Etologia
L'etologia, o studio comparato del comportamento, è una scienza biologica che può essere definita 'biologia del comportamento'; analogamente alla disciplina madre, essa si divide in varie branche, in quanto alla domanda 'perché un organismo si comporta in una data maniera anziché in un'altra' è possibile rispondere in modi differenti. Un ramo dell'etologia, la fisiologia del comportamento in senso stretto, studia il funzionamento dei meccanismi fisiologici di base; essa cerca fra l'altro di identificare gli stimoli che innescano un dato comportamento e il modo in cui essi vengono elaborati nel sistema nervoso centrale e tradotti infine in risposte motorie. La fisiologia del comportamento si occupa anche dei problemi della motivazione e della coordinazione dei movimenti, impiegando a tal fine i metodi della fisiologia degli organi di senso, della neurofisiologia e della fisiologia ormonale, associati all'osservazione del comportamento.
Gli etologi sono inoltre interessati all'evoluzione dei comportamenti nello sviluppo filogenetico, ontogenetico e storico-culturale; questa problematica è strettamente connessa con quella relativa al modo in cui un dato comportamento favorisce la fitness (idoneità) del portatore del relativo carattere, e quindi con il tipo di funzione che tale comportamento svolge. In una recente branca dell'etologia, la sociobiologia, la genetica delle popolazioni è associata alla problematica ecologica. Nell'indagare la filogenesi dei moduli di comportamento gli etologi si valgono dei metodi comparativi elaborati dagli studiosi di morfologia.
All'origine dell'etologia c'è la scoperta del fatto che ciascuna specie è contrassegnata, oltre che da determinate strutture corporee, da particolari modelli di comportamento, utilizzabili nell'indagine comparata. In quanto scienza del comportamento 'obiettiva' l'etologia è affine al behaviorismo, il quale però se ne discosta per l'importanza preponderante attribuita ai fattori ambientali e per l'adozione di uno schema stimolo-risposta assai semplicistico. Il tentativo del behaviorismo di fondare una scienza del comportamento sul modello della fisica classica e di ricondurre la molteplicità dei fenomeni a poche leggi fondamentali era destinato a fallire. Lo studio del comportamento infatti ha come oggetto gli esseri viventi, che presentano un'organizzazione determinata da condizionamenti selettivi esterni, mentre la fisica ha bensì a che fare con un ordine, ma non con un'organizzazione. Col mondo organico compaiono nuove proprietà del sistema che richiedono strategie di ricerca sostanzialmente diverse.
Ogni indagine prende il via dalla descrizione e dalla classificazione dei fenomeni da studiare. Il fondamento di ogni ricerca etologica è l'etogramma, ossia la lista di tutti i moduli di comportamento tipici di una determinata specie animale. Per descrivere il comportamento sono stati elaborati vari metodi, adeguati alle specifiche problematiche: accanto alla descrizione fisica sono stati elaborati metodi di codifica, come il facial action coding system, messo a punto da P. Ekman e W. V. Friesen (v., 1978), sulla scia di C.H. Hjortsjö (v., 1969), per lo studio della mimica facciale nell'ambito della comparazione culturale. I singoli movimenti definiti per lo più dalla contrazione di determinati muscoli vengono numerati e in tal modo, sulla base di riprese filmate, le sequenze motorie possono essere registrate fotogramma per fotogramma e annotate come in una partitura. La documentazione oggettiva dei moduli comportamentali può richiedere registrazioni del suono oltreché riprese filmate.
I moduli di comportamento possono essere rilevati mediante registratori multipli e memorizzati elettronicamente, così da essere disponibili per successive analisi statistiche della loro durata e frequenza e delle loro interrelazioni. Sono stati elaborati speciali metodi di prelievo dei campioni, tali da rendere la selezione sufficientemente oggettiva: in tal modo l'impiego dello stesso metodo da parte di più ricercatori può condurre a risultati confrontabili tra loro.Particolare attenzione è rivolta dagli etologi al comportamento degli organismi integri, nel loro ambiente naturale; l'analisi statistica dei dati d'osservazione consente di stabilire dei modelli funzionali che facilitano la formazione di ipotesi e la loro verifica sperimentale.
Col termine 'adattamenti' si indicano tutte quelle strutture e quei moduli di comportamento che favoriscono la fitness di un organismo, misurata in base alla sopravvivenza della propria discendenza e di quella dei consanguinei. Gli adattamenti sono il risultato del rapporto degli organismi col loro ambiente, e possono svilupparsi nel corso della filogenesi in quanto le variazioni prodotte da mutazioni vengono selezionate in base alla loro idoneità. Accanto a quello filogenetico vi è un adattamento mediante l'apprendimento per esperienza individuale e inoltre, nell'uomo, un adattamento mediante la trasmissione del sapere. Nei loro adattamenti gli organismi riflettono certe caratteristiche dell'ambiente rilevanti ai fini della fitness: ad esempio, la forma affusolata dei pesci è legata alle proprietà dell'acqua in cui si muovono. Ogni adattamento riproduce dunque un aspetto concreto della realtà; si potrebbe anche dire che gli adattamenti rappresentano delle ipotesi circa il mondo reale. Lo svilupparsi delle pinne, che avviene già nelle uova dei pesci, è un'anticipazione del fatto che l'animale si sposterà nell'acqua e costituisce quindi un'ipotesi sull'ambiente in cui esso vivrà dopo la schiusa, ipotesi che ha dato buone prove di sé nella selezione. Allo stesso modo lo zoccolo del cavallo, che si forma già a livello embrionale, riproduce in anticipo certi caratteri del suolo rilevanti ai fini della locomozione (v. Lorenz, 1973).
Come gli organi, così anche i programmi di comportamento di cui gli organismi sono provvisti si adattano all'ambiente. A quanti mettono in dubbio la funzione di rispecchiamento fedele della realtà svolta dai nuovi adattamenti Mayr (v., 1970) ha fatto notare che la scimmia che non avesse avuto una rappresentazione corretta del ramo su cui intendeva saltare sarebbe presto perita e non figurerebbe fra i nostri antenati.
Nei processi di adattamento gli organismi raccolgono per così dire notizie sul loro ambiente e nell'adattamento filogenetico immagazzinano nel loro patrimonio ereditario le informazioni rilevanti per la fitness. Attraverso la mutazione e la selezione si ha una raccolta di esperienze, un'acquisizione di notizie paragonabile all'apprendimento per tentativi ed errori. L'uomo può trasmettere ai suoi simili le proprie esperienze individuali anche al di fuori del rapporto di procreazione; in tal caso le informazioni non sono immagazzinate nei geni, ma nella memoria degli individui e in mezzi d'informazione artificiali come i libri o le apparecchiature elettroniche. Anche l'evoluzione culturale è soggetta alla selezione naturale: nel corso del tempo gli usi e le abitudini che diminuiscono la fitness tendono a essere eliminati.
Tutte le attività percettive e motorie dipendono dall'attività delle cellule nervose, che sono collegate tra loro e con gli organi sensoriali, i muscoli e le ghiandole in un sistema funzionale. Questo 'cablaggio' si realizza in base a istruzioni fissate nel patrimonio genetico; in seguito i sistemi organici coinvolti nel comportamento - percettivo o motorio che sia - si sviluppano giungendo alla maturità funzionale: si è riusciti a stabilire ciò privando gli animali di determinate informazioni durante l'allevamento. Vari studiosi hanno sostenuto che in pratica non è possibile distinguere ciò che è innato da ciò che è acquisito: un essere vivente non potrà mai essere allevato in modo da essere totalmente privo di esperienze, perché anche nell'uovo o nel corpo materno è soggetto agli influssi dell'ambiente. A ciò si può obiettare che i moduli di comportamento, proprio in quanto forme di adattamento, rispecchiano aspetti della realtà rilevanti per la fitness, e di conseguenza gli organismi devono aver acquisito a un certo punto delle informazioni su queste caratteristiche dell'ambiente. Durante lo sviluppo di un animale è possibile privarlo delle informazioni specifiche riguardanti un determinato adattamento: se ciò nonostante l'animale presenta quel comportamento adattivo, risulta dimostrata l'esistenza di un adattamento filogenetico. Come sinonimo di 'adattato filogeneticamente' si usa spesso il termine 'innato' (v. Lorenz, 1961).
Una balena neonata sa nuotare; uno gnu sa stare in piedi, correre e trottare pochi minuti dopo la nascita; un anatroccolo appena uscito dall'uovo sa correre, nuotare, filtrare il fango col becco, pulire e ingrassare le sue piume, e si comporta come un'anatra anche se lo si fa allevare da una chioccia. Ciò significa che questi comportamenti non possono derivare da un modello sociale: dobbiamo invece supporre che i moduli di comportamento dell'anatroccolo appartengano al suo equipaggiamento motorio innato, ossia che le reti neuronali da cui dipendono queste capacità motorie si sviluppino in base a istruzioni contenute nel patrimonio genetico.
Grazie alle ricerche di Roger Sperry (v., 1959, 1963, 1971) e dei suoi allievi sappiamo in linea di massima in che modo un sistema nervoso possa 'cablarsi' da sé: Sperry ha scoperto infatti che le terminazioni nervose in crescita sono capaci di trovare gli organi 'bersaglio' anche quando questi sono stati dislocati. Il suo esperimento classico, eseguito su un embrione di rana, consisteva nel trapianto di una porzione di pelle dal dorso al ventre (nell'animale adulto la parte trasferita era facilmente riconoscibile per la sua pigmentazione più scura): solleticando la rana sul lembo di pelle trapiantato nel ventre, l'animale si grattava il dorso. I coni di accrescimento neuronali rispondono dunque a stimoli chimici provenienti dagli organi con i quali si debbono collegare, sono cioè 'sintonizzati' con essi. L'ipotesi dell'affinità chimica di Sperry è stata confermata dalle ricerche di C. S. Goodman e M. J. Bastiani (v., 1985). Dai coni di accrescimento nascono numerosi prolungamenti (filopodi) che esplorano in tutte le direzioni la zona circostante, prendendo contatto con altre cellule o altri fasci di fibre. Questi filopodi si allungano nel giro di pochi minuti, muovendosi e ritraendosi; se uno di essi stabilisce un contatto anche lieve con un'altra cellula, aderisce fortemente a essa e la successiva contrazione fa sì che il cono di crescita venga attirato nella direzione di quel filopodio.
Non tutte le capacità motorie sono già pienamente sviluppate al momento della nascita o della schiusa. Ad esempio un anatroccolo maschio appena uscito dal guscio non presenta alcuna attività di corteggiamento, ma quando arriva alla maturità sessuale dispone dei movimenti di corteggiamento propri della sua specie, anche se è stato allevato senza alcun modello sociale: i moduli motori possono dunque giungere a maturazione anche nel corso dello sviluppo.
