantificata, è un'‛assunzione' (assumption, termine inglese ormai tradotto con il neologismo anzidetto). La gratuità dell'assumption rispetto all'universalità e necessità del ‛sintetico a priori' kantiano era stato il fulcro dell'epistemologia di H. Reichenbach, animatore negli anni venti di un gruppo di studiosi (A. Herzberg, W. Dubislav, K. Grelling, K. Lewin, W. Köhler, C. G. Hempel) che nel 1928 si costituì in Gesellschaft für empirische Philosophie (più nota come Circolo di Berlino). La pubblicazione di ‟Erkenntnis", condiretta da Reichenbach e Carnap, avvicinò i berlinesi ai viennesi; ai due gruppi era comune l'intento della mediazione tra scienza e filosofia, prendendo la prima come punto fermo, ma le divergenze erano notevoli, ad esempio tra il fisicalismo del Neurath e l'acuta sensibilità ontologica del gestaltista Köhler. La polemica antikantiana del Reichenbach comincia nell'opera del 1920, citata, sulla relatività einsteiniana e prosegue in Philosophie der Raum-Zeit-Lehre (1928). Nel 1935 esce Wahrscheinlichkeitslehre. Eine Untersuchung über die logischen und mathematischen Grundlagen der Wahrscheinlkhkeitsrechnung (ed. inglese del 1949). È, dopo Wahrscheinlichkeit, Statistik und Wahrheit di R. von Mises (1928), il testo più autorevole della teoria ‛frequentistica' della probabilità, secondo la quale, all'interno di un ‛collettivo', la probabilità è il limite al quale tende la frequenza relativa di un certo attributo al crescere del numero delle osservazioni (Costantini). Segue, nel 1944, Philosophic foundations of quantum mechanics. Ma il testamento speculativo è The rise of scientific philosophy (1951), centrato sul tema della ‛disgregazione del sintetico a priori' in quanto affermazione sulla realtà di fatto che si presume ottenuta per via razionale. Il metodo ipotetico-deduttivo, per Reichenbach, è un'inferenza induttiva - ‛induzione esplicativa' - basata sul confronto tra assumptions e observed events, con l'attribuzione alle prime di un valore di probabilità. Reichenbach avverte acutamente che la probabilità non vale per l'evento singolo; elude, invece, il problema della genesi delle nozioni primitive e degli assiomi, e insiste che tutto il razionale è analitico, mentre il sintetico scaturisce dalla sensazione e dalla percezione. Non a caso aveva polemizzato con il Reichenbach B. Russell in Human knowledge: its scope and limits (1948), sostenendo che l'induzione si fonda su un principio extralogico, di natura non empirica. In Russell parlava un mai sopito platonismo, al quale, come scrive nel profilo autobiografico di The philosophy of Rertrand Russell (1944), Wittgenstein aveva imposto la delusione di considerare tautologiche le verità matematiche. La realtà mentale si era riproposta all'autore dei Principia attraverso la genesi, non induttiva, del principio d'induzione: qualcosa d'analogo alla teoria dei tipi, dove, secondo l'esempio già citato, la proprietà ‛impredicabile' non fa parte della classe delle proprietà impredicabili che essa denota. Ma anche Reichenbach deve riconoscere un'attività della mente, una ‛potenza della ragione', all'origine delle ‛descrizioni equivalenti' del mondo fisico. Questo momento originario è sintetico o analitico (tautologico)? La risposta, in The rise of scientific philosophy, è indiretta e antinomica. È sintetico quel che informa sulla realtà, cioè sul mondo delle cose; è analitico quel che ripete la formula originaria. Il momento originario delle descrizioni equivalenti, delle assiomatiche, non è sintetico nel senso suddetto, dunque è analitico; ma analitico, ossia tautologico, non è, e dunque dovrebb'essere sintetico.
2. Il mentale tra il soggettivo e l'oggettivo
Il problema del mentale, o razionale, funge da elemento di disturbo del quadro epistemologico: la ‟mente" è (G. Ryle) un ‟fantasma nella macchina" soggettiva, ma anche oggettiva, che nella conoscenza rischia di compromettere la positività, di cui la stessa epistemologia si avvale per contrapporsi alla gnoseologia, e nella natura, attraverso elementi o momenti ad essa analoghi, rischia di reintrodurre un fattore ‛animistico' (J. Monod). Le vie seguite sono due: il coordinamento di mente e natura, l'eliminazione del mentale.
L. Wittgenstein unifica entrambi i tentativi nella propria opera, che incontra perciò un eccezionale interesse. Autodidatta in filosofia, lettore di Frege e Russell ma anche di Schopenhauer e Tolstoj, Wittgenstein pubblica nel 1922 a Londra il Tractatus logico-philosophicus (era uscito l'anno prima su ‟Annalen der Naturphilosophie"), con introduzione del Russell, dove afferma l'identità di mondo e totalità dell'accadere, la simmetria fra pensiero dotato di senso e fatto, e fra ‛silenzio' ed ‛inesprimibile' - espressione, quest'ultima, che può essere assimilata presso a poco a quella tradizionale di valore. Il linguaggio ‛raffigura' l'esperienza: la raffigurazione ha un ‛senso' in ciò che essa rappresenta, mentre verità e falsità consistono nell'accordo o disaccordo di senso e realtà. Il Tractatus non parla in modo esplicito della mente, ma si può ritenere che essa, non appartenendo al mondo inteso come totalità degli eventi, appartenga alla struttura della sfera silenziosa. Con la distinzione di senso e verità della proposizione, può dirsi nata l'analisi del linguaggio, momento essenziale del modo epistemologico di porre la filosofia del conoscere, la positività della scienza essendo attestata dalla parola e, in genere, dal segno. Ph. Frank in Modem science and its philosophy (1949) - un'opera di grande importanza documentaria - attribuisce allo Hahn il merito di aver iniziato la lettura e il commento del Tractatus a Vienna: e per influenza di Wittgenstein il nuovo positivismo pose subito in primo piano la logica e la semantica, e si presentò come Weltauffassung anziché Weltanschauung. Passato da Vienna a Cambridge nel 1930 - dove nel 1939 succede a G. E. Moore sulla cattedra di Mental philosophy and logic -, Wittgenstein cambia strada, e concepisce il linguaggio come parte di una più articolata funzione significante, il cui fine non è tanto il rappresentare, quanto il comunicare. A questo punto, mentre vengono poste le premesse ad una rivoluzione semantica di vasta portata, nulla consente di postulare una implicita permanenza della mente nella teoria wittgensteiniana: e l'eredità di Wittgenstein, anzi, prima della morte (1951), la coerenza alla sua dottrina può essere legittimamente rivendicata dalla scuola oxoniense di ‛analisi del linguaggio' - G. Ryle, J. Langshaw Austin, P. F. Strawson, S. N. Hampshire - che affronta lo studio del linguaggio comune, e in seguito i rapporti tra linguaggio comune e logica formale (con l'Introduction to logical theory, 1952, dello Strawson), nell'intento di chiarire le ambiguità e le confusioni che sarebbero all'origine dei problemi filosofici. Le opere di Wittgenstein, a parte il Tractatus, escono postume e gli garantiscono un'influenza protratta sulla epistemologia della seconda metà del secolo: da The blue and brown books (1958) e Philosophische Untersuchungen (1953) a Phllosophische Bemerkungen (1964), Bemerkungen über die Grundlagen der Mathematik (1956), Lectures and conversations on aesthetics, psychology and religious belief (1966).
