Etologia
sommario: 1. Introduzione. 2. Relazioni tra etologia e sociobiologia. 3. L'organizzazione del comportamento. 4. Le origini del comportamento adattativo. 5. Conclusioni. □ Bibliografia.
1. Introduzione
L'etologia è nata come approccio biologico allo studio del comportamento. Fondatori dell'etologia moderna sono universalmente considerati K. Lorenz e N. Tinbergen, che, per le loro scoperte pionieristiche, ricevettero, nel 1973, il premio Nobel insieme con K. von Frisch, lo scopritore del linguaggio-danza delle api mellifere. Lorenz e Tinbergen trattavano il comportamento alla stessa stregua di qualsiasi altro aspetto del fenotipo di un animale, sulla base del fatto che i moduli comportamentali spesso possiedono una regolarità e una coerenza che sono legate alle necessità naturali dell'animale. Inoltre il comportamento di una specie spesso differisce notevolmente da quello di un'altra specie. La comprensione di questi fatti fu una tappa determinante che portò a inserire lo studio del comportamento nel contesto della nuova sintesi darwiniana che si andava realizzando negli anni trenta. Per quanto gli individui differiscano l'uno dall'altro, quelli che sono strettamente imparentati sono più simili tra loro di quanto non lo siano individui non imparentati. Se le somiglianze fra consanguinei sono ereditate geneticamente, allora un particolare comportamento che determini un vantaggio, o ai fini della sopravvivenza o riproduttivo, dopo un certo numero di generazioni si diffonde nella popolazione finché ogni membro della discendenza si comporta in quello stesso modo.
Gli etologi, il cui pensiero è sempre stato ispirato alla teoria dell'evoluzione darwiniana, hanno ripetutamente speculato sul significato adattativo delle differenze tra le specie. L'interesse per la funzione biologica del comportamento ha prodotto molti studi eccellenti sugli animali in condizioni naturali. Un animale in cattività generalmente è troppo condizionato dall'ambiente artificiale per consentire una comprensione completa delle funzioni delle svariate attività che esso è in grado di svolgere. Gli studi sugli animali in libertà hanno costituito una parte importante dell'etologia e hanno svolto un ruolo determinante nello sviluppo dei suoi metodi specifici ed efficaci per osservare e misurare il comportamento (v. Martin e Bateson, 1993). Tuttavia, sarebbe un errore descrivere gli etologi come scienziati ‛non sperimentali' e interessati esclusivamente alla descrizione.
Tinbergen è stato un maestro nel realizzare eleganti esperimenti sul campo e la raffinata tradizione da lui inaugurata si è protratta fino ai giorni nostri. Registrazioni magnetiche dei versi di predatori o di individui della stessa specie (piccoli o partners potenziali) vengono fatte ascoltare ad animali che vivono in libertà per scoprire come reagiscono. Analogamente, sagome e fantocci di fogge diverse sono impiegati per misurare la reattività a una forma o a un colore particolari: in questo modo si studia, per esempio, come il riflesso di beccare sia stimolato, in piccoli di gabbiano, da oggetti differenti più o meno somiglianti ai becchi dei genitori. Questo e molti altri esempi dimostrano che anche l'etologia classica comporta molto più che la mera osservazione. Inoltre, numerosi etologi si sono dedicati a studi di laboratorio riguardanti il controllo e lo sviluppo del comportamento. In effetti, molte delle più sorprendenti scoperte etologiche, come l'imprinting e l'apprendimento del canto da parte degli Uccelli, sono state realizzate in condizioni artificiali e hanno influenzato notevolmente il modo in cui è stato interpretato il comportamento in condizioni naturali (v. McFarland, 19932; v. etologia; v. istinto).
