Etologia del gioco
L'attività ludica ha costituito per molto tempo una sfida per gli studiosi del comportamento, soprattutto in ragione della difficoltà di definire in modo preciso e soddisfacente l'argomento di studio. Ciò è dovuto al fatto che, tra le altre cose, il gioco sociale ha sempre costituito un fenotipo comportamentale sfuggente e difficile da studiare con metodo, a dispetto della spontaneità con cui invece si possono riconoscere le sue caratteristiche osservabili. La prima parte di questo testo sarà dedicata all'analisi del gioco sociale nei Mammiferi e verranno trattati alcuni degli aspetti più generali di questo affascinante comportamento; in particolare, verranno presentati gli studi più significativi sul modo in cui il gioco sociale ha inizio e prosegue in diverse specie di Canidi. Saranno discusse anche alcune ricerche attuali e molto controverse, all'interno del nuovo paradigma della cosiddetta 'etologia cognitiva', che tentano di partire dall'osservazione scrupolosa degli aspetti più evidenti del comportamento di gioco per inferire possibilmente le caratteristiche nascoste della mente animale.
Particolare evidenza verrà data a quei comportamenti che sono interpretabili come l'evoluzione di procedure di contrattazione, cooperazione e coordinazione tra individui della stessa specie, che si trovano a condividere la stessa motivazione al gioco. Tali comportamenti aprono interessanti prospettive sulla capacità di alcune specie animali (e tra queste, sicuramente i Primati superiori) di attribuire ai conspecifici alcuni precisi stati mentali. La flessibilità e la versatilità del comportamento di gioco rendono questo argomento uno stimolo interessante per un dibattito interdisciplinare che coinvolga sia le scienze biologiche che quelle sociali, nonché per gli studi comparativi ed evoluzionistici, grazie ai quali sarà possibile raggiungere una migliore comprensione della natura della mente animale, uomo compreso, e del significato profondo delle analogie e differenze tra comportamento umano e animale.
L'etologia del gioco è un campo di studi in estremo fermento, dove sono possibili numerose e differenti prospettive future. È fondamentale tuttavia, in un ambito di ricerca problematico come questo, un'adeguata apertura mentale. È improbabile che l'applicazione del criterio 'due pesi, due misure' ‒ ovvero esigere che gli studi sul gioco e sulle abilità cognitive degli animali siano condotti in maniera più rigorosa rispetto agli studi che si occupano di altre aree delle scienze del comportamento ‒ possa rivelarsi produttiva, specialmente quando la difficoltà di ottenere dati sperimentali più che rigorosi rischia di condurre al completo abbandono degli studi sulle abilità cognitive degli animali. È però anche improbabile che tutte le sofisticate abilità cognitive proprie dell'uomo siano sorte dal nulla. Se vogliamo davvero comprendere qualcosa di più sul gioco e sulle abilità cognitive degli animali, e su come lo studio di queste ultime possa arricchire e motivare lo studio dell'evoluzione dei processi cognitivi umani, è molto importante che i sostenitori dei diversi modi di considerare la questione interagiscano tra loro.
Quello di 'gioco' è un concetto piuttosto difficile da definire, poiché esso ricopre un'ampia gamma di manifestazioni comportamentali molto diverse tra loro. Fin dai primi seri tentativi di affrontare lo studio del comportamento di gioco sociale, sono state formulate diverse definizioni, sulle quali si sono basati numerosi studi comparativi ed evoluzionistici. È difficile, oggi, sfogliare una rivista di comportamento animale senza trovare almeno un articolo dedicato alla struttura o alla funzione del gioco sociale, principalmente nei Mammiferi, anche se esistono studi approfonditi sul gioco negli Uccelli. Per quanto il gioco sia un'attività facilmente riconoscibile in modo intuitivo, sembra non esista alcuna definizione che sia applicabile a tutti i casi specifici e nelle diverse specie in cui tale attività è stata osservata. Tuttavia, la mancanza di una definizione rigorosa non deve essere di ostacolo nel condurre ricerche valide: chi infatti chiede una definizione rigorosa, prima ancora di condurre delle ricerche empiriche, in realtà pretende, illogicamente, di avere in anticipo le conoscenze che derivano da queste stesse ricerche empiriche.
Per cominciare, si utilizzerà una definizione generale che si è dimostrata utile nel corso degli anni: "Gioco è tutta l'attività motoria postnatale che appare priva di scopo, nella quale schemi motori propri di altri contesti sono spesso utilizzati in forme modificate e in sequenze temporali diversificate" (Bekoff e Byers 1981). Quando quest'attività è diretta verso un altro essere vivente, è chiamata 'gioco sociale'; quando è diretta verso uno o più oggetti inanimati, è chiamata 'gioco con oggetti'; quando, infine, consiste in ciò che appare come una sorta di corsa sfrenata dell'individuo nel suo ambiente, è chiamata 'gioco locomotorio'. Sia il gioco sociale sia quello con oggetti possono essere di natura locomotoria, e il gioco solitario può includere tanto il gioco con oggetti quanto quello locomotorio. Questa definizione operativa è 'in positivo', in quanto il gioco è definito nei termini di ciò che è, e non di ciò che non è. Per anni invece è stato in voga definire il gioco sociale in base a ciò che non era, al fatto cioè che esso non è comportamento aggressivo, non è comportamento predatorio e non è comportamento riproduttivo, ma questo tipo di definizione si è dimostrato di poca o di nessuna utilità per coloro che erano interessati ad apprendere qualcosa di più sul gioco.