Il fatto che gli animali hanno capacità motorie innate era noto già a Darwin. Oskar Heinroth (v., 1911) esaminò i movimenti di corteggiamento delle anatre per indagare più a fondo le loro relazioni sistematiche, e denominò questi moduli comportamentali innati 'azioni istintive tipiche di una specie'. Konrad Lorenz (v., 1935) si dedicò allo studio dei moduli innati e insieme con Niko Tinbergen scoprì che le azioni istintive sono costituite da una coordinazione ereditaria e da un'azione di orientamento, o tassia (v. Tinbergen e Lorenz, 1938). Se si mette fuori dal nido l'uovo di un'oca selvatica, questa lo fa rotolare nuovamente dentro, spingendolo con la parte inferiore del becco e tenendolo accuratamente in equilibrio. Se si toglie l'uovo all'oca quando ha già cominciato a spingerlo, essa prosegue il movimento a vuoto, comportandosi come se vi fosse ancora un uovo da trasportare: mancano però i movimenti laterali del becco, e l'oca va verso il nido mantenendo il collo dritto. Quest'azione, che una volta avviata prosegue anche senza l'intervento di stimoli esterni, costituisce la coordinazione ereditaria. I movimenti di aggiustamento laterali, che cessano col venir meno degli stimoli scatenanti, costituiscono l'azione di orientamento. Il rapporto tra movimento istintivo e tassia è paragonabile a quello tra il motore e lo sterzo di un'automobile: ogni mutamento di direzione richiede un impulso esterno, mentre il motore, una volta avviato, continua a girare anche senza l'intervento di impulsi esterni.
Le ricerche di neuroetologia hanno dimostrato che di norma le coordinazioni ereditarie sono automaticamente prodotte da sistemi generatori centrali ('automatismi': v. von Holst, 1935 e 1939). Si tratta di gruppi di cellule (motoneuroni e interneuroni) in grado di inviare alla periferia - anche senza eccitazione afferente e senza messaggi di ritorno - una sequenza regolare di impulsi che determinano movimenti ben coordinati. Un quadro d'insieme di questi sistemi generatori centrali è stato fornito da F. Delcomyn (v., 1980).
Programmi di tipo motorio innati esistono anche nell'uomo (v. Eibl-Eibesfeldt, 1986²). Il neonato, ad esempio, ha un vasto repertorio di coordinazioni ereditarie. È capace di succhiare e di cercare il seno della madre con movimenti ritmici della testa ('automatismo di ricerca'); se è tenuto in posizione eretta su una base di sostegno, accenna i movimenti del camminare; è già sviluppato in lui il riflesso prensorio della mano. Il neonato volge gli occhi verso il viso della madre che parla, come se la guardasse: questo tipo di coordinazione ereditaria, osservabile anche nei ciechi nati, serve a legare affettivamente la madre al bambino. Il neonato ha inoltre un repertorio di vocalizzazioni ben definite, che fungono da segnali con differenti significati (v. Morath, 1977); altrettanto diversificato è il repertorio dei movimenti facciali, con cui vengono comunicate sensazioni di benessere o di disagio. Il benessere viene manifestato col sorriso; alle sensazioni gustative sgradevoli (amaro, aspro) e a quelle piacevoli corrispondono espressioni facciali differenziate analoghe a quelle degli adulti; ed è interessante notare che queste espressioni appaiono anche nei bambini privi di encefalo. Sebbene la mimica facciale si formi in gran parte successivamente, lo studio dei bambini nati ciechi e sordi ha dimostrato che essi presentano una mimica in tutto simile a quella dei loro coetanei sani, che hanno potuto vedere e udire dei modelli sociali: anche i bambini ciechi e sordi dalla nascita ridono, sorridono, piangono ed esprimono mimicamente la collera (v. Eibl-Eibesfeldt, 1973). Lo studio comparato delle culture dimostra inoltre che la mimica umana è dappertutto la stessa fin nei particolari. Ad esempio, in tutte le culture è in uso il saluto oculare consistente in un rapido sollevarsi delle sopracciglia per una presa di contatto amichevole a distanza. Dapprima il soggetto alza bruscamente il capo, solleva per una frazione di secondo le sopracciglia e contemporaneamente sorride, poi fa un cenno col capo e interrompe rapidamente il contatto visivo. (Sui determinanti culturali e filogenetici del comportamento espressivo umano v. Eibl-Eibesfeldt, 1986² e Eibl-Eibesfeldt e altri, 1989).
Gli adattamenti filogenetici non determinano soltanto il comportamento motorio: gli animali sono anche in grado di reagire in modo adattivo, di primo acchito, a determinate situazioni di stimolo in quanto dispongono di rilevatori sintonizzati su parametri biologicamente rilevanti della situazione di stimolo. Una rana appena uscita dallo stadio di girino è già in grado di afferrare piccoli oggetti in movimento e non ha bisogno di apprendere prima da un modello che cosa sia una preda, anche se nello stadio di girino si nutriva in modo del tutto diverso. Una serie di esperimenti ha dimostrato che rane e rospi reagiscono a piccoli oggetti in movimento e a oggetti di forma allungata, somiglianti a vermi, facendo scattare la lingua; è facile ingannarli con zimbelli, ad esempio lanciando delle pietruzze, ma presto gli animali imparano a distinguere ciò che è commestibile da ciò che non lo è. Oggetti estesi in verticale scatenano invece reazioni di fuga (v. Ewert, 1974).I meccanismi mediante i quali avviene questo riconoscimento dello stimolo sono detti 'meccanismi scatenanti innati'; essi agiscono come filtri, consentendo l'attivazione di certi moduli di comportamento solo in presenza di determinati stimoli-chiave. Lorenz ha usato spesso in proposito il paragone con il rapporto serratura-chiave. Nello studio dei meccanismi scatenanti innati si è particolarmente distinto, fin dai primordi della ricerca etologica, Niko Tinbergen (v., 1951).
Nel mondo animale molte reazioni sociali sono attivate da meccanismi scatenanti innati. Poiché in questo caso è importante che vi sia 'comprensione' reciproca tra chi invia il segnale e chi lo riceve, si giunge a un mutuo adattamento, nel senso che il primo ha elaborato specifici segnali, o stimoli scatenanti sociali, a cui il secondo si è adattato con i suoi apparati percettivi. Le ricerche con modelli hanno dimostrato che si tratta sempre di un numero ristretto di segnali, capaci di innescare moduli di comportamento ben determinati, relativi al corteggiamento, alla minaccia, alla lotta, ecc. Un caso esemplare è quello studiato da G. K. Noble e H. T. Bradley (v., 1933). I maschi dell'iguanide Sceloporus undulatus hanno delle strisce blu sui fianchi, mentre le femmine sono di colore grigio; se si dipingono delle strisce blu su una femmina questa viene attaccata dai maschi, mentre un maschio dipinto interamente di grigio viene corteggiato come se fosse una femmina. I segnali che innescano queste reazioni sono spesso molto semplici. Nel pettirosso è la colorazione del petto a scatenare le reazioni aggressive dei conspecifici: basta introdurre nel territorio di un pettirosso un ciuffo di penne rosse fissato su un ramo per provocare nell'occupante un forte comportamento aggressivo. Invece un pettirosso maschio impagliato al quale siano state asportate dal petto le penne rosse non è più oggetto di attenzione: sebbene siano presenti tutti gli altri caratteri della specie, manca il segnale tipico del rivale, in grado di scatenare la lotta. Nel periodo dell'accoppiamento lo spinarello maschio (Gasterosteus aculeatus) ha il ventre colorato di rosso, mentre la femmina è caratterizzata da un ventre argenteo rigonfio. Questi segnali sono sufficienti a innescare nel maschio l'aggressione o il corteggiamento. Una semplice sagoma oblunga dipinta di rosso nella parte inferiore, ma senza pinne, scatena il comportamento aggressivo, mentre un modello con la parte corrispondente al ventre argentata innesca il corteggiamento. Anche gli spinarelli maschi allevati in isolamento fin dalla loro uscita dall'uovo si comportano nello stesso modo. Spesso un comportamento può essere innescato da più segnali visivi, acustici e olfattivi, ognuno dei quali provoca una reazione di una certa intensità: se essi agiscono contemporaneamente, i singoli effetti si sommano (legge della sommazione degli stimoli: v. Seitz, 1941). Nelle ricerche con modelli è possibile talvolta produrre segnali 'supernormali', capaci di scatenare reazioni più intense di quelle attivate dai segnali naturali: ciò dimostra che l'effetto di un meccanismo scatenante innato può essere amplificato.
I segnali sociali interessano tutte le sfere sensoriali (vi sono infatti segnali visivi, acustici, olfattivi, di tipo vibratorio e persino elettrici), e su di essi esiste una ricca letteratura (v. Eibl-Eibesfeldt, 1987⁷). La possibilità di provocare determinate reazioni per mezzo di imitazioni viene utilizzata da molte specie animali, che falsificano i segnali per manipolare a proprio vantaggio il comportamento di altre specie. I pesci della famiglia Lophiidae hanno sul raggio anteriore mobile della pinna dorsale una piccola esca con cui attirano le prede; la tartaruga-alligatore Macroclemmys temminckii pesca a bocca aperta, avendo sull'estremità della lingua un'appendice rossa che imita il movimento di un verme. Esiste inoltre un mimetismo intraspecifico. Il gesto di pacificazione dell'amadriade femmina, consistente nel presentare il posteriore, è stato adottato anche dal maschio come gesto di saluto; l'efficacia di questo segnale è accresciuta dal fatto che il maschio ha imitato anche la colorazione rossa del posteriore, in zone cutanee che non sono omologhe di quelle con cui inviano segnali le femmine. Altri esempi di falsificazione dei segnali sono citati da W. Wickler (v., 1968).
Sono detti 'movimenti espressivi' quei moduli di comportamento che hanno subito una particolare differenziazione, finalizzata all'emissione di segnali. A tale scopo i movimenti si sono semplificati e si sono fatti più vistosi, ad esempio mediante la ripetizione ritmica o un notevole aumento di ampiezza; spesso l'efficacia del movimento è esaltata dalla formazione di strutture morfologiche supplementari, come criniere o piumaggi. Il processo di sviluppo dei movimenti espressivi è detto 'ritualizzazione'. Questa nasce da moduli comportamentali che ricorrono con sufficiente regolarità in una data situazione, così da costituire degli indicatori attendibili di una specifica disponibilità all'azione da parte di un animale (del suo 'umore'). Possono evolversi in segnali alcuni epifenomeni come il rossore, il tremito e simili: ad esempio, il tremito della coda che in molti roditori si associa all'eccitazione della lotta è diventato nell'istrice un segnale di minaccia, in quanto gli aculei caudali si sono trasformati in organi risonanti che producono un suono minaccioso quando l'animale scuote la coda. Non di rado i moti intenzionali dell'aggressione e del morso si sono evoluti in gesti di minaccia. I moduli comportamentali sviluppatisi nei genitori con la cura della prole e i richiami dei piccoli che li innescano sono spesso ritualizzati in atti di corteggiamento. L'accarezzarsi col becco tipico di molti uccelli è una ritualizzazione dell'atto di imbeccare i piccoli, e anche nell'uomo il bacio deriva da un atto di cura della prole, il cosiddetto bacio di nutrizione. I primati più vicini a noi, gli scimpanzé e i gorilla, alimentano i loro piccoli bocca a bocca e da adulti usano questo comportamento per esprimere una disposizione amichevole (v. Eibl-Eibesfeldt, 1970).