La complessa sequenza di atti che la costruzione di un nido comporta, se osservata in uccelli d'allevamento, non è facilmente spiegabile in termini di una serie di azioni apprese, ciascuna indotta da uno stimolo particolare proveniente dall'ambiente. Tuttavia, la tendenza a considerare quale vantaggio comporti nell'ambiente naturale un particolare modello comportamentale è sempre stato un tratto distintivo dell'etologia. Quando a questo approccio è stato aggiunto il confronto tra animali, la facile presupposizione che tutti gli animali risolvano lo stesso problema nello stesso modo si è subito rivelata falsa. L'approccio comparativo continua a essere una caratteristica importante dell'etologia.
Come Tinbergen ha indicato, lo studio biologico del comportamento solleva quattro distinti problemi di carattere generale (v. Manning e Dawkins, 19924): 1) il controllo dei moduli comportamentali, concernente i fattori interni ed esterni che ne regolano l'occorrenza e il modo in cui operano i processi sottostanti; 2) lo sviluppo del comportamento, che riguarda il concorso delle influenze genetiche e ambientali sulla formazione dei moduli comportamentali nel corso della vita dell'individuo e il modo in cui operano i processi evolutivi; 3) la funzione del comportamento, che concerne il modo in cui un modulo comportamentale contribuisce alla sopravvivenza dell'animale e alla trasmissione dei suoi geni alla generazione successiva; 4) l'evoluzione del comportamento, relativa alla storia ancestrale e ai modi in cui un modulo comportamentale si è evoluto. Queste quattro aree di ricerca sono distinte. Le prime due si occupano di meccanismi e sollevano interrogativi sul ‛come'; le seconde due, tipicamente di pertinenza dell'etologia, si occupano di adattamento e sollevano interrogativi sul ‛perché'. Pur stando così le cose, il punto di vista etologico è che i due tipi di questioni non dovrebbero essere tenuti troppo separati (v. Manning e Dawkins, 19924). Ponendo un particolare problema entro un contesto concettuale più ampio, si ottiene una più profonda comprensione, quale che sia la questione centrale.
2. Relazioni tra etologia e sociobiologia
I padri fondatori dell'etologia conseguirono particolari successi, in parte perché fornivano alla biologia comportamentale l'apporto di una teoria coerente sul modo in cui il comportamento è organizzato, e in parte perché erano interessati alla funzione del comportamento. Il loro approccio funzionale li distingueva nettamente dagli psicologi comparatisti. Comunque, intorno ai primi anni settanta l'etologia sembrava matura per subentrare alla psicologia comparata. L'auspicata comprensione delle connessioni tra il comportamento e i meccanismi che ne erano alla base era ancora frammentaria. Nel frattempo gli studi sul campo relativi ai rapporti tra moduli comportamentali e condizioni sociali ed ecologiche in cui tali moduli normalmente si presentano portarono una popolarità e un successo senza precedenti all'ecologia comportamentale, nella quale la comprensione dei meccanismi svolgeva un ruolo del tutto secondario. Una nuova disciplina, chiamata ‛sociobiologia', si andò a inserire nello spazio disponibile, contribuendo allo studio del comportamento con importanti concetti e metodi derivati dalla biologia delle popolazioni, e con alcune sue prerogative specifiche (v. sociobiologia). Il modo in cui venivano applicate le idee della biologia evolutiva risultò molto suggestivo. Il fascino della teoria dell'evoluzione, nel cui ambito la sociobiologia era inserita, stava nel fatto che essa sembrava ancora una volta rendere accessibile una materia complicata (v. Alcock, 19935).
