Abstract
L’evasione fiscale è il comportamento antigiuridico per eccellenza nel diritto tributario e si sostanzia nel parziale o totale occultamento della materia imponibile ad opera del contribuente, il quale può adottare un semplice comportamento omissivo e/o commissivo oppure porre in essere espedienti ingannatori tipici della frode.
Non v’è dubbio che l’evasione – intesa in prima approssimazione quale volontaria ed illecita sottrazione all’obbligo di contribuire alle spese pubbliche – reca in sé un disvalore il cui significato è strettamente correlato alla pregnanza che ciascun ordinamento, e prima ancora ciascuna stagione culturale, assegna al dovere dei membri della comunità di partecipare alle spese pubbliche.
La qualificazione di una spesa come «pubblica» presuppone a monte l'individuazione delle funzioni, più o meno estese, assegnate allo Stato in un determinato momento storico; a loro volta, le modalità di distribuzione di tali spese tra i membri della collettività – ed in special modo la minore o maggiore connotazione di tale distribuzione in senso solidaristico e redistributivo – costituiscono un tratto tipico della collettività, o quantomeno del modello ideale di comunità al quale si aspira.
Rispetto alla rilevanza e alla tensione ideale sottesa alla funzione dei tributi, è evidente il disvalore palesato dalla consapevole scelta di sottrarsi al loro pagamento mediante condotte di evasione.
Si dibatte oggi, nel nostro come in altri ordinamenti, sulla possibilità di individuare indici di capacità contributiva diversi da quelli tradizionali del patrimonio, del reddito e della spesa, sotto la spinta di due concomitanti fattori: da un lato, il bisogno pervasivo, in un contesto di spesa pubblica crescente, di individuare presupposti di tassazione ulteriori e diversi da quelli tradizionali; e, dall’altro, l’impellente problema di arginare, anche attraverso questo ampliamento, il fenomeno della crescente disuguaglianza sociale che connota la nostra epoca.
Sullo sfondo del dibattito emerge in modo sempre più evidente che il fondamentale dovere di contribuzione alle spese pubbliche di ogni appartenente alla collettività assuma una connotazione “etica” prima ancora che giuridica (vedi Sacchetto, C.-Dagnino, A., Analisi etica delle norme tributarie, in Riv. trim. dir. trib., 2013, 617 ss.; McGee., R.W., a cura di, The ethics of tax evasion. Perspectives in theory and practice, Berlin-Heidelberg, 2012; Turchi, A., Coscienti evasori. Problemi e prospettive dell’obiezione fiscale, Milano, 2011; Dell’Anno, R., Tax evasion, tax morale and policy maker’s effectiveness, in Journal of Socio-Economics, 2009, 988 ss.; Gallo, F., Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, Bologna, 2008; Falsitta, G., Giustizia tributaria e tirannia fiscale, Milano, 2008; McGee, R.W., Three views on ethics of tax evasion, in Journal of Business Ethics, 2006, 15 ss.; Stainer, A.-Stainer, L.-Segal, A., The ethics of tax planning, in Business Ethics, 1997, 213 ss.; Green, R.M., Ethics and taxation: a theoretical framework, in Journal of Religious Ethics, 1984, 146 ss.). In altre parole, «la tassazione è talmente connessa con il vivere insieme, che tramite essa si organizza e si svolge, che non può essere compresa nel suo vero senso al di fuori del contesto comunitario» (così, Fichera, F., Le belle tasse. Ciò che i bambini ci insegnano sul bene comune, Torino, 2011, 14).
In un momento come quello attuale di forte e perdurante crisi economica, è poi evidente che il mancato pagamento dei tributi si risolve anche in una forma di sleale concorrenza, ad evidente danno di coloro che, agendo nel pieno rispetto della legalità contributiva, versano nell’impossibilità di praticare condizioni analoghe ai loro concorrenti evasori. Dimensione, quest’ultima, che ha trovato di recente riconoscimento normativo nella scelta di introdurre il reato di autoriciclaggio, ossia l’impiego di capitali illeciti – ed in primis del profitto di evasione fiscale – in attività economiche, finanziarie e speculative, con la correlata esclusione dell’impiego ad uso di godimento personale (art. 648 ter.1 c.p.).
Orbene, il complesso di queste considerazioni rende evidente come vieppiù l’evasione fiscale è percepita, in ciascuna delle sue manifestazioni, come la rottura del vincolo di lealtà minimale che lega fra loro i cittadini e comporta, quindi, la violazione di uno dei “doveri inderogabili di solidarietà”, sui quali, ai sensi dell’art. 2 Cost., si fonda una convivenza civile ordinata ai valori di libertà individuale e di giustizia sociale (così, C. cost., 18.2.1992, n. 51).
Ogniqualvolta il percorso “fisiologico” del rapporto obbligatorio d’imposta subisce una deviazione “patologica”, causata dal comportamento omissivo – o, addirittura, ingannatorio – del contribuente, si determina un'alterazione dei «criteri di ripartizione dell’imposta tracciati dagli artt. 2,3 e 53 Cost.» e la relativa azione di contrasto da parte dello Stato «diventa una via obbligata per attuare i principi costituzionali»: insomma, «non c’è giustizia fiscale se c’è evasione» (così, Falsitta, G., Giustizia tributaria e tirannia fiscale, Milano, 2008, 32-33).
La differenza fra il quantum dovuto dal contribuente e quello effettivamente versato al soggetto attivo genera un’asimmetria all’interno delle finanze pubbliche, la quale, da un punto di vista macroeconomico, ha ormai assunto dimensioni vastissime. Sebbene non vi siano dati quantitativi certi, ma solo “virtuali” (in tal senso, cfr. Bernardi, L.-Franzoni, L.A., Evasione fiscale e nuove tipologie di accertamento: una introduzione all’analisi economica, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2004, I, 3 ss.), perché i vari tentativi di valutazione della portata dell’evasione risentono delle difficoltà relative alla stima di un fenomeno illegale e nascosto (così, Visco, V., (voce) Evasione fiscale, in Dig. comm., 4a ed., vol. V, Torino, 1990, 298), l’Eurispes reputa che l’Italia abbia “tre PIL”: «uno ufficiale di circa 1.500 mld di euro; uno sommerso equivalente a circa un terzo di quello ufficiale, ovvero almeno 540 mld; e uno criminale ben superiore a 200 mld. Ai circa 540 mld di sommerso indicati corrisponderebbe, considerando una tassazione di circa il 50%, la somma di 270 mld di evasione. Parte di tale fetta è da alcuni considerato “sommerso da sopravvivenza” nel quale fasce rilevanti della società hanno teso a rifugiarsi a causa della crisi economica» (così, Eurispes, Rapporto Italia 2016. La sindrome del Palio, 28.1.2016, accessibile su http://eurispes.eu/content/rapporto-italia-2016-la-sindrome-del-palio). L’Amministrazione finanziaria nel 2015 ha provveduto a recuperare euro 14,9 miliardi di imposte evase: un dato che esprime la sempre maggiore efficienza dei meccanismi di accertamento e riscossione, ma che comunque rivela l’incapacità di aggredire in modo efficace la piaga (vedi Agenzia delle entrate, Comunicato stampa del 1.3.2016).
L’evasione, fenomeno complesso, si atteggia in modo diverso in corrispondenza della tipologia di attività sommersa (shadow economy) che la genera: al riguardo, si suole distinguere l’economia totalmente illegale (il cd. mercato nero), caratterizzata da vere e proprie attività criminali (e.g. furti, corruzione, concussione, criminalità organizzata, riciclaggio di denaro, contrabbando di merci, terrorismo, etc.), dall’economia semi-legale (la c.d. economia “grigia”), che, invece, riguarda la ben più vasta fenomenologia di attività svolte in modo lecito ma che poi occultano parte delle transazioni effettuate (si veda Pickhardt, M.-Prinz, A., a cura di, Tax evasion and the shadow economy, Cheltenham, 2012).
Il deficit di risorse finanziarie ascrivibile all’evasione innesca una serie di conseguenze socio-economiche.
Da un punto di vista “verticale”, lo Stato cerca di azionare tutti i rimedi giuridici per recuperare coattivamente tali risorse e, al contempo, punire gli autori di tali comportamenti, con sanzioni di natura amministrativa o – per le fattispecie più gravi – con sanzioni di natura penale. Al contempo, da un punto di vista “orizzontale”, l’evasione fiscale su larga scala genera un vero e proprio «allarme sociale» (vedi Lupi, R., (voce) Evasione fiscale, in Il Diritto – Enciclopedia giuridica, vol. 6, Milano, 2007, 275) consistente nella radicalizzazione del divario fra “evasori” e “tartassati” (vedi Pedone, A., Evasori e tartassati: i nodi della politica tributaria italiana, Bologna, 1979). In questo contesto, l’evasore incarna una categoria eterogenea e trasversale che può abbracciare i contesti più diversi; il “tartassato” si identifica con colui che per scelta o impossibilità di sottrarsi al prelievo, in quanto titolare di una fonte di reddito difficile da occultare, come ad esempio il lavoro dipendente, assolve integralmente il proprio dovere contributivo. Sotteso a tale contrapposizione, forte è il rischio che le categorie di contribuenti fedeli inizino a percepire come “ingiusto” ed “inefficiente” il sistema tributario e, ritenendo che su essi gravi un iniquo innalzamento del livello impositivo a causa dell’evasione altrui, considerino come insostenibile il carico fiscale, creando così “nuova evasione” (in questo senso, vedi Visco, V., (voce) Evasione fiscale, in Dig. comm., 4a ed., vol. V, Torino, 1990, 300).
Di fatto, considerato che l’Italia ha dei rigidi vincoli di bilancio derivanti dalla sua appartenenza all’eurozona e dall’adesione al cd. Fiscal compact del 2012, l’evasione fiscale può innescare un aumento della pressione tributaria sui redditi dichiarati e/o più facilmente accertabili.
Coniugando questo scenario con alcuni effetti perversi della globalizzazione economica, come l’adozione di forme di tassazione più lievi nei confronti dei redditi di capitale al fine di evitare la “fuga di capitali”, od ancora la capacità delle grandi imprese della digital economy di attuare forme di pianificazione fiscali particolarmente aggressive, l’evasione diviene vieppiù foriera di conseguenze aberranti e socialmente insostenibili (vedi De Wilde, M.F., Sharing the pie: taxing multinationals in a global market, Amsterdam, 2017; Mastellone, P., (voce) Contrasto all’erosione nel diritto tributario internazionale, in Dig. Comm., Agg. VIII, Milano, 2017, 46 ss.; Del Federico, L.-Ricci, C., a cura di, La digital economy nel sistema tributario italiano ed europeo, Padova, 2015; Cipollina, S., I redditi “nomadi” delle società multinazionali nell’economia globalizzata, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2014, I, 21 ss.; Tanzi, V., Globalizzazione e sistemi fiscali, Arezzo, 2002; Gallo, F., Mercato unico e fiscalità: aspetti giuridici del coordinamento fiscale, in Rass. trib., 2000, 725 ss.; Tremonti, G., La fiscalità nel terzo millennio, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1998, I, 69 ss.; Gerelli, E., Il fantasma della globalizzazione e la realtà dei sistemi tributari negli anni 2000, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1997, I, 449 ss.; Owens, J., Globalisation: the implications for tax policies, in Fiscal Studies, 1993, 21 ss.).
Oltre ad essere causa di iniquità sociale e redistributiva (cfr. Braiotta, A.-Pisani, S.-Pisano, E., Evasione fiscale e distribuzione primaria del reddito, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2013, I, 139 ss.), l’evasione costituisce altresì un rilevante ostacolo alla realizzazione della libera concorrenza nel mercato, in quanto «l’impresa che evade le imposte […] riesce ad offrire i propri beni o servizi ad un prezzo più basso rispetto a quello praticato dagli operatori onesti, conquistando quote di mercato. Il mancato gettito per lo Stato si traduce poi in un inasprimento della pressione tributaria per le aziende in regola, con conseguenti, ulteriori effetti distorsivi. Contrastare l’evasione fiscale significa, quindi, tutelare le imprese sane e la loro potenzialità competitiva, incentivare l’iniziativa privata e creare condizioni più favorevoli per l’investimento interno e dall’estero. Significa, in sintesi, promuovere la crescita economica del Paese» (in tal senso, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Rapporto sulla realizzazione delle strategie di contrasto all’evasione fiscale, sui risultati conseguiti nel 2013 e nell’anno in corso, nonché su quelli attesi, con riferimento sia al recupero di gettito derivante da accertamento all’evasione che a quello attribuibile alla maggiore propensione all’adempimento da parte dei contribuenti (art. 6 del decreto legge 24 aprile 2014 n. 66), 4).
Da ultimo, ma non certo per ordine di importanza, l’iniquità sociale e redistributiva generata dall’evasione fiscale non ha solo ricadute in termini di distorsione della concorrenza, ma anche sul piano dei diritti umani, posto che gli Stati – come anche stabilito dall’art. 2, co. 1, della International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights del 1966 – hanno lo specifico obbligo di destinare le massime risorse disponibili alla progressiva realizzazione dei diritti umani (in questo senso, vedi Melis, G., Evasione ed elusione fiscale internazionale e finanziamento dei diritti sociali, in Rass. trib., 2014, 1283 ss.).
La lotta all’evasione si rivela, dunque, oggi fondamentale anche per attenuare la tensione sociale sempre più palpabile che i suoi molteplici effetti negativi generano a cascata nel paese (così, Murphy, R., The joy of tax. How a fair tax system can create a better society, London, 2015, passim).
Gli studiosi da tempo cercano di comprendere le ragioni di fondo che spingono i contribuenti ad evadere le imposte dovute, convinti del fatto che solo intervenendo adeguatamente sul piano della deterrenza e del bilanciamento di interessi tra contribuente e Fisco sia possibile costruire una cultura di “legalità fiscale”. Il fenomeno dell’evasione fiscale, delle relative cause e dei possibili rimedi è tradizionalmente oggetto di studio, da parte degli economisti (cfr. ex pluribus Allingham, M.G.-Sandmo, A., Income tax evasion: a theoretical analysis, in Journal of Public Economics, 1972, 323 ss.; Boidman, N., Tax evasion: the present state of non-compliance, in Bulletin for International Fiscal Documentation, 1983, 451 ss.; Cowell, F.A., The economic analysis of tax evasion, in Hey, J.D.-Lambert, P.J., a cura di, Surveys in the economics of uncertainty, Oxford, 1987, 173 ss.; Alm, J., Compliance costs and the tax avoidance-tax evasion decision, in Public Finance Quarterly, 1988, 31 ss.; Feige, E.L., a cura di, The underground economies: tax evasion and information distortion, Cambridge, 1989; Tanzi, V.-Shome, P., A primer on tax evasion, in IMF Staff Papers, 1993, 807 ss.), degli psicologi (cfr. per tutti Verboon, P.-Van Dijke, M., A self-interest analysis of justice and tax compliance: how distributive justice moderates the effect of outcome favorability, in Journal of Economic Psychology, 2007, 704 ss.) ed anche dei sociologi (si veda, da ultimo, Sibichen, K.M., Making people pay. The economic sociology of taxation, New Delhi, 2013).
Partendo dal presupposto che i moderni sistemi tributari sono imperniati sull’autodichiarazione, il contribuente si trova dinanzi ad una scelta radicale: a) dichiarare il proprio reddito effettivo; b) dichiarare un importo inferiore al proprio reddito effettivo (o addirittura non presentare proprio la dichiarazione). Mentre la prima via rappresenta un comportamento espressivo della piena tax compliance da parte del consociato, l’adozione della seconda strategia è subordinata ad una preliminare valutazione circa il rischio di essere o meno sottoposto ad accertamento da parte delle autorità fiscali.
Il contribuente, quale individuo razionale, effettua una comparazione fra la probabilità di essere scoperto (determinata sulla base del numero degli accertamenti fiscali che l’Amministrazione finanziaria effettua e di cui il contribuente è a conoscenza) e, perciò, di essere sottoposto a sanzioni per il proprio comportamento contra legem, da una parte, e l’utilità che intende raggiungere nell’ipotesi in cui sia in grado di evadere l’imposta, dall’altra. Quindi, la decisione di evadere le imposte dovute è frutto di un vero e proprio “calcolo economico” del contribuente, con la conseguenza che l’evasione rappresenterà un “rischio accettabile” qualora «l’aliquota (marginale) risparmiata sul reddito evaso risulterà superiore all’entità della penalità moltiplicata per la probabilità di essere scoperti» (così, Visco, V., (voce) Evasione fiscale, in Dig. comm., 4a ed., vol. V, Torino, 1990, 296). L’utilità ottenuta dall’evasore “di successo” è evidente e consiste nell’ottenere che la propria ricchezza rimanga integra.
La dottrina (Vitaletti, G., L’evasione fiscale. Modi di manifestazione e misure per l’emersione, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2013, I, 7-8) ha recentemente enucleato una serie di aspetti che influiscono, in modo più o meno intenso, sulla scelta del contribuente circa il comportamento da seguire; tra essi spiccano i fattori etici e la pressione sociale, intesa come stigmatizzazione di tale comportamento; la percezione della probabilità di subire un accertamento a fronte della propria violazione (e.g. in base a meccanismi di accertamento presuntivo che desumono il reddito non dichiarato dal tenore di vita); la collusione fra soggetto passivo e consumatore finale, incentivato da una riduzione del costo del bene o del servizio a fronte di un pagamento in contanti (e, in quanto tale, non tracciabile); l’evasione delle società di capitali, in ordine alla quale viene verificato se l’ordinamento punisce solo la società (in quanto soggetto passivo del tributo) o anche i relativi amministratori (che hanno, di fatto, deciso di non attenersi alla normativa fiscale); le forme di remunerazione degli ispettori fiscali e loro possibile collusione con gli evasori.
Il primo dei summenzionati fattori risulta essere di fondamentale importanza, in quanto è quello che più di tutti condiziona la cd. mentalità tributaria del contribuente che decide di evadere. Gli studi sociologici e psicologici relativi all’evasione fiscale, nel tentativo di delineare “l’identikit” dell’evasore italiano, hanno ravvisato una generale sfiducia del cittadino nei confronti delle istituzioni e nel relativo impiego delle risorse pubbliche finanziate attraverso la raccolta dei tributi (per tutti, si veda l’ampia analisi di Tagliacozzo, A., Per una sociologia dell’evasione, Roma, 1984). Il rapporto Stato-cittadino che emerge da questa analisi si concentra sulla sempre crescente scissione fra il «cittadino-utente» di servizi pubblici (divisibili o indivisibili) ed il «cittadino-contribuente» che, a prescindere dal beneficio ricevuto in concreto, è sempre tenuto a versare i tributi richiesti (cfr. Visco, V., (voce) Evasione fiscale, in Dig. comm., 4a ed., vol. V, Torino, 1990, 295). Infatti, se il cittadino-utente non sempre è in grado di valutare con esattezza quanti beni pubblici “consuma”, il cittadino-contribuente è sempre perfettamente consapevole del sacrificio finanziario al quale è chiamato.
La violazione del dovere di concorrere alle spese pubbliche da parte del consociato può, quindi, conseguire sia alla «scarsa coscienza civica del contribuente», sia «all’elevatezza della pressione fiscale che può trasformare il tributo in uno strumento economico-giuridico d’espropriazione», sia, in certe ipotesi, alla «poca chiarezza e comprensibilità delle leggi tributarie, assai spesso fonte di errore e, quindi, di violazione della norma tributaria» (così, Lovisolo, A., (voce) Evasione ed elusione tributaria, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 5-6).
Da questa ricostruzione emerge la complessità del fenomeno, il quale nasce dall’equilibrio fra tre realtà: quella legislativa ove si elaborano le norme tributarie, quella amministrativa consistente nella verifica circa la corretta applicazione di dette norme, e, infine, quella del singolo contribuente che valuta se e in che misura rispettare le norme tributarie. Appare chiaro, quindi, che l’evasione risente in forte misura «dell’efficienza, della capacità di accertamento dell’Amministrazione pubblica, delle modalità con cui l’accertamento viene realizzato» (così, Cannari, L.-D’Alessio, G., Le opinioni degli italiani sull’evasione fiscale, Temi di discussione del Servizio Studi della Banca d’Italia, n. 618, febbraio 2007, 8).
Orbene, a partire dalla riforma organica del sistema tributario degli anni ’70 il legislatore italiano ha imposto una partecipazione ed un coinvolgimento del contribuente nell’attuazione del rapporto obbligatorio d’imposta sempre più incisivi. A tale mutamento di prospettiva si sono via via susseguiti interventi normativi finalizzati alla prevenzione ed al contrasto dell’evasione fiscale, i quali si scontrano, tuttavia, con difficoltà di natura “culturale” il cui sradicamento viene periodicamente messo in crisi dai frequenti provvedimenti di amnistia fiscale (si veda Falsitta, G., I condoni fiscali tra rottura di regole costituzionali e violazioni comunitarie, in Il Fisco, 2003, 786 ss.; De Mita, E., Il condono fiscale tra genesi politica e limiti costituzionali, in Jus - Riv. sc. giur., 2003, 423 ss.), i quali – dall’Unità d’Italia ad oggi – sono oltre 80.
Negli ultimi anni, tuttavia, la comunità internazionale ha intrapreso una serie di iniziative coordinate finalizzate alla collaborazione fra autorità fiscali volte a contrastare l’evasione e l’elusione fiscale internazionale, alle quali gli ordinamenti nazionali si stanno adeguando. Superando la precedente ed anacronistica impostazione che vedeva i tributi come appannaggio dello Stato sovrano (con conseguente amministrazione autonoma degli stessi e rifiuto di cooperare con altri ordinamenti), sia a livello OCSE sia a livello di Unione europea si è diffusa la consapevolezza che il fenomeno ha ormai una portata internazionale e, conseguentemente, i relativi rimedi implicano un coordinamento fra Stati.
Al fine di inquadrare correttamente l’evasione fiscale e le forme più comuni attraverso cui questa viene realizzata dai contribuenti occorre innanzitutto tracciare le linee di confine con le altre categorie dell’elusione fiscale e del risparmio lecito d’imposta.
In linea di massima, è possibile definire l’evasione fiscale (contra legem) come la condotta illecita volontariamente posta in essere dal contribuente, il quale si sottrae in tutto (evasore totale) o in parte (evasore parziale) all’obbligazione tributaria attraverso una falsa rappresentazione della realtà o un'errata qualificazione giuridica della situazione di fatto. Tale condotta illecita si traduce, all’atto pratico, nella mancata dichiarazione del presupposto impositivo da parte del contribuente; l’evasione fiscale rappresenta, quindi, la «violazione diretta, aperta di norme fiscali (come le norme che pongono l’obbligo di dichiarare il presupposto), espressamente prevista e punita con sanzioni amministrative e/o penali» (così, Tesauro, F., Istituzioni di diritto tributario, vol. 1, Parte generale, Torino, 2011, 242).
Considerata l’estrema gravità delle condotte che realizzano l’evasione fiscale, le quali implicano l’illecito occultamento della materia imponibile (e.g. dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, frode fiscale, etc.), i relativi autori sono puniti con sanzioni di natura amministrativa e, molto spesso, anche penale.
Da qualche tempo, accanto all’evasione consistente nell’omessa dichiarazione della ricchezza, sta acquisendo crescente rilevanza l’evasione nella fase di adempimento, consistente nella volontaria omissione del pagamento di imposte in relazione a di imponibili dichiarati. Comportamento la cui gravità, specie se realizzato attraverso condotte di fittizia spoliazione del patrimonio, ha indotto il legislatore a configurare come reato l’omesso pagamento di tributi superiore a determinate soglie.
L’elusione fiscale si differenzia dall’evasione, in quanto il contribuente – invece di compiere una violazione “diretta” della norma tributaria – utilizza in modo “improprio” uno o più strumenti giuridici per raggiungere un determinato obiettivo, realizzando in tal modo una riduzione del carico impositivo (sul tema, v. da ultimo, Cipollina, S., (voce) Abuso del diritto o elusione fiscale, in Dig. comm., Agg. VIII, Milano, 2017, 1 ss.). Dunque, al posto dell’iter contrattuale normalmente percorso per raggiungere un certo risultato (i.e. il comportamento eluso), al quale il legislatore fa conseguire un determinato regime impositivo (i.e. la norma tributaria elusa), il contribuente aggira la norma (pur senza violarla e, quindi, senza occultare la base imponibile) e, ponendo in essere un’anomala concatenazione di atti (i.e. il comportamento elusivo), ottiene un vantaggio fiscale indebito. Quindi, «chi elude, confida su una determinata interpretazione (restrittiva) della legge, chi evade, confida di non essere scoperto» (così, Tesauro, F., Istituzioni di diritto tributario, vol. 1, Parte generale, 3a ed., Torino, 1992, 50). In termini ancora più chiari, si può affermare che l’elusione, a differenza dell’evasione, è frutto di un comportamento realizzato «alla luce del sole», senza occultamenti della materia imponibile.
Anche a livello internazionale, con il concetto di “elusione” si tende a fare riferimento ad un termine «that is difficult to define but which is generally used to describe the arrangement of a taxpayer’s affairs that is intended to reduce his tax liability and that although the arrangement could be strictly legal it is usually in contradiction with the intent of the law it purports to follow» (così, OECD, Glossary of tax terms, accessibile su www.oecd.org/ctp/glossaryoftaxterms.htm).
Nelle esperienze giuridiche nazionali, l’elusione fiscale è contrastata per mezzo di clausole generali antielusive (cd. General Anti-Avoidance Rules, GAARs), per mezzo di una serie di clausole speciali antielusive (cd. Special Anti-Avoidance Rules, SAARs) o, infine, combinando l’applicazione di una norma antielusiva non generale (ma di vasta portata) con diverse SAARs (per una panoramica delle soluzioni adottate in altre ordinamenti, v. Mastellone, P., Fenomenologia dell’abuso del diritto tributario nella prospettiva comparata, in Riv. dir. trib. int., 2014, 293 ss.). Quest’ultima scelta è stata quella adottata in Italia sin dal 1997, con l’introduzione dell’art. 37 bis nel corpus del d.P.R. 29.9.1973, n. 600, il quale rappresentava una norma antielusiva non generale, ma di vasta portata.
Dopo altalenanti vicende, e anche per effetto della forza espansiva del divieto di abuso del diritto entrato nel nostro strumentario solo recentemente grazie alle interpretazioni della Corte di giustizia UE in materia di IVA, il nostro legislatore, tramite l’inserimento dell’art. 10 bis nello Statuto dei diritti del contribuente (l. 27.7.2000, n. 212) ha introdotto una clausola generale per la definizione e la repressione di tutti i comportamenti riconducibili all’elusione fiscale o abuso del diritto. In particolare il legislatore ha escluso che l’elusione fiscale possa avere una qualche rilevanza in sede penale: l’art. 10 bis, co. 13, l. n. 212/2000 prevede che «le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie» e tale modifica è stata prontamente recepita dalla giurisprudenza penale (cfr., in primis, Cass. pen., sez. III, 7.10.2015, n. 40272); ed ha, invece, ribadito l’applicabilità delle sanzioni amministrative tributarie a fronte di comportamenti elusivi.
Il lecito risparmio d’imposta (intra legem), infine, consiste nella legittima scelta di quel comportamento che, nell’ambito dei plurimi mezzi fisiologici messi a disposizione dall’ordinamento per il perseguimento di un certo assetto di interessi, consente il minore impatto fiscale.
La linea di confine fra le condotte lecite frutto di pianificazione fiscale e quelle che, invece, comportano una reazione da parte dell’ordinamento è molto labile, ma «quando il sistema consente due alternative aventi pari dignità normativa, non elude chi sceglie la più conveniente: finché il sistema contiene due strade maestre, il contribuente che segue quella fiscalmente meno onerosa non elude l’altra» (così, Lupi, R., Elusione fiscale: modifiche normative e prime sviste interpretative, in Rass. trib., 1995, I, 419).
Individuate, per sommi capi, le linee di confine con altri fenomeni “limitrofi”, passiamo adesso a verificare come l’evasione fiscale può manifestarsi nella pratica. L’evasione fiscale abbraccia una pletora di comportamenti ascrivibili al contribuente, i quali non possono certo essere tipizzati attraverso un’elencazione tassativa, ma che sono tutti accomunati dal risultato finale di determinare una sottrazione di materia imponibile del relativo tributo. Cercando, tuttavia, di sistematizzare tali comportamenti, è possibile identificare tre macrocategorie di evasione fiscale:
a) l’evasione cd. semplice, la quale si realizza attraverso un mero comportamento omissivo consistente nella mancata indicazione, parziale o totale, del tributo nella dichiarazione fiscale;
b) l’evasione cd. complessa (o da frode), la quale, invece, vede il contribuente porre in essere una serie di espedienti frodatori volti, oltre che a commettere l’evasione, anche a mascherarne le modalità attuative. Questo tipo di evasione può perpetrarsi sia attraverso artifici e raggiri (e.g. emissione o utilizzo di fatture false, etc.) sia attraverso la simulazione attinente all’an o al quantum dell’obbligazione tributaria;
c) l’evasione cd. da riscossione, la quale consiste «nel sottrarsi al pagamento delle imposte accertate occultando i beni su cui la riscossione potrebbe avvenire. L’evasione da riscossione può avvenire secondo varie forme di asset protection, intestando i beni a terzi, trasformandoli in liquidità difficili da individuare, ecc.» (così, Lupi, R., (voce) Evasione fiscale, in Il diritto – Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, diretta da Patti, S., vol. 6, Milano, 2007, 285). Questo tipo di evasione può consistere sia quando il tributo sia regolarmente dichiarato ma non versato all’Erario (evasione cd. da riscossione “ordinaria”) sia quando questo non sia dichiarato né versato, nonostante l’esecuzione forzata intrapresa dall’Agente della riscossione (evasione cd. da riscossione “forzata”).
Nell’ambito dei comportamenti frodatori, particolare diffusione hanno avuto le cd. frodi carosello in materia di IVA, le quali implicano l’interposizione di soggetti economici (il cd. missing trader e i cd. buffers) tra la società cedente/prestatrice europea e la società cessionaria/committente italiana (cd. interposizione soggettiva). La pericolosità di tale forma di evasione ha spinto di recente la giurisprudenza europea a prospettare la disapplicazione di alcune disposizioni del codice penale (art. 160, co. 3, ultimo periodo e 161 del c.p.) in tema di prescrizione, onde evitare che la sua interruzione possa determinare in pratica la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di iva, lasciando così senza tutela adeguata gli interessi finanziari non solo dell’erario italiano, ma anche dell’Unione (C. giust., grande Sezione, 8.9.2015, causa C-105/14, Taricco, in ECLI:EU:C:2015:555).
La cifra stimata dell’evasione fiscale permane anomala, nonostante da tempo l’obiettivo di ridurla costituisca un target prioritario della politica fiscale; senza ripercorrere decenni di misure orientate a tale scopo analizzeremo, perciò, le iniziative più recenti in tal senso. Prima, tuttavia, conviene tentare di individuare alcune delle cause che rendono in Italia l’evasione così elevata rispetto ad altri paesi sviluppati.
In primo luogo, il tessuto economico del nostro paese si connota per una dimensione delle attività, sia imprenditoriali che professionali, di taglio medio-piccolo; fattore che finisce per agevolare l’occultamento di materia imponibile, non ricorrendo rispetto a tali attività quell’esigenze interna di rilevazione e monitoraggio delle vicende economiche aziendali che rende pressoché impossibile nelle attività di più ampie dimensioni l’occultamento dell’imponibile. A tale riguardo, si stima che mentre società per azioni hanno un livello di evasione pari al 3% (risultando queste ultime semai più propense ad attuare schemi elusivi), le società a responsabilità limitata evadono il 34% (così, Visco, V., Evasione fiscale e contrasto all’evasione in Italia: reticenze, resistenze e ipotesi di intervento, in Riv. trim. dir. trib., 2015, 969). In altre parole, la tendenza all’evasione è non solo in Italia, ma in ogni parte del mondo, più diffusa nelle piccole strutture; ciò che è peculiare a livello domestico è l’altissima diffusione del modello della microimpresa, spesso familiare.
In secondo luogo, sulla scarsa propensione dei contribuenti italiani a percepire il valore sociale e solidaristico della contribuzione alle spese pubbliche ha indubbiamente inciso l’ondivaga politica fiscale che per molti anni ha oscillato tra l’introduzione di misure di inasprimento della repressione degli illeciti fiscali (si pensi alla l. 7.8.1982, n. 516, cosiddetta “Manette agli evasori”) e contemporanei provvedimenti di condono fiscale. Secondo lo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze è necessario, per permettere uno sviluppo ed una diffusione della “cultura di legalità fiscale”, eliminare il ricorso a periodici condoni tributari, i quali ingenerano nel contribuente razionale la convinzione che nel medio termine potrà sempre ottenere la “pace fiscale” con un nuovo condono e, dunque, tolgono credibilità all’azione di contrasto all’evasione. Apporto fondamentale in tal senso ha dato la giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo la quale il condono in materia di IVA risulta incompatibile con il diritto UE, in quanto altera il principio di neutralità fiscale e viola l’obbligo di garantire una riscossione uniforme del tributo in tutti gli Stati membri (v. C. giust., grande Sezione, 17.7.2008, causa C-132/06 Commissione c. Italia, in Racc. I-5457, con nt. di Tinelli, G., Condono IVA e normativa comunitaria, in GT-Riv. giur. trib., 2008, 944 ss.).
È questa la ragione per la quale i più recenti, e comunque settoriali, provvedimenti di “perdono fiscale” (e.g. la cd. voluntary disclosure o la cd. rottamazione delle cartelle, inserita nel d.l. 22.10.2016, n. 193) impongono, il pagamento per intero delle imposte non versate per attività estere non dichiarate o di quelle iscritte a ruolo garantendo, al contempo, una mitigata applicazione delle sanzioni.
Ciò premesso, è dato, senza pretesa di completezza, segnalare alcune delle più recenti e rilevanti iniziative in materia.
All’esito di un percorso tormentato, ed iniziato molti anni prima con l’abolizione del segreto bancario, l’art. 11, co. 1, d.l. 6.12.2011, n. 201 (cd. Decreto Monti) ha imposto, a partire dal 1° gennaio 2012, agli intermediari finanziari di comunicare periodicamente all’Anagrafe tributaria «le movimentazioni che hanno interessato i rapporti di cui all’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, ed ogni informazione relativa ai predetti rapporti necessaria ai fini dei controlli fiscali».
L’utilizzo di tali informazioni e l’incrocio con altre notizie acquisite da banche dati afferenti l’intestazione di beni (e.g. P.R.A., catasto, etc.) e varie tipologie di consumi consentono oggi in astratto di avere un’attendibile fotografia della forza economica di ciascuno, purché si potenzi la capacità di far convergere tali dati nel profilo del singolo contribuente e si affini la capacità di leggerli ed elaborarli.
Al riguardo particolarmente significativa, anche sul piano culturale, appare la strada recentemente intrapresa dal legislatore con alcune disposizioni della legge di stabilità 2015, ispirate ad una filosofia che intende promuovere un diverso rapporto tra fisco e contribuente. Il legislatore, in sostanza, mira a stimolare la cooperazione tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, ed in questa logica, da un lato, consente al contribuente di conoscere, in ottica di trasparenza, quali informazioni fiscalmente rilevanti l’Amministrazione finanziaria possieda con riguardo alla propria situazione, al fine evidente di stimolare un corretto adempimento dei propri obblighi dichiarativi o un eventuale ravvedimento in ordine a quelli già assolti; dall’altro, e di conseguenza, elimina i confini temporali del ravvedimento operoso e consente di sanare le violazioni commesse, anche qualora siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento delle quali l’autore abbia avuto formale conoscenza, sino alla notifica di un atto di liquidazione o di accertamento.
Dietro siffatte previsioni traspare una diversa concezione della funzione di controllo affidata all’Agenzia delle entrate e di conseguenza di atteggiare la lotta all’evasione fiscale. Si intende promuovere, più che il controllo ex post, un’azione di suadente e mirata persuasione alla fedeltà fiscale, per sua natura in grado di raggiungere un numero maggiore di contribuenti e, dunque, di produrre un gettito più cospicuo e tendenzialmente anche più stabile. Ciò, in prospettiva, è suscettibile altresì di migliorare la percezione che l’opinione pubblica ha dell’equità dell’azione accertatrice, fattore per nulla secondario nel clima creatosi nel nostro paese.
È infatti evidente che l’accertamento emesso a seguito di una specifica (e necessariamente invasiva) attività di verifica a carico del contribuente presta il fianco a diversi inconvenienti, specialmente nel contesto dell’attuale crisi economica. In sostanza, per molto tempo il Fisco ha utilizzato gran parte delle proprie forze operative per penetranti controlli nei confronti di un numero necessariamente molto limitato di soggetti, i quali si vedono di regola esposti alla rettifica dei propri imponibili fiscali per più esercizi con frequente richiesta di ingenti somme a titolo di imposte, interessi e sanzioni. All’epilogo di questo scontro frontale tra controllante e controllato, molti contribuenti avvertono e tendono a diffondere, a torto o ragione, un senso di vessazione, accreditando l’immagine di un’amministrazione iniqua e così fornendo un alibi ai peraltro già diffusi comportamenti evasivi altrui. Ebbene, cercare un dialogo con il maggior numero possibile di contribuenti, utilizzando i dati acquisiti anche in via informatica per convincerli ad elevare i propri imponibili, prima della dichiarazione o anche dopo, con modeste conseguenze sanzionatorie, può costituire un rimedio agli inconvenienti di cui sopra, con un risparmio di mezzi e risorse economiche che potrebbero essere impiegate dall’Amministrazione finanziaria per contrastare nel modo più efficace ed efficiente possibile le forme più complesse e strutturate di evasione.
Una particolare attenzione è stata posta in relazione all’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, la cui sussistenza fa verosimilmente conseguire anche un’evasione delle imposte dirette e dell’IRAP. In ambito IVA, mentre l’evasione relativa alle cessioni cd. intermedie (i.e. tra soggetti passivi) è pari a circa l’11% dell’imponibile teorico, comportando una perdita di gettito pari a circa euro 10 miliardi, quella inerente alle cessioni cd. al consumo (i.e. tra soggetti passivi e consumatori) appare essere decisamente più elevata, presentando il 63% dell’imponibile teorico e comportando una perdita di gettito di circa euro 22 miliardi (così, NENS, Misure di contrasto all’evasione fiscale. Una proposta di riforma del regime IVA, 3.2.2015, accessibile suhttps://www.nens.it/files/IVA.3.2.15_0.pdf).
L’introduzione e l’implementazione del cd. reverse charge, il quale impone l’autofatturazione da parte dell’acquirente, ha senz’altro dato buoni frutti, ma la sua ulteriore estensione – incidendo su un’imposta armonizzata – implicherebbe la necessità di ottenere un’autorizzazione da parte della Commissione europea, cosa tutt’altro che semplice. È stata proposta l’introduzione di un obbligo di trasmissione telematica delle fatture emesse sia al cliente sia all’Agenzia delle entrate, adempimento che permetterebbe a quest’ultima una conoscenza in tempo reale del documento fiscale e la possibilità di verificare, altrettanto immediatamente, l’avvenuto versamento del relativo tributo (così, Visco, V., Evasione fiscale e contrasto all’evasione in Italia: reticenze, resistenze e ipotesi di intervento, in Riv. trim. dir. trib., 2015, 974): questo meccanismo, sebbene non in grado di contrastare anche il fenomeno dell’emissione di fatture false, comporterebbe sicuramente un incremento del gettito, come dimostra la recente esperienza del Portogallo in tal senso. Su questa strada si pongono molte delle novità introdotte in tema di adempimenti contabili dal d.l. 22.10.2016, n. 193.
Il ricorso alle moderne tecnologie di trasmissione dei dati per facilitare il monitoraggio delle transazioni da parte del Fisco appare la corretta strada da seguire ed è, d’altronde, espresso da alcune recenti misure che prevedono l’invio delle dichiarazioni dei redditi precompilate, l’obbligo di utilizzo del POS come metodo di pagamento per i commercianti, l’introduzione della fatturazione elettronica verso la p.a., etc. Anche il cd. scontrino digitale, che venne introdotto nel 2006 (ma poi abolito) portando un aumento del gettito IVA del 10%, risulterebbe sicuramente una misura di forte impatto sull’evasione fiscale assieme alla sempre maggiore tracciabilità dei pagamenti.
Quanto, infine, all’implementazione del già poderoso sistema sanzionatorio edificato nel tempo nel tempo per la repressione dell’evasione, è da segnalare, per la sua assoluta novità nel nostro paese, la scelta di introdurre il nuovo reato di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.); fattispecie criminosa che, pur riguardando denaro, beni ed altre utilità provenienti da qualsiasi delitto non colposo, è stata indubbiamente ispirata dall’intento di inserire nel sistema un’ulteriore arma di lotta all’evasione fiscale: tanto ciò è vero che la disposizione di legge con la quale è stato aggiunto l’art. 648 ter.1 al codice penale è collocata nell’ambito di un provvedimento di natura fiscale (cd. voluntary disclosure). Di conseguenza, al contribuente che prima evade (e.g. commettendo una frode fiscale) e poi impiega i proventi dell’evasione in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative potranno essere comminate pene di misura massima ragguardevole (sei di anni di reclusione per la frode fiscale e otto per autoriciclaggio).
L’evasione fiscale rappresenta una vera e propria caratteristica strutturale dell’economia italiana, la quale si intreccia con i principali comportamenti illegali, quali la corruzione, il riciclaggio di denaro, la creazione di fondi neri, etc.
Non v’è dubbio che «una politica governativa orientata ad obiettivi di rigore, crescita ed equità presuppone una decisa azione di recupero dell’evasione fiscale che, tuttavia, deve svilupparsi in un rinnovato contesto socio-culturale, in cui l’equa contribuzione da parte di tutti i cittadini sia percepita come un valore aggiunto per la collettività. Incentivare l’adempimento spontaneo agli obblighi tributari significa privilegiare il bene comune a discapito di miopi interessi di parte e contribuire a rendere solide le premesse per garantire alle giovani generazioni un futuro di prosperità. L’atteso recupero del tax gap, pur non potendo prescindere dalla «capacità dell’Amministrazione finanziaria di reprimere e sanzionare in maniera decisa e sistematica le diverse forme di evasione fiscale», può, in un’ottica di lungo periodo, trovare basi solide solo su un rinnovato senso civico ed un conseguente più elevato livello di adesione spontanea dei contribuenti ai propri obblighi. «A questo risultato devono quindi convergere tutti gli sforzi: normativi, comunicativi ed educativi»: e non si può difendere la legalità fiscale senza farne conoscere anche il suo profondo afflato culturale, che permea le riflessioni e le proposte operative avanzate e costituisce lo sfondo anche degli altri obiettivi programmatici dell’azione governativa (così, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Rapporto sulla realizzazione delle strategie di contrasto all’evasione fiscale, sui risultati conseguiti nel 2013 e nell’anno in corso, nonché su quelli attesi, con riferimento sia al recupero di gettito derivante da accertamento all’evasione che a quello attribuibile alla maggiore propensione all’adempimento da parte dei contribuenti (artt. 6-8 d.l. 24.4. 2014 n. 66)).
Insieme a questa indispensabile azione di lungo termine volta a modificare progressivamente la forma mentis dei contribuenti italiani ed orientarli verso una maggiore civiltà fiscale, dovranno affiancarsi una serie di misure preventive che impongano tracciabilità dei pagamenti, trasparenza delle transazioni, facilità di riscossione (e.g. ritenute alla fonte) ed immediata accessibilità alle autorità fiscali dei dati utili a verificare il rispetto delle regole.
Solo in questo modo sarà possibile ricollocare nella giusta dimensione patologica accertamenti, riscossione coattiva e sanzioni amministrative e/o penali, ai quali ricorrere come extrema ratio di fronte alla condotta illecita del contribuente.
Artt. 3, 23 e 53 Cost.; d.P.R. 26.10.1972, n. 633; d.P.R. 29.9.1973, n. 600; l. 7.8.1982, n. 516; d.lgs. 18.12.1997, n. 471, n. 472 e n. 473; d.lgs. 10.3.2000, n. 74; l. 27.7.2000, n. 212; l. 15.12.2014, n. 186.
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*Il presente scritto rappresenta il frutto di riflessioni congiunte degli autori. Tuttavia, i §§ 1-5-6-7 sono stati stesi da Roberto Cordeiro Guerra, i §§ 2-3-4 da Pietro Mastellone.