Nel campo della percezione sono stati riscontrati anche nell'uomo esempi di adattamento filogenetico. Le illusioni ottiche ricorrono, con caratteri più o meno marcati, in tutte le culture. Quando guardiamo la luna piena col cielo leggermente coperto in una notte ventosa, abbiamo l'impressione che sia la luna a muoversi anche se sappiamo benissimo che in realtà sono le nuvole a spostarsi. Evidentemente nella nostra percezione è iscritta l'esperienza filogenetica, importante per la sopravvivenza, secondo cui di solito gli oggetti si muovono su uno sfondo che resta fermo. Quando due luci affiancate in senso orizzontale vengono fatte lampeggiare al buio una dopo l'altra ci sembra di percepire un movimento; anche qui la prima impressione è adattiva, e deriva dal fatto che in genere si ha una percezione intermittente di un oggetto in movimento se viene temporaneamente coperto da un altro oggetto. Se si tiene seduto un lattante di due settimane su un seggiolone e si proiettano su uno schermo davanti a lui delle ombre che si dilatano simmetricamente, il piccolo ha la sensazione che un oggetto gli venga addosso: chiude allora gli occhi, volta la testa e alza una mano in un gesto di difesa, ossia mette in relazione l'impressione visiva con certe aspettative tattili, prima ancora di aver fatto esperienze di questo tipo. Se invece le ombre si dilatano asimmetricamente, il piccolo le interpreta come oggetti che gli passano davanti e non ha nessuna reazione di difesa (v. Ball e Tronick, 1971). Il neonato imita le espressioni facciali di chi gli sta davanti: se qualcuno sbadiglia, o mostra la lingua, il bambino fa lo stesso (v. Meltzoff e Moore, 1977; per riferimenti bibliografici v. Eibl-Eibesfeldt, 1986²).
Le ricerche con modelli condotte da alcune industrie hanno dimostrato che la mimica umana è caratterizzabile con pochi tratti molto semplici e che anche immagini fortemente schematizzate possono provocare reazioni di notevole intensità. Un cerchio con due punti e una linea incurvata all'in su viene interpretato come un volto dall'espressione lieta e amichevole, mentre se la linea che raffigura la bocca è incurvata all'in giù si ottiene l'effetto opposto. Le industrie di giocattoli producono bambole in cui i tratti infantili sono estremamente accentuati e che risultano particolarmente accattivanti. Lorenz ha analizzato le caratteristiche infantili alle quali l'uomo reagisce in modo innato: si tratta in primo luogo di proporzioni tipiche, nel senso che nei bambini piccoli la testa è particolarmente voluminosa rispetto al tronco, gli arti sono corti e la figura tondeggiante. È sufficiente esagerare le proporzioni della testa per ottenere oggetti accattivanti. Seguendo l'evolversi dei modelli di orsacchiotti negli ultimi cinquant'anni si è notato che questa tendenza si è andata accentuando sempre più, dando origine a orsetti con la testa più grossa del tronco e con gli arti ridotti a bottoni lanosi. Altri caratteri infantili sono la parte posteriore del cranio più voluminosa e il viso più piccolo e con le guance paffute. Anche questi tratti vengono spesso esagerati, ad esempio nei cartoni animati di Walt Disney. Anche l'attrazione sessuale è caratterizzata da segnali visivi facilmente riproducibili nelle ricerche con modelli. Numerosi esempi sono offerti anche in questo caso dall'industria dei cartoni animati.
I segnali a cui l'uomo reagisce in modo innato non si limitano all'ambito visivo, ma comprendono anche, come già abbiamo accennato, i segnali acustici. Esistono importanti segnali universali nella modulazione della voce: quando si parla con tenerezza a un bambino, s'innalza il tono di voce di un'ottava, e questa reazione caratteristica è stata riscontrata in tutte le culture finora esaminate. Gli stimoli olfattivi (feromoni) hanno anch'essi un ruolo importante nei rapporti interumani. Nel periodo compreso tra la pubertà e la menopausa le donne presentano una soglia di sensibilità olfattiva alle sostanze muschiate inferiore a quella degli uomini, e tale soglia inoltre varia nel corso del ciclo. Nel periodo dell'ovulazione le donne percepiscono in modo particolarmente acuto queste sostanze aromatiche. I mammiferi maschi producono il feromone androstenolo, che nel cinghiale ha l'effetto di immobilizzare la femmina in calore; anche il maschio della specie umana produce sostanze analoghe, contenute tra l'altro nel sudore delle ascelle. È risultato sperimentalmente che sedie spruzzate con androstenolo hanno un effetto respingente sugli uomini, e un effetto di attrazione sulle donne. Percezione e reazione avvengono in questi casi in modo del tutto inconscio (per la bibliografia v. Eibl-Eibesfeldt, 1986²).
Sono così denominate quelle strutture nervose centrali in cui sono immagazzinate informazioni (nozioni, esperienze) con le quali vengono confrontati i messaggi in arrivo. Questi modelli di riferimento possono essere stati acquisiti nel corso della filogenesi o mediante processi di apprendimento. L'esistenza di modelli di riferimento innati è stata accertata sperimentalmente, ad esempio negli uccelli. I fringuelli (Fringilla coelebs) devono apprendere il loro canto, ma se si fanno ascoltare loro vari modelli di canto, essi scelgono quello della propria specie, riconoscendolo come 'corretto' sulla base di un modello di riferimento innato (v. Thorpe, 1958; per altri esempi v. Marler, 1976). I modelli innati determinano tra l'altro l'orientamento di un organismo nello spazio, e in essi è fissata la conoscenza dei comportamenti 'corretti', comprendenti nel caso dell'uomo anche le norme etiche. Alcune di queste potrebbero essere fondate su adattamenti filogenetici: Lorenz (v., 1943; v. Wickler, 1971) ha parlato a tale proposito di 'schemi di riferimento etici'. La deviazione dalle norme, siano esse norme acquisite o norme innate, provoca un senso di disagio: in questo fenomeno è probabile che abbiano un ruolo decisivo alcuni processi chimici cerebrali.
Se si osserva il comportamento degli animali, si nota che questi non attendono passivamente l'intervento di stimoli, ma quando sono affamati, assetati, aggressivi, sessualmente eccitati o curiosi, mostrano il cosiddetto comportamento appetitivo, ossia cercano attivamente situazioni di stimolo capaci di innescare un dato comportamento (cattura della preda, lotta, corteggiamento) o di soddisfare la curiosità. Gli animali presentano specifiche disponibilità all'azione, che variano anche in mancanza di corrispondenti variazioni nell'ambiente esterno. Le fluttuazioni delle disponibilità all'azione - definite anche 'umori' - dipendono a quanto pare da processi che si svolgono nell'organismo stesso, ai quali naturalmente si aggiungono influssi eccitatori o inibitori provenienti dall'esterno (stimoli corroboranti). Ad esempio, in molti animali l'impulso riproduttivo aumenta al trascorrere delle ore; vi sono anche fluttuazioni stagionali, riconducibili a una periodicità innata in molte specie. Sia negli animali che nell'uomo le disponibilità all'azione variano nelle ventiquattr'ore secondo un ritmo circadiano innato, esattamente regolato da sincronizzatori esterni (v. Aschoff, 1965 e 1981). Spesso sono variazioni nell'omeostasi fisiologica ad avviare un determinato comportamento, come avviene ad esempio per la sete e la fame. Quando il valore osmotico del plasma sanguigno diventa troppo elevato, gli osmorecettori situati nell'ipotalamo attivano un comportamento appetitivo nei riguardi dell'acqua; la sete si placa quando il valore osmotico torna normale, e infatti è possibile spegnerla direttamente iniettando nelle vene acqua distillata. Poiché di norma occorre un certo tempo prima che l'acqua entri in circolazione, esistono dei meccanismi che ne regolano e ne interrompono l'ingestione - ad esempio i movimenti che si compiono nel bere e il grado di pienezza dello stomaco - e impediscono quindi che l'organismo assuma un eccesso di acqua. Lo stesso accade per l'ingestione di cibo, che è regolata dal tasso di glucosio nel sangue.
Vi sono peraltro moltissime disponibilità all'azione che non sono affatto connesse col ristabilimento dell'omeostasi fisiologica; talvolta le fluttuazioni della disponibilità specifica sono determinate esclusivamente dal sistema nervoso centrale. Il primo a rendersi conto di tale fenomeno fu Lorenz (v., 1935), osservando il comportamento di uno storno da lui allevato. Pur essendo ben nutrito, di tanto in tanto lo storno si alzava al volo dal suo posatoio, afferrava una preda inesistente e una volta tornato sul trespolo mimava l'uccisione della preda, poi deglutiva e si acquietava per un certo tempo. Lorenz concluse che il comportamento relativo alla caccia deriva da un impulso autonomo, indipendente dall'assunzione di cibo, e che nell'animale privato della possibilità di cacciare la soglia dell'intensità dello stimolo per questo comportamento si abbassa continuamente fino a dare origine, in certi casi, ad azioni a vuoto. Lo svolgimento dell'azione sembra acquietare la pulsione, e ciò vale anche per i comportamenti motori: gli animali predatori hanno un impulso a muoversi particolarmente forte, che in cattività scaricano andando su e giù nella gabbia per molte ore.