Gli animali interagiscono tra loro, stabiliscono relazioni di parentela e collettivamente costituiscono delle società. Il comportamento sociale sembra spesso implicare la cooperazione e da Darwin in poi questo aspetto del comportamento ha continuato a tormentare i teorici. Se l'evoluzione dipende dalla competizione, come può essersi evoluta la cooperazione? Sono stati proposti tre tipi di spiegazioni: 1) la selezione di parentela: le parti in causa sono imparentate e i benefici derivanti dall'aiutare un cugino, per esempio, sono logicamente gli stessi che si ottengono aiutando un figlio, anche se quantitativamente meno efficaci in termini di trasmissione del patrimonio genetico; 2) il vantaggio reciproco: entrambe le parti in causa beneficiano della cooperazione; 3) la selezione di ordine superiore: l'individuo fa parte di un gruppo di individui non imparentati fra loro, che può sopravvivere meglio, come entità, di un altro gruppo, grazie alle azioni svolte dagli individui al suo interno. Questa spiegazione era generalmente considerata poco plausibile, ma può corrispondere al vero se gli individui si estinguono più rapidamente dei gruppi e l'immigrazione tra gruppi è difficile.
Malgrado i fruttuosi dibattiti sulla funzione e sull'evoluzione del comportamento sociale, l'impatto della sociobiologia sulla biologia del comportamento nel suo complesso è consistito nel fatto che ampi settori della materia, che erano stati importanti argomenti di pertinenza dell'etologia, furono ritenuti irrilevanti o privi di interesse. Pochi studiosi vollero dedicarsi all'analisi del modo in cui il comportamento si sviluppa o è controllato. Per molti anni, quindi, le questioni attinenti ai meccanismi furono largamente ignorate. Negli anni novanta i collegamenti trascurati tra le questioni riguardanti il ‛perché' e quelle riguardanti il ‛come' furono ripristinati.
Il fatto di chiedersi ‛a che cosa' serva una certa cosa non porta direttamente a scoprire ‛in che modo' essa funzioni. Ma l'approccio funzionale aiuta a distinguere tra meccanismi indipendenti che controllano il comportamento e può portare a individuare le principali variabili di controllo di ciascun sistema. Questo è importante nella progettazione di esperimenti in cui, inevitabilmente, soltanto un piccolo numero di variabili indipendenti viene manipolato, mentre tutte le altre sono tenute costanti o fatte variare a caso. L'esperimento si risolve in una perdita di tempo se la scelta delle condizioni che vanno tenute costanti è male assortita. Un approccio funzionale può fornire quella conoscenza che consente di evitare proprio questo tipo di errori.
I ricercatori che studiavano quali fossero, in un ambiente naturale, i modi più efficienti per procurarsi il cibo si sono resi conto che il loro lavoro sollevava importanti interrogativi sul modo in cui il comportamento viene controllato. Come risultato di questa rinnovata consapevolezza si sono intrecciati proficui scambi soprattutto tra gli ecologi del comportamento e gli psicologi interessati all'analisi sperimentale dell'apprendimento. Anche nel campo dello sviluppo del comportamento approcci di ispirazione funzionalista hanno contribuito a mettere ordine in quella che altrimenti sembrava un'area disperatamente confusa. Chiedersi quale potrebbe essere la normale funzione di un comportamento aiuta a distinguere le peculiarità giovanili dal comportamento che si manifesta nell'adulto e a capire la struttura evolutiva usata nel processo di assemblaggio funzionale, le cui regole sono importanti, per esempio, nel determinare quando un animale coglie un'informazione cruciale dal suo ambiente. Anche in questo caso l'approccio progettuale ottimale inquadra e stimola la ricerca sui processi di sviluppo.
La corrente di idee tra gli approcci relativi al ‛come' e quelli relativi al ‛perché' fluisce nei due sensi. Molti di coloro che si sono concentrati sull'ecologia del comportamento animale stanno incominciando a capire la necessità di conoscerne i meccanismi per orientare le questioni funzionali ed evolutive alle quali sono più interessati. Ciò è accaduto principalmente negli studi concernenti i fattori percettivi e i processi di apprendimento che influenzano la scelta del partner, e di conseguenza anche nel campo delle teorie evoluzionistiche della selezione sessuale a questi connesse. La stessa cosa sta succedendo anche nelle aree di ricerca generalmente indicate come ‛strategie delle storie di vita', che sollevano importanti questioni attinenti alle risposte condizionate da determinate situazioni ambientali. In generale questi mutamenti del pensiero si stanno verificando perché ciò che gli animali effettivamente fanno è considerato importante nello stimolare (nonché nel limitare) le idee circa la funzione e l'evoluzione del comportamento. I meccanismi implicati nello sviluppo e nel controllo del comportamento possono spesso retroagire sui processi evolutivi, come probabilmente è accaduto nel caso della scelta del partner e del controllo attivo dell'ambiente sociale.