Bisogna anche notare che la definizione qui proposta è basata sulla struttura delle sequenze di gioco (cioè su quello che gli animali fanno concretamente quando giocano) e non sulle possibili funzioni del gioco stesso. Basti ricordare come le diverse spiegazioni funzionali del gioco che sono state ipotizzate abbiano finito per diventare sintesi sommarie di speculazioni tutt'altro che convalidate, e come sia improbabile che vi sia un'unica ragione alla base dell'attività ludica di tutti gli animali. Sembra invece probabile che esistano molte diverse funzioni del gioco, non mutuamente esclusive (per es., socializzazione, esercizio fisico, sviluppo cognitivo, regolazione energetica), applicabili a seconda della specie studiata e probabilmente a seconda dell'età, del sesso dei partecipanti e del luogo in cui il gioco si svolge. Inoltre, le spiegazioni funzionali del gioco che fanno ricorso ai possibili costi e ai benefici dell'attività ludica sono difficili da dimostrare, come quasi sempre avviene quando si cerca di comprendere una funzione considerando potenziali costi e benefici in termini di fitness. Per quanto concerne il gioco, in realtà occorre prendere in considerazione i costi e i benefici sia a breve che a lungo termine, ed è estremamente difficile calcolare costi e benefici su lunghi periodi di tempo per individui appartenenti alle specie in cui il comportamento ludico è evoluto e che sono caratterizzate da una lunga durata della vita.
A dispetto della facilità con cui si riconoscono le sue caratteristiche osservabili, il gioco sociale ha sempre costituito un comportamento facilmente osservabile, ma anche molto difficile da studiare con precisione. Nonostante il fatto che ben poche persone sarebbero disposte a negare che gli animali praticano quest'attività così facilmente riconoscibile, e sebbene la quantità di dati disponibili sia andata nettamente aumentando a partire dagli anni Novanta del Novecento, devono ancora essere condotte analisi del gioco basate su un approccio di tipo comparativo. Non solo la struttura del gioco (cioè i singoli comportamenti utilizzati e le relative sequenze temporali con cui questi si organizzano) varia a seconda delle specie, ma tra gli individui appartenenti a una stessa specie esistono anche marcate differenze, che rendono le generalizzazioni difficili e deboli da sostenere. Questa variabilità può essere il risultato di diversi fattori, inclusi l'età dei partecipanti, il sesso, i rispettivi ranghi sociali, l'esperienza di gioco l'uno con l'altro, il livello di energia (aerobico e anaerobico) e quello di benessere fisico, la disponibilità di cibo, la permissività di chi si prende cura di loro e il luogo in cui si svolge il gioco. In verità, sono proprio la flessibilità e la versatilità del gioco a rendere quest'ultimo un campo stimolante per gli studi comparativi ed evoluzionistici di tipo cognitivista. Come è stato notato, la flessibilità comportamentale è una caratteristica importante per l'attribuzione degli stati mentali, poiché è legata al monitoraggio che un organismo compie della sua stessa prestazione. La flessibilità comportamentale e l'abilità dell'individuo di adattarsi alle variazioni ambientali costituiscono infatti il principale criterio cui Donald R. Griffin (1992) fa ricorso nella sua trattazione della consapevolezza in molti animali non umani.
L'analisi si concentrerà qui sul gioco sociale, poiché sono in corso molte ricerche su questo fenotipo comportamentale, sia per l'interesse crescente per le abilità cognitive degli animali, sia perché il gioco sociale sembra essere importante per lo sviluppo di specifici schemi di comportamento e per lo sviluppo e il mantenimento dei legami sociali in diversi contesti, compreso quello riproduttivo. È oltremodo probabile che gran parte delle future ricerche sul gioco verterà sul gioco sociale e che sia questo il campo in cui lo studio del comportamento ludico si potrà rivelare più affascinante. Si prenderà qui in considerazione la flessibilità comportamentale evidente nel gioco sociale di molti Mammiferi, per poi trattare diversi aspetti del modo in cui gli animali iniziano (sollecitano) e proseguono il gioco sociale, e del modo in cui gli schemi di comportamento implicati sono utili per meglio comprendere le capacità cognitive degli animali e la loro evoluzione.