La chiave per comprendere questo fenomeno è stata fornita dalle ricerche condotte da E. von Holst (v., 1935 e 1939) sulle anguille. Egli separò con un'incisione l'encefalo dal midollo spinale e tagliò le radici nervose dorsali attraverso cui i messaggi provenienti dalla periferia arrivano al midollo, risparmiando solo le radici motorie che comandano i movimenti muscolari; dopo aver superato il trauma operatorio, le anguille continuarono fino all'ultimo a nuotare in modo sciolto e ben coordinato. Ciò dimostra che nel sistema nervoso centrale dei vertebrati esistono gruppi cellulari motori, che si attivano automaticamente, i cui impulsi vengono trasmessi alla muscolatura dopo essere stati coordinati centralmente. Viene quindi smentita la teoria dei riflessi, secondo cui ogni movimento richiederebbe uno stimolo afferente. Si pensava ad esempio che i movimenti natatori dell'anguilla fossero prodotti da una catena di riflessi, nel senso che la contrazione di un segmento provocherebbe, attraverso stimoli sensoriali interni, la contrazione di quello contiguo.Con la scoperta degli automatismi von Holst ha posto i fondamenti di una disciplina, la neuroetologia. Nella motivazione neurogena hanno un ruolo decisivo i processi chimici cerebrali: negli anni settanta è stato identificato nei peptidi e nelle ammine cerebrali un gruppo di sostanze capaci di favorire o inibire selettivamente l'attività di determinate popolazioni neuronali e di modificare quindi la specifica disponibilità all'azione di un animale. Fra queste sostanze vi sono le endorfine (oppioidi cerebrali), che procurano un senso di benessere e reprimono le sensazioni dolorose, influendo così in modo determinante sul comportamento sociale. Gli animali giovani, e nelle specie sociali anche quelli adulti, presentano fenomeni di stress da isolamento quando vengono separati dalla madre o dagli altri membri del gruppo; negli animali giovani questo tipo di stress è alleviato dalle sostanze che stimolano la produzione di oppioidi cerebrali, mentre sostanze antagoniste provocano un aumento dell'inquietudine (v. Panksepp e altri, 1985). All'azione di appagamento delle pulsioni esercitata dagli oppioidi cerebrali si contrappone quella eccitante delle catecolammine, al cui gruppo appartengono la noradrenalina, la dopammina e la feniletilammina.
L'apprendimento viene canalizzato da adattamenti filogenetici di vario tipo - modelli normativi, impulsi, ecc. - in modo che in generale venga appreso ciò che favorisce la fitness. Ciò significa che le capacità di apprendimento variano da specie a specie, perché ciò che favorisce la fitness è diverso per ognuna di esse. Gli adattamenti filogenetici determinano le opportune associazioni. Ad esempio la nausea viene associata con ciò che si è ingerito qualche tempo prima della sensazione di malessere, e non con gli eventi percepiti contemporaneamente a essa; il dolore viene associato con gli stimoli sensoriali che si presentano sul momento. Gli stimoli punitivi agiscono in modo diverso nei vari cicli funzionali. Se si punisce con impulsi elettrici un gallo quando assume atteggiamenti aggressivi, l'animale perde rapidamente quest'abitudine; se invece lo si punisce per un comportamento di sottomissione, la reazione si consolida, nel senso che col susseguirsi delle punizioni il gallo diventa sempre più sottomesso. Se si punisce una giovane scimmia Rhesus quando si rifugia presso la madre, questo comportamento tende a intensificarsi; negli adulti, che quando sono impauriti si rifugiano presso gli individui di rango superiore, si ha una reazione simile anche nel caso che gli stimoli punitivi provengano dagli stessi capi del gruppo. Gli esseri umani reagiscono in modo analogo. Spesso i bambini sono molto legati ai genitori che li maltrattano, e in ogni epoca i tiranni hanno sfruttato l'attaccamento suscitato dalla paura per assicurarsi l'obbedienza delle masse.
Un tipo particolare di disposizione all'apprendimento è quello che Lorenz (v., 1935) ha definito imprinting, ed è caratterizzato dal fatto che l'apprendimento è limitato a un breve periodo (fase sensibile) ed è irreversibile: in pratica gli imprintings si mostrano resistenti a ogni terapia. Il fenomeno è stato studiato a fondo nella reazione del seguire tipica degli uccelli giovani, per cui, ad esempio, le oche e i polli appena nati tendono a seguire il primo essere animato con cui vengono a contatto. Se il primo contatto di un'oca selvatica appena uscita dall'uovo è con un essere umano, l'oca gli rivolge un richiamo di saluto e, quando si cerca di spingerla verso la madre, si rifiuta di rimanerle vicino e rincorre l'uomo, emettendo i richiami tipici della situazione di abbandono. Ciò che si verifica in questi casi è stato spiegato da E. Wallhäuser e H. Scheich (v., 1987). Essi hanno scoperto nel proencefalo dei pulcini un tipo di grandi cellule le cui fibre afferenti (dendriti) presentano, nel caso di soggetti non sottoposti a imprinting, molte piccole appendici (spine): si tratta di estensioni destinate alla sinapsi con altre cellule nervose e paragonabili a 'postazioni d'ascolto' neuronali. Se l'imprinting relativo alla reazione del seguire avviene su un suono puro (monofrequenza), il numero delle appendici si riduce; se invece avviene sul verso naturale della chioccia, che ha uno spettro di frequenza più ampio, la riduzione è minore, ma ancora sensibile. L'imprinting sembra quindi provocare un restringimento irreversibile del campo di ricezione dei neuroni e una loro sintonizzazione su segnali ben definiti.
L'imprinting su un oggetto può avvenire anche quando il modulo di comportamento rispondente non è ancora giunto a maturazione. Talvolta gli animali allevati dall'uomo al momento della maturità sessuale dimostrano di aver subito un imprinting da lui, anche se nel frattempo hanno avuto rapporti normali coi propri conspecifici. Se ad esempio si alleva una taccola (Corvus monedula) lasciandola poi libera di unirsi alle sue simili quando impara a volare, l'anno dopo, raggiunta la maturità sessuale, essa corteggerà gli esseri umani.
Attraverso un processo di apprendimento simile all'imprinting si formano anche i modelli di riferimento che fissano in modo irreversibile il comportamento o in base ai quali vengono appresi i moduli motori. Il passeriforme Taeniopygia castanotis impara per imprinting il canto dei genitori da cui è allevato, e in base a questo modello normativo è in grado più tardi, al tempo della maturità sessuale, di eseguire il canto proprio della sua specie. Se però i maschi sono allevati da esemplari di Lonchura striata, un anno dopo cantano come questi, anche se nel frattempo hanno trascorso parecchi mesi coi propri conspecifici: prevale cioè la breve esperienza fatta durante la 'fase sensibile' (v. Immelmann, 1965; v. Hess, 1973).
L'apprendimento è fondato su un impulso che spinge l'essere vivente all'esplorazione attiva e che possiamo definire 'curiosità'. I mammiferi superiori, ad esempio, si servono del gioco per acquisire esperienze. Perché questi animali possano agire in un campo privo di tensioni, senza l'emotività che di solito è associata ai moduli comportamentali della lotta, della fuga e della predazione, si è sviluppata in loro la capacità di svincolare queste azioni dalle istanze neuronali a esse normalmente preposte: in tal modo l'animale può sperimentare liberamente le sue possibilità motorie ed esplorare l'ambiente in cui vive (v. Eibl-Eibesfeldt, 1987⁷). Nell'uomo l'esplorazione sociale assume una particolare importanza. Spesso i bambini provocano piccoli conflitti allo scopo di trarre informazioni dall'atteggiamento dei loro partners: ad esempio, tolgono qualcosa a un compagno di gioco e ne osservano le reazioni. Questo comportamento aggressivo-esplorativo equivale a porre una domanda all'ambiente sociale. In questo modo infatti il bambino cerca di stabilire i limiti del suo campo d'azione sociale, e se la domanda non ottiene risposta, l'aggressività esplorativa per sua natura aumenta (v. Hassenstein, 1973). In tal caso, infatti, il bambino ritiene che il suo comportamento sia conforme alla norma, e quindi accettabile, ed è portato ad ampliare ulteriormente il proprio campo d'azione.
Il decorso regolare di un'interazione tra due partners segue spesso questo schema: il comportamento di uno di essi costituisce per l'altro uno stimolo cui reagire, e tale reazione rappresenta a sua volta un segnale che innesca la reazione successiva del primo partner. Quando uno spinarello maschio (Gasterosteus aculeatus) avvista una femmina, inizia una danza di corteggiamento a zig-zag; la femmina presenta allora in una postura particolare il ventre argenteo gonfio di uova; il maschio la conduce verso il nido, e se la femmina lo segue gliene indica l'ingresso; se essa vi entra, il maschio le strofina col muso la base della coda, e a questo segnale la femmina depone le uova, che il maschio feconda. In tal modo, attraverso una catena di azioni e reazioni reciproche, gli animali arrivano all'azione terminale (v. Tinbergen, 1951). Una serie di reazioni a catena può verificarsi anche per un singolo animale in interazione con l'ambiente, in quanto col suo comportamento si pone in situazioni di stimolo sempre diverse che attivano un nuovo comportamento.
Spesso le disponibilità all'azione si susseguono in un ordine prestabilito. Solo dopo essere migrato in acque basse e aver occupato un territorio uno spinarello è pronto alla lotta o al corteggiamento, mai però alle due cose insieme. Certi moduli comportamentali infatti si inibiscono a vicenda, mentre altri si favoriscono reciprocamente e presentano un'identica fluttuazione della soglia degli stimoli scatenanti. Per spiegare questi fenomeni Tinbergen (v., 1951) ha ipotizzato l'esistenza di una gerarchia di centri funzionali nel sistema nervoso centrale. Egli concepisce l'istinto come un meccanismo nervoso organizzato gerarchicamente, che reagisce a stimoli scatenanti, direzionali o corroboranti, sia interni che esterni, con comportamenti che favoriscono la fitness. In questo sistema è possibile distinguere istinti di livello più o meno elevato. Nella gerarchia dei centri nervosi che presiedono al comportamento riproduttivo dello spinarello maschio la posizione sovraordinata spetta al centro della migrazione, che in primavera guida l'animale verso le acque basse; qui viene attivato il centro territoriale, e solo dopo l'occupazione del territorio possono attivarsi i centri del terzo livello relativi alla cura della prole, al corteggiamento, alla nidificazione e alla lotta; cura dei piccoli, lotta e corteggiamento si inibiscono reciprocamente.