Mentre le barriere tra gli approcci relativi al ‛perché' e quelli relativi al ‛come' sono ancora una volta diventate più permeabili, sono stati fatti enormi progressi in neuroetologia e nella comprensione delle basi ormonali del comportamento. Sono stati scoperti collegamenti tra la fisiologia del metabolismo e il comportamento, nonché tra quest'ultimo e il sistema immunitario. Si è cominciato a capire l'importanza e il valore delle tecniche molecolari. In generale gli studi sullo sviluppo e sul controllo del comportamento appaiono oggi molto differenti rispetto a venticinque anni fa.
Gli sperimentatori sono meno inclini a mantenere costanti tutte le variabili eccetto una, contrariamente a quanto si faceva una volta (quando si scopriva che l'unica variabile indipendente produceva un effetto, essa era considerata ‛la' causa, e ogni altra variabile era ritenuta irrilevante).
Attualmente, un approccio sistemico è considerato essenziale e i biologi comportamentali sono ben preparati ad affrontarlo. I più avveduti fra i ricercatori che studiano le basi neurologiche del comportamento sanno fin troppo bene che i dati che ottengono sono molto simili a quelli ottenuti da un meteorologo che studi un uragano raccogliendo i dati a livello del suolo. Essi hanno capito che se si vuole ricavare un senso coerente dall'intero sistema è necessario disporre dell'equivalente di una fotografia presa da un satellite e soltanto coloro che studiano il comportamento forniscono loro una tale immagine. Inoltre, essi hanno sviluppato tecniche speciali per la misura del comportamento liberamente fluttuante (v. Martin e Bateson, 1993).
3. L'organizzazione del comportamento
Due concetti fondamentali dell'etologia classica erano quello di ‛stimolo-segnale' e quello di ‛modulo fisso di attività'. Esempi di stimoli-segnale sono l'addome rosso dello spinarello maschio, un pesce d'acqua dolce altamente territoriale, e il petto rosso dell'altrettanto territoriale pettirosso europeo, che scatenano un attacco da parte di un rivale. La portata euristica del concetto di stimolo-segnale si dispiegò pienamente nell'analisi dei caratteri dello stimolo che suscitano selettivamente particolari atti comportamentali. I moduli fissi di attività (o, meglio, moduli modali di attività) fornirono utili spunti per la descrizione del comportamento e il confronto tra specie. I caratteri comportamentali furono usati in tassonomia e l'interesse degli zoologi per l'evoluzione portò a tentativi di formulare principî per la derivazione e la ritualizzazione dei movimenti-segnale.
Sia il concetto di stimolo-segnale, o stimolo scatenante, sia quello di modulo fisso di attività svolsero ruoli importanti nei primi tentativi degli etologi di sviluppare modelli di comportamento in termini di sistemi. Lorenz umoristicamente descriveva la motivazione al comportamento come uno sciacquone che poteva essere azionato quando la mano giusta (cioè un appropriato stimolo ambientale) tirava la catena. In questa similitudine lo sgorgare dell'acqua dalla cassetta rappresenta lo scatenamento di una particolare forma di comportamento, mentre la mancata reazione allo stimolo si spiega con l'assenza di acqua nella cassetta (per quante volte si tiri la catena, non succede niente). Questa metafora del controllo e della motivazione del comportamento costituisce un diagramma di flusso in più di un senso e ha fornito a una generazione di etologi un modo per integrare il proprio pensiero sulle molteplici cause del comportamento, sia interne sia esterne. Basandosi su un'idea diffusa, secondo cui l'esplicitazione di un comportamento servirebbe a scaricare il desiderio accumulato, tale immagine fu inizialmente presentata abbastanza a cuor leggero da Lorenz; fu invece presa molto seriamente dai suoi fedeli discepoli e il modello ben presto rivelò una notevole capacità di fuorviare persino il suo autore. In alcuni sistemi di comportamento, in particolare quello aggressivo, la manifestazione del comportamento rende la ripetizione ‛più' probabile, non meno, come Lorenz aveva presupposto in modo forse un po' avventato.