Jethro (un cane) corre verso Sukie (una cagna); di colpo le si ferma di fronte, si accuccia sulle zampe anteriori (fa un inchino), scodinzola, abbaia e tutt'a un tratto le balza addosso, con un morso le afferra la nuca e si mette a scuotere rapidamente la testa da un lato all'altro, fa in modo di trovarsi dietro di lei e la monta, salta giù, fa un rapido inchino, le balza accanto e le dà una botta con i fianchi, salta su, le morde il collo e corre via. Sukie prende a inseguire selvaggiamente Jethro, gli balza sul dorso e gli morde prima il muso e poi la nuca, mettendosi quindi a scuotere la testa da un lato all'altro. Poi i due lottano e si separano, ma solo per pochi minuti. Jethro cammina lentamente verso Sukie, allunga la zampa anteriore verso la sua testa e le mordicchia le orecchie. Sukie si alza e balza sul dorso di Jethro, lo morde e lo strattona per i fianchi. Poi i due si lasciano cadere a terra e lottano mordendosi. Questa descrizione di un episodio di gioco tra due cani (ma potrebbero anche essere altri Canidi, o Felini, o Primati non umani o uomini) mostra come, durante il gioco sociale, essi mettano in atto comportamenti che vengono abitualmente utilizzati in altri contesti come quello agonistico, riproduttivo e predatorio. I cani ‒ nonché gli altri animali, uomini inclusi ‒ compiono anche azioni che sono importanti per poter iniziare e proseguire il gioco: in questo caso fanno 'inchini'.
Il gioco sociale negli animali non umani (d'ora in avanti semplicemente animali) di solito è un'impresa che consiste nel cooperare facendo a turno, e qui sorge un importante interrogativo: come fanno gli animali a contrattare per raggiungere un accordo di cooperazione? Si cercherà di rispondere a questa e ad altre domande, poiché lo studio del gioco negli animali fornisce una preziosa via d'accesso alla comprensione delle loro rappresentazioni mentali. I dati disponibili indicano decisamente che gli atti di sollecitazione al gioco possono essere usati per comunicare agli altri individui che alcune azioni ‒ quali il mordere, il mordere accompagnato dallo scuotere la testa da un lato all'altro e il montare ‒ vanno intese come gioco e non come atti compiuti con intenti aggressivi, predatori o riproduttivi. Dunque, gli inchini sono effettuati quando l'animale vuole comunicare un messaggio specifico sui propri desideri o sulle proprie credenze. Per quanto non si possa avere la certezza che, per esempio, due cani abbiano vere e proprie 'credenze' a proposito degli effetti del proprio comportamento su uno o più individui, alcuni dati suggeriscono questa possibilità. Per esempio, si può provare a chiedersi perché Sukie permetta a Jethro di morderle le orecchie. Una spiegazione potrebbe essere che Sukie 'crede' che Jethro stia giocando. E forse Jethro crede che Sukie creda che Jethro stia giocando. Rispondere a domande come questa è una delle sfide della ricerca nel campo delle capacità cognitive degli animali.
La categoria comportamentale del gioco sociale ha messo per lungo tempo a dura prova gli studiosi del comportamento animale. Alcuni di essi hanno smesso di occuparsene, considerandolo un comportamento che non vale la pena di studiare, mentre la difficoltà di farlo in maniera rigorosa ha indotto altri a sostenere che, per quanto ne valga la pena, è impossibile condurre uno studio sufficientemente scientifico sul gioco sociale. Altri ancora, rendendosi conto del fatto che questo comportamento è interessante e divertente da studiare, hanno intrapreso un duro e lungo lavoro, che ha prodotto dati importanti a proposito di diverse questioni, per esempio il motivo per il quale gli animali abbiano nel loro repertorio comportamentale elementi che vengono espressi unicamente in un contesto di gioco sociale, o perché essi mettano in atto sequenze di comportamento che incorporano azioni proprie di molti differenti contesti. Esistono anche dati importanti sul modo in cui gli animali, al fine di potersi dedicare al gioco sociale, contrattano per raggiungere un accordo e cooperare, si sviluppano socialmente, apprendono le regole delle interazioni sociali e chiedono il permesso di giocare socialmente. È anche divenuto più accettabile speculare sull'esistenza di una dimensione umoristica o comica nella vita naturale degli animali e sulle possibili implicazioni evoluzionistiche di tale dimensione. Per esempio, ci si potrebbe chiedere quali effetti possano esercitare, sullo sviluppo e sull'evoluzione dell'attività ludica, l'ovvio divertimento che gli animali provano nel gioco sociale e i loro insistenti tentativi di indurre al gioco gli altri individui.