Ma il problema del mentale non scompare, legato com'è all'altro problema dell'origine delle assiomatiche o, nei termini del Wittgenstein, ‟giuochi linguistici' (language games). Inoltre la conoscenza scientifica presenta aspetti normativi che la distinguono dal senso comune. Un autore formatosi nel Circolo di Berlino, e dunque di formazione empiristica, come C. O. Hempel, mostra netta consapevolezza dei due momenti prima citati negli ultimi suoi scritti (Aspects of scientific explanation, 1965; Philosophy of natural science, 1966). ‛ ipotesi scientifiche e le teorie non sono derivate dai fatti osservati, ma inventate per spiegarli". Lo scienziato ‟può sciogliere le briglie alla sua immaginazione". Nello Hempel le nuove idee maturano alla svolta di metà secolo, e sono rispecchiate da un articolo che esce nel 1950 sulla ‟Revue international de philosophie": Problems and changes in the empiricist criterion of meaning. Dopo un primo lavoro sul concetto logico di ‛tipo' (Der Typusbegriff im Lichte der neuen Logik, pubblicato con P. Oppenheim, 1936), lo Hempel aveva manifestato un interesse per la struttura logica della storiografia (The function of general laws in history, 1942), che spezzava il condizionamento fisicalistico. Negli Studies on the logic of explanation, (in collaborazione con lo Oppenheim, 1948), poi nel citato Problems and changes, del 1950 apre un processo di revisione del positivismo logico che incontrerà la semantica tarskiana e carnappiana, e l'autonomo lavoro del Nagel. La spiegazione scientifica è identificata con un modello, deduttivo, dove le leggi generali sono spiegate quando è possibile ricavarle da leggi più generali, e l'evento lo è, a sua volta, quando la relativa descrizione è dedotta da asserti di leggi generali e di condizioni antecedenti. Per essere verificabile, un'affermazione dev'essere ‛traducibile' (translatable) in un linguaggio empirico. L'unità di significanza non è più il singolo asserto, ma il sistema di asserti (Fundamentals of concept formation in empirical science, 1952). Nasce il concetto di ‛utilità epistemica' di fronte al problema della decisione in condizioni d'incertezza (J. Kim). Allo Hempel si può affiancare E. Nagel, uno degli studiosi neopositivisti che già negli anni europei del movimento avevano manifestato la propria autonomia dall'empirismo rigido, di matrice schlickiana. Dalla lettura del Tractatus di Wittgenstein era scaturito, con lo Schlick, il postulato di significanza empirica, per cui ‟il significato di una proposizione è il metodo della sua verifica" (Gesammelte Auft sätze, 1938). Le aporie di tale criterio si manifestano già nell'ambito della logica formale: la somma logica di due proposizioni, significanti e no ai sensi del postulato schiickiano, è significante rispetto ad esso, derivando dalla classe finita delle proposizioni sui dati d'osservazione (Hempel). L'epistemologia del Novecento può essere concepita come il travaglio di questo ‟empirical meaning requirement" (C. I. Lewis, 1934). Un modo di affrontare il problema è quello di ampliare il concetto dell'esperienza: ampliano, senza pretendere di ridurlo ad elementi omogenei. Il primo Nagel (An introduction to logic and scientific method, con M. R. Cohen, 1934) avvicina il formalismo alle scienze umane e alla storiografia. La monografia Principles of the theory of probability (1939) - destinata all'International Encyclopedia of Unified Science - contiene un cauto raffronto tra razionalismo e probabilismo, che riconosce al primo meriti storici fondamentali. Nel 1944 Nagel contribuisce al volume collettivo Naturalism and the human spirit con un saggio di particolare impegno: Logic without ontology, poi ripubblicato (1956) in Logic without metaphysics. La logica è analitica, i contenuti reali vengono dall'esperienza, che è in continuo mutamento. Prende corpo un naturalismo, che ripudia il materialismo riduzionistico, e si riflette in una metodologia che unisce un estremo rigore - mai raggiunto da altri sostenitori della ‛concezione scientifica del mondo' - ad una grande varietà di atteggiamenti. Con Einstein, Planck e Popper, Nagel si rifiuta di aderire all'indeterminismo quantistico (The causal character of moderm physical theory, 1951). Infine, The structure of science (1961), un'opera che ha in più parti la vivacità del saggio pur con l'ampiezza e l'organicità del trattato, e che può considerarsi il lascito dell'epistemologia empiristica della prima metà del secolo a quella, razionalistica, della seconda metà. Nagel vi distingue la ‛spiegazione' in deduttiva, probabilistica, teleologica, genetica. Egli distingue altresì le teorie dalle leggi sperimentali: le ‟nozioni teoriche impiegate nelle ipotesi fondamentali di una teoria possono o no essere associate ad un'idea sperimentale". Convenzionalismo, allora: ma la convenzione - la Festsetzung della carnappiana Logische Syntax der Sprache - può essere scissa dal momento reale del rapporto conoscitivo? Il mentale, anziché scomparire, si riflette sul reale: l'epistemologia genetica' di J. Piaget adempie a questa funzione inversa di tramite fra soggetto e oggetto. L'Introduction à l'épisteemlogie génétique del Piaget esce nel 1950, ma è precorsa da trent'anni di ricerche sulla ‛psicologia genetica' della psiche infantile, con risultati che s'impongono all'interesse di tutti gli psicologi: l'esistenza, nel bambino, di due linguaggi, ‛egocentrico' e ‛socializzato', l'originario valore giustappositivo del nesso causale, l'indistinzione iniziale di io e mondo, il graduale passaggio da un'etica ‛costrittiva' ad una ‛cooperativa'. M centro dell'interesse di Piaget si pone lo sviluppo cognitivo della media infanzia, e prende così corpo l'ipotesi di strutture, insite nell'attività cognitiva e analoghe alle forme della Gestait-Psychologie. La prima struttura analizzata dal Piaget è il ‛gruppo' (1937), ma l'orientamento strutturalistico si riafferma nello studio delle ‛operazioni concrete' della psiche infantile, preludio alle operazioni simboliche mediate dal linguaggio. Lo studio della matematica bourbakista porta Piaget ad uno strutturalismo ‛altamente specifico' (Le structuralisme, 1968), operazionale e non soltanto logico, collegato con la storia della scienza contemporanea (Psychologie et épistémologie, 1970). L'ultimo Piaget è nettamente consapevole di aver infrasceso il livello linguistico, e di aver così acquisito una posizione diversa, se non antitetica, a quella neopositivistica. Gl'interessi gestaltististici del Piaget negli anni venti non sono rimasti senza frutto: con Wertheimer la Gestalt aveva generalizzato il principio della forma, e con Köhler aveva affrontato le correlazioni fra forme percettive e neurofisiologiche. Il gestaltismo diventa, in Piaget, strutturalismo, dando rilievo ad una delle più significative espressioni teoretiche della scienza, e della consapevolezza creativa dello scienziato, nel nostro secolo. La matematica bourbakista, l'antropologia di CI. Lévi-Strauss e la linguistica di N. Chomsky sono, con l'epistemologia genetica piagettiana, i maggiori punti d'affioramento del concetto di ‛struttura': e tale concetto tende a spostare l'interesse epistemologico dalla semantica e dal metodo verso l'oggettività.
Anche il mentale si oggettivizza, intanto, con alcune scuole neurofisiologiche e cibernetiche. C. Sherrington con l'analisi della ‛funzione integrativa' del sistema nervoso, J. C. Eccles con i contributi sul mind-body problem, J. Tinbergen e K. Lorenz con le osservazioni sulla genesi e sulla ‛ridirezione' istintuali offrono spunti di tipo sostanzialmente strutturalistico all'epistemologia nonché alla storiografia scientifica. In genere, i contributi epistemologici dei ricercatori tendono a oggettivare i problemi logici e linguistici emergenti dalla ricerca, riferendoli alla realtà fisica in sé o a livelli metaconvenzionali della conoscenza. Scrive l'etologo Lorenz in Die Rückseite des Spiegels (1973): ‟Le nostre aspirazioni, per quanto riguarda la speranza di comprendere il senso e i valori ultimi di questo mondo, sono molto modeste. Invece teniamo molto alla nostra convinzione che tutto ciò che ci viene segnalato dal nostro apparato conoscitivo sulla realtà esteriore corrisponde a qualcosa di reale. Gli ‛occhiali' del nostro modo di pensare e di vedere, cioè i nessi di causalità e di sostanza, di spazio e di tempo, sono ‛funzioni' di un'organizzazione neurosensoriale sviluppatasi al servizio della conservazione della specie". Un oggettivismo d'ispirazione neurofisiologica e cibernetica è anche alla base di un fortunato saggio del biologo molecolare J. Monod, Le hasard et la nécessité (1970). Con questi atteggiamenti è in vivace polemica L. Althusser in Philosophie et philosophie spontanée des savants (1967). Ogni scienziato ospiterebbe in sé un ‛filosofo dormiente', che si sveglierebbe al manifestarsi di aporie conoscitive e trasformerebbe queste ultime in ‛crisi', in maniera indebita. Althusser polemizza anche contro l'attività ‛interdisciplinare': un metodo di confronto tra assiomatiche e problemi di scienze diverse, che si è affermato negli ultimi anni per la prevalenza della big science sulla ricerca individuale, per il rilievo strutturale assunto da nuove discipline (cibernetica) e per la dialettica tra scienze fisico-biologiche e scienze umane. In Italia, ad esempio, per iniziativa di G. de Santillana hanno avuto inizio nel 1969 i Seminari interdisciplinari di Venezia su temi rilevanti ai fini d'una nuova sistematica del sapere: l'interpretazione dei fenomeni della vita (1969), la simmetria (1970), individuo e ambiente (1971), l'informazione (1973), la qualità (1974), l'evoluzione (1975). Per il marxista Althusser l'attività interdisciplinare è ‟massicciamente ideologica" ed elude i problemi concreti della ricerca, i fattori del suo progresso: ma C. F. von Weiszäcker, un filosofo proveniente dalla fisica che promuove in Germania incontro analoghi a quelli veneziani, ne fa invece la premessa alla ricostituzione d'un sistema conoscitivo dopo l'avvento delle discipline ‛strutturali' - matematica e logica formale - accanto alla biologia e alla fisica. Il confronto di assiomatiche, problemi e metodi è il fatto saliente dell'ultima scienza: e i ricercatori con interessi epistemologici sono inclini a trasferirlo sul terreno dell'oggettività, mentre l'epistemologia di derivazione filosofica stenta a superare il fisicalismo. Vediamo, così, gli ambienti scientifici aprirsi a vivaci dibattiti sul carattere ‛riduttivo' o ‛costruttivo' delle teorie in genere, e in particolare delle teorie biologiche rispetto alle fisiche (A. Koestler e J. R. Smythies, Beyond reductionism, 1969; F. J. Ayala e Th. Dobzhansky, Studies in the philosophy of biology, 1974). Nessuno sembra credere più al programma fisicalistico in senso rigoroso: si preferisce parlare di procedimenti riduttivi, che creano una gerarchia di livelli tra scienza e scienza, e tra classe e classe di fenomeni, anziché di riduzione.
