EQUAZIONI DIFFERENZIALI
(v. equazioni, XIV, p. 132; App. III, I, p. 564; IV, I, p. 714)
Ogni anno migliaia di pubblicazioni compaiono nella letteratura scientifica e ci si dovrà quindi limitare a delineare alcune linee essenziali, tenendo altresì presente che la teoria matematica sulle e. d. è diventata piuttosto complessa e c'è una grande varietà di applicazioni sia alla matematica stessa (geometria, teoria del controllo) sia ad altre scienze (fisica, astronomia, chimica, biologia, ingegneria, scienze mediche, economia, meteorologia, ecologia, ecc.). Del resto storicamente c'è sempre stata una forte interazione tra la teoria matematica delle e. d. e le sue applicazioni, e anche oggi molti dei nuovi sviluppi matematici sono motivati da problemi applicativi. Un fattore ricorrente nella ricerca di oggi è la nonlinearità di molte e.d. (per es. l'equazione è lineare, ma è non lineare). Questa non-linearità è presente nei fenomeni intorno a noi. Processi complessi, come per es. turbolenze (in aerodinamica, meteorologia, dinamica dei fluidi), shock waves (nella dinamica dei gas), cambiamenti di fase (in fisica e ingegneria), fenomeni di tipo feed back (reazioni chimiche e teoria del controllo) e pattern formation (in biologia ed embriologia) non possono essere descritti da equazioni lineari. Per le applicazioni i processi non lineari hanno molta importanza (basti pensare alla previsione del tempo), mentre nella matematica la nonlinearità ha condotto a una struttura più complessa e più ricca della teoria delle e. d. e allo sviluppo di metodi nuovi. Ciò non vuol dire che la teoria lineare ha perso importanza: spesso per lo studio di equazioni non lineari si devono capire equazioni o strutture lineari (per es. gli spazi di funzioni, importantissimi nella matematica moderna, sono spazi lineari).
È superfluo dire che generalmente non c'è speranza che e. d. possano essere risolte in forma chiusa: un processo di turbolenza è troppo complicato per pretendere una formula esplicita per la soluzione delle equazioni corrispondenti. Si tratta piuttosto di rispondere a domande del tipo:
1) Esiste una soluzione? È la soluzione unica? Dipendono le soluzioni in modo continuo dai dati del problema, cioè, se cambiamo un po' un parametro in un'equazione, la soluzione non cambia tanto?
2) Qual è il comportamento qualitativo delle soluzioni? A questo punto si distinguono la struttura locale di soluzioni (per es. come si comporta una soluzione che rappresenta una shock wave nella dinamica dei gas vicino a uno shock front, e cosa succede se due shock fronts s'incontrano?) e domande di carattere globale (per es. il comportamento per un tempo lungo delle soluzioni di problemi di evoluzione, che in pratica corrisponde spesso al comportamento dopo un periodo relativamente breve).
3) Quali sono i metodi efficienti e accurati per l'approssimazione numerica delle soluzioni?
Cominciamo questa breve rassegna con alcuni risultati relativi a due teorie abbastanza vicine: la teoria della biforcazione e la teoria dei sistemi dinamici.
Si discutono questi risultati in termini di e. d. ordinarie in uno spazio di Banach X; tali equazioni comprendono i classici sistemi di e. d. ordinarie (se X = IRn), ma anche le equazioni a derivate parziali (se X è uno spazio di funzioni e allora uno spazio di dimensione infinita) e più in generale equazioni funzionali.
Si consideri il problema
dove la soluzione u(t) appartiene a uno spazio di Banach X e dipende in modo continuo da t, Aλ(t) è un operatore da un dominio D⊂X in uno spazio di Banach Y, la derivata appartiene a Y e u0, il valore iniziale di u, appartiene a X. Il simbolo λ si riferisce a un insieme di parametri del problema. Se X = Y = IRn (n = 1, 2,...) il problema (I) è un sistema di n e. d. ordinarie e u(t) ha n componenti u1 (t), ....., un (t).