È stato possibile descrivere il gioco sociale nella maggior parte dei Mammiferi in cui ne è stata ricercata la presenza. Alcune delle forme di gioco più elaborate e complesse sono state osservate in Mammiferi quali i Carnivori sociali (gatti selvatici e domestici, lupi, coyote, cani domestici, orsi) e i Primati non umani, tutti animali, questi, dotati di una corteccia cerebrale notevolmente sviluppata. Probabilmente è stata proprio la combinazione di questo elemento con altri fattori a svolgere un ruolo importante per lo sviluppo dell'abilità di gioco negli individui. In altre parole, ha permesso lo sviluppo delle abilità cognitive necessarie per contrattare un accordo di cooperazione, per 'chiedere il permesso' di intraprendere un'attività specifica, e forse anche per attribuire agli altri individui stati o processi mentali. Il gioco sociale dei Mammiferi è un comportamento molto utile per dimostrare come gli studi sulle capacità cognitive degli animali possano portare a una migliore comprensione delle capacità cognitive umane. Infatti, quando giocano, gli animali eseguono tipicamente comportamenti che di solito vengono utilizzati in altri contesti (per es., quello predatorio, agonistico o riproduttivo), e che tuttavia assumono un significato diverso quando vengono manifestati nel contesto ludico. Per esempio, Jethro quando ha morso Sukie e si è messo a scuotere rapidamente la testa da un lato all'altro, non ha continuato fino a provocare in lei un comportamento di sottomissione, e Sukie non ha guaito, non si è rovesciata sulla schiena in segno di sottomissione, né è corsa via. Jethro non ha nemmeno tentato di accoppiarsi con lei quando l'ha montata da dietro, e infatti Sukie non ha cercato di scrollarselo dal dorso.
Quanto è importante contrattare sul gioco e accordarsi sul fatto che è proprio 'gioco' il nome di quel che si sta facendo? Molto. Infatti, i comportamenti che gli animali utilizzano quando giocano sono per lo più presi in prestito da altri contesti, e gli individui devono poter essere in grado di comunicare reciprocamente che ciò che vogliono fare non è mangiare, combattere o accoppiarsi con l'altro, bensì giocarci. Nella maggior parte delle specie in cui è stato osservato il comportamento ludico, si sono evoluti comportamenti specifici che vengono utilizzati per dare inizio al gioco ("voglio giocare con te") e per poterlo proseguire ("voglio ancora giocare con te, nonostante ciò che ti ho appena fatto e nonostante ciò che sto per farti"). Questi atti sembrano servire alla contrattazione tra i partecipanti, il cui risultato è dunque quello di permettere loro di accordarsi sul fatto che si sta per prendere parte a un gioco, e non, per esempio, a un combattimento o a un episodio di predazione. Non è mai stato provato che gli animali invitino al gioco i membri della stessa specie per poi approfittarne. Per di più, sono stati spesso descritti comportamenti di autoimpedimento (self-handicapping; per es., il controllo dell'intensità dei morsi) e di ribaltamento dei ruoli (l'assunzione di ruoli sottomessi da parte di individui dominanti che avviene esclusivamente durante il gioco).
Nel considerare il modo in cui il gioco viene iniziato e proseguito, si tratterà brevemente di argomenti quali il tipo di informazione che viene condiviso durante le interazioni ludiche e che cosa il gioco può rivelare in merito allo sviluppo della mente animale. Per esempio, il (pretend play), in cui l'individuo crea una situazione immaginaria o distorce la realtà, ha attirato su di sé l'attenzione di molti ricercatori interessati allo sviluppo ontogenetico del comportamento umano, ma sembra che esso possa essere presente anche negli animali. I cani e i gatti inseguono spesso la propria coda, mordendola come se si trattasse di una preda o di un avversario, e capita frequentemente che tentino di uccidere la ciotola del cibo o di accoppiarsi con essa. Inoltre, alcuni animali dominanti mostrano durante il gioco episodi di autoimpedimento e di ribaltamento dei ruoli e in tal modo sembrano fingere di non essere dominanti, probabilmente nell'intento di indurre a giocare con loro i compagni che altrimenti non lo farebbero; è raro, comunque, che l'individuo che ha eseguito un autoimpedimento cerchi poi di dominare veramente il suo compagno di gioco.
Sebbene esistano pochissimi dati sui precursori evoluzionistici del gioco sociale di tipo simbolico nei piccoli di uomo, si può pensare che quando un lupo sta giocando con un altro lupo, utilizzando comportamenti che di solito sono usati durante incontri di tipo sessuale o predatorio, esso stia pensando alla possibilità di mangiare o di accoppiarsi con il suo partner e stia facendo finta di farlo. Il risultato finale dell'interazione, che è comunque gioco, e non uccisione o accoppiamento, non consente tuttavia di proporre una tale spiegazione con alcun grado di certezza. Ma il fatto che l'individuo stia pensando all'attività nella quale sta facendo finta di essere impegnato è un criterio che non viene applicato ai piccoli di uomo, e non sembra esserci alcun motivo per utilizzarlo nel caso degli altri animali, per i quali non c'è modo di scoprire la verità tramite domande dirette del tipo: "pensavi di accoppiarti con la tua ciotola o con il tuo compagno di gioco?". Probabilmente, a questo proposito potrebbero aiutarci studi di tipo neurobiologico, condotti sugli uomini e su altri animali, qualora mostrassero una similarità nei tracciati di attivazione elettroencefalografica prodotti durante il gioco e durante quelli che sono considerati reali episodi di accoppiamento, predazione o combattimento.