3. La scienza del secondo Novecento e la sua filosofia
Cibernetica, etologia ed ecologia - le scienze del secondo Novecento - impongono assiomatiche nuove, qualitative e strutturali: esse acuiscono il sentore delle remore e delle incomprensioni implicite nel fisicalismo, mentre il mentale trova impreviste analogie nella realtà fisica. Il recupero dell'esemplarità conoscitiva delle discipline scientifiche è insidiato dal dubbio d'essersi rivolti ad una parte soltanto della scienza, o, peggio, ad artefatti. Per questo, l'epistemologia ultima tende a stabilire nuovi legami con la storiografia della scienza, anche se l'interesse storiografico degli epistemologi è diretto più a verificare certi schemi di ‛crescita del sapere' che non ad enucleare postulati ed affermazioni sulla struttura della realtà fisica. La personalità di maggiore spicco è il viennese K. R. Popper, emigrato in Inghilterra, e promotore alla London School of Economics di interessi ed attività fervide. Popper fiorisce nell'ambiente mitteleuropeo degli anni trenta, e la sua Logik der Forschung - edita (1935) nelle ‟Schriften zur wissenschaftlichen Weltauffassung" di Ph. Frank e M. Schlick, sarà ripubblicata in inglese, nel 1959, con il titolo diverso, e gratuito, di Logic of scientific discovery - è preceduta da colloqui con Carnap che suggeriscono a quest'ultimo l'interpretazione convenzionalistica degli asserti protocollari. Ma fin dall'inizio Popper è su posizioni critiche verso l'oscurantismo' specialistico e verso lo stesso atteggiamento antimetafisico del gruppo viennese, auspicando una despecializzazione della filosofia e l'unità di filosofia e scienza. Il punto di forza del primo Popper è, peraltro, logico: l'asimmetria di verifica e falsificazione. ‟Gli asserti universali non possono essere derivati da asserti individuali, ma possono essere confutati da questi ultimi. Con inferenze puramente deduttive - mediante il modus tollens, della logica classica - si può ricavare dalla verità di asserti individuali la falsità di asserti universali". Oggettivo, per Popper come per Kant, vuol dire giustificabile: le percezioni non giustificano le proposizioni, ma ne permettono la verifica nell'ambito delle convenzioni intersoggettive. Invece la suddetta inferenza falsificante, il no che scalzando la conclusione fa crollare l'edificio appoggiato su di essa, sembra avere nel primo Popper una radice empirica sicura. Ma è la sicurezza del negativo, mentre la scienza ha bisogno di punti di vista e di problemi teorici": nella storia delle varie discipline scientifiche la strada verso la novità è stata sempre aperta dalla teoria e non dall'esperimento. Le esperienze sensoriali non interpretate non servono: ci vogliono idee audaci, anticipazioni ingiustificate, pensiero speculativo, in una parola ‛congetture'. La scienza presuppone l'immutabilità dei processi naturali, ossia un principio dell'uniformità della natura che implica l'invarianza delle leggi naturali rispetto allo spazio e al tempo: se questo è determinismo, è deterministico anche l'indeterminismo. Qui, peraltro, si passa dalla scienza alla metafisica presente in essa: il confine dello scientifico è la falsificabilità, che è un voler falsificare. A tal punto sembra venir meno anche la certezza empirica del no: e ciò traspare dalle postille e appendici alla seconda edizione dell'opera popperiana (1959), in inglese, che ne fa un punto di riferimento dei dibattiti in Europa e in America. In Inghilterra c'è stata la svolta semantica del secondo Wittgenstein, e si è diffusa la consapevolezza di un rapporto mediato - dall'operazione oltre che dalla convenzione - tra segno verbale ed evento: e non tardano, infatti, a manifestarsi le critiche a quello che viene chiamato ‟falsificazionismo ingenuo". Nel 1962 il Kuhn pubblica The structure of scientific revolutions, dove distingue la scienza in ‟normale" e ‟rivoluzionaria" secondo che essa si sia dedicata e si dedichi alla ‛soluzione di rompicapo' (puzzle-solving) derivanti dai ‛paradigmi' teorici, o alla revisione di questi ultimi. Soggetto del pensiero scientifico appare, dalla prospettiva kuhniana, la comunità più che l'individuo: dietro la storiografia e l'epistemologia si profila una forte ripresa d'interessi sociologici. La rivoluzione astronomica del Cinquecento, studiata dal Kuhn in un lavoro precedente di qualche anno quello citato (The Copernican revolution. Planetary astronomy in the development of Western thought, 1957), avrebbe avuto come premessa necessaria il fermento generale e la turbolenza dell'Europa durante il Rinascimento e la Riforma". Nel 1963 esce, del Popper, Conjectures and refutations, ripubblicato nel 1965, con il programma del ‛razionalismo critico': promuovere la crescita della conoscenza in forma di scienza con l'applicazione del criterio di falsificabilità alle ‛congetture' - la baconiana anticipatio mentis - da cui nascono le teorie. Il falsificazionismo ingenuo è superato, ma la nuova posizione non ha alla propria base un'assiomatica del mentale, come la precedente non l'aveva dell'atto percettivo. La conoscenza è un processo umano, ma la verità è al di sopra dell'autorità: il motivo sociologico riappare e diventa apologia della tolleranza, che lo stesso Popper aveva svolto in The open society and its enemies (1945). In Objective knowledge. An evolutionary approach (1972) l'interesse popperiano si sposta peraltro verso il lato ontologico. Popper aderisce al ‛pluralismo filosofico', ammettendo la distinzione del mondo in ‟tre sottomondi almeno, ontologicamente distinti": gli oggetti fisici, gli stati mentali e gl'intellegibili. Il primo e il terzo mondo non potrebbero interagire se non con l'intervento del secondo: le relazioni fra i tre mondi sono viste, comunque, quale problema di fondo del pluralismo. Il senso comune sarebbe inconsapevole che esiste una sfera di intellegibilità oggettiva: qui Popper si stacca da G. E. Moore e dall'oggettivismo della sua The refutation of ideallsm (1903) per avvicinarsi al Russell platonizzante. Malgrado i paradossi e le ingenuità, e in virtù d'una sua costante aderenza alla dialettica delle idee scientifiche, l'epistemologia popperiana è ripresa e discussa dai ricercatori, in particolare d'a J. C. Eccles in Facing reality (1970). Eccles - autore di ricerche fondamentali sulle sinapsi - è un allievo di C. Sherrington, il massimo neurofisiologo del secolo, al quale si deve la definizione del carattere ‛integrativo' dell'azione del sistema nervoso: e Sherrington aveva lasciato