Un esempio è il seguente sistema di Lorenz che è un'approssimazione delle equazioni di Boussinesq per la convezione di un fluido in uno strato scaldato da sotto:
dove σ, r e b sono costanti fisiche che corrispondono al parametro λ nell'equazione [1]. Nel 1963 E. N. Lorenz ha introdotto questo modello per indicare le limitazioni nella previsione del tempo. Se X e Y sono spazi di funzioni e Al(t) è un operatore differenziale, si trova un'equazione a derivate parziali.
Per es., sia Ω⊂IR3 un insieme limitato con il bordo regolare ∂Ω e si consideri il problema seguente per u(x,y,z,t):
Se scegliamo per X lo spazio di Sobolev H10(Ω) (sommariamente detto, questo spazio contiene le funzioni u su Ω che si annullano al bordo ∂Ω e tali che , per Y lo spazio duale di X, e Aλ(t) = -Δ è l'operatore di Laplace definito in [2], allora troviamo che questo problema è formalmente equivalente al problema [1]. Si osservi che [2] è un'equazione a derivate parziali (cioè u dipende da almeno due variabili) mentre [1] è un'e. d. ordinaria, dove la dipendenza di x, y e z è stata soppressa ed è nascosta nella scelta di X, Y e Aλ(t).
La questione centrale nella teoria dei sistemi dinamici è stabilire come si comportino le soluzioni del problema [1] per t→", supponendo che il problema sia ben posto e che le soluzioni siano uniformemente limitate (nella norma di X). Può accadere che questo comportamento sia piuttosto semplice (per es., le soluzioni convergono a una soluzione stazionaria oppure periodica, oppure a una soluzione di tipo onda viaggiante) e qualche volta si può anche dimostrarlo con metodi relativamente semplici (usando, per es., il principio di massimo nel caso delle equazioni paraboliche scalari). Ma nel caso generale il comportamento per un tempo lungo può essere molto più complicato (turbolento, caotico) e H. Poincaré aveva già indicato come fossero necessari metodi geometrici per descriverlo. D'altra parte nella teoria della biforcazione si vuole sapere come le soluzioni del problema [1] (o soluzioni particolari come soluzioni stazionarie, soluzioni periodiche, ecc.) dipendano dal parametro λ. Particolarmente interessanti sono i valori critici di λ, dove il comportamento qualitativo delle soluzioni cambia (per es. una soluzione stazionaria diventa instabile ed esiste invece una soluzione periodica stabile, una cosiddetta biforcazione di Hopf).
Per chiarire il rapporto tra biforcazioni e sistemi dinamici, torniamo un attimo al modello [L] di Lorenz (per dettagli cfr. Guckenheimer e Holmes 1983). Il parametro più importante del modello è r, il numero di Reynolds. Risulta che se r〈1, esiste una sola soluzione stazionaria, (0,0,0), che è globalmente stabile: tutte le soluzioni convergono a (0,0,0) per t→∞. Se r>1, (0,0,0) diventa instabile ed esistono altre due soluzioni stazionarie che sono stabili se 1〈r〈r0 e instabili se r>r0 (il numero r0 dipende da b e σ). Se 1〈r〈r0 il comportamento per un tempo lungo è semplice: quasi tutte le soluzioni convergono a una delle due soluzioni stazionarie stabili. Una prova numerica mostra che se r>r0 questo comportamento è estremamente complicato.