Prima di discutere i dati occorre però considerare un punto fondamentale. Un'utile analisi del gioco sociale richiede l'uso di termini che alcuni studiosi criticano in quanto antropomorfici (gli animali si divertono quando giocano, amano giocare, vogliono giocare, credono che altri individui vogliano giocare con loro). Questi studiosi sostengono che espressioni come 'volere', 'credere' o 'voler significare' siano applicabili esclusivamente agli esseri umani. Mentre alcuni di essi rifiutano qualsiasi studio del comportamento animale che utilizzi termini antropomorfici, altri ritengono che un attento uso dell'antropomorfismo possa essere utile per lo studio del comportamento e della mente animali. Non è poi così incredibile che dettagliati studi comparati del gioco sociale possano rivelarsi utili per rispondere a domande riguardanti l'evoluzione della mente animale. Per esempio, gli individui hanno credenze? Hanno desideri? Attribuiscono agli altri individui delle intenzioni? Rappresentano a sé stessi gli stati interni degli altri individui? Qual è il contenuto dei loro stati mentali? Sembra evidente che senza un vocabolario di tipo cognitivo sarebbe molto difficile affrontare con profitto l'argomento del gioco sociale. Infatti, quando giocano, gli animali utilizzano segnali specifici per comunicare le proprie intenzioni, il proprio desiderio di giocare e la propria credenza che, qualora mettano in atto un particolare comportamento, il gioco avrà inizio, e inoltre eseguono comportamenti che vengono tipicamente utilizzati in altri contesti, ma il cui significato cambia nel contesto ludico. La ricchezza e la multiformità del gioco sociale possono essere colte solamente utilizzando termini di tipo mentale.
Poiché il gioco è costituito da azioni che sono utilizzate anche in altri contesti, un individuo deve essere in grado di comunicare ai potenziali compagni di gioco che quello che vuole fare non è dominarli, mangiarli o accoppiarsi con loro; ha invece intenzione di giocarci. L'osservazione comportamentale del gioco sociale di molti animali suggerisce che essi desiderino giocare socialmente e che credano che i propri progetti per il futuro, riguardanti il probabile comportamento degli individui verso i quali le loro intenzioni sono dirette, si realizzeranno se comunicheranno chiaramente il loro desiderio di giocare. Per fare ciò gli animali utilizzano segnali che, in taluni casi, sembrano essersi evoluti specificamente per questo scopo. In questo senso, il gioco può essere considerato un'impresa cooperativa: il risultato delle contrattazioni permette lo svolgimento del gioco e diminuisce la probabilità che si manifestino invece comportamenti aggressivi o predatori. Anche altri animali possono cooperare, e tra questi sono inclusi quelli in cui dobbiamo ormai ammettere la presenza di abilità cognitive sofisticate, come nel caso del pesce pulitore, che rimuove i parassiti dal corpo e dalle branchie di Pesci Carnivori molto più grandi di lui. Tuttavia, il gioco differisce dalla cooperazione, poiché la sua flessibilità e la facilità con cui, dopo solo una breve presentazione, anche due animali che non si conoscono cominciano a giocare portano a concludere che le interazioni tra i due compagni di gioco non sono il semplice risultato di sistemi coevoluti e, in qualche modo, rigidamente programmati e inflessibili. Queste interazioni sono piuttosto il prodotto di contrattazioni ricorrenti che implicano una continua e attenta messa a punto per l'intera durata della cooperazione.
Gli animali, dunque, cooperano nel gioco? E come contrattano o si accordano su quello che stanno per fare? Per cominciare a rispondere a queste domande, cerchiamo di comprendere più dettagliatamente se i segnali che sembrano essere usati per comunicare agli altri le proprie intenzioni ludiche (segnali di sollecitazione al gioco) possano o meno promuovere tra i partecipanti la cooperazione necessaria allo svolgimento del gioco. Tali segnali di sollecitazione al gioco sembrano trasmettere messaggi quali: "ciò che seguirà è un gioco", "questo è ancora un gioco, nonostante ciò che è appena successo o ciò che potrà succedere", o "era divertente, vero? Giochiamo ancora!". Una conferma dell'importanza dei segnali ludici per l'espressione del gioco sociale cooperativo proviene dagli studi che mostrano come i segnali di sollecitazione al gioco siano dotati di una scarsa variabilità nelle caratteristiche formali e temporali e come vengano utilizzati quasi esclusivamente in contesti ludici. Per esempio, un atto che si osserva comunemente nel contesto di gioco sociale, nei Canidi come in altri Mammiferi, è l'inchino stereotipato. In alcuni Canidi, sembra che l'inchino serva a permettere che il gioco sociale abbia inizio o possa proseguire. Inoltre, i primi inchini che si osservano in Canidi giovanissimi sono molto stereotipati, e l'apprendimento sembra essere relativamente poco importante per il loro sviluppo. Queste caratteristiche degli inchini sono probabilmente legate al fatto che, nel gioco sociale, i Canidi utilizzano tipicamente azioni che vengono anche usate in altri contesti, come gli episodi di predazione, gli incontri agonistici o l'accoppiamento, ragion per cui un fraintendimento dell'intenzione ludica potrebbe provocare ferimenti.