Il comportamento concreto attivato dai moduli associati a questi istinti dipende dalle particolari situazioni di stimolo: quando lo spinarello femmina si mostra al maschio questo la guida verso il nido; la minaccia da parte di un rivale provoca una controminaccia. È risultato sperimentalmente che certi moduli di comportamento ne inibiscono altri (ad esempio, il morso inibisce il corteggiamento); moduli a basso livello di integrazione sono spesso al servizio, come attività strumentali, di diversi istinti subordinati.Il comportamento umano può essere concepito come una sequenza di azioni che conducono a un determinato scopo: uno stesso scopo può essere ottenuto in modi diversi, ossia mediante sequenze diverse, e quindi esistono momenti di decisione in cui si apre la scelta tra più alternative. Le varie possibilità compongono una rete di percorsi che conducono a uno scopo, e la sequenza prescelta costituisce una 'strategia'. Lo studio comparato delle culture mostra peraltro l'esistenza di una serie di strategie interattive di base. Il modo di presentarsi per acquistare la considerazione altrui, le procedure da seguire per ottenere qualcosa, per rafforzare un legame, per stabilire un contatto amichevole, per neutralizzare un'aggressione, seguono un modello di base uniforme; a quanto pare in ciascuna di queste situazioni vi è un numero limitato di comportamenti possibili. Ad esempio, una strategia universalmente diffusa per neutralizzare un'aggressione è la minaccia d'interrompere il contatto: il bambino la esprime volgendo bruscamente e ostentatamente le spalle al partner, interrompendo così il contatto visivo. I rapporti sociali sono di fondamentale importanza per gli esseri umani, che sin da piccoli difendono i legami con i propri simili dalle interferenze di fratelli e sorelle, e in seguito - attraverso il sentimento della gelosia - da eventuali rivali; ogni minaccia di troncare questi rapporti è avvertita come un grave pericolo. La strategia non verbale sopra descritta, attuata con modalità quasi identiche dai bambini di tutto il mondo, può anche essere verbalizzata, secondo una possibilità che è peculiare dell'uomo, con frasi del tipo 'con te non parlo più', che producono lo stesso effetto e sono ugualmente presenti in varie culture. A questo punto l'offensore di solito muta atteggiamento e cerca una riconciliazione, da solo o facendo intervenire una terza persona. Ciò che avviene nei contrasti fra gli individui si riscontra anche nei conflitti tra i gruppi e persino in quelli tra gli Stati; questi ultimi 'mettono il broncio' minacciando di interrompere le relazioni diplomatiche, la qual cosa dimostra che per organizzare i nostri rapporti sociali abbiamo a disposizione, tutto sommato, un repertorio di moduli comportamentali piuttosto ristretto. Naturalmente, perché la minaccia di rompere i rapporti risulti efficace, è necessario che sussista un qualche legame tra gli interessati. Nell'anonima società di massa mancano spesso i legami tra simili, ed è questa, probabilmente, una tra le molte cause dell'aumento della criminalità. I segnali destinati a bloccare l'aggressione infatti spesso restano privi di effetto quando mancano rapporti personali.
Sull'ontogenesi della strategia sopra descritta disponiamo delle osservazioni di L. Murray (v., 1977). Questi istruì un gruppo di madri a rimanere perfettamente immobili per un minuto nel campo visivo del figlio lattante, riprendendo poi a occuparsi di lui. Nel periodo d'interruzione i piccoli si sforzavano di ristabilire il contatto con la madre, mostrandosi fortemente turbati dalla sua indifferenza, ma quando la madre si dedicava nuovamente a essi, si scostavano imbronciati e rifiutavano per un certo tempo il contatto, mostrandosi chiaramente offesi, il che provocava un intensificarsi dei tentativi materni di ripristinare il rapporto. È del tutto improbabile che questi lattanti agissero già coscientemente; ritengo piuttosto che esista una specie di grammatica del comportamento sociale, universalmente valida, secondo la quale vengono organizzate sia le interazioni verbali, sia quelle non verbali. Con tale ipotesi si supererebbe lo iato fra i due tipi d'interazione e si aprirebbe la strada alla ricerca di regole di condotta sociale valide per entrambi i tipi e per tutta l'umanità.
Nelle indagini comparative sulle diverse culture e nelle osservazioni compiute negli asili infantili tedeschi abbiamo potuto notare che il movimento intenzionale di togliere qualcosa a un partner non viene interpretato come una richiesta, ma come un'aggressione: se si desidera che l'altro ceda volontariamente un oggetto, occorre mostrare chiaramente di riconoscere la sua qualità e i suoi diritti di proprietario, senza costringerlo a cedere, ma lasciandolo libero di decidere se acconsentire o no alla richiesta. Nel linguaggio non verbale ciò avviene porgendo la mano aperta con la palma all'in su, ossia con lo stesso gesto che gli scimpanzé usano per elemosinare qualcosa. Nell'uomo queste strategie possono essere verbalizzate. Così come l'atto di afferrare un oggetto viene sentito come un'aggressione, provocando un rifiuto, anche una richiesta espressa in tono di comando va incontro a un diniego. Se tra i due partners vi è una notevole differenza di rango, l'inferiore può talvolta cedere, ma la richiesta viene allora assimilata a un atto di forza. Perché l'oggetto venga ceduto volontariamente, va chiesto in modo che il possessore non si senta sottoposto a una costrizione. Così un Eipo che desidera ornarsi con la penna di un altro si limita ad accennare incidentalmente, nel corso della conversazione, al fatto che essa gli piace: il partner può allora donargliela, ma può anche spiegargli i motivi per cui non vorrebbe separarsene, ad esempio perché l'ha ricevuta da un caro amico.
A nostro avviso da questi esempi emerge una regola generale sull'impiego di differenti strategie. Tra le varie strategie praticabili - nel caso in questione il pretendere, il chiedere per favore e il chiedere velatamente - si adotta in prima istanza quella che lascia aperto il maggior numero di possibilità, e cioè la richiesta velata. In effetti, in determinate circostanze la richiesta diretta può avere più spesso successo, ma se viene respinta nettamente la questione di solito è chiusa e restano ben poche probabilità di ottenere pacificamente l'oggetto desiderato; per di più, il rifiuto viene sentito come un'aggressione, e quindi il rapporto tra i due partners si deteriora. Ciò è confermato dalle ricerche di W. A. Corsaro (v., 1979), da cui è risultato che in genere i bambini desiderosi di partecipare a un gioco raramente ne fanno esplicita richiesta (anche se tale richiesta per lo più verrebbe accolta), ma preferiscono assumere in un primo momento un ruolo marginale e inserirsi poi gradualmente nel gioco. Questa strategia ha il vantaggio di raggiungere lo scopo con maggior sicurezza, anche se più lentamente. Si evita infatti il rischio di essere senz'altro rifiutati, il che impedirebbe un ulteriore approccio, e si lascia aperto il maggior numero possibile di alternative.
Nelle regole di comportamento sociale fissate dagli adattamenti filogenetici sequenze motorie innate (movimenti espressivi), modelli di comportamento di ordine culturale (rituali) e linguaggio verbale possono sostituirsi a vicenda. Ciò comporta una molteplicità di forme espressive che può far dimenticare facilmente le regole di base comuni a tutte.
Nella presa di contatto amichevole, ad esempio nel saluto, si osserva di norma un'associazione di atti di autoaffermazione e di atti amichevoli e pacificatori. Così, quando uno Yanomamö entra in un villaggio in cui è stato invitato come ospite, esegue una danza circolare assumendo un contegno molto bellicoso: ha un'espressione sdegnosa e altera, indossa un'armatura completa e tende continuamente il suo arco. Si comporta cioè in modo ben lontano dall'idea di buon vicinato, ma al suo fianco danzano bambini con fronde verdi in mano. Il messaggio è chiaro e può essere così tradotto in termini verbali: 'vengo qui come amico, ma non come subordinato'. In effetti, l'incontro è dominato da una certa ambiguità nel senso che potrebbe facilmente stabilirsi un rapporto da superiore a inferiore; per evitare fin dall'inizio questa eventualità, anche in un incontro amichevole di questo tipo l'ospite si presenta con un atteggiamento di grande dignità e orgoglio. Un comportamento del tutto analogo si può osservare nelle feste degli Schützen tirolesi: anche qui le compagnie di fucilieri marciano nella piazza del paese ospite esibendo la propria forza, ma i portabandiera sono affiancati da damigelle d'onore o da ragazzi. Nelle visite ufficiali degli uomini di Stato avviene più o meno lo stesso: i rappresentanti del paese ospite vengono accolti con esibizioni militaresche, spari a salve e parate, picchetti d'onore e altri rituali, e al tempo stesso si offrono loro dei fiori, recati per lo più da una fanciulla. Nella nostra cultura, infine, quando due amici s'incontrano si salutano a volte con vigorose pacche sulle spalle. Questo gesto, analogo alla stretta di mano, è anche una sorta di misurazione reciproca delle forze. Tale atto di autoaffermazione è accompagnato da parole e sorrisi amichevoli, cenni del capo e altre assicurazioni di simpatia.
Pur sembrando esteriormente molto diverse tra loro, le sequenze ora descritte obbediscono alle medesime regole, universalmente valide. Il loro studio è ancora nella fase iniziale, ma a nostro avviso l'ipotesi di una grammatica del comportamento sociale innata in tutti gli uomini offre una chiave per la comprensione di certi fenomeni riscontrabili in varie culture e - cosa di particolare importanza - una simile ipotesi permette di considerare da uno stesso punto di vista il comportamento verbale e quello non verbale, che finora sono stati per lo più trattati separatamente.
Ciò però non autorizza la conclusione affrettata e semplicistica che il linguaggio umano sia in sostanza una mera traduzione del comportamento istintivo. Senza dubbio il nostro comportamento sociale potrebbe essere determinato in misura notevole anche da adattamenti filogenetici, ma ciò non significa che ci muoviamo lungo binari fissi, con un grado di libertà limitato. L'uomo può superare per mezzo della cultura le sue predisposizioni innate, e anzi ha bisogno dell''imbrigliamento' della cultura per controllare le sue pulsioni. Tuttavia è altrettanto importante riconoscere che l'uomo non è plasmato solo dall'educazione, ma è anche dotato di un patrimonio di capacità, tendenze, impulsi e modelli comportamentali, frutto di adattamenti filogenetici, che possono essere visti, in positivo, come l'eredità comune che unisce tutti gli uomini al di là delle barriere culturali. Potrebbe anche risultare, nel corso di ulteriori ricerche, che alcuni di quegli adattamenti filogenetici non adempiono più la loro funzione originaria (v. Eibl-Eibesfeldt, 1988). In questo caso un nuovo adattamento può avvenire solo attraverso norme culturali. Queste norme sono in un certo senso repressive, ma non va dimenticato che solo grazie alla cultura l'uomo ha potuto insediarsi nel gran numero di 'nicchie ecologiche' che oggi occupa. La sua universalità consiste appunto nella capacità di adattarsi culturalmente alle nuove esigenze che di volta in volta si presentano. D'altra parte è ragionevole che in questi nuovi adattamenti egli sia guidato dalla conoscenza della propria natura.