nella sene delle Gifford Lectures (1937-1938): Man on his nature, la testimonianza di un drammatico confronto con ‟la mente al limite della non mente". La scienza naturale può analizzare e descrivere la vita, per Sherrington, ma non il ‟compagno della vita": il pensiero. La mente non è una cosa, e il modello energetico non riesce a raffigurarne alcun aspetto, alcuna funzione. È la stessa conclusione alla quale era giunto, nel secolo scorso, il neurofisiologo E. du Bois-Reymond in due conferenze che avevano segnato l'acme e la crisi del meccanicismo ottocentesco: Über die Grenzen des Naturerkennens (1872) e Die sieben Welträthsel (1880). Eccles - che preannunzia l'uscita di un volume in collaborazione con Popper: The self and its brain - accetta tutta la critica sherringtoniana, la estende all'ipotesi del parallelismo psicofisico, e si riporta su posizioni dualistiche. L'autocoscienza e l'unità dell'esperienza cosciente - oggetti preferiti dall'Eccles per le sue più recenti analisi sperimentali e teoriche - sarebbero attributi della mente e non delle aree associative degli emisferi cerebrali. Il terzo mondo di Popper - che Eccles chiama mondo 3 - avrebbe connotazioni non solo culturali, ma anche trascendenti: la mente - mondo 2 - vi attingerebbe la struttura ordinatrice del proprio campo fisico d'azione - mondo 1. Popper ha assecondato, ma anche intuito è assimilato l'interesse per la mentalità - mentality - dell'epistemologia inglese e americana: un interesse che ha coinvolto dopo il 1940 l'operazionista Bridgman - ‟È impossibile separare ciò che facciamo con le mani da ciò che facciamo con la mente", scriveva, già nel 1938, in The intelligent individual and society -, neurologi e psicologi applicatisi ai problemi del learning, e filosofi della scienza i cui scritti sono accolti per lo più nella International Library of Philosophy and Scientific Method dell'editore Routledge and Kegan Paul. Occorre anche ricordare gli studi sulla logica della scoperta scientifica (v. Hanson, 1958 e 1967; v. Medawar, 1959 e 1969; v. Achinstein, 1969 e 1971). Essi esplorano il territorio retrostante la congettura e l'ipotesi, cercando di precisare le inferenze da un vissuto di osservazioni a una trama di asserzioni. Hanson antepone la plausibilità alla necessità, e distingue il nesso ‛retroduttivo', tra un evento insolito e un'ipotesi che possa spiegarlo, dai nessi induttivo e deduttivo. Si obietta da alcuni che l'osservazione inattesa conterrebbe già l'ipotesi esplicativa: ma testimonianze come quella, autobiografica (1949), di Einstein sulla ‛meraviglia' (Wunder) provata in età infantile di fronte allo spostamento dell'ago magnetico d'una bussola, sembrano confermare che rotture dell'uniformità empirica precedono e sollecitano l'abbozzo congetturale - nel proprio caso, riferisce Einstein, l'uniformità era quella per cui nessun corpo si muove se non è toccato da un altro. Gli studi citati postulano implicitamente un fattore di trasformazione del percettivo nel teorico, e indicano un altro punto d'incontro di epistemologia e storiografia della scienza. Ma è un programma di lavoro per i decenni futuri: intanto prevalgono i cibernetici, con i problemi dei rapporti tra mente e macchina, mente e informazione.
K. Sayre in Cybernetics and the philosophy of mind (1976) discute diffusamente l'ipotesi della ‛immaterialità' - nel senso di aspazialità e atemporalità - della mente. Sayre giunge alla mente da una disciplina che, nata su base interdisciplinare, dal confronto di neurofisiologia, ingegneria dei servomeccanismi e matematica - come risulta dalla prefazione di N. Wiener a Cybernetics (1948, 19612) - avrebbe aperto vivaci confronti, su temi fondamentali, con altre discipline scientifiche: con la termodinamica e la psicologia in primo luogo. Vengono confrontate e omologate grandezze diverse: L. Tribus (1961) definisce l'equivalenza fra entropia ed indeterminazione, L. Brilbuin (1962) caratterizza l'informazione come neg-entropia. Si scioglie il paradosso del demone di Maxwell, che muovendo una porta senz'attrito fra due scompartimenti nei quali si trova un certo gas, e facendo entrare in uno scompartimento le molecole più veloci e nell'altro le più lente, avrebbe creato un potenziale termico senza dispendio energetico: dispendio di energia si verifica ad ogni misura, cioè ad ogni acquisto di informazione. La seconda legge della termodinamica è salva, ma l'entropia resta una grandezza statistica, e d'altra parte manca ogni motivo per assimilare l'universo a un sistema chiuso. La scuola di Bruxelles (I. Prigogine, M. Glansdorff) dà inizio allo studio dei sistemi aperti, dove l'aumento dell'entropia è conciliabile con il divenire strutturale. La dialettica delle idee è molto vivace, aperta a prospettive riduzionistiche - il calcolatore come macchina pensante -, ma anche a profonde revisioni assiomatiche. Cibernetica e biologia molecolare si sostituiscono alla meccanica quantistica nell'offrire materia di riflessione alla ‟filosofia spontanea dei ricercatori" (Althusser). N. Wiener e C. E. Shannon manifestano un'acuta consapevolezza epistemologica. Wiener colloca l'‛informazione' accanto alla materia e all'energia, quale terzo connotato della realtà fisica - ‟Al giorno d'oggi, nessun materialismo che non ammetta questo può sopravvivere" -, Shannon individua la differenza tra mente e macchina pensante nella capacità di riorganizzazione che la prima possiede, almeno nell'uomo. Ma nell'epistemologia dei cibernetici il concetto d'informazione conserva una sua irrisolta ambivalenza di elemento ora oggettivo - per cui i biologi molecolari parlano, ad esempio, dell'informazione contenuta nel codice genetico, ora soggettivo, derivante dalla teoria delle comunicazioni. Inoltre l'analogia mente-macchina, anche per i paradossi e le bizzarrie che inducono taluno a parlare di un ‛Adamo secondo', rischia di vincolare il mentale alla dinamica del segno anziché alla definizione del significato. Sono idee, vedute degli anni cinquanta e sessanta che si riassorbono lentamente, ma che spiegano gli scarsi rapporti tra certa epistemologia neurofisiologica d'avanguardia e quella cibernetico-informatica. Manca altresì una ben impostata ricerca storiografica su un movimento di idee, che è pur sempre storia contemporanea del pensiero scientifico: e per motivi analoghi la neurofisiologia d'avanguardia non confluisce con la ‛metapsicologia', iniziata da Freud con gli scritti del 1915 e proseguita da psicologi del profondo e critici della psicanalisi.