Come viene raggiunto l'accordo nel contesto del gioco sociale? Come riescono, gli individui, a fare a turno? Nella maggior parte delle specie in cui il gioco sociale è stato descritto, i segnali di sollecitazione al gioco sembrano promuovere una certa forma di cooperazione tra i compagni di gioco. In questo modo ciascun animale risponde all'altro in una maniera che è conforme all'atmosfera del gioco, ma differente dalle risposte che le stesse azioni avrebbero ottenuto in altri contesti. I segnali di sollecitazione al gioco facilitano dunque l'interpretazione degli altri segnali da parte di colui che riceve il messaggio. Per esempio, nei coyote, la risposta a un atto di minaccia, eseguito dopo l'emissione di un segnale ludico o durante un'interazione iniziata da un segnale ludico, è diversa da quella che segue una minaccia in assenza di un precedente segnale ludico. Tale segnale ha in qualche modo alterato il significato della minaccia stabilendo (o mantenendo) un'atmosfera giocosa. Sfortunatamente, non esistono altre analisi di tipo quantitativo simili a questa, ma le osservazioni effettuate in diverse specie rafforzano l'idea che i segnali ludici possano servire, e servano, a creare un contesto che permette l'espressione del gioco e altera il significato dei comportamenti che, mutuati da altri contesti, sono usati durante quest'ultimo.
Alcune altre caratteristiche degli inchini, nonché talune proprietà del gioco sociale, avvalorano l'interpretazione di tipo cognitivo dell'attività ludica e possono essere usate per rispondere a determinate domande circa l'utilizzo degli inchini stessi per l'inizio e la prosecuzione del gioco sociale. Per esempio, sebbene gli inchini siano eseguiti per l'intera durata dell'interazione ludica, essi compaiono più frequentemente all'inizio o a metà dell'episodio di gioco. L'attribuzione di intenzionalità all'uso degli inchini nel gioco, basata soprattutto sull'evidente flessibilità con cui sono utilizzati, è utile per comprendere come gli animali contrattino per giungere a un accordo. Per esempio, un'analisi dettagliata della forma e della durata degli inchini ha mostrato come essi siano altamente stereotipati, e come siano notevolmente meno variabili se eseguiti all'inizio, piuttosto che non nel mezzo, di una sequenza ludica. Questi dati sono stati utilizzati per postulare che gli inchini sono importanti perché il gioco abbia inizio. A sorreggere tale ipotesi concorrono anche altre osservazioni. Per esempio, nel caso di una cucciola di coyote di rango dominante, che era riuscita a coinvolgere il suo fratellino subordinato in un gioco di inseguimento soltanto in un'occasione su quaranta, è stato notato come questo successo isolato coincidesse con l'unica occasione in cui essa aveva emesso precedentemente un segnale di inchino. La maggiore variabilità degli inchini eseguiti nel mezzo dell'interazione rispetto a quelli esibiti al suo inizio è ascrivibile alla fatica, al fatto che, nel primo caso, gli animali si trovano a eseguire l'inchino partendo da una maggiore varietà di posture precedenti e infine al fatto che, probabilmente, comunicare che "si tratta ancora di gioco" è meno necessario rispetto a comunicare le proprie intenzioni se si vuole iniziare una nuova interazione. Non siamo ancora in possesso di dati per distinguere tra queste possibili spiegazioni alternative.
I segnali ludici vengono anche utilizzati per proseguire il gioco sociale in situazioni in cui la messa in atto di uno specifico comportamento durante un episodio di gioco potrebbe essere male interpretata. Questo fatto è interessante, poiché suggerisce che un individuo sappia qual è la prossima mossa che sta per fare e probabilmente anche quale sarà l'effetto del suo comportamento sull'altro. In uno studio recente è stato ipotizzato che i morsi accompagnati dal rapido scuotimento della testa da un lato all'altro, o altri comportamenti tipicamente utilizzati in contesti diversi, quali quello agonistico o predatorio, potrebbero essere, o siano, fraintesi dal destinatario e diano luogo, per esempio, a un combattimento. In tal caso, l'animale il cui comportamento fosse stato frainteso dovrebbe comunicare al proprio compagno che le sue azioni sono state prodotte in un contesto di gioco, e che non avevano un'intenzione aggressiva o predatoria. Secondo quest'ipotesi, gli inchini non sarebbero distribuiti casualmente all'interno delle sequenze ludiche: per rinforzare e mantenere l'atmosfera giocosa andrebbero esibiti immediatamente prima o dopo le azioni che potrebbero essere maggiormente fraintese.