Come si è detto, l'etologia umana parte dalla constatazione che l'uomo si serve di un ristretto numero di strategie d'interazione, diffuse probabilmente in tutte le culture. Le diversità osservabili nella ricerca comparata dipendono dal fatto che egli può sostituire un'azione con un'altra ugualmente idonea, come pure un comportamento non verbale con uno verbale: possiamo in qualche modo tradurre il comportamento istintivo in linguaggio, mettendo le parole in connessione con gli stimoli-chiave e usandole per compiere azioni. Le possibilità interattive, di tipo verbale e non verbale, che si vengono così a creare sono di una molteplicità sconcertante, e tuttavia si fondano su un numero limitato di strategie elementari, la cui identificazione può consentire l'elaborazione di una grammatica universale del comportamento sociale umano, ugualmente valida per il comportamento sia verbale che non verbale (v. Eibl-Eibesfeldt, 1986²).
Come i caratteri somatici, così anche i moduli di comportamento presentano una variabilità geneticamente condizionata: mediante opportune tecniche di allevamento è possibile ottenere da popolazioni naturali ceppi dotati di particolari caratteri. I mutanti comportamentali possono aprire la strada alla formazione di nuove linee evolutive. Le Viduinae, passeracei della famiglia Ploceidae che depongono le uova nel nido di altri uccelli (Estrildidae), imitano il canto di corteggiamento di questi ultimi, e in tal modo si legano strettamente a essi, seguendone anche il frazionamento in varie razze (v. Nicolai, 1964). I dialetti di diversi uccelli canori portano a un isolamento etologico delle rispettive popolazioni, dando così origine allo sviluppo di sottospecie. Nella ricostruzione della filogenesi del comportamento dobbiamo affidarci allo studio comparato di specie viventi: confrontando i moduli delle varie specie, analogamente a quanto si fa per le loro strutture corporee, è possibile mettere in evidenza certe somiglianze. Se queste dipendono dal fatto che il carattere in questione era già posseduto da un antenato comune, si ha un'omologia, o somiglianza dovuta alla parentela; se invece il carattere simile si è sviluppato indipendentemente nelle diverse specie, in risposta a pressioni selettive operanti nello stesso senso, si parla di analogia o di evoluzione convergente. I criteri usati per differenziare l'omologia dall'analogia nel campo del comportamento sono gli stessi elaborati dai morfologi. Il criterio della qualità specifica riguarda le somiglianze formali ed è un indice tanto più significativo di omologia quanto più numerosi sono i singoli caratteri in cui vi è concordanza; si tratta peraltro di un criterio che di rado basta da solo a provare un'omologia. Il criterio della posizione fa riferimento alla somiglianza della posizione relativa di un carattere in un più ampio sistema strutturale. Ad esempio, le ossa craniche dei vertebrati hanno spesso forme così diverse che non è possibile accertare a prima vista se un singolo osso sia frontale, parietale o nasale. Dalla posizione specifica rispetto alle altre ossa è possibile però stabilire un'eventuale omologia. Il criterio della connessione attraverso forme intermedie è utile quando esistono forme di transizione che fungono da collegamento, come nel caso dello zoccolo equino, la cui evoluzione dall'originaria estremità pentadattile è ben documentata da una serie di reperti paleontologici provenienti da strati diversi.
Come si è detto, nel ricostruire l'evolversi del comportamento dobbiamo affidarci allo studio comparato di specie viventi. Mettendo a confronto varie specie di fasianidi R. Schenkel (v., 1956 e 1958) è riuscito a seguire la progressiva ritualizzazione con cui l'invito al cibo si è trasformato in corteggiamento. Lo stadio meno ritualizzato è presente nel gallo domestico, che per attirare la gallina all'accoppiamento raspa più volte con le zampe, arretra e becca il terreno emettendo richiami anche quando non trova cibo; in tal caso solleva col becco dei sassolini come se fossero commestibili, al che la gallina accorre a cercare anch'essa, mettendosi davanti a lui. In questo modo il gallo attira la gallina all'accoppiamento, utilizzando un comportamento che deriva dall'ambito della cura parentale. Il fagiano comune (Phasianus colchicus) attira le femmine in modo analogo. Il lofoforo splendente (Lophophorus impeyanus) si inchina profondamente dinanzi alla femmina con le penne della coda leggermente aperte a ventaglio, beccando il terreno; quando la femmina accorre per cercare il cibo, il maschio apre al massimo le ali e la coda e rimane fermo a capo chino, piegando lentamente la sola coda avanti e indietro. Le attività di corteggiamento del pavone, infine, sono così ritualizzate che senza una conoscenza delle forme intermedie sopra descritte sarebbe impossibile indovinarne l'origine. L'animale fa la ruota, la scuote, arretra di qualche passo, poi inclina la ruota in avanti e punta il becco verso terra tenendo il collo teso; anche qui la femmina accorre davanti al maschio e becchetta il suolo in cerca di cibo. Nei pavoni giovani sussiste ancora il richiamo al cibo vero e proprio: mentre fanno la ruota infatti raspano e beccano il terreno. Ciò dimostra che nell'ontogenesi si manifesta la forma di comportamento originaria.Lo studio dell'evoluzione dei movimenti espressivi umani ha ricevuto notevoli contributi dalle ricerche sui primati. J.A.R.A.M. van Hooff (v., 1971) ha dimostrato ad esempio che il sorriso deriva dall'atto di mostrare silenziosamente i denti, che indica sottomissione. Nella filogenesi quest'atto difensivo ha cambiato significato, diventando un gesto amichevole di pacificazione.
L'etologia descrive fenomeni, s'interroga sulle loro cause e avanza infine ipotesi sulla funzione di un dato comportamento, ossia sul suo valore ai fini della sopravvivenza. Con lo sviluppo della sociobiologia (v. Hamilton, 1964; v. Wilson, 1975) si è costituita una branca dell'etologia a indirizzo ecologico, che studia l'adattività operando una sintesi tra l'approccio ecologico e quello della genetica delle popolazioni. Basandosi sulla teoria evoluzionistica, i sociobiologi hanno elaborato modelli matematici che consentono previsioni puntuali rispetto a un dato comportamento. L'ipotesi di partenza è che la selezione naturale favorisca gli organismi che si comportano in modo da propagare al massimo i propri geni. I sociobiologi si servono di modelli di ottimizzazione nell'analisi dei più svariati contesti funzionali, ad esempio per stabilire quando diventa conveniente per un animale difendere il proprio territorio. Ogni difesa del territorio impegna energie e implica rischi; il beneficio che ne deriva dev'essere sempre maggiore dei costi sopportati, e in base a ciò avviene la selezione degli organismi. Esempi di modelli di ottimizzazione sono forniti da J. R. Krebs e N. B. Davies (v., 1978 e 1981).
Molto si è discusso circa le unità su cui opera la selezione: questa riguarda sempre i geni e avviene a partire da individui e da gruppi chiusi di individui strettamente imparentati fra loro (v. Dawkins, 1976; v. Eibl-Eibesfeldt, 1982 e 1987⁷). Poiché la selezione naturale premia gli organismi che si comportano in modo da trasmettere alla generazione successiva il maggior numero possibile di propri geni, gli individui favoriscono i propri discendenti diretti e gli individui a loro imparentati, in cui quei geni sono rappresentati in percentuale elevata.Nell'ambito delle popolazioni gli individui in concorrenza coi loro conspecifici adoperano spesso strategie diverse per conseguire i propri scopi nella lotta e nell'accoppiamento. I modelli matematici hanno messo in evidenza che in determinate condizioni tende a formarsi un polimorfismo comportamentale equilibrato: si parla a questo proposito di 'strategie evolutivamente stabili' (v. Maynard Smith e Price, 1973). Mentre alcuni animali, ad esempio, si limitano a un combattimento puramente rituale, altri lottano fino alle estreme conseguenze. Mediante modelli matematici è possibile mostrare in quali condizioni si stabilizzi su un dato valore il rapporto fra i primi e i secondi. In casi del genere si parla di 'situazioni evolutivamente stabili'. Un'enumerazione degli adattamenti all'ambiente naturale, animato e inanimato, prodotti dalla selezione oltrepasserebbe i limiti del presente contributo (per alcuni esempi v. Eibl-Eibesfeldt, 1987⁷).
L'idea che l'uomo sia venuto al mondo come una tabula rasa e abbia acquisito solo attraverso processi di apprendimento il patrimonio comportamentale rilevante per la sua sopravvivenza deve considerarsi ormai superata. Abbiamo già citato numerosi esempi di adattamento filogenetico nel comportamento umano, che si ritrovano nel campo della percezione, del movimento, degli impulsi, dei modelli di riferimento e delle predisposizioni all'apprendimento. Il nostro comportamento ha dunque radici sia filogenetiche, sia storico-culturali. Le prime sono molto antiche, tanto che nel nostro agire sociale sono ancora rintracciabili elementi ereditati dai rettili, a cui se ne sono sovrapposti altri ereditati dai mammiferi e infine altri ancora specificamente umani. Questi ultimi sono anch'essi molto antichi, essendosi sviluppati nella lunga era del Paleolitico, in cui i nostri progenitori vivevano in piccole società dedite alla caccia e alla raccolta.
A questa sottostruttura biologica innata si è sovrapposta la cultura, con le sue specifiche regole di comportamento. La capacità d'immagazzinare le esperienze individuali nella memoria, nella scrittura e in altri mezzi d'informazione consente un rapido adattamento ai mutamenti delle condizioni ambientali. In tal modo l'uomo prosegue l'evoluzione sul piano culturale e può proporsi degli scopi. Ciò non toglie che ogni agire umano è sempre commisurato in ultima analisi al criterio della fitness: per quanto capace di reagire attivamente ai mutamenti ambientali, l'uomo rimane pur sempre soggetto alla selezione.
D'importanza decisiva per l'evoluzione culturale è stato il linguaggio verbale, di cui solo l'uomo dispone e alla cui acqusizione è predisposto da una serie di adattamenti filogenetici. Appena cominciano a imparare a parlare i bambini si appropriano delle regole fondamentali della grammatica e compiono alcune tipiche generalizzazioni. L'apprendimento del linguaggio è per così dire intrinsecamente programmato nel normale sviluppo infantile e ci sono ben note le strutture cerebrali che consentono quest'acquisizione. Si è cercato di spiegare in vari modi l'evoluzione del linguaggio. Nelle culture tradizionali la funzione sociale è preminente: si parla del più e del meno, si spettegola, si litiga, si chiacchiera affettuosamente coi bambini. La ritualizzazione delle interazioni sociali attraverso il linguaggio ha senza dubbio una grande importanza: chi poteva sostenere o risolvere un conflitto ricorrendo alla parola era certamente avvantaggiato rispetto a chi doveva risolvere tutto solo sul piano del comportamento non verbale, cioè con la minaccia o con la lotta. Mediante il linguaggio verbale l'uomo può inoltre riferire eventi del passato e fare promesse per il futuro, trasmettere ad altri istruzioni di comportamento e descrivere agli interlocutori oggetti che non sono presenti.