Malgrado queste ed altre soluzioni della continuità problematica, e certa insufficiente chiarificazione di termini primitivi e concetti fondamentali - caso e causa, indeterminismo e determinismo, struttura e finalità -, alla svolta di metà secolo la scienza s'impegna con nuova consapevolezza e nuovi strumenti nell'analisi logica e sociologica di se stessa. L'epistemologia dei filosofi si trova di fronte quella, germinale ma vivace, degli scienziati e deve tenerne conto. La storiografia della scienza si profila come tramite ormai necessario tra le ‛due culture' - l'espressione ripete il titolo di un fortunato pamphlet, The two cultures (1959, inintegrato nel 1963), il cui autore, Ch. P. Snow, muove da interessi prevalentemente pedagogici: un mondo nel quale la scienza è un fattore non solo culturale, ma vitale, deve farne oggetto di larghi, diffusi riferimenti nella scuola, nella programmazione sociale, nel dibattito delle idee. L'ignoranza della seconda legge della termodinamica dovrà diventare riprovevole come quella delle opere di Shakespeare: è la battuta con la quale Snow suggella il suo scritto. Ma A. Koestler, in un altro vivace pamphlet che s'intitola, con l'espressione già citata del Ryle, The ghost in the machine (1967), può replicare che due mezze verità non fanno una verità, né due mezze culture una cultura. La scienza deve poter prospettare l'esemplarità del proprio metodo e valore conoscitivi: e deve farlo attraverso qualcuno che rispetti l'autenticità del messaggio scientifico. Lo scienziato avoca a sé questa funzione, comunque rifiuta la passività e l'agnosticismo. Philosophy of mathematics and natural science (1949) di H. Weyl - l'autore di una delle maggiori opere di teoresi scientifica del secolo: Raum, Zeit, Materie (1918) - rappresenta, con Productive thinking di M. Wertheimer (1945, 1959) e Das sogenannte Böse (nonché il citato Die Rückseite des Spiegels) di K. Lorenz (1963), il punto più alto di quest'autocoscienza del ricercatore. Weyl, Wertheimer e Lorenz hanno alle proprie spalle la cultura europea dei primi decenni del secolo, con una forte impronta filosofica: la loro è una formazione trascendentale, non formalistica. Con questi autori ed altri protagonisti: con A. S. Eddington di The nature of the physical word (1928), 3. Needham di Order and life (1936), E. Schrödinger di What is life? (1944), M. Polanyi di The tacit dimension (1966); sulla scia di esemplari testimonianze teoretiche, come la conferenza di A. Einstein Geometrie und Erfahrung (1921) o il saggio di M. Planck Das Weltbild der neuen Physik (1929), nasce una scienza che dialettizza l'epistemologia dei filosofi in nome dell'autoconsapevolezza. Vi contribuiscono gli Sherrington e i Wiener già citati, W. Heisenberg, N. Born, L. de Broglie e, della nuova generazione, P. B. Medawar di The uniqueness of the individual (1957) e The future of man (1959), A. Portmann di Neue Wege der Biologie (1960), 3. Monod, anch'egli citato, F. Crick di of molecules and men (166), F. Jacob di La logique du vivant (1970), A. Lwoff di Biological order (1962), e il più anziano ma molto attivo L. Bertalanffy di Problems of life (1952), Robots, men and minds. Psychology in the modern world (1967) ed altri saggi. Acuti gl'interventi del gestaltista W. Köhler, specie The piace of value in a world of factus (1938). Biologi e psicologi prendono il sopravvento sui fisici. Al ‟declino del meccanicismo" (A. d'Abro) si aggiunge quello del fisicalismo. Un acuto storico della scienza, R. Lenoble, studioso delle origini dell'ideologia meccanicistica (Mersenne ou la naissance du mécanisme, 1943) si volge negli ultimi anni di vita alla storia dell'idea di natura (Histoire de l'idée de nature, 1969), perché intuisce il profondo cambiamento dei presupposti oggettivi della conoscenza scientifica, pur nella problematicità che li caratterizza nell'ambito del sapere positivo.
4. Epistemologia e storiografia
Storici della scienza ed epistemologi lavorano assieme: troppo diffuso è il timore di riferirsi ad artefatti, o alla parte e non al tutto. La crisi del ‟falsificazionismo ingenuo", la coscienza che lo ‟stratagemma convenzionalistico" (Popper) può salvare qualsiasi teoria da qualsiasi critica porta a spostare l'attenzione dall'oggettività dell'evento a quella del conoscere, nel suo costituirsi storico. Il volume che raccoglie gli atti del convegno promosso nel 1965 dalla British Society for the Philosophy of Science e dalla London School of Economics: Criticism and the growth of knowledge (1970, 1972, 1974), rispecchia le nuove tendenze dell'epistemologia. Ne sono protagonisti lo storico Kuhn - che nel 1970 ripubblica The structure of scientific revolutions con un ‛poscritto' dedicato a chiarire meglio la nozione del paradigma; Popper, punto di riferimento obbligato della filosofia della scienza di lingua inglese; I. Lakatos, popperiano con forte autonomia critica, autore di numerosi contributi epistemologici e, qui, del suo testamento ideale (Methodology of scientific research programmes). Kuhn imposta un quesito critico sul falsificazionismo di Popper: se la falsificazione avvenga mediante un rapporto tra enunciati, o tra un enunciato e un'osservazione. Popper accusa Kuhn di relativismo, nega che esistano sempre teorie dominanti - tali da costituire l'ambito di una scienza normale" che procederebbe per‟soluzioni di rompicapo", come vuole Kuhn -, si riferisce ai ‟rivoluzionari riluttanti" come Darwin e Planck, ribadisce la propria fede nella ‟verità assoluta e oggettiva". All'impostazione psicologicizzante e sociologicizzante del Kuhn, Popper contrappone la logica, anzi la logica della scoperta, con un richiamo a Tarski, che sembra confermare l'estraneità del falsificazionismo alla psicologia, e il suo darsi gli stessi limiti della semantica, tarskiana, non carnappiana. Rispetto a questi sviluppi, I. Lakatos con la sua metodologia dei programmi scientifici di ricerca e il suo postulato delle ‟euristiche positive" assume un rilievo di notevole originalità speculativa. Egli muove dall'implicita convinzione che il falsificazionismo ‛sofisticato' del secondo Popper deve spostare il baricentro dell'edificio scientifico verso la razionalità. La scienza diventa dialettica, tra ragione dinamica, in crescita, - donde il titolo del volume citato -, e ragione statica. L'euristica positiva lakatosiana ritiene di aver superato il limite dell'induttivismo - non poter spiegare la scelta dei fatti - e quello del convenzionalismo - la scelta della trama di riferimento. L'opposizione pregiudiziale alla metafisica cessa: è ammissibile tutto ciò che aumenti l'estensione e l'ordine del conoscere. Siamo all'opposto del primo Carnap - quello dell'Überwindung der Metaphysik (1931)-, ma anche del Carnap di Introduction to semantics (1942), timoroso che la svolta semantica di Tarski potesse reintrodurre nella scienza ‟futili argomenti riferentisi al vero, anzi alla Verità".
L'atteggiamento aperto del razionalismo critico si accentua in altri allievi di Popper. J. Agassi, in Science in flux (1975), insiste sull'unità di filosofia e storia della scienza - si deve al Lakatos la formula: ‟la filosofia della scienza è vuota senza la storia, la storia della scienza è cieca senza la filosofia" - e polemizza con le impostazioni formalistiche, colpevoli di predeterminare i problemi e le risposte ai quesiti attraverso la formulazione di questi ultimi. Ma la teoria logica degli interrogativi (L. Åqvist, A new approach to the logical theory of interrogatives, 1965) indica non soltanto il rischio delle domande che predeterminano le risposte, anzi il loro significato, ma anche quello di escludere le domande considerando privi di senso i loro presupposti. La domanda, il problema hanno senso in una trama metafisica di riferimento. ‟Il miglior problema, il problema che più val la pena di affrontare, deve avere dalla sua la maggior probabilità di cambiare il nostro punto di vista, la nostra metafisica, il nostro modo di guardare l'universo". La fisica contemporanea, per Agassi, dà origine ad una metafisica preferibile a quella di Faraday, e lo stesso vale di Faraday rispetto a Newton. La storia della scienza collega le teorie con le premesse che danno loro significato, e perciò rappresenta la condizione d'una epistemologia non formalistica. Siamo agli antipodi di Carnap. Anche H. Albert deriva da Popper, nonchè da H. Dingler e da M. Weber, e affianca all'apertura e tolleranza del Popper di The open society il motiyo weberiano della ‛avalutatività' del giudizio scientifico nonché l'operazionismo etico del Dingler. L'epistemologia del Novecento è partita dall'analisi dei procedimenti conoscitivi della fisica, si è interessata in un secondo tempo alla tematica della biologia e solo di sfuggita ha affrontato la ‛logica delle scienze sociali': ciò è avvenuto, ad esempio, nel congresso della Società tedesca di sociologia, tenutosi nel 1961 a Tubinga. Gli atti di tale congresso - Der Positivismusstreit in der deutschen Soziologie, 1969 - registrano le vivaci polemiche tra la posizione dialettica di Th. W. Adorno e J. Habermas, e quella antidogmatica del Popper e dello Albert. Quest'ultimo insiste sul ‟ruolo della decisione del processo conoscitivo", tema che svolge ampiamente nel Traktat über kritische Vernunft (1969). Ogni confutazione può essere immunizzata da una mossa convenzionalistica - la terminologia della scuola popperiana preferisce i termini icastici dell'inglese agli astratti del tedesco. Volendo, la certezza dell'argomentazione può restare intatta, e lo è in maniera assoluta, secondo Albert, negli asserti analitici. La fondazione del discorso scientifico è equiparata a ‟strategia conservatrice": e perciò bisogna contrapporle una diversa strategia, fornendo ‟alle nostre convinzioni l'occasione di venir contraddette dai fatti". Riaffiora il discernismo", Dezernismus, del fisico e filosofo Dingler - Die Grundlagen der Physik, 1919; Der Zusammenbruch der Wissenschaft und der Primat der Philosophie, 1926; Die Grundlagen der Geometrie, 1933; Grundriss der methodischen Philosophie, 1949 - per cui la scienza è scelta d'uno stile di vita, d'uno stile, nel senso del Weber - Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, 1922 -, che oggettiva le stesse valutazioni di individui e gruppi che la scienza analizza. Certezza e verità devono scindersi, secondo Albert: una verità priva di certezza assoluta è quella alla quale mirano il sapere congetturale e confutativo teorizzato da Popper e la ricerca ‛avalutativa' di Weber. Questo sapere, antidogmatico e tollerante, è la scienza. Ma nello Albert e in altri autori affiorano solo frammenti del cosmo intellettuale weberiano: e il valore - ‟figlio del dolore della nostra disciplina", come il Weber lo definisce, fin dal 1904, in Die Objektivität sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, è visto come ciò da cui prescindere nel giudizio scientifico, non come ciò che è necessario al sapere stesso per costituirsi. Da questo punto di vista, è necessario ricordare che il concetto stesso di cultutura è ‛concetto di valore' in Weber, che la realtà empirica è per noi cultura in quanto la poniamo in relazione con idee di valori, e che lo storico dev'essere ‟nutrito di esperienza personale della vita". Ma soprattutto dev'essere messa in rilievo, più che non facciano i weberiani, sociologi e metodologi, l'affinità fra tre concetti primitivi della sua costruzione: il valore, il tipo ideale e l'individuo. La scienza storico-sociale, in Weber, postula l'asimmetria tra ‛individuale' e ‛conforme a legge': in sostanza, l'individuo non può ridursi ad esempio, a caso e basta. E l'individuale è anche il qualitativo. Gli scritti metodologici del Weber - Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, citate - sono tradotti nel 1949 in inglese - The methodology of social sciences - ma l'epistemologia stenta ad assimilarne il ricco contenuto, ad eccezione della Wertfteiheit del giudizio scientifico, fatta valere da molti, e fra essi dallo Albert, in funzione antideologica. In Plädoyer für kritischen Rationalismus (1971) Albert fa di Weber ‛in un certo senso' un precursore di Popper, e presenta il razionalismo critico come antitesi alle ricorrenti tendenze ideologiche della filosofia e delle scienze umane in Germania. In effetti, autori come E. Lemberg - Ideologie und Gesellschaft, 1971 - e W. Mainhofer - Ideologie und Recht, 1968 - hanno apertamente riproposto, nell'area culturale tedesca, il problema del rapporto tra ricerca scientifica e sistematicità ideologica.