Un altro modello sistemico ha resistito molto meglio alla prova del tempo; sviluppato da Tinbergen, esso riguarda l'organizzazione gerarchica del comportamento. Anche in questo caso l'utilità del modello dipende non tanto dalle sue capacità di previsione, quanto dal fatto che esso contribuisce a mettere in relazione reciproca dati che, altrimenti, sembrerebbero non collegati. È del tutto ovvio che è semplicemente impossibile che un individuo svolga contemporaneamente tutte le attività legate alla sopravvivenza e alla riproduzione. I vari requisiti di un atto comportamentale di un animale possono essere classificati grosso modo come ‛conservazione, protezione, trasmissione' (in inglese, le tre ‛p': preservation, protection, propagation).
Le molte attività funzionali riassunte dai termini ‛conservazione' e ‛protezione' sono necessarie per la sopravvivenza, mentre la trasmissione è necessaria per garantire la continuità genetica da una generazione alla successiva. Molti di questi compiti si escludono a vicenda. Quando un sistema di controllo comunica al cervello che gli zuccheri nel sangue sono scesi a bassi livelli, è logico che intervengano dei meccanismi in grado di sopprimere tutte le attività che potrebbero interferire con il compito di cercare cibo e aumentare il livello di zucchero nel sangue. Quando un segnale di allarme avverte che si sta avvicinando un pericoloso predatore, è meglio che il pasto sia interrotto per darsi alla fuga, onde evitare di diventare il pasto di un'altra specie.
L'immagine di un ‛capo' che decide quel che si deve fare quando vi sono tante richieste contrastanti è assai suggestiva. Ma gli esperti di intelligenza artificiale, il cui compito è costruire macchine capaci di svolgere una molteplicità di funzioni, sostengono che tali sistemi richiedono un'organizzazione ‛eterarchica' piuttosto che gerarchica. Ciò significa che i vari sistemi che controllano moduli comportamentali differenti e incompatibili sono in contatto reciproco, anziché essere controllati da un ‛sistema-capo'. La stessa idea è implicita in ciò che talvolta si chiama ‛gestione a matrice' di istituzioni umane complesse. Cionondimeno, la necessità di esprimere molti diversi tipi di comportamenti incompatibili richiede regole di organizzazione interne ben definite, e in tal senso l'intuizione di Tinbergen è importante.