Nei vertebrati la socialità si è sviluppata in più fasi evolutive. Il comportamento sociale dei rettili conosce solo il dominio e la sottomissione. Anche nel corteggiamento maschile la minaccia ha un ruolo decisivo mentre le femmine disposte ad accoppiarsi assumono una posizione di sottomissione. Il comportamento di questi animali è dunque esclusivamente agonistico. La capacità di comportarsi in modo amichevole è nata solo con lo svilupparsi delle cure parentali negli uccelli e nei mammiferi. Le cure materne hanno dato origine a un repertorio di moduli comportamentali percepiti essenzialmente come amichevoli, e dai richiami dei piccoli si sono sviluppati segnali in grado di innescare tali comportamenti. Lo studio comparato del corteggiamento mostra che nelle più svariate specie di uccelli e di mammiferi il rapporto tra madre e figli si è ritualizzato in azioni di corteggiamento: negli uccelli l'imboccamento della covata si è trasformato nel becchettamento affettuoso tra partners, così come nelle scimmie antropoidi e nell'uomo l'alimentazione bocca a bocca ('bacio di nutrizione') si è trasformata nel bacio (v. Eibl-Eibesfeldt, 1970). Con lo sviluppo delle cure parentali sono nati inoltre la capacità di amare, ossia di stringere legami personali, e il coinvolgimento emotivo nei confronti degli altri. Per molte specie era infatti importante che il piccolo sapesse riconoscere la propria madre e che questa dedicasse le sue cure esclusivamente alla propria prole. Sono questi i presupposti per la formazione di legami di coppia e familiari nonché dei gruppi chiusi di mammiferi superiori, compresi gli uomini.
I rapporti interumani sono caratterizzati da una certa ambivalenza. Come per molti altri animali, anche per l'uomo i propri simili sono portatori di segnali che possono provocare attrazione e avvicinamento, oppure rifiuto e allontanamento. Se questi segnali vengono percepiti insieme, tra le due tendenze comportamentali nasce un conflitto, che si manifesta già nella prima infanzia. Fra i sei e gli otto mesi di età il bambino comincia ad aver paura degli estranei: mentre prima sorrideva a chiunque, ora distingue sempre più le persone conosciute da quelle estranee. Se verso le prime continua a comportarsi amichevolmente, verso le altre assume un atteggiamento in cui si mescolano l'attrazione e la paura. Dapprima, ad esempio, il piccolo sorride all'estraneo, ma dopo pochi istanti si volge verso la madre e nasconde la testa nel suo seno in cerca di protezione, per poi ristabilire il contatto visivo amichevole. Se l'estraneo rimane a distanza, in genere il bambino acquista rapidamente fiducia; ma se si avvicina senza dar tempo al piccolo di abituarsi alla sua presenza, provoca spesso in lui una reazione di panico. Questo modello di comportamento reattivo è presente in tutti i bambini normali, senza che abbiano avuto esperienze negative con estranei. A una certa età i propri simili vengono dunque percepiti come portatori di segnali capaci di suscitare al tempo stesso reazioni di attrazione e di ripulsa. Lo studio comparato delle culture mostra che questa risposta ambivalente verso gli estranei è un modello di comportamento universale. Sono noti anche altri segnali capaci di scatenare nell'uomo reazioni contrastanti di questo genere. Il contatto visivo funziona in un primo momento come segnale positivo, con cui si avverte il partner che i canali di comunicazione sono aperti; se però si fissa l'altro troppo a lungo, il contatto visivo è sentito come una minaccia. In effetti, è risultato sperimentalmente che un contatto visivo prolungato provoca in chi lo subisce uno stato di eccitazione, con aumento della pressione sanguigna e della frequenza delle pulsazioni.
L'instaurarsi di rapporti personali riduce sensibilmente l'effetto dei segnali che scatenano la paura, così che prevalgono le reazioni di tipo amichevole; nei rapporti con persone note il comportamento si orienta quindi verso la fiducia, mentre nell'impatto con estranei i segnali provenienti dai propri simili che suscitano paura agiscono incontrastati, per cui prevalgono le reazioni di diffidenza.Questo semplice modello reattivo ha effetti di vasta portata sulla nostra convivenza sociale; storicamente esso ha fatto sì che gli uomini si associassero in piccoli gruppi chiusi i quali di fronte agli estranei assumevano un atteggiamento di difesa. Questa tendenza a formare gruppi circoscritti ha favorito lo sviluppo del pluralismo culturale: Erik Erikson (v., 1966) ha giustamente parlato in proposito di 'pseudospeciazione' culturale. La stessa tendenza ha dato peraltro origine all'etnocentrismo, con tutte le sue manifestazioni negative come la xenofobia e la guerra, che la nostra attuale coscienza morale non può non condannare e che vanno superate con mezzi culturali.
L'ambivalenza delle relazioni interumane grava anche sulla vita nell'anonima società di massa. Ci troviamo quotidianamente a contatto con persone pressoché sconosciute; nelle grandi città, di conseguenza, i nostri simili diventano in un certo senso un peso e una causa di stress, in quanto i segnali che ci invitano a prendere le distanze, non attenuati dalla conoscenza personale, agiscono incessantemente su di noi. Ci sforziamo di mitigare questo senso di estraneità uniformandoci agli altri nel contegno e nell'abbigliamento, ma ci riusciamo solo in parte. Il timore degli estranei è chiaramente riconoscibile nel comportamento degli abitanti delle grandi città. Si evitano i contatti visivi - chiunque ne avrà fatto esperienza trovandosi nell'ascensore di un albergo con degli sconosciuti -, si nascondono sotto una maschera le proprie espressioni per non tradire lo stato d'animo del momento. Chi rivela i propri sentimenti invita al contatto e si rende quindi vulnerabile. Questa dissimulazione può diventare talmente connaturata che non si riesce più a deporre la maschera nemmeno nell'ambito familiare, e si è costretti a ricorrere a terapie specifiche per ripristinare la normale capacità comunicativa.
La paura dei propri simili nella moderna società di massa pone gravi problemi: il continuo, sottile stress da paura induce l'individuo a cercare sicurezza in un'ideologia o in una personalità carismatica. Questo fenomeno del legame fondato sulla paura, sfruttato dai demagoghi di tutti i tempi, deriva da un modulo di comportamento infantile. Molti piccoli di animali si rifugiano presso la madre in caso di pericolo, e non perdono quest'abitudine nemmeno per effetto di stimoli punitivi; al contrario, esperimenti su pulcini di oca e su giovani scimmie Rhesus hanno dimostrato che tale comportamento s'intensifica quando viene punito mediante scosse elettriche. Più tardi le stesse scimmie lo trasferiscono sui membri del gruppo più elevati in rango, che rappresentano ugualmente un rifugio, anche quando sono essi stessi a provocare lo stato di paura. Ciò accade anche nell'uomo: è noto che i bambini maltrattati dai genitori sono fortemente attaccati a essi, tanto che gli assistenti sociali hanno spesso difficoltà a separarli dalla famiglia. Gli enti assistenziali d'altra parte esistono solo da poco, mentre prima, per lungo tempo l'unica possibilità che un bambino aveva di sopravvivere consisteva nel legarsi strettamente ai genitori.Sarebbe un errore condannare senz'altro l'anonima società di massa a causa di questi suoi aspetti negativi e vagheggiare un ritorno alla vita idilliaca del paesello. L'anonimato ha anch'esso i suoi vantaggi: si pensi ad esempio all'affrancamento dall'intolleranza di certe norme sociali e alle straordinarie possibilità di sviluppo culturale che solo la grande città offre. D'altra parte è possibile favorire, con opportuni provvedimenti urbanistici, la formazione di comunità più piccole, in cui il singolo sia inserito in un gruppo di persone familiari e possa così acquistare sicurezza e diventare meno sensibile alle parole d'ordine dei demagoghi.
Il piccolo gruppo umano è rappresentato da famiglie in cui marito e moglie costituiscono di regola una coppia stabile fondata sulla convivenza a lungo termine e sulla divisione dei compiti. Una serie di adattamenti filogenetici, che qui sarebbe troppo lungo esaminare nei particolari, assicura la coesione tra i partners e il reciproco attaccamento tra genitori e figli. Quest'ultimo legame si estende anche alle generazioni successive, così che in un organismo familiare troviamo per lo più riunite tre generazioni: nonni, genitori e figli.
Uomo e donna sono biologicamente predisposti, dal punto di vista anatomico, fisiologico e comportamentale, a una diversificazione dei rispettivi ruoli. Moduli comportamentali specifici di ciascun sesso si sviluppano anche quando si tende a contrastarli con l'educazione. Nei kibbutzim israeliani si è cercato di allevare i bambini in modo egualitario superando la tradizionale divisione dei compiti tra i due sessi, allo scopo di liberare la donna sia dal predominio economico dell'uomo, mediante il suo pieno inserimento nel mondo del lavoro, sia dalla schiavitù delle cure materne mediante l'educazione collettiva dei bambini. Questi venivano perciò affidati ad appositi assistenti e solo a sera tornavano a casa per un'ora di ricreazione coi genitori. M. E. Spiro (v., 1954) studiò un kibbutz organizzato secondo questi principî e trovò che i suoi abitanti li avevano messi effettivamente in pratica: le donne s'impegnavano nella politica ed esercitavano gli stessi ruoli lavorativi degli uomini, lasciando la cura dei figli agli assistenti. Spiro ne trasse la conclusione che la famiglia non è qualcosa di naturale, ma un prodotto dello sviluppo culturale. Tornando però una generazione dopo nello stesso kibbutz egli constatò che le donne cresciute in esso non accettavano più che i loro figli fossero affidati prevalentemente a estranei, rinunziavano a esercitare attività 'maschili' e dimostravano, accanto a un minor interesse per la politica, una crescente attrazione per la vita familiare e per i loro bambini. Sorpreso da questa controrivoluzione femminile attuata da donne allevate in modo egualitario, Spiro riesaminò più attentamente i dati della sua prima indagine e trovò che i bambini dei due sessi, pur essendo cresciuti tutti nelle stesse condizioni e con gli stessi giocattoli, giocavano in modo diverso. I maschietti avevano preso a modello gli uomini e le bambine le donne, scegliendo però, fra tutti i modelli femminili disponibili, proprio quello materno. Ciò fa pensare a preferenze innate, a proposito delle quali Spiro ha parlato di 'determinanti preculturali' anche per i ruoli sessuali psichici (per altre notizie al riguardo v. Eibl-Eibesfeldt, 1986²).