Per tornare alla scuola epistemologica popperiana, una posizione estrema vi è occupata da P. K. Feyerabend (Problenis of empiricism, 1965, 1969; Against method, 1970). Egli definisce ‟anarchica" la propria posizione: l'anarchia sarebbe ‟un'ottima base su cui fondare l'epistemologia e la filosofia della scienza", perché, e questo è il punto fondamentale, nessuna teoria è in accordo con tutti i fatti noti del suo campo. Anzi, tra teoria e fatti c'è una soluzione di continuità, la prima rispetto ai secondi rappresenta un passaggio al limite, che coinvolge lo sfondo storico, culturale, assieme alle reazioni soggettive e alle scienze ausiliarie della verifica. Un'ipotesi ad hoc - espressione che equivale a quella, popperiana, di ‟mossa convenzionalistica" - può impedire la confutazione: il falsificazionismo ingenuo del primo Popper ha gli stessi difetti del verificazionismo neo- positivistico, nel senso che postula la simmetria biunivoca tra un enunciato e un'osservazione. Feyerabend è studioso di Galileo, e nella meccanica galileiana mette in evidenza, in punti cruciali, il rapporto non necessitante fra osservazioni ed enunciati, e la funzione di raccordo esercitata dalle ipotesi ad hoc, spesso implicite. L'assiomatica hilbertiana aveva scoperto fin dall'inizio del secolo la presenza di nuclei razionali occulti nella compagine dei sistemi: per una singolare coincidenza, il ‛metodo assiomatico', che fin dal 1900 Hilbert aveva contrapposto a quello ‛genetico', e visto come garanzia di ‟sicurezza del contenuto del nostro conoscere", era stato simultaneo alla scoperta psicanalitica dell'inconscio. L'epistemologia si accorge tardi di tutto ciò, e i lavori del Feyerabend possono essere considerati come la presa di coscienza epistemologica dell'assiomatica. Galilei, secondo lo studioso americano, avrebbe inventato ‟una esperienza dotata di componenti metafisiche". La proposta metodologica del Feyerabend è la ‟controinduzione": mantenere, o persino inventare, teorie incompatibili - che sembrano tali - con i fatti, per scoprire gl'ingredienti ideologici della nostra conoscenza, e in particolare delle nostre osservazioni. Oltre a questi ingredienti, impliciti, le teorie scientifiche conterrebbero squilibri dovuti alla giustapposizione di elementi ‟incommensurabili", vecchi e nuovi, classici e rivoluzionari: anche qui, il metodo della congettura controinduttiva, che sconvolge l'assetto teorico, sembra presentare il vantaggio di rivelare debolezze e incoerenze non sospettate. Il razionalismo della scuola popperiana, critico verso l'empirismo in nome del momento congetturale della conoscenza scientifica, diventa antisperimentalistico, tendenzialmente almeno, con il quesito del Feyerabend, in Against method, se possa esistere una scienza priva del momento empirico. La nuova epistemologia, come aveva fatto il positivismo logico con i postulati fisicalistico e convenzionalistico, si avvicina al paradosso, denunziando debolezza e incertezza. E la positività epistemologica rivela il bisogno di criticità, comunque intesa: tanto più che la pregiudiziale antimetafisica è caduta.
5. Orientamenti nuovi
Anche l'editoria rispecchia una situazione mutata rispetto agli anni trenta e quaranta, caratterizzati dal predominio del ‛movimento per l'unità della scienza e dal programma dell'International Encyclopedia of Unified Science, d'ispirazione positivistica. Notevole rilievo hanno assunto i Boston Studies in the Philosophy of Science: una collana dell'editore Reidel, diretta da R. S. Cohen e M. W. Wartofsky, che pubblica gli atti del Boston colloquium for the philosophy of science, volumi con le maggiori Accademie statunitensi e con la London School of Economics, raccolte di scritti di singoli autori e panorami degli studi epistemologici nei vari paesi. Espressioni ricorrenti sono quelle di ‛problemi filosofici' e di ‛filosofia' dell'una o dell'altra disciplina. Il formalismo è superato, non lo è, evidentemente, l'interesse per la scienza in quanto strategia conoscitiva, ma quest'ultima è connotata in senso realistico: le categorie del pensiero umano e della realtà extrasoggettiva sono viste alla luce di una sostanziale identità, come scrive K. Lorenz nella citata Rückseite des Spiegels, dove si collega con la tesi di N. Hartmann in Der Aufbau der realen Welt (1940) - terzo volume della tetralogia che contiene il sistema dell'ontologia critica' hartmanniana. Si riscoprono tradizioni e autori (Ernst Mach: physicist and philosopher, a cura di R. S. Cohen e R. J. Seeger, 1970; Ernst Mach: knowledge and error, a cura di B. McGuinness, 1976; Bergson and modern physics, a cura di M. Capek, 1971), con accostamenti che possono stupire tanto più, quanto più surrettiziamente artefatti di vario genere siano stati sostituiti alla concreta realtà del pensiero scientifico. Bergson, ad esempio, respinto dai sostenitori della teoria sintetica, neodarwiniana dell'evoluzione, contribuisce esplicitamente alla genesi della psicopatologia di E. Minkowski (Le temps vécu, 1933, Vers une cosmologie, 1936) e alla formulazione del concetto di temporalità in N. Wiener (Cybernetics, 1948). Ma il rapporto Hartmann-Lorenz resta l'elemento di maggiore spicco, e il più indicativo di futuri sviluppi, nell'ambito d'una giovane disciplina: l'etologia, scienza dei comportamenti animali. Mancando qui, finora, la mediazione storiografica, è mancata anche l'elaborazione epistemologica: non ve n'è traccia nei Boston Studies, che invece si sono aperti alla biologia (M. Grene, The understanding of nature, 1974; Topics in the philosophy of biology, a cura di M. Grene e E. Mendelsohn, 1976) e alla neurofisiologia (Selected papers on language and the brain, 1974). Del resto, la profondità problematica del Lorenz non è comune ad altri etologi, anche se usciti dalla sua scuola: il recente (1967) Grundriss der vergleichenden Verhaltensforschung. Ethologie di I. Eibl-Eibesfeldt ne è una prova, con la marginalità dei problemi concernenti la fondazione e il metodo rispetto al corredo descrittivo. Nettamente impari anche K. von Frisch e N. Tinbergen rispetto al Lorenz. Su quest'ultimo ha esercitato una forte influenza la teoria hartmanniana degli strati - Schichten - dell'essere reale. Personalità mediatrice fra neokantismo, fenomenologia, epistemologia ed ontologia, Hartmann resta fuori delle singole correnti, e, malgrado l'imponenza della sua opera, sfugge alle compilazioni di rassegne settoriali. Succeduto al neokantiano P. Natorp sulla cattedra di filosofia a Marburgo, già nel 1921, con i Grundzüge einer Metaphysik der Erkenntnis egli imposta una critica dello gnoseologismo in termini affini alla fenomenologia, e tenta di superare il mero concetto costruttivo della conoscenza in nome dell'esperienza