estetica
Riflessione filosofica sulla sensibilità e sull'arte
Il termine estetica deriva dal greco aìsthesis, che significa "sensazione, percezione, sentimento". L'estetica sottolinea l'importanza della soggettività e di tutto ciò che la caratterizza: il sentimento, l'individuale, la storia. Essa è così il tentativo di spiegare una sfera dell'attività umana per la quale non valgono i principi che regolano l'attività scientifica. Se nell'Ottocento l'estetica era identificata con la filosofia dell'arte, nel Novecento è venuta maturando, sulla base delle riflessioni di Kant, l'idea che essa non sia una parte della filosofia ma faccia tutt'uno con la filosofia stessa
Esistono ambiti del sapere e discipline nei quali possiamo individuare con chiarezza e precisione l'oggetto esaminato, il metodo di studio e i concetti essenziali.
È quanto accade, per esempio, quando ci occupiamo di ambiti rigorosamente delimitati come la biologia, la chimica, l'economia e, più in generale, le scienze cosiddette 'sperimentali', come la fisica. Tuttavia, come ha affermato il filosofo Immanuel Kant, se nelle scienze fisico-naturali il fenomeno particolare è dedotto dalla legge universale, nel caso invece del giudizio estetico ‒ che è il giudizio con il quale diciamo che una cosa particolare è bella ‒ non c'è una legge o regola universale che determini quel nostro giudizio.
L'attenzione al sensibile e al particolare è dunque l'elemento fondamentale che caratterizza l'estetica. L'iniziatore di questa fu il filosofo Alexander Gottfried Baumgarten (18° secolo), al quale dobbiamo la definizione di estetica come 'conoscenza sensibile'. Questo significa che per Baumgarten, accanto alla verità matematica e fisica, c'è posto per un altro tipo di verità: quella storico-poetica. Si tratta appunto della verità estetica, cioè della verità conosciuta in modo sensibile, ovvero della verità che può essere affermata come tale dai sensi.
Con la nascita dell'estetica l'arte viene vista in modo assolutamente nuovo e la stessa bellezza non è più giudicata come raggiungimento di una perfezione misurata in base a canoni o norme precostituiti.
Si può dire infatti che la nascita dell'estetica ha segnato la fine di quelle concezioni che pretendevano di stabilire, sulla base di precetti e norme accettati come assolutamente veri, che cosa fosse l'arte o il bello. Tali norme assolute non riconoscevano alcun valore al gusto e al sentimento, dal momento che l'arte e il bello erano considerati semplicemente come il prodotto dell'applicazione di alcune regole.
Al contrario, a partire dal 17° secolo, è venuta maturando la nozione di 'gusto', una nozione caratterizzata da una indeterminatezza e da una vaghezza che impediscono di ricondurla a regole fissate una volta per tutte. In questo senso alla nozione di gusto è stata associata la nozione di 'non so che', con la quale si voleva rendere conto del fatto che l'esperienza estetica (quella cioè con la quale definiamo come bello qualcosa di particolare che si offre ai nostri sensi) non era definibile secondo principi di carattere concettuale.
Tuttavia è anche vero che se valesse soltanto il gusto individuale di ciascuno, non ci sarebbe la possibilità di parlare in termini di valore obiettivo di ciò che definiamo arte o bello.
Il problema dell'estetica è allora quello di trovare una giustificazione del valore obiettivo dei nostri giudizi di gusto, con i quali diciamo che qualcosa è arte o è bello. È quanto ha fatto Kant nell'opera intitolata Critica del giudizio. Se infatti è 'estetico' un giudizio pronunciato sulla base di ciò che si sente e che non può essere del tutto riportato a una spiegazione logica, il problema che subito dopo si pone è come difendere l'essenziale 'soggettività' di tale giudizio, e dunque la sua individualità e storicità, senza farlo scadere in un totale relativismo in base al quale è senz'altro bello tutto ciò che il soggetto definisce tale. Ora, secondo Kant, quando si formula un giudizio estetico (che ha un fondamento soggettivo in quanto deve riferirsi al sentimento del soggetto), si è disinteressati all'esistenza dell'oggetto, vale a dire non si ha alcun interesse per il possesso dell'oggetto contemplato.
Per questo un tale giudizio può pretendere il "consenso di ognuno" e, in quanto tale, è "soggettivamente universale". Si può allora dire che in un giudizio estetico si esprime un 'senso comune', ovvero un senso o sentimento che abbiamo in comune.
Al centro dell'estetica in età moderna viene posto il problema della conoscenza di ciò che è individuale, sia che si tratti di un organismo naturale sia di una forma artistica. Tale conoscenza dell'individuale non rientra nella normatività delle leggi scientifiche e si presenta come una conoscenza di tipo storico.
È questa dimensione storica che, a partire dal Romanticismo, ha caratterizzato le concezioni estetiche, finendo però per dissolvere la stessa autonomia dell'arte. Per il filosofo tedesco Hegel, infatti, l'arte rappresenta un momento storico, nel quale l'Assoluto (Dio, la verità) si è rivelato pienamente nelle opere d'arte, come dimostra la grande arte greca del periodo classico, e che è destinato a essere superato storicamente, prima dalla religione cristiana e poi dalla filosofia che, meglio dell'arte, riescono a manifestare l'Assoluto.
Nel Novecento l'autonomia dell'estetica dalla storia è stata difesa da quelle posizioni antiromantiche che si sono opposte al dissolvimento dell'arte nel processo storico. In questo modo l'estetica ha potuto stabilire un nuovo contatto con l'arte, considerata non più come qualcosa che è destinato a scomparire, bensì come l'espressione sempre nuova di quanto nella storia dell'uomo viene dimenticato o represso: la sofferenza, il dolore, la morte. È quello che, nella seconda metà del Novecento, è stato affermato nella Teoria estetica del filosofo Theodor W. Adorno (20° secolo). In quest'opera infatti Adorno mette in evidenza come l'esperienza estetica è tale se mantiene un rapporto con il mondo, e questo rapporto è da lui definito il 'contenuto di verità' dell'arte. Da questo punto di vista viene criticato sia l'estetismo, inteso come tentativo di considerare la vita come se fosse un'opera d'arte (come accade per esempio in letterati come Oscar Wilde e Gabriele D'Annunzio), sia quei tentativi delle avanguardie storiche dei primi decenni del Novecento che pretendevano invece di trasformare il mondo attraverso l'arte.
Più in generale si può dire che se nell'Ottocento l'estetica era identificata con la filosofia dell'arte, invece nel Novecento è venuta maturando l'idea che l'estetica, proprio sulla base delle riflessioni di Kant, non sia una parte della filosofia ma faccia tutt'uno con la filosofia stessa. Quel sentimento infatti che caratterizza l'estetica, ossia quel 'senso comune' o 'universalità soggettiva', è la condizione non solo di ogni nostro sforzo di comprendere l'esperienza ma anche di ogni conoscenza, inclusa quella scientifica. Nessuna conoscenza può infatti prescindere da quel 'sentire' che è la stessa capacità creativa del pensiero umano.
In questa prospettiva l'arte è il riferimento esemplare del giudizio estetico, esemplare nel senso che è proprio nell'individualità dell'opera d'arte che quel sentimento, quella creatività, vengono mostrati in modo esplicito.
Tuttavia sempre più ai nostri giorni le manifestazioni artistiche sembrano aver perduto quelle caratteristiche che in passato ci facevano parlare di grande opera d'arte e in particolare quel 'contenuto di verità' grazie al quale le opere d'arte, come scrive Adorno, "parlano del mondo". In questo modo l'estetica finisce col riferirsi a manifestazioni che non sono più artistiche, tanto che si è arrivati a parlare di estetismo diffuso, intendendo con ciò il fatto che si finisce per estendere la nozione di estetica alle manifestazioni più diverse: dagli oggetti d'uso quotidiano alla politica, dagli spettacoli più diversi allo sport. Si tratta però di manifestazioni che, chiudendosi in sé stesse e trovando in sé stesse l'unico significato, ci negano quella possibilità di comprensione del mondo e della vita che invece era propria della grande arte.