Nei gruppi umani, in virtù di una predisposizione propria dei primati, si formano ordinamenti gerarchici. Nei gruppi di primati gli individui di rango elevato sono al centro dell'attenzione degli altri membri, e il più alto in grado è facilmente identificabile in base alla frequenza degli sguardi che gli altri gli rivolgono, dimostrandogli così la loro considerazione. Lo stesso accade nei gruppi di bambini e di ragazzi: i membri di rango più elevato sono al centro dell'attenzione ed emergono perché organizzano i giochi, compongono i litigi e tranquillizzano i compagni. Essi sanno anche difendere la loro posizione ma ciò che li distingue non è l'aggressività, bensì l'insieme di qualità sociali positive per le quali vengono scelti dagli altri come capi (v. Hold, 1974). La gerarchia fondata sulle capacità direttive si differenzia così dai rapporti di puro dominio, in cui l'individuo più forte sottomette gli altri vincendone la resistenza, come nel caso tipico della 'gerarchia di beccata' in un pollaio. La formazione di una gerarchia presuppone, oltre al bisogno di considerazione di chi aspira a un rango elevato, la predisposizione, di chi è incapace di assumere una posizione dominante, a seguire il capo e a sottomettersi.
Un esperimento condotto da S. Milgram (v., 1966) mostra quanto sia problematica questa disposizione all'obbedienza. Ai partecipanti fu fatto credere che si trattasse di valutare l'efficacia degli stimoli punitivi sull'apprendimento: in qualità di 'insegnanti' essi avrebbero dovuto infliggere a un 'allievo' seduto nella stanza accanto delle scosse elettriche punitive, con intensità crescente da 15 a 450 volt all'aumentare del numero di risposte sbagliate. Sebbene l'allievo fosse presentato agli insegnanti e fosse fatto provare loro di persona l'effetto delle scosse elettriche, tutti gli insegnanti, ubbidendo all''autorità' rappresentata dal direttore scientifico della ricerca, inflissero all'allievo punizioni che se fossero state reali gli avrebbero procurato gravi danni. Dapprima Milgram attribuì questo comportamento alla mancanza di messaggi di ritorno, e modificò quindi le condizioni sperimentali facendo ascoltare agli insegnanti le reazioni dell'allievo (anch'esse fittizie, in quanto incise su nastro magnetico): all'aumentare di intensità delle scariche elettriche corrispondevano espressioni di crescente sofferenza, proteste e infine grida di dolore. In questo secondo caso alcuni insegnanti si rifiutarono di continuare l'esperimento, ma la stragrande maggioranza di essi eseguì fino in fondo gli ordini dell'autorità presente, dimostrando in tal modo che l'attitudine all'ubbidienza prevaleva sulla compassione.
Tra la tendenza maschile al dominio e la sessualità esistono interessanti connessioni. Nei tennisti, quando vincono un incontro, il tasso di testosterone nel sangue aumenta notevolmente nel giro di ventiquattr'ore, mentre se perdono diminuisce con altrettanta rapidità; lo stesso accade nelle prestazioni intellettuali, come si è constatato in un gruppo di studenti di medicina, il cui tasso di testosterone aumentava quando superavano un esame e diminuiva quando venivano bocciati (v. Mazur e Lamb, 1980). Queste reazioni corrispondono ai meccanismi arcaici propri dei rettili, che nell'uomo, in condizioni normali, sono controllati dai meccanismi associativi sviluppatisi con la cura della prole.
Nei vertebrati, compresi i mammiferi, la territorialità rappresenta la norma. Individualmente o in gruppo questi animali occupano un determinato territorio - perlomeno in certe stagioni - difendendolo dai conspecifici estranei.Sebbene i conflitti territoriali siano onnipresenti nella storia umana, si è voluto credere che quest'elemento di discordia sia nato insieme con l'agricoltura, mentre nello stadio della caccia e della raccolta gli uomini sarebbero vissuti in società libere e aperte, che non avevano nessuna proprietà da difendere. Oggi sappiamo che questa concezione non corrisponde alla realtà, perché anche i popoli cacciatori e raccoglitori posseggono dei territori, con cui si assicurano le risorse necessarie per sopravvivere (v. Eibl-Eibesfeldt, 1975). Con la delimitazione del territorio si sono sviluppate nell'uomo anche particolari forme di difesa del gruppo da cui è nata quella forma di aggressione intraspecifica che chiamiamo guerra e che, in questo stadio, costituisce un prodotto dell'evoluzione culturale. In essa vengono utilizzati alcuni impulsi emotivi della disposizione alla lotta, mentre ne vengono repressi altri, come quello della compassione, i quali impediscono che le aggressioni assumano aspetti distruttivi. Si fa credere a se stessi e agli altri membri del gruppo che i nemici appartengano a un'altra specie umana, o addirittura che non siano uomini, e in tal modo si trasferisce artificiosamente il conflitto sul piano della lotta interspecifica, in cui non valgono più le norme della lealtà e dell'umanità; così fanno, ad esempio, gli indiani Yanomamö quando parlano dei loro confinanti come di una preda di caccia. Diventa allora una virtù uccidere i nemici, impegnandosi a favore del proprio gruppo. Al filtro normativo biologico che vieta di uccidere i conspecifici si sovrappone un filtro normativo culturale che impone di eseguire il comportamento opposto. L'ethos della guerra è un recente prodotto culturale che, per quanto si ricolleghi alla difesa del gruppo familiare, va molto al di là di essa. Il suo sviluppo è stato favorito dall'evolversi delle armi a distanza e poi di quelle telecomandate, perché anche una persona assolutamente incapace di ucciderne un'altra in un confronto faccia a faccia può far partire un missile. Del resto l'uomo ha cominciato prestissimo a impiegare armi a distanza contro i suoi simili: raffigurazioni di guerrieri che si scagliano frecce s'incontrano già nelle pitture rupestri del Mesolitico. Il fatto che la guerra sia una conseguenza dell'evoluzione culturale e sia in contrasto con la nostra coscienza e con le forti tendenze dell'uomo a stabilire legami coi suoi simili fa ritenere che esista senz'altro la possibilità di superarla culturalmente; ciò presuppone però che si riesca, mediante accordi internazionali, a far sì che le funzioni finora svolte dalla guerra vengano assolte in modo incruento (per la bibliografia v. Eibl-Eibesfeldt, 1975).
Nell'uomo la percezione, il pensiero e l'azione sono determinati, come si è visto, da adattamenti filogenetici e culturali: in particolare la cultura ha il potere di frenare in noi quegli impulsi che i controlli innati non sono sufficienti a governare. D'altro canto alcuni dei nostri comportamenti preprogrammati hanno perduto in parte la loro adattività. Con l'anonima società di massa, tipicamente tecnologica e metropolitana, l'uomo si è costruito un ambiente per il quale non era fatto. Poiché negli ultimi diecimila anni non siamo cambiati biologicamente, coloro che oggi detengono il potere hanno la stessa emotività che l'uomo aveva nell'età della pietra e non sono quindi sufficientemente preparati dal punto di vista biologico a impiegare gli enormi potenziali di cui dispongono (v. Eibl-Eibesfeldt, 1988).Nella situazione attuale gli uomini hanno dunque più che mai bisogno di autocontrollo, e ciò presuppone che conoscano se stessi, così da evitare i gravi rischi connessi con l'ignoranza dei loro comportamenti preprogrammati. Se è vero che, come sempre è avvenuto nell'evoluzione, si possono trarre insegnamenti dalle catastrofi prodotte dai nostri comportamenti errati, sarebbe però preferibile correggere in tempo gli errori facendosi guidare dalla conoscenza scientifica di noi stessi.
L'esplorazione del nostro comportamento è stata finora ostacolata da tendenziosità e da pregiudizi. Gli uomini sono stati sempre disposti a investire grandi risorse nell'indagine del mondo esterno, acquistando un dominio della natura sproporzionato alle loro capacità di autocontrollo. In ogni tempo l'uomo è stato un artefice appassionato, che si è creato sempre nuovi utensili, dall'amigdala alle più sofisticate apparecchiature elettroniche. Oggi vi è una sproporzione quasi grottesca tra la dovizia dei fondi destinati all'ulteriore sviluppo di questa cultura tecnologica e la scarsità degli investimenti nella ricerca sull'uomo. Certamente ciò non dipende soltanto dalla mentalità propria dell'homo faber, ma anche da pressioni ideologiche di vario genere, che ci propongono un'autoimmagine consolidata e rassicurante. La conoscenza di noi stessi potrebbe indurci a rivedere o a ribaltare certe concezioni a noi care, e questo turba gli spiriti non liberi, tenacemente aggrappati a un'ideologia: costoro non vogliono sapere, e si sforzano di giustificare questo loro atteggiamento oscurantistico. Secondo uno degli argomenti più spesso addotti contro l'etologia, mettere in luce gli elementi innati nell'uomo favorirebbe una sorta di fatalismo biologico, e per questo motivo ci si rifiuta di prendere atto dei risultati delle ricerche biologiche sul comportamento. In realtà gli etologi hanno sempre insistito sul fatto che l'uomo è per sua natura un essere culturale, e che dall'esistenza di una situazione di fatto biologica non è lecito dedurre fatalisticamente che tale situazione sia immodificabile. L'uomo può anche apprendere a comportarsi in modo contrario alla sua natura innata: certamente così si impone delle costrizioni, ma senza di esse non è concepibile una convivenza civile e armoniosa. Il problema consiste piuttosto nel capire quale margine d'azione l'uomo possa concedere alla sua natura primaria, quella biologica. Un'organizzazione sociale totalmente repressiva, fondata su ideali fuori della realtà, sarebbe difficilmente tollerabile, perché non siamo solo esseri sociali, ma anche individui che aspirano alla libertà. Inoltre dobbiamo sempre chiederci se ciò che facciamo è funzionale all'adattamento nel senso della fitness, ossia alla capacità di sopravvivenza misurata sul potenziale riproduttivo. Un gruppo che in nome di un qualche ideale non si riproducesse più si escluderebbe dall'evoluzione. A questo proposito occorre anche ricordare che la natura - dal punto di vista della necessità di sopravvivere - non può fornire alcun modello normativo. In natura avvengono molte cose tremende, a volte la lotta per l'esistenza si combatte davvero 'con le unghie e coi denti' ma ciò non costituisce per noi un imperativo. Anche la cooperazione rappresenta una strategia di sopravvivenza, come ho messo in risalto fin dal 1970 nel mio libro Liebe und Hass, in cui ho esaminato le predisposizioni associative dell'uomo e la loro origine filogenetica.
L'uomo è l'unico essere vivente capace di proporsi scopi a lungo termine; nello stabilire questi scopi e nel perseguirli dobbiamo farci guidare dalla conoscenza e dalla ragione. Ma a esse bisogna che sia associato l'amore, nato dall'attaccamento delle madri per i loro piccoli: solo così sarà possibile opporsi agli allettamenti di una ragione motivata soltanto dall'aspirazione al dominio.
(V. anche Comportamentismo; Cultura; Evoluzione culturale; Genetica; Istinto; Società animali).
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