In particolare si può spiegare turbolenza o caos per mezzo della teoria della biforcazione. Un esempio tipico è il seguente: sia λ un parametro scalare e supponiamo che al valore λ = λ1 ci sia una biforcazione di Hopf: in tal caso esiste una soluzione stazionaria che è stabile se λ〈λ1 e instabile per λ>λ1; e, se λ>λ1, esiste una soluzione periodica che è stabile fino a λ2. Per λ>λ2, non ci sono soluzioni periodiche stabili e invece esiste una soluzione quasi-periodica u::u(t) = g(ω1t, ..., ωnt), dove g è periodica e le costanti ω1, ..., ωn sono le frequenze; questa soluzione è stabile se λ〈λ3. Si osservi che il comportamento di una soluzione quasi-periodica è già abbastanza caotico, ma matematicamente il comportamento caotico è più complicato: se λ>λ3, le soluzioni si comportano a caso e non esiste neanche una soluzione quasi-periodica che sia stabile. Un altro passo intermedio verso il caos è una cascata di Feigenbaum: esiste una successione infinita λ1〈λ2〈 ... tale che λn→λ* per n→∞, e per ogni valore λn c'è una biforcazione di soluzioni periodiche dove il periodo della soluzione stabile si raddoppia a ogni biforcazione. Un testo eccellente su sistemi dinamici e biforcazione è Guckenheimer e Holmes 1983. La teoria della biforcazione non fornisce solo aspetti locali (cioè il comportamento di soluzioni vicino al punto di biforcazione) ma anche importanti risultati globali, come il famoso risultato di P. Rabinowitz sul prolungamento globale dei rami di biforcazione. Per un'analisi globale sono di grande importanza le idee topologiche, come, per es., la teoria del grado topologico.
Un altro rilevante metodo nella teoria della biforcazione è quello della cosiddetta riduzione di Lyapunov-Schmidt, che riconduce l'analisi di biforcazione a un insieme più piccolo, di dimensione finita, che contiene ancora tutta l'informazione essenziale sulla biforcazione. Tale riduzione è particolarmente utile in problemi di dimensione infinita, quali le equazioni a derivate parziali. Infine facciamo menzione della teoria di unfoldings, un argomento nella teoria delle singolarità che può essere applicato alla teoria della biforcazione. In essa la questione centrale è stabilire cosa succeda a una biforcazione se si perturba un po' il problema.
Nella teoria dei sistemi dinamici l'oggetto più importante è l'attrattore massimale, un insieme al quale tutte le soluzioni convergono per t→∞, indipendentemente dal valore iniziale u0. Seguendo le idee di S. Smale, D. Ruelle e T. Takens, il comportamento caotico può essere spiegato dall'esistenza di un attrattore complicato, che può essere fractal, come, per es., l'insieme di Cantor. Questo attrattore è l'oggetto naturale per lo studio del comportamento delle soluzioni per un tempo lungo. La sua esistenza è tipica per i sistemi dissipativi, quali i sistemi hamiltoniani non integrabili. Sebbene ci siano risultati generali sull'attrattore massimale (esistenza, invarianza, compattezza, ecc.), solo in alcuni casi particolari sono disponibili risultati dettagliati sulla struttura dell'attrattore massimale. Elementi tipici di un attrattore sono: soluzioni stazionarie, periodiche e quasi-periodiche, connecting orbits (soluzioni u(t) (−∞〈t〈∞) che connettono due soluzioni stazionarie o periodiche u1 e u2, cioè, u(t)→u1 per t→−∞ e u(t)→u2 per t→∞; se u1 ≠ u2, u(t) è detta orbita eteroclinica, se u1 = u2 orbita omoclinica). Spesso, ma particolarmente nel caso di comportamento caotico, è importante sapere la grandezza dell'attrattore, usualmente in termini della dimensione di Hausdorff. Studi sui sistemi dinamici sono de Melo e Palais 1982, Hale 1983, Hale, Magalhaes e Oliva 1984, e un testo recente sul comportamento caotico è Wiggins 1988. Recentemente sono stati pubblicati due lavori sui sistemi dinamici e sulle equazioni a derivate parziali (Teman 1988; Constantin e altri 1988), nei quali si discutono metodi per determinare o stimare la dimensione di Hausdorff degli attrattori. Questi metodi sono illustrati da esempi tratti dalla fisica matematica, come, per es., le equazioni di Navier-Stokes.