Organizzare molti diversi sistemi di comportamento onde massimizzare le possibilità di sopravvivenza e di successo riproduttivo richiede calcoli elaborati. In generale, è questa pressione che ha condotto all'evoluzione di cervelli sempre più complessi. Una volta si pensava agli animali come a esseri molto semplici, finché non intervennero nuove conoscenze che costrinsero a rivedere questa convinzione. Attualmente si tende a chiedersi fino a che punto le capacità cognitive, le percezioni e l'autocoscienza degli animali siano simili a quelle degli uomini. Ciò può portare ad attribuire ingenuamente agli animali intenzioni ed emozioni umane che molto probabilmente non hanno. Dobbiamo continuamente ricordare a noi stessi che un comportamento apparentemente finalizzato a uno scopo può essere la manifestazione di un meccanismo di retroazione negativa attivato dall'ambiente, proprio come avviene in molti dispositivi omeostatici costruiti dall'uomo, quali quelli che regolano la temperatura nelle nostre case. Il mantenimento di un ambiente umido da parte di crostacei isopodi terrestri, come l'onisco, dipende da una semplice regola: smettere di camminare quando l'umidità è più alta di un valore-soglia. Analogamente, complicati problemi di ottimizzazione e di sfruttamento del tempo sono spesso risolti tramite semplici regole basate sull'esperienza pratica che permettono di risparmiare tempo prendendo delle scorciatoie (v. Dawkins, 19952). Semplici regole di apprendimento possono fornire le basi per prevedere cosa accadrà. Capacità di eseguire semplici associazioni tra stimoli neutri e stimoli biologicamente rilevanti sono note in molti invertebrati primitivi. Il moscerino della frutta (Drosophila) che abbia associato determinati odori a un'imminente scossa elettrica si comporterà in modo da evitarla. In effetti bisogna riconoscere che anche gli esseri umani compiono molte azioni complesse del tutto automaticamente, senza pensare a quel che stanno facendo.
La comprensione del modo di percepire e di sentire degli animali ha assunto una particolare importanza a causa dell'interesse del pubblico per le sofferenze degli animali. Come si può raggiungere una tale comprensione? Ciascuno di noi si forma giudizi sul prossimo. Il fatto di specificare che cosa conduce a tali giudizi rende più chiaro il nostro meccanismo di proiezione sugli animali. Ci si deve quindi chiedere se un determinato animale possieda strutture anatomiche, fisiologiche e biochimiche simili a quelle che in un essere umano sappiamo essere correlate con sensazioni, emozioni o intenzioni; ci si deve anche domandare se l'animale agisca in modo simile a un uomo che si ritiene stia pensando o sperimentando sensazioni, nonché se la sua risposta sia funzionalmente simile a quella che ci si aspetta da un uomo. In altre parole, i dati forniti dall'osservazione vanno inseriti nell'appropriato contesto ecologico e sociale. In un ambiente sociale dove si praticano la cooperazione e l'assistenza, è logico che un essere umano convalescente dipenda da altre persone, mentre un cavallo pascolerà normalmente dopo essersi rotto una zampa, perché morrebbe in breve tempo se non lo facesse.
Come abbiamo visto, gli animali compiono molte azioni complesse impiegando semplici regole nell'organizzazione del loro comportamento. Tuttavia, il numero delle analogie tra il comportamento degli esseri umani, cui senza esitazioni attribuiamo pensieri, intenzioni ed emozioni, e quello di animali superiori come i Mammiferi e gli Uccelli, ci dà serie basi per riflettere sulla ricchezza delle loro attività mentali (v. Dawkins, 19952). Il metodo è antropocentrico, ma induce molti etologi a concedere agli animali il beneficio del dubbio, pur non essendovi alcun dato obiettivo su ciò che essi provano.
4. Le origini del comportamento adattativo
Dato che gli esseri umani imparano tante cose, tendiamo a supporre che se gli animali si comportano in modo intelligente, allora anch'essi devono imparare ciò che fanno. Viceversa, molti comportamenti altamente adattativi si sviluppano senza la possibilità di un apprendimento basato sulla pratica e sull'imitazione di altri animali più esperti. In effetti, gli etologi classici erano particolarmente interessati al carattere innato di molti comportamenti, argomento strettamente associato allo sviluppo di una teoria dell'istinto. Comunque, anche i pionieri dell'innatismo riconoscevano l'importanza dell'apprendimento; davano infatti grande rilievo a processi evolutivi come l'imprinting, che fissa l'oggetto che un animale considera come propria madre o proprio partner, e l'apprendimento del canto, che determina il modo in cui un uccello maschio canta, esprimendosi in un dialetto diverso rispetto a un altro maschio della stessa specie.
La ricerca moderna ha sfatato un'altra credenza degli etologi classici: quella secondo cui tutti i membri di una stessa specie aventi la stessa età e lo stesso sesso si comporterebbero nello stesso modo. Sono passati i tempi in cui un ricercatore sul campo poteva fiduciosamente supporre che una buona descrizione di una specie, ricavata in un certo habitat, potesse essere generalizzata alla stessa specie in un altro insieme di condizioni ambientali. Le variazioni del comportamento all'interno di una specie possono, naturalmente, riflettere la diffusione dei processi di apprendimento. Comunque, alcuni modi alternativi di comportamento, più che essere appresi, sono probabilmente indotti dalle condizioni ambientali prevalenti. Tra i babbuini gelada, per esempio, molti maschi adulti sono assai più grossi delle femmine e una volta che abbiano assunto la guida di un gruppo di femmine le difendono dalle attenzioni dei rivali. Altri maschi sono delle stesse dimensioni delle femmine e approfittano dei momenti di distrazione dei maschi più grossi per tentare furtivamente l'accoppiamento. Il beneficio compensatorio per i maschi piccoli consiste nel fatto che essi hanno vite riproduttive molto più lunghe di quelle dei maschi grandi. Sembra probabile che ogni maschio possa seguire entrambe le strade e che il modo particolare in cui si sviluppa dipenda dalle condizioni ambientali. Esempi come questo stanno suscitando un crescente interesse per le strategie alternative, il significato funzionale e la natura dei principî evolutivi coinvolti.
Lorenz vedeva nel comportamento adulto l'intercalarsi di distinti e riconoscibili elementi ‛appresi' e ‛istintivi'. Pochi studiosi condividono ancora questa concezione e il lavoro svolto dagli etologi che seguono la teoria evolutiva è stato importante in quanto ha illustrato come i processi di sviluppo implichino un'interazione tra fattori interni e fattori esterni.
Dopo i primi tentativi falliti di classificare il comportamento in termini di istinti, l'attenzione si è progressivamente focalizzata sulle facoltà, ovvero sulle caratteristiche del comportamento che ricorrono nelle diverse categorie funzionali convenzionali, quali il procacciarsi il cibo, il corteggiamento, la cura della prole e così via. Di conseguenza, nella ricerca etologica moderna si sta attribuendo crescente importanza ai meccanismi generali comuni alle diverse forme di comportamento: i meccanismi percettivi, di immagazzinamento delle informazioni e di controllo. Per combinazione, gli interessi di molti etologi vanno a coincidere in misura sempre maggiore con quelli che sono stati i tradizionali interessi della psicologia.
Per comprendere lo sviluppo del comportamento è importante tener presente che, in generale, i geni non codificano per il comportamento nel senso che si possa trovare una semplice corrispondenza tra geni e comportamento. Tuttavia, differenze genetiche individuali sono associate spesso non soltanto a variazioni nell'anatomia ma anche nel comportamento. Simili variazioni sono usate, per esempio, per selezionare particolari caratteristiche nei cani domestici. Il punto di vista generale sullo sviluppo del comportamento è che un sistema nervoso che genera un comportamento osservabile è il prodotto sia dell'espressione genica, sia delle condizioni prevalenti durante la maturazione dell'individuo. Inoltre, quali geni vengano espressi dipende dallo stato del sistema nervoso, come pure da determinate condizioni esterne. Noi ora pensiamo che almeno tre differenti processi evolutivi portino alla complessità adattativa del comportamento: alcuni comportamenti sono indipendenti dalle condizioni esterne, altri sono indotti da particolari condizioni ambientali e altri ancora implicano un apprendimento soggetto a condizioni specifiche. Ogni dato modulo comportamentale può essere influenzato da tutti e tre questi processi evolutivi.
5. Conclusioni
L'etologia e le materie a essa strettamente collegate differiscono da molti altri campi della biologia, in quanto la discussione dei loro principî richiede molto tempo e un notevole impegno. La biologia molecolare, per esempio, non possiede un retroterra teorico così elaborato, e tende a fare assegnamento in larga misura sul potere di sofisticate tecniche di laboratorio per scoprire e descrivere i processi biologici. La varietà e la quantità dei risultati riportati nella letteratura relativa alla biologia comportamentale sono enormi e riflettono ciò che forse è tanto un suo punto di debolezza quanto un suo punto di forza. La debolezza sta nel fatto che gli esperimenti di rado sono ripetuti e la variazione parametrica di importanti condizioni che influenzano il comportamento, come sarebbe normale in psicologia sperimentale, non è comune. La forza sta nel fatto che i nuovi dati, sempre sorprendenti, aprono nuove linee di ricerca. Sembra esservi un certo contrasto tra l'idea che quel che conta siano le differenze di comportamento e l'idea che del comportamento dovremmo piuttosto cercare di scoprire le costanti universali. Naturalmente, ciò riflette una differenza negli obiettivi della ricerca. Se molti etologi finirebbero per concordare sul fatto di essere interessati a un certo obiettivo piuttosto che a un altro, tuttavia non sarebbero d'accordo su quale sia l'obiettivo più importante. In ogni caso, non sarebbe esatto sostenere che l'ampiezza dell'etologia è la conseguenza di un approccio globale al comportamento, che aiuta ogni ricercatore a giungere più facilmente dove ha sempre inteso arrivare. Semplicemente molti etologi provano piacere nello studio del comportamento in tutta la sua varietà.
Lo sviluppo e il controllo del comportamento di un individuo possono essere studiati contemporaneamente a molti livelli: a livello dell'intero animale, della fisiologia dei sistemi e molecolare. Inoltre, come R. Hinde ha ripetutamente sottolineato, il comportamento reciproco degli individui può essere studiato in termini di interazioni, relazioni e strutture sociali (v. Bateson, 1991). Per queste ragioni dobbiamo tener presente che, oltre alla distinzione introdotta da Tinbergen tra due ordini di problemi immediati - quelli relativi al modo in cui il comportamento si sviluppa e quelli riguardanti il modo in cui esso viene controllato una volta pienamente sviluppato - ha una grandissima importanza chiarire le differenze tra livelli diversi di organizzazione.
L'etologia moderna confina con tante discipline diverse, talché essa sfugge a una semplice definizione che faccia riferimento a un problema comune o a un particolare settore della letteratura. Essa si sovrappone ampiamente all'ecologia comportamentale e alla sociobiologia. Inoltre, coloro che si definiscono etologi si trovano a lavorare a fianco di neurobiologi, psicologi sociali e del comportamento, antropologi e psichiatri, ecc. Gli etologi sono abituati a pensare in modi che riflettono la loro esperienza, con sistemi liberamente operanti che da un lato influenzano il proprio ambiente e, dall'altro, ne sono influenzati. Queste capacità, che hanno consentito loro di capire la dinamica dei processi comportamentali, sono apprezzate dagli altri ricercatori con cui collaborano. Una volta sembrava che l'etologia fosse destinata a cedere di fronte alle discipline a essa affini; invece, si è nuovamente imposta come scienza di primo piano, che continuerà a svolgere un ruolo integrativo importante, contribuendo a chiarire a che cosa servono i moduli comportamentali, come si sono evoluti, come si sviluppano, come vengono controllati.
bibliografia
Alcock, J, Animal behavior, Sunderland, Mass., 19935.
Bateson, P. (a cura di), The development and the integration of behaviour, Cambridge 1991.
Dawkins, M. S., Unravelling animal behaviour, Harlow 19952.
McFarland, D., Animal behaviour, Harlow 19932.
Manning, A., Dawkins, M. S., An introduction to animal behaviour, Cambridge 19924.
Martin, P., Bateson, P., Measuring behaviour, Cambridge 1993.