dell'oggettività, connaturata al conoscere. Alcuni atti del soggetto lo ‛trascendono', e giungono ad una realtà che ha la duplice caratteristica dell'in sé rispetto a se stessa e dell'oggettivo rispetto al soggettivo. Si direbbe che il soggetto nello Hartmann tenda a porsi in situazione, ad avvicinarsi se non ad identificarsi con la soggettività umana, allontanandosi dall'‛io penso' della logica trascendentale di Kant. Lo smarrimento del manoscritto hartmanniano di un'opera sulla logica, nel 1945, avrebbe impedito di seguire il passaggio dalla Metaphysik del 1921 alla tetralogia ontologica: Zur Grundlegung der Ontologie (1935), Möglichkeit und Wirklichkeit (1938), Der Aufbau der realen Welt. Grundlegung der allgemeinen Kategorienlehre (1940), Philosophie der Natur. Abriss der speziellen Kategorienlehre (1950), elaborata in un costante confronto con la tematica delle scienze, della quale lo Hartmann accentua il riferimento realistico. Postumo è uscito Teleologisches Denken (1951). Rilevante, nell'area culturale germanica, è anche l'opera dell'austriaco O. Spann, teorico di una Ganzheitsforschung fondata su una diretta esperienza di autori e fonti economiche e sociologiche. In Ganzheitliche Logik (1958) e in Naturphilosophie (1937) lo Spann affronta la definizione di pensiero e natura come totalità distinte: l'una caratterizzata dall'unità di soggetto e oggetto, l'altra dall'unità strutturale di parti e piani, dipendente, per i suoi effetti da un'unità sovraspaziale'. I riferimenti alle discipline fisico-biologiche sono numerosi, ma poco sistematici. In Francia, il problema del rapporto tra categorie scientifiche ed oggettività è stato discusso da M. Foucault in Les mots et les choses (1966) e in L'archeologie du savoir (1969), alla luce d'interessi più generali: la ‟domanda sul modo d'essere dell'uomo e sul suo rapporto con l'impensato", la ricerca della direzione ‟in cui l'Altro dall'uomo deve diventare il suo Medesimo". Foucault è giunto a un'epistemologia intrisa di storia della cultura dalla storiografia scientifica (Histoire de la folle à l'age classique, 1959, Naissance de la clinique. Une archéologie du regard médical, 1963), talché le opere suddette rispecchiano gli sviluppi, anzi le svolte, dell'episteme: dal cosmo rinascimentale delle similitudini alla mathesis dell'età classica, e da quest'ultima all'‛età della storia'. Il criterio interpretativo è l'inconscio nell'accezione lacaniana. ‟Nell'inconscio, inaccessibile all'approfondimento cosciente più che profondo, parla l'Es: soggetto nel soggetto, trascendente il soggetto, l'Es pone al filosofo il proprio problema dopo la nascita della scienza del sogno" (Lacan). Le scienze fisico-naturali, la linguistica e l'antropologia usano categorie che non possiedono criticamente, e che tendono perciò a considerare 0vvie: l'archeologia del sapere le isola, le contrasta con presupposti diversi e cerca di spiegarne la genesi. Quest'ultima è remota. Il soggetto vorrebbe garantirsi il passaggio dal ‛cogitare' all'‛essere', ma l'uno e l'altro gli sono noti in maniera oscura e frammentaria. Ed ecco l'episteme delle varie età cercar di ricondurre l'altro all'identico e di universalizzare il soggetto umano. Ma, in un'esaustiva presa di coscienza, anche l'uomo, ‟invenzione di cui l'archeologia del nostro pensiero mostra l'origine recente", potrebbe scomparire ‟come sulla riva del mare un volto di sabbia". La fenomenologia husserliana rappresenterebbe un compromesso con l'empirismo. Non è detto dal Foucault se la sua epistemologia archeologica abbia precedenti storici o sia una emergenza improvvisa e in parte irrisolta, quasi un'abreazione del vissuto culturale: nel primo caso essa dovrebbe duplicarsi, integrarsi in una dialettica. L'altro sostenitore, in Francia, dell'uso del criterio psicanalitico nella filosofia e storiografia della scienza, G. Bachelard, dall'iniziale Essai sur la connaissance approchée (1928) al postumo Engagement rationaliste (1972) non esita a collocare se stesso e la propria opera nel contesto d'un sapere in perenne rinnovamento. È la posizione di L. Brunschvicg - dinnanzi al quale Bachelard discute, nel 1927, l'Essai come tesi di dottorato: e Brunschvicg l'ha difesa in opere di larga risonanza (Idéalisme contemporaaine, 1905; Les étapes de la philosophie mathématique, 1912; L'expérience humaine et la causalité physique, 1922), insistendo sull'impossibilità di fissare la struttura categoriale della ragione e sul contenuto rivelativo della concretezza scientifica. Nella scienza, nel suo divenire, Bachelard vede l'antitesi fra un passato che si cristallizza in ‟ostacolo epistemologico" e un futuro che nasce dall'inventività del presente. Nella Formation de l'esprit scientifique (1968) l'episteme è definita, perciò, come periodica rottura di una doxa attestata su intuizioni inconsapute, incoerenti e circoscritte. ‟Le crisi di crescenza del pensiero implicano un rimaneggiamento totale del sistema del sapere". L'ostacolo sussiste anche nell'esperienza pedagogica, il cui compito dev'esser quello di criticare e disorganizzare ‟il complesso impuro delle intuizioni primitive". Questo spunto del Bachelard è stato felice: epistemologia, storiografia e psicologia cognitiva trovano sempre più numerosi punti d'incontro nella pedagogia della ricerca. Ne deriva un nuovo modo di concepire l'errore, abbozzato già da F. Enriques in Il significato della storia del pensiero scientifico (1936): l'errore non come distrazione, ma come affermazione gratuita. Ma è soprattutto il nesso di epistemologia e storiografia della scienza che emerge rinnovato dalla prospettiva bachelardiana, particolarmente in L'activité rationaliste de la physique contemporaine (1951). L'epistemologia individua sul terreno storico gli ostacoli da rimuovere, e la storiografia, impostata epistemologicamente, scopre la propria ragion d'essere. Bachelard muore nel 1962 e lascia un vivo fermento di idee, nel quadro di un razionalismo che insiste, fichtianamente (J. Hyppolite), sulla critica soggettiva di ogni dato, sull'inventività della ragione e sulla necessità d'una costante verifica dei costrutti razionali, sulla rottura degli schemi filosofici ad opera della scienza, sul carattere ‛approssimato' del sapere (Essai sur la connaissance approchée, 1928; Le rationalisme appliqué, 1949). E un razionalismo che adotta la psicanalisi per configurarsi in ‟epistemologia aperta" attraverso una ‟psicologia dell'apertura" (La psychanalyse de la connaissance objective, 1939). All'opposto, dunque, del Popper, che rifiuta la psicologia per fondarsi sulla sola logica. In un saggio del 1939, La psychologie de la raison, il Bachelard era giunto a farsi sostenitore del concetto di ‟logica psicologizzata": la logica riferita a un campo d'esperienza.