Un aspetto completamente diverso dell'equazione [1] è l'esistenza e l'unicità delle soluzioni nel caso che X abbia dimensione infinita (v. per es. Amann 1989). Qui il metodo naturale di studio è la teoria dei semigruppi, un metodo generale nell'analisi funzionale. Recentemente H. Amann ha sviluppato, in una serie di lavori, una teoria dei semigruppi analitici per sistemi non lineari parabolici. Per molto tempo non erano comparsi nella letteratura risultati generali di esistenza per questi sistemi: la maggiore difficoltà derivava dal fatto che le soluzioni di sistemi ellittici e parabolici possono essere discontinue. Per questo motivo il lavoro di Amann è di notevole importanza. Una teoria diversa è stata sviluppata da G. Da Prato e P. Grisvard (1984); questa teoria per equazioni paraboliche usa il concetto di regolarità massimale e ha il vantaggio che può essere applicata a equazioni completamente non lineari. Lo svantaggio però è il fatto che per ottenere le soluzioni globali (rispetto a t) si ha bisogno di stime a priori che sono molto forti. Infine c'è la teoria dei semigruppi non lineari nella quale è centrale il teorema astratto sull'esistenza provato da M. G. Crandall e Liggett usando gli operatori m-accretivi. Questa teoria ha avuto successo particolarmente nello studio di equazioni paraboliche degeneri, cioè equazioni del tipo
ut = div (A(x, u, Du), Du) + f(x, u, Du) [3]
dove il coefficiente di diffusione A è non negativo, ma non necessariamente strettamente maggiore di 0. Tali equazioni si trovano spesso nelle applicazioni, per es. nei modelli per la diffusione di un gas in un mezzo poroso, o nel classico problema di Stefan nella teoria dei cambiamenti di fase. In questi problemi lo spazio naturale è X = L1(Ω), uno spazio non riflessivo. Alcuni risultati e referenze si trovano in Benilan e Crandall 1981.
Passiamo adesso a considerare soltanto le equazioni a derivate parziali, dimenticando le equazioni ordinarie, e discutiamo in primo luogo le equazioni del primo ordine, che si distinguono in due tipi: conservation laws del primo ordine, che sono sistemi che consistono di equazioni del tipo
ut = (f(x, u))xxεIR, t>0, [4]
e le equazioni di Hamilton-Jacobi
ut = H(x, t, u, Du)xεIRn, t>0. [5]
Equazioni del tipo [4] si trovano nella meccanica dei mezzi continui e un esempio classico è fornito dalle equazioni di un gas non viscoso, introdotte un secolo fa. Sebbene l'equazione [4] abbia una struttura molto semplice, manca ancora oggi una teoria completa e soddisfacente per questi tipi di equazioni. Gli ostacoli maggiori sono sia la non esistenza di soluzioni classiche globali (le soluzioni possono diventare discontinue e si sviluppano shock) sia la non unicità di soluzioni deboli. Diversi criteri di unicità sono stati introdotti nella teoria, tra i quali la condizione dell'entropia. Il problema maggiore, però, resta quello dell'esistenza delle soluzioni deboli: considerato che le soluzioni possono essere discontinue, non si possono pretendere a priori stime forti. Un metodo che funziona bene nel caso di una sola equazione è quello del random choice, introdotto da J. Glimm nel 1965. Solo recentemente c'è stato un notevole progresso derivante dalla teoria delle misure di Young e della compattezza compensata, introdotta da F. Murat e L. C. Tartar e applicata con successo ad alcuni sistemi di conservation laws da R. J. Di Perna (1985). Si trova un'introduzione alla teoria dei conservation laws nel libro di J. Smoller (1982), nel quale anche la struttura geometrica locale delle soluzioni è stata descritta egregiamente.
Le equazioni di Hamilton-Jacobi si trovano in molte applicazioni, ma particolarmente nella teoria del controllo ottimale. Il punto di partenza nella teoria del controllo è un sistema di e. d., deterministiche o stocastiche, la cui evoluzione nel tempo si può influenzare adattando certi parametri nelle equazioni. La meta è trovare un controllo ottimale, cioè una scelta dei parametri che minimizzi una certa funzione dei costi che può avere forme diverse. La programmazione dinamica fornisce un metodo unificato per tutti questi tipi di problemi. L'idea centrale consiste nello studiare la funzione dei valori, che è definita come il minimo della funzione dei costi rispetto a tutti i controlli possibili. Formalmente risulta che questa funzione dei costi soddisfa un'equazione a derivate parziali, che può essere un'equazione di Hamilton-Jacobi (nel caso di e. d. deterministiche) oppure un'equazione parabolica eventualmente degenere (nel caso stocastico).
Gli ostacoli matematici per una teoria sulle equazioni di HamiltonJacobi sono uguali a quelli per i sistemi di conservation laws, ma le tecniche recenti per risolvere questi problemi sono completamente diverse. Il lavoro più importante è quello di M. G. Crandall e P. L. Lions, nel quale si definisce la classe delle soluzioni di viscosità per risolvere il problema della nonunicità delle soluzioni deboli (v. anche Crandall, Evans e Lions 1984 per alcune modificazioni e semplificazioni molto utili). Altri risultati e molte applicazioni si trovano in Lions1982. Da allora ci sono state molte pubblicazioni sull'argomento. Interessante è un lavoro recente di H. Ishii (1987), nel quale si discute un principio di massima per sotto- e soprasoluzioni semicontinue.
Nel caso stocastico le equazioni paraboliche (e anche quelle ellittiche) si chiamano le equazioni di Hamilton-Jacobi-Bellman. Per studiarle non si può usare la teoria classica per le equazioni ellittiche e paraboliche quasi lineari del secondo ordine, che è stata sviluppata negli anni Cinquanta e che usa i metodi sulla regolarità introdotti da J. Nash, J. Moser e E. De Giorgi (quasi lineare significa che l'equazioni è lineare rispetto alle derivate dell'ordine maggiore). Ci sono tre ragioni: le equazioni di Hamilton-Jacobi-Bellman non sono in forma divergenza, spesso sono completamente non lineari e possono essere ellittiche o paraboliche degeneri.
Recentemente sono stati ottenuti diversi risultati importanti per questo tipo di equazioni. Il primo è un'estensione della teoria per le equazioni del primo ordine; anche per le equazioni del secondo ordine è possibile definire una classe di soluzioni di viscosità e P. L. Lions ha dimostrato alcuni risultati di unicità in questa classe, limitandosi però al tipo di equazioni della teoria del controllo. R. Jensen (1988) ha dimostrato un risultato di unicità per le soluzioni di viscosità di equazioni molto più generali.
Una seconda possibilità è trovare soluzioni classiche regolari, che però non esistono sempre nel caso di equazioni degeneri. La chiave essenziale è la teoria della regolarità per le equazioni lineari con coefficienti non regolari che non sono in forma divergenza. I metodi classici di Nash, Moser e De Giorgi non funzionano perché usano stime integrali per le quali ci vuole un'integrazione per parti che è solo possibile nel caso di equazioni in forma divergenza. Il metodo alternativo è usare il principio di massimo di I. Bakel'man e A. D. Aleksandrov (v. Pucci 1966 per una dimostrazione semplice) per ottenere le stime hölderiane (Krylov e Safonov 1980; Trudinger 1980), che servono per costruire soluzioni classiche (Evans 1982). Nella teoria ci sono ancora molti problemi aperti. Qualche volta, in casi particolari, si applicano altri metodi, come metodi probabilistici per le equazioni di Hamilton-Jacobi-Bellman oppure metodi geometrici per le equazioni di Monge-Ampère (v. per es. Aubin 1982; Caffarelli, Nirenberg e Spruck 1984).
Abbiamo già visto che nel caso di sistemi di equazioni ellittiche o paraboliche (anche se sono in forma divergenza) la teoria della regolarità fallisce a causa della possibilità che le soluzioni siano discontinue. Risulta però che l'insieme nel quale una soluzione è discontinua è molto piccolo. Questi risultati sulla regolarità parziale sono stati ottenuti da diversi autori; una buona introduzione alla teoria dei sistemi ellittici è fornita dalle lezioni di M. Giaquinta, E. Giusti e S. Hildebrandt in Ball 1983. La teoria della regolarità è stata applicata con successo alle equazioni ellittiche e paraboliche non lineari degeneri (v. per es. Di Benedetto e Friedman 1985).
Equazioni degeneri non sono soltanto interessanti dal punto di vista della teoria della regolarità. Per es. le soluzioni non soddisfano il principio di massimo forte o la disuguaglianza di Harnack, e perciò soluzioni non negative (nonnegatività è una supposizione naturale se la soluzione rappresenta per es. una densità) possono avere un supporto compatto, cioè l'insieme nel quale la soluzione è strettamente positiva, è limitato. Questo conduce a un cosiddetto problema di frontiera libera, ovvero al problema di determinare la posizione, incognita a priori, della frontiera tra l'insieme in cui la soluzione è positiva e quello in cui è nulla. Spesso nelle applicazioni è importante lo studio della frontiera libera. Per l'equazione parabolica degenere ut = (um)xx (m>1) (la cosiddetta equazione dei mezzi porosi per la sua origine nello studio dell'infiltrazione di un gas in un mezzo poroso) la frontiera libera è stata ben studiata (Aronson 1986). Naturalmente l'argomento dei problemi a frontiera libera non si limita alle equazioni degeneri. Per un'idea dei risultati recenti, cfr. Bossavit e altri 1985; Caffarelli 1989.
Particolarmente interessanti sono le equazioni ellittiche non lineari, anche a causa delle loro applicazioni nella fisica matematica e nella geometria. Alcuni autori hanno ottenuto risultati sulle proprietà geometriche delle soluzioni, usando il principio di massimo. B. Gidas, W. M. Ni e L. Nirenberg hanno usato la tecnica di moving planes di A.D. Aleksandrov per trovare condizioni sotto le quali le soluzioni non negative di certe equazioni ellittiche in IRn e in sfere risultano radialmente simmetriche. N. Korevaar dà condizioni per cui soluzioni non negative in insiemi convessi risultano in un certo senso concave. Il libro di B. Kawohl (v. Kawohl 1985), oltre a trattare tecniche di riarrangiamento, discute problemi del tipo: "come la geometria dell'insieme si riflette nella geometria delle soluzioni?", e fornisce molte referenze sull'argomento. Un altro aspetto affascinante delle e. ellittiche sono le e. con cosiddetti coefficienti di Sobolev critici, studiate per la prima volta da H. Brézis e L. Nirenberg. La maggiore difficoltà matematica è la mancanza di compattezza nell'analisi variazionale del problema e per superarla sono state essenziali le idee che Th. Aubin ha usato nel contesto del problema geometrico di Yamabe. Ci sono altri problemi nei quali si trovano essenzialmente le stesse difficoltà, per es. nella teoria dei campi di Yang-Mills della fisica matematica e in un problema nella geometria risolto in modo eccellente da C. Taubes e S. Donaldson (v. per es. Donaldson 1983), mostrando un'interazione essenziale tra l'analisi non lineare e la topologia. Per un elenco di pubblicazioni sull'argomento, cfr. Brézis 1986a.
Infine non si può dimenticare che molte e. d. sono equazioni di Eulero-Lagrange di problemi variazionali, e perciò il calcolo delle variazioni assume grande rilevanza nella teoria di e. differenziali. Ci limitiamo a ricordare alcuni argomenti e metodi della moderna teoria del calcolo delle variazioni: le soluzioni periodiche dei sistemi hamiltoniani (Ambrosetti e altri 1987), l'uso della teoria del grado topologico (che ha il nome di Ljusternik-Schnirelman, Morse oppure Conley), le superfici minime e problemi variazionali nello spazio delle funzioni di variazione limitata (Giusti 1984), il metodo della gamma-convergenza introdotto da E. De Giorgi e problemi variazionali per funzionali non convessi, importanti nello studio del cambiamento delle fasi. Infine si dà il caso che le soluzioni siano vettori invece di funzioni scalari, con applicazioni per es. alla teoria dei cristalli liquidi (Hardt e altri 1986; Ericksen e Kinderlehrer 1987; Giaquinta e altri 1989; Brézis 1989). Altro fenomeno interessante è la possibile discontinuità delle soluzioni, a causa del fatto che le funzioni continue non sono necessariamente dense negli spazi di funzioni che sono naturali per l'analisi variazionale (Bethuel e Zheng 1986). In Giaquinta 1989 si trova una bella raccolta di lezioni recenti su alcuni argomenti importanti nel calcolo delle variazioni.
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