Queste ipotesi non erano state precedentmente sottoposte a verifiche empiriche, ma in effetti si è potuto rilevare che la distribuzione degli inchini durante gli episodi di gioco che comprendono azioni facilmente fraintendibili non è casuale: essi tendono a essere eseguiti immediatamente prima o dopo azioni come il morso accompagnato dal rapido scuotimento della testa da un lato all'altro. Gli inchini sembrano costituire una sorta di punteggiatura, che serve a chiarire il significato delle altre azioni che li seguono o li precedono. Oltre a inviare il messaggio "voglio giocare" quando vengono eseguiti all'inizio di una sequenza ludica, gli inchini esibiti in un contesto differente, ovvero durante il gioco sociale, possono anche trasmettere il messaggio "voglio giocare nonostante ciò che sto per fare o ciò che ho appena fatto" e "voglio continuare a giocare", quando la condivisione di quest'informazione tra i due animali che interagiscono rischia di farsi problematica.
Sono anche state riscontrate differenze tra le varie specie, che possono essere interpretate per mezzo di ciò che sappiamo delle variazioni nello sviluppo sociale precoce dei Canidi. Le differenze interspecifiche sono anche connesse alla questione del modo in cui gli individui possano monitorare il proprio comportamento, di cosa possano sapere di se stessi e degli altri. Per esempio, è risultato che i cuccioli di coyote sono molto più aggressivi e ingaggiano un numero significativamente maggiore di combattimenti basati sulle gerarchie di dominanza, rispetto ai cuccioli (e agli adulti) di cane e ai cuccioli di lupo. Nel corso dello studio sui Canidi, nessuna relazione di dominanza stabile è stata stabilita né tra i cani né tra i lupi e non sono state riscontrate grosse differenze individuali nelle modalità di gioco analizzate. Nei coyote, invece, il gioco sociale è praticato in genere solamente dopo che sono stati stabiliti i rapporti di dominanza nel corso di interazioni diadiche. Sembra quindi che i coyote facciano un maggiore sforzo per mantenere l'atmosfera giocosa e, infatti, gli individui studiati dovevano comunicare le loro intenzioni giocose, prima che il gioco avesse inizio, più chiaramente di quanto non facessero i cani o i lupi, come dimostra l'episodio sopra riportato della cucciola di coyote di rango dominante. Inoltre, i piccoli di coyote di rango subordinato sono più solleciti ed eseguono un maggior numero di segnali ludici nel corso di un'interazione già iniziata.
Questi dati suggeriscono che gli inchini non siano ripetuti dagli individui a caso, solo allo scopo di incrementare le proprie possibilità di movimento o di sgranchire i muscoli. Poiché la testa dell'animale che compie l'inchino di solito viene a trovarsi in una posizione più bassa rispetto a quella del destinatario, l'atto di inchinarsi può porre l'individuo in una postura di non minaccia (autoimpedimento). L'autoimpedimento sembra essere dovuto al fatto che gli animali valutano la situazione e decidono che cosa devono fare per permettere al gioco di continuare, e suggerisce che essi siano consapevoli di come gli altri individui interpreteranno il loro comportamento. Joanne Tanner e Richard W. Byrne (1993) hanno osservato una femmina di gorilla di pianura in cattività dissimulare l'espressione facciale giocosa e hanno concluso che l'animale fosse consapevole della propria espressione facciale spontanea e delle conseguenze che essa avrebbe comportato, ovvero del fatto che entro pochi secondi sarebbe iniziato un episodio di gioco.
Riassumendo, dati precisi e attente osservazioni di una gran varietà di animali portano alla conclusione che i segnali di sollecitazione al gioco sembrano promuovere tra i partecipanti un comportamento di cooperazione tale per cui ciascuno risponde all'altro in una maniera che è conforme alle regole del gioco ed è differente dalle risposte che le stesse azioni avrebbero ottenuto in altri contesti. È importante ricordare che, per la sollecitazione del gioco, possono essere utilizzate anche indicazioni diverse da quelle fornite dagli atti visibili. L'informazione che viene condivisa mediante i segnali o indicatori ludici riguarda la disponibilità di uno o più individui a intraprendere o proseguire il gioco sociale. Il gioco può rivelarsi un affare rischioso, ma si tratta anche di un'attività importante per gli animali, sia giovani sia adulti, e tramite i segnali ludici gli individui possono praticare e godersi quest'attività. Forse è proprio il fatto che l'attività ludica apporta importanti benefici, tanto agli individui in età evolutiva quanto a quelli adulti, a rendere improbabile che gli animali utilizzino i segnali ludici per ingannare altri individui.