Nel 1947 troviamo Bachelard fra i fondatori della rivista ‟Dialectica", con P. Bernays - coautore, con lo Hilbert, delle citate Grundlagen der Mathematik - e F. Gonseth, sostenitore di un ‛idoneismo' epistemologico, che non si distingue sostanzialmente dall'epistemologia aperta bachelardiana (Les fondements des mathématiques, 1926; Les mathématiques et la réalité, 1936; Philosophie mathématique, 1939; La géométrie et le problème de l'éspace, 1945-1956; Philosophie néo-scolastique et philosophie ouverte, 1954; Le problème du temps, 1964; Le reférentiel, univers obligé de médiatisation, 1976). ‟L'esperienza interpone il suo valore tra il necessario e l'arbitrario". Non esistono fondamenti posti una volta per tutte: qualsiasi premessa è ‛preliminare' al risultato del confronto tra premessa e situazione. La scienza ha dalla sua le prove che può procurarsi, e addurre, delle ipotesi: eludere la scienza significa mettersi fuori della ‛conoscenza efficace'. Ma il risultato si riflette sull'ipotesi, e la specifica, perchè ogni sapere è sempre approssimato, come per il Bachelard, cioè capace di ulteriori determinazioni. Se tale è la scienza, le corrisponde non un sapere eidetico, come in Husserl, ma dialettico: in perenne revisione dei propri elementi, in cerca d'una sempre maggiore ‛idoneità' conoscitiva. L'epistemologia gonsethiana mostra, a questo punto, oscillazioni e incertezze. Talvolta la scienza sperimentale è vista come il momento del sapere che mette in crisi la filosofia. Altre volte, meno spesso, si dice che devono essere rimessi in discussione anche i risultati scientifici. Ma il Gonseth spiega che ciò avviene in quanto tali risultati fanno parte del préalable rispetto a nuove esperienze. L'esperienza - l'essere il soggetto in situazione conoscitiva - è l'assoluto: diventando asserzione, l'esperienza si relativizza. Nel colloquio del 1954 su Neoscolastica e filosofla aperta Gonseth sembra ammettere che la dialettica del sapere tenda ad una ‟salvaguardia dell'essenziale": ma anche questo diventa, poi, proposta che rifluisce nell'idoneismo, e dunque si affida al responso di future situazioni conoscitive. L'insieme dei preliminari è chiamato ‛referenziale' nell'ultima opera (1975) del Gonseth, e finisce con l'assimilarsi al paradigma del Kuhn e al programma di ricerca del Lakatos. L'epistemologo svizzero è ben consapevole che la posizione sua e del Bachelard è diversa dall'assiomatica oltre che dalla fenomenologia, e che un sapere in crescita finisce con il porre il problema dell'esperienza, cioè dei rapporti tra soggetto e oggetto, e tra verità e oggettività. Qui le due maggiori correnti dell'epistemologia più recente - il razionalismo oggettivistico popperiano e il razionalismo dialettico bachelardiano - ritrovano una sostanziale concordia : e l'epistemologia vede rinascere dalle proprie analisi della scienza così com'è stata ed è la domanda sulla possibilità che siffatto sapere si produca nel soggetto umano e nella vicenda stessa del reale. Intanto un'altra voce, per il momento inascoltata, ha posto in Francia il problema del rapporto tra scienza e verità, nonché tra conoscenza scientifica del mondo e teoresi: S. Weil, autrice di scritti per lo più inediti, e pubblicati postumi (1966) sotto il titolo Sur la science. È una sagace testimonianza, che cerca di riportare temi ed esigenze del pensiero scientifico antico nel quadro contemporaneo, e soprattutto d'indicare una prospettiva metafisica.
In Italia, lo studioso di maggiore spicco, dopo il 1945, è L. Geymonat. Escono nell'anno suddetto gli Studi per un nuovo razionalismo, con una genesi remota (Il problema della conoscenza nel positivismo, 1931; La nuova filosofia della natura in Germania, 1934; Ricerche filosofiche, 1939), a cui dà alimento la conoscenza diretta di problemi ed autori: il Geymonat ha studiato matematica oltre che filosofia, e negli anni successivi manterrà stretti rapporti con gli sviluppi della ricerca scientifica, direttamente attraverso gli allievi. Dopo gli Studi, citati, pubblica in edizione italiana un'antologia di scritti del Frege (1948), i Principî della matematica del Russell (1951), l'Introduzione al positivismo logico (1950) di J. R. Weinberg: ma nel 1939 aveva fatto conoscere l'Introduzione al pensiero matematico di F. Waismann. Nel 1953 i Saggi di filosofia neorazionalista, preceduti da lavori di minor impegno, fissano un punto che contribuisce, a sua volta, a determinare una traiettoria speculativa, che consiste nel ‟rinunciare alla razionalità assoluta (a quella che fu sempre ritenuta l'oggetto più caratteristico della speculazione filosofica)", per puntare su una comprensione della razionalità attraverso l'analisi delle ‟teorie razionali in possesso dell'uomo", quelle scientifiche. È il programma neopositivistico, con importanti divergenze: fiducia nell'unità della ragione, di una ragione che può ‟affrontare e chiarire tutti i problemi posti dall'umanità senza eccezione alcuna"; realismo gnoseologico, un realismo basato sull'approssimazione conoscitiva, che costituisce ‟una delle tesi più sicure e preziose della gnoseologia positivista"; creatività ed eticità del soggetto. Tra i viennesi, Geymonat studia con attenzione Carnap, e del Carnap in particolare i due passaggi, dal convenzionalismo alla semantica e dalla semantica alla logica induttiva, ma predilige lo Schlick, del quale pubblica in italiano un'antologia (Tra realismo e neopositivismo, 1974) con un'acuta introduzione sul ‛realismo critico' schlickiano e sulla critica dello Schlick a Heisenberg e a Bohr. La ragione è ‟la razionalità effettivamente realizzata dagli uomini": lo ribadisce in Filosofia e filosofia della scienza (1960), dove balza in primo piano la necessità di comprendere il pensiero scientifico nella sua storia, che è storia unificante e vittoriosa. Unificante è stata l'assiomatica, perché applicata al pensiero che pensa la realtà e non alle creazioni della fantasia; vittoriosa è la logica anche quando scopre con Gödel i limiti dei sistemi formali perché li rivela, li oggettiva ad una ragione che ne era ignara. La ragione attende, a tal punto, di essere dal Geymonat qualificata, determinata. E ciò accade con il suo avvicinamento alla dialettica, che è, come nell'Althusser, la dialettica leniniana: un rapporto tra il soggetto umano visto non come coscienza ma come prassi, e un oggetto che non è semplice materia ma natura (Il materialismo dialettico, 1973). Prassi è anche il momento sperimentale della conoscenza scientifica: e quest'ultima ne ritrae quel carattere di approssimazione all'oggettività, nel senso d'una crescente esaustività e generalità, che il primo Geymonat aveva visto assenta dal Reichenbach, e l'ultimo ritrova nel Bachelard. Ma nè l'Annäerungsprozess reichenbachiano, nè la bachelardiana connaissance approchée possono soddisfare a un'epistemologia radicalmente antiformalistica, come quella del Geymonat: ed ecco l'impegno storiografico e l'aspirazione politica offrire allo studioso l'una vastità di orizzonti, l'altra surrogati di assolutezza. Nasce la Storia del pensiero filosofico e scientifico (1970-1976): primo, organico tentativo di avvicinare e confrontare le due teoresi, filosofica e scientifica, dall'antichità ai contemporanei. Inevitabili le lacune, meno accettabile la selezione nella storia più recente, ma altamente significativo l'insieme, e l'intento: riunire il pensiero in sé e il pensiero che si fa mondo, per cogliere la dialettica della sistematicità, la gerarchia del reale in quanto problema di coerenza. Accanto alla Storia, citata, si colloca Scienziati e tecnologi, realizzata dal Geymonat con E. Agazzi, P. Caldirola, V. Cappelletti, M. D. Grmek, A. Quilico, G. Schiavinato, M. Silvestri, S. Tonzig. Il terzo volume della prima serie, gli Annali della scienza e della tecnica contemporanee, offre un panorama di nuova, organica completezza, ottenuta con l'uso, in senso inverso, dello stesso criterio adottato per la Storia del pensiero scientifico e filosofico: la trasposizione del dato scientifico in problema razionale. La vitalità di questo compito, che despecializza la scienza e l'inserisce nella dialettica del sapere, consente al Geymonat di riproporre il rapporto tra scienza e marxismo malgrado la tragica vicenda della genetica lysenkiana in Russia (Sul marxismo e le scienze, 1972), e di documentare l'esistenza di interessi e dibattiti epistemologici nella cultura sovietica, poco noti in Italia e altrove (L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS, 1972). Di particolare interesse i dibattiti tra N. Bohr e il fisico russo V. A. Fock, a integrazione di quanto pubblicato, nel 1955 e nel 1960-1961 da ‟La nuova critica". Nessuna notizia, peraltro, di un'epistemologia del dissenso, e perciò ingiustificata l'adozione di un quadro nazionale per presentare testimonianze di studiosi singoli.
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