Federazione
'Federazione' è concetto che attiene a collegamenti collaborativi istituzionalizzati fra entità giuridiche presenti sia all'interno che all'esterno dell'ordinamento costituzionale di uno Stato. In prima approssimazione si possono infatti riscontrare vincoli giuridici di collegamento fra enti che sono compresi in un più ampio ordinamento statale, come avviene tra paesi, Stati, comunità, regioni, nell'ambito di un ordinamento statale abitualmente qualificato come 'federale' o 'regionale'. Si possono però anche individuare vincoli fra enti che per convenzione si definiscono 'Stati' nell'ambito dell'ordinamento della comunità internazionale e in tal caso si riconosce che gli Stati fanno parte di un'organizzazione che viene definita 'federazione' o 'confederazione'. Sempre ragionando in termini di prima approssimazione, i vincoli della prima categoria sono disciplinati dal diritto costituzionale interno a un ordinamento statale, che mantiene le caratteristiche convenzionali della sovranità. Pertanto Stati membri, regioni, comunità autonome, non sono soggetti dotati di sovranità bensì di forme più o meno forti di autonomia garantita dalle singole costituzioni. I vincoli della seconda categoria sono disciplinati dal diritto internazionale scaturente dai trattati che danno origine all'organizzazione federativa, variamente denominata. Gli Stati membri dell'organizzazione generata dall'accordo mantengono la loro sovranità, che l'accordo stesso variamente limita, e la devoluzione di poteri più o meno penetranti all'organizzazione costituita non significa attribuzione di sovranità, ma di un'autonomia la cui ampiezza è determinata dalla volontà sovrana dei costitutori.
Dunque, il fenomeno federativo può essere proiettato all'interno o all'esterno di un ordinamento statale: lo stesso termine 'federazione' è termine ambiguo, a doppia valenza, che per ricevere contenuto e significato deve essere qualificato dal suo riferimento alla sfera del diritto costituzionale o di quello internazionale. Nell'attuale fase storica di sviluppo degli ordinamenti politici la 'forma Stato' rimane il tipo organizzativo di riferimento sia per le categorie del diritto costituzionale che per quelle del diritto internazionale. Ciò sta a indicare che l'attributo della sovranità, che può caratterizzare il potere inteso quale forza disciplinata dal diritto, spetta unicamente a quegli enti politici che si definiscono Stati e che come tali sono considerati soggetti della comunità internazionale. Tutti gli altri enti, interni o esterni allo Stato, rimangono oggi dotati di un potere che è privo dei caratteri della sovranità ed è quindi definibile come 'autonomia', in quanto direttamente o indirettamente condizionabile dalla sovranità statale.
Questa precisazione è e resta importante perché senza tale elementare cautela metodologica e definitoria si rischia di cadere in pericolose forme di confusione. Quindi nessun equivoco può generarsi con riferimento agli 'Stati' membri di uno Stato federale: anche se tali enti si autoqualificano come Stati o si definiscono sovrani, essi giuridicamente tali non sono, in quanto è noto che sono condizionati dalla costituzione dello Stato federale in cui sono inseriti (v. cap. 5). Similmente enti internazionali, per quanto dotati di poteri che interferiscono e a volte superano - ove vi sia contrasto - quelli dei singoli Stati previsti testualmente dalle varie costituzioni nazionali, sono titolari di poteri non originari ma derivati dalla volontà sovrana degli Stati costituenti, in linea di principio sempre disponibili per i medesimi che, ove lo ritengano, potrebbero riappropriarsene, come dimostra il recesso della Francia dall'organizzazione militare del Trattato nordatlantico (NATO) nel 1966 pur rimanendo membro politico dell'Alleanza (v. cap. 4).
Tra i concetti 'interno' ed 'esterno' di federazione rispetto a un ordinamento statale esiste dunque giuridicamente una chiara cesura. Ma possono esistere sotto il profilo storico elementi di collegamento e continuità. In effetti, la storia dimostra come alcuni ordinamenti statali definiti federali siano il punto terminale di un processo di aggregazione fra Stati sovrani iniziato sotto la vigenza del diritto pattizio internazionale e terminato sotto quella di un nuovo diritto costituzionale statale. Erano disciplinate dal diritto internazionale la Confederazione svizzera del 1815, quella nordamericana ai sensi degli Articles of confederation del 1777, quella germanica del 1815. Successivamente, dalle soluzioni istituzionali basate sul diritto internazionale si passò a soluzioni affidate al diritto costituzionale di nuovi Stati sovrani definiti federali. Abbiamo quindi le Costituzioni federali del 1848 e del 1874 in Svizzera, del 1787 negli Stati Uniti, del 1871 in Germania.
Non sempre, ovviamente, dalla confederazione nasce uno Stato federale, come dimostrano numerosi casi. La Confederazione granadina (1858), per esempio, si disciolse lasciando sussistere Stati unitari. Simile situazione si produsse col cessare dell'unione fra Indonesia e Paesi Bassi (prevista dalla Costituzione indonesiana del 1949), col fallimento della Comunità francese (prevista dalla Costituzione del 1958), con la cessazione di diverse esperienze confederative, quali l'Unione delle Repubbliche dell'Africa Centrale, formata dalla Rhodesia settentrionale, dalla Rhodesia meridionale e dal Niassa (1960), la Confederazione delle Repubbliche arabe (Siria, Libia, Egitto, 1971), l'Unione araba fra Giordania e Irak (1958), quella conosciuta come Stati Arabi Uniti, formata dalla RAU e dallo Yemen (1958), la Federazione del Mali fra Senegal e Sudan (creata mediante la Costituzione del 22 gennaio 1959 e cessata il 20 agosto 1960). Il modello della successione storica dal vincolo internazionale a quello costituzionale è alla base dell'auspicato passaggio da un'unione internazionale prevalentemente basata su vincoli di integrazione economica, qual è la Comunità Economica Europea, a un vero e proprio ordinamento federale inglobante gli attuali Stati membri.
Ovviamente, l'individuazione in certi ordinamenti che attualmente ineriscono a Stati federali di una fase precostituente disciplinata dal diritto internazionale può far comprendere come siano residuati profili formali che ricordano la preesistenza della fase della Federazione: si può in proposito menzionare la qualificazione dello Stato federale svizzero come 'confederazione', la definizione dei Cantoni svizzeri come 'sovrani', la qualificazione degli enti componenti gli Stati Uniti d'America come 'Stati'.
Si comprende anche come alcune soluzioni organizzative degli Stati federali risentano del periodo storico in cui le loro componenti erano Stati sovrani. La seconda camera federale può essere la continuazione dell'organo di rappresentanza degli Stati sovrani in una confederazione. I principî regolanti la rappresentanza e il peso dei componenti la seconda camera riecheggiano i principî usati nell'organo ricordato. Il principio dell'attribuzione allo Stato federale delle sole competenze enumerate, e dell'affidamento delle rimanenti agli Stati membri, riecheggia una impostazione tipica della concezione confederale.
Tutte queste considerazioni non devono però far perdere di vista come l'origine storica di certe soluzioni organizzative non incida sul regime giuridico dei rapporti fra Stati membri e Stato federale. In quest'ultimo, si insiste, soltanto l'ordinamento statale federale è tale in senso proprio, in quanto giuridicamente autosufficiente o sovrano. Gli ordinamenti degli Stati membri, variamente denominati, sono sempre dipendenti da quello federale e quindi giuridicamente (e non necessariamente storicamente) derivati da quello e quindi non sovrani.
Dalla confederazione all'unione di Stati.La federazione o confederazione (termine che riteniamo preferibile) di Stati è un'unione politica fra Stati sovrani disciplinata, come già notato, dal diritto internazionale. Essa è basata su un trattato che ne disciplina le finalità, in genere legate alla soddisfazione di interessi relativi prevalentemente alla comune difesa e al mantenimento della pace fra i membri, ma anche alla soddisfazione di più ampie comuni esigenze, quali quelle economiche e commerciali. Di qui l'affidamento alla confederazione (ma non sempre in modo esclusivo, in quanto possono essere contemplate permanenti attribuzioni degli Stati membri) del diritto di guerra e pace, di legazione attiva e passiva, di stipulazione di trattati.
La confederazione riguarda Stati presenti in aree regionali circoscritte e può essere limitata ai soggetti internazionali che la formano (chiusa) o estensibile, con particolari procedure che garantiscano gli interessi dei primi costitutori, ad altri Stati (aperta): così gli Articles of confederation del 1777 contemplavano espressamente la possibile futura ammissione del Canada, l'Unione di Utrecht del 1579 (art. XI) e lo Schlussakt di Vienna del 1820 (art. 4) subordinavano alla decisione unanime degli Stati l'ammissione di nuovi membri nella confederazione, mentre la Confederazione svizzera era considerata limitata ai territori compresi nell'area geografica storica dei cantoni costituenti.
La confederazione è un'unione paritaria, in quanto i componenti mantengono la propria sovranità e sono considerati fra loro pariordinati. Per le più antiche confederazioni si confrontino: l'Unione di Utrecht del 1579 (art. I); gli Articles of confederation per gli Stati Uniti, approvati nel 1777, ratificati nel 1778 ed entrati in vigore nel 1781 dopo l'ultima ratifica (art. 2); il Bundesvertrag svizzero del 1815 (art. 1); il Bundesakt germanico del 1815 (art. 1, 2); la Costituzione degli Stati confederati americani secessionisti del 1861 (preambolo); tutte queste disposizioni insistevano sulla persistenza della libertà, sovranità, indipendenza degli Stati confederati. Lo stesso avviene per confederazioni più recenti, quali quella del Senegal e Gambia (Senegambia) del 17 dicembre 1981, e quella fra alcuni Stati emersi dalla dissoluzione dell'URSS (Comunità di Stati Indipendenti, Trattato di Minsk dell'8 dicembre 1991, art. 7, 1; Dichiarazione di Alma Ata del 21 dicembre 1991).
La confederazione può avere propria soggettività internazionale. È dotata di propri organi, tra cui sempre un organo collegiale (dieta, congresso, consiglio) in cui sono presenti i rappresentanti degli Stati partecipanti. Questi ultimi operano come delegati degli Stati su istruzioni dei rispettivi organi costituzionali, sono sempre revocabili e dispongono di un numero di voti eguale o a volte differenziato in base alla diversa estensione territoriale e alla consistenza della popolazione statale (il Bundesakt germanico, artt. 4 e 6, stabiliva che gli Stati federati disponessero da uno a quattro voti nella Dieta con funzioni di assemblea generale, mentre l'Accordo provvisorio relativo al Consiglio dei capi di Stato e al Consiglio dei capi di governo della CSI, del 30 dicembre 1991, prevede che ogni Stato disponga di un solo voto e che le decisioni siano assunte col consenso generale: art. 2).
Accanto all'organo collegiale ricordato, possono trovarsi organi ristretti aventi il compito di operare negli intervalli delle riunioni del primo (ad esempio l'apposita Commissione prevista dagli Articles of confederation per gli Stati Uniti, art. 9, sez. 5, e art. 10), o comunque quello di svolgere funzioni specialistiche demandate dall'organo collegiale, tra cui, particolarmente importanti, i compiti relativi alla guida militare della confederazione (quali il comando unificato delle forze strategiche e il sistema di controllo unico delle armi atomiche previsto dall'Accordo fra gli Stati membri della CSI sulle forze strategiche, del 30 dicembre 1991, art. 3). Nella Confederazione nordamericana era anche previsto un organismo con attribuzioni giurisdizionali per giudicare su atti di pirateria e reati compiuti in mare. Le determinazioni assunte dall'organo collegiale vincolano gli Stati membri, ma devono essere esplicitamente recepite dai rispettivi organi costituzionali.
Dal trattato istitutivo e dalle delibere degli organi confederali non derivano, di regola, vincoli immediati per i cittadini degli Stati partecipanti, che giuridicamente rimangono vincolati dai precetti del proprio ordinamento di appartenenza (l'art. XXIII dell'Unione di Utrecht fra le provincie olandesi del 1579 prevedeva però l'immediata e diretta vincolabilità e sanzionabilità della normativa dell'Unione). Non sembra esistere, quindi, una cittadinanza confederale.La figura organizzativa della confederazione ha avuto un ruolo significativo negli scorsi secoli, come dimostrano gli esempi storici maggiormente noti e studiati (Unione di Utrecht, Confederazioni nordamericana, germanica, svizzera). Ma allo schema della confederazione si riportano numerose esperienze successive. Si possono ricordare la Confederazione granadina (1858), successivamente trasformata negli Stati Uniti di Nueva Granada (1861) e negli Stati Uniti di Colombia (1863), quella fra Paesi Bassi e Indonesia (1949), la Comunità francese (1958), l'Unione delle Repubbliche dell'Africa Centrale (1960), la federazione tra Senegal e Gambia (Senegambia, 1981); le confederazioni fra Stati arabi (Giordania e Irak, 1958; Repubblica Araba Unita e Yemen, 1958; Siria, Libano ed Egitto, 1971; Emirati Arabi Uniti, 1971).
In tempi più recenti la dissoluzione del sistema politico degli Stati monopartitici ispirati all'ideologia marxista-leninista ha portato a progettare confederazioni sostitutive di Stati definiti 'federali' (ma in realtà caratterizzati da un potere centrale particolarmente forte e dal semplice riconoscimento di garanzie per etnie diversificate presenti nei suoi confini: v. cap. 5). Ciò si è verificato per la Cecoslovacchia, la Iugoslavia e l'URSS. Soltanto a proposito di quest'ultimo ordinamento si è potuta verificare una parziale partecipazione delle Repubbliche federate (disciplinate dalla Costituzione del 1977, revisionata) alla confederazione di nuova istituzione (Comunità di Stati Indipendenti, 1991).
Va sottolineato che, accanto a unioni politiche denominate esplicitamente confederazioni o federazioni, si trovano numerosi casi di unioni denominate in modo diverso, ma che in realtà sembrano riportabili alla medesima tipologia; gli elementi caratterizzanti sono dati dalla natura politica dell'unione, dalla predeterminazione delle funzioni assegnate (con prevalenza della comune difesa, della gestione di indirizzi di politica estera, del mantenimento della pace fra i partecipanti), dal mantenimento della sovranità degli Stati partecipanti che conservano una posizione paritaria, dalla presenza di organi comuni formati da delegati degli Stati.
Sempre in tempi recenti si è largamente accresciuta l'area delle esigenze comuni a più Stati che si è ritenuto conveniente affrontare tramite la costituzione di organizzazioni caratterizzate dalla presenza di vasti apparati burocratici specializzati. Accanto al vincolo di natura confederale retto dal diritto internazionale è aumentata l'importanza del profilo organizzativo stabile funzionalizzato al conseguimento delle finalità comuni. Di conseguenza, accanto agli organi deliberanti formati da delegati degli Stati, si sono affermate numerose strutture organizzative altamente burocratizzate, conosciute come unioni o organizzazioni internazionali.
Caratteristica di tali figure organizzative è l'aggiungersi all'organo formato da delegati rappresentanti gli Stati di organi formati da soggetti che ai sensi dell'atto internazionale costitutivo sono definiti responsabili verso la stessa organizzazione internazionale. In pratica, va dunque sottolineata sul piano formale la tendenza ad abbandonare la qualificazione di federazione o confederazione, e sul piano sostanziale vanno sottolineati il superamento dell'attribuzione delle mere funzioni di difesa e mantenimento della pace e l'accentuarsi del fenomeno di una istituzionalizzazione ipertrofica che assume una sua distinta consistenza e autonomia superando lo schema dell'organo comune formato dai delegati degli Stati.
Tipico di tali enti è l'accentuato spostamento degli interessi loro affidati da quelli relativi alle tradizionali esigenze di carattere militare e di gestione delle grandi opzioni di politica internazionale a quelli più marcatamente economici, commerciali, di gestione delle infrastrutture di comunicazione, di integrazione culturale, scientifica, tecnologica, di assistenza, di intervento sanitario e simili. Le organizzazioni internazionali hanno quindi seguito il profondo mutamento che gli Stati nazionali hanno subito nell'evolversi verso le note forme di interventismo legato all'affermarsi dello Stato sociale. In pratica, molti degli obiettivi che i singoli Stati, in seguito ai rivolgimenti e ai cambiamenti di concezione del ruolo dei pubblici poteri, hanno inserito nelle loro costituzioni dopo il primo e dopo il secondo conflitto mondiale, sono stati trasferiti alle organizzazioni interstatali al fine di un inevitabile coordinamento di sforzi e del conseguimento di più efficaci risultati.
Si è dunque singolarmente moltiplicato il numero degli accordi internazionali sullo schema confederale generante stabili organizzazioni, nei più svariati settori di intervento, in genere con competenze valevoli in aree regionali predeterminate, ma anche con vocazione mondiale come nel caso della Società delle Nazioni (1919) e quindi delle Nazioni Unite (1945).
Le diverse costituzioni statali contengono estesi riferimenti al fenomeno dell'organizzazione internazionale, sia a livello regionale che mondiale, e abilitano gli organi costituzionali ad addivenire ad autolimitazioni della sovranità statale. Autolimitazione dello Stato e correlativa attribuzione di poteri all'organizzazione cui lo Stato partecipa prevedono come corrispettivo il possesso in capo all'organizzazione di alcuni standard giuridici internazionali - quali parità del ruolo degli Stati partecipanti, reciprocità, giustizia, rispetto di certi valori comuni -, standard che devono essere riscontrati preventivamente o successivamente all'assunzione del vincolo internazionale dagli organi costituzionali statali (controllo parlamentare in sede di autorizzazione al trattato, anche con maggioranze qualificate, referendum, revisione costituzionale, controllo di costituzionalità) (Costituzione italiana, 1948, art. 11; Legge fondamentale tedesca, 1949, art. 24; Costituzione francese, 1946, preambolo; olandese, 1953, art. 67; lussemburghese, 1956, art. 49 bis; belga, 1970, art. 25 bis; danese, 1953, art. 20, 1; irlandese, 1972, art. 29, 4; greca, 1975, art. 28, 2 e 3; portoghese, 1976, art. 164; spagnola, 1978, art. 93).
Particolare accentuazione può essere data dalle costituzioni al riscontro di certi valori ideologici condizionanti il vincolo internazionale, quali l'internazionalismo socialista, previsto come valore di riferimento per la partecipazione a organizzazioni fra Stati (già) socialisti (Costituzione dell'URSS, 1977, art. 30; di Cuba, 1976, art. 12; della Cina popolare, 1978, preambolo), l''internazionalismo arabo', previsto in numerose costituzioni di Stati arabi (ad esempio, Costituzione dell'Egitto, 1971, art. 1; della Giordania, 1947, art. 1; del Kuwait, 1962, art. 1; del Marocco, 1970, preambolo), come pure l''internazionalismo islamico' (ad esempio, Costituzione dell'Iran, 1980, art. 2; del Pakistan, 1971, art. 40; dell'Afghanistan, 1979, art. 12; della Tunisia, 1959, preambolo), o il cosiddetto 'non allineamento' (Costituzione dell'Algeria, 1976, artt. 89 ss.).
In questo più sviluppato modello organizzativo gli Stati mantengono la loro sovranità e l'organizzazione, costituita per la soddisfazione delle comuni esigenze, rimane condizionabile dalla volontà statale. Il suo potere risponde alle caratteristiche di una autonomia più o meno ampia a seconda dei casi, ma mantiene sempre il carattere derivato e non originario dell'ordinamento dell'unione o organizzazione. La personalità giuridica dell'organizzazione non ha carattere assoluto, come nel caso degli Stati, bensì relativo, manifestandosi in particolari profili di capacità che sono connessi funzionalmente alle diverse e puntuali competenze assegnate dagli Stati all'ente internazionale.
Non si allontana dallo schema organizzativo ricordato il modello seguito nel dare vita alle Comunità Europee. Dopo la CECA (1951) furono istituite la Comunità Europea dell'Energia Atomica (EURATOM) e la CEE (1957) con trattati successivamente modificati. Si tratta di organizzazioni con ampie finalità d'integrazione economica, destinate a operare su scala regionale europea, cui l'Atto unico europeo del 1986 ha abbinato soluzioni organizzative finalizzate ad assicurare una forma di cooperazione politica interstatale, nonché fra Stati partecipanti e istituzioni comunitarie. Più recentemente (1992), una nuova tappa nel processo di evoluzione istituzionale descritto è stata segnata con la sottoscrizione e la successiva entrata in vigore del Trattato di Maastricht che ha dato vita all'Unione Europea, fondata sulle Comunità Europee e chiamata a perseguire obiettivi e ad attuare politiche in settori in precedenza sottratti alla competenza comunitaria (unione economica e monetaria, politica estera e di sicurezza, politica di difesa, cittadinanza comunitaria, giustizia e affari interni).
Nelle Comunità vige il principio di parità fra Stati membri, è accolto il principio di tendenziale perpetuità (art. 240 Trattato CEE), è prevista la natura 'aperta' dell'organizzazione (art. 237 Trattato CEE), assume particolare incisività il principio di lealtà degli Stati partecipanti verso la Comunità e gli obblighi assunti (art. 5 Trattato CEE). Importanza centrale mantengono gli organi formati da delegati degli Stati (Consiglio dei ministri, cui si aggiunge un Consiglio europeo formato da capi di Stato e di governo, introdotto nella prassi a far tempo dal 1974 e quindi contemplato nell'art. 2 dell'Atto unico europeo del 1986).Altrettanto significativo è il mantenimento del principio di unanimità per l'adozione delle decisioni più importanti, tra cui quella di revisione (art. 236 Trattato CEE), principio che veniva ribadito, anche in deroga a disposizioni prevedenti la maggioranza, dall'Accordo di Lussemburgo del 1966 che subordinava al consenso di tutti gli Stati membri le decisioni toccanti "interessi molto importanti di uno o più Stati", e veniva considerato preferenziale dall'Atto unico che prevedeva un criterio di gradualità, stabilendo l'unanimità per le decisioni di base e la maggioranza per quelle successive, specificative delle prime.
Accanto agli organi già menzionati vanno citati la Commissione, dotata di attribuzioni di indirizzo, normazione e amministrazione e formata da soggetti che devono mantenere la loro indipendenza dagli Stati nominanti; la Corte di giustizia, dotata di attribuzioni giurisdizionali di ampia portata e formata da giudici indipendenti; il Parlamento europeo, rappresentante i popoli degli Stati membri: sono tutti organi che esprimono l'intenzione di superare il modello della mera cooperazione per procedere verso una vera e propria integrazione fra le aree economiche degli Stati membri della Comunità.
Negli ordinamenti delle Comunità Europee si riscontrano quindi elementi che richiamano lo schema organizzativo confederale: permanenza della sovranità degli Stati partecipanti e loro pari ordinazione, disciplina di natura internazionale fissata in trattati, significativo ruolo degli Stati nel processo decisionale politico. Particolarmente sviluppata è