"Le scimmie antropomorfe sono sicuramente 'speciali' per quanto riguarda la capacità di rappresentarsi la mente di altri individui. Sembra che le scimmie antropomorfe, e in particolare lo scimpanzé comune, possano attribuire agli altri degli stati mentali; ma nessun altro gruppo animale può farlo ‒ a parte noi uomini, e forse i cetacei […]" (Byrne 1995). Il tentativo di separare nettamente l'uomo dagli altri animali e di porlo al di sopra di essi ha in un certo senso prodotto gli effetti contrari. La ricerca comparata sulle abilità cognitive degli animali ha infatti dimostrato l'esistenza di una continuità evolutiva per molte di esse e ha mostrato come l'uomo sia strettamente congiunto agli altri animali. Affermazioni come quella di Byrne appena riportata sono premature e può darsi benissimo che, una volta che siano state portate a termine le necessarie ricerche comparate, si rivelino errate. È un fatto che, con l'esclusione dei Primati, sono molto poche le specie animali che sono state studiate in rapporto alla possibilità che gli individui che vi appartengono abbiano delle teorie della mente. Inoltre, devono ancora essere sviluppati e applicati su larga scala test adatti alle singole specie, prima che certe affermazioni primatocentriche, utilizzabili per argomentare a sfavore dell'ipotesi di una continuità evolutiva, possano essere valutate col necessario rigore. È improbabile che i metodi utilizzati per studiare le teorie della mente dei Primati non umani possano essere applicati direttamente agli altri animali; i cani e i lupi potrebbero avere delle teorie della mente, ma è molto improbabile che riusciremmo a comprenderle usando i metodi che si adottano con i Primati. È chiaro che anche per i Primati stessi, al fine di tenere nella dovuta considerazione le differenze tra le specie nelle abilità sensoriali e motorie, nell'organizzazione sociale e nell'habitat, andrebbero sviluppati test specie-specifici.
Un approccio più ampio, comparativo ed evoluzionistico, di tipo cognitivo, si rivelerà sicuramente molto utile in futuro per lo studio del gioco sociale e di altri fenotipi comportamentali, e queste ricerche si dimostreranno a loro volta utili per coloro che sono più in generale interessati all'evoluzione dei processi cognitivi. Occorre anche una valutazione di tipo evoluzionistico dei contenuti mentali. A tale scopo, non c'è nulla che possa sostituire attenti studi di tipo osservativo e descrittivo, nonché esperimenti attentamente pianificati e ben condotti. Questi possono rivelarsi difficili ma non impossibili da eseguire. L'acquisizione di informazioni sulla continuità delle abilità cognitive è essenziale per riempire le grosse lacune esistenti nel patrimonio delle conoscenze attuali. Occorre anche prendere in considerazione la variabilità individuale, poiché sarebbe fuorviante generalizzare il comportamento di pochi membri di una certa specie e inferire da esso che tutta la specie sia incapace di fare qualcosa e non esegua i comportamenti specifici che indicano abilità cognitive ben sviluppate. Molte ricerche condotte fino a oggi sulle abilità cognitive degli animali si sono occupate di un numero davvero molto limitato di specie, basandosi sul comportamento di un numero altrettanto limitato di loro membri, tenuti per lo più in ambienti di laboratorio (spesso impoveriti). Se la ricerca sulle abilità cognitive degli animali deve contribuire allo studio delle abilità cognitive umane, è necessario avere un archivio di informazioni più ricco e una prospettiva evoluzionistica di più ampio respiro.
In questo senso il gioco sociale è stato proposto come fertile campo per le future ricerche comparative sulle abilità cognitive degli animali, soprattutto per quanto riguarda la questione di cosa possa avere in mente un animale quando gioca. Infatti, in alcuni casi, gli animali sembrano sapere quali azioni hanno maggiori probabilità di apparire come violazioni delle regole del gioco, e tentano di contrattare con il loro partner affinché esso possa proseguire ugualmente; sembrano quindi possedere la capacità di rappresentarsi gli stati mentali degli altri individui e di adattarvi il proprio comportamento. Tale abilità indica che gli animali comprendono le strutture di vincoli e permessi, e questo potrebbe essere di cruciale importanza per analizzare le capacità umane nell'eseguire compiti che richiedono l'uso di un ragionamento di tipo più astratto.
Quali sono le prospettive per il futuro? È fondamentale, in questo campo, un'adeguata apertura mentale. È improbabile che l'applicazione del criterio 'due pesi, due misure' ‒ ovvero esigere che gli studi sul gioco e sulle abilità cognitive degli animali siano condotti in maniera più rigorosa rispetto agli studi che si occupano di altre aree delle scienze del comportamento ‒ possa rivelarsi produttiva, specialmente quando ciò rischia di condurre al completo abbandono degli studi sulle abilità cognitive degli animali. È anche improbabile che tutte le sofisticate abilità cognitive proprie dell'uomo siano sorte dal nulla. Se vogliamo davvero comprendere qualcosa di più sul gioco e sulle abilità cognitive degli animali, e su come lo studio di queste ultime possa arricchire e motivare lo studio dei processi cognitivi umani, è molto importante che i sostenitori dei diversi modi di considerare la questione interagiscano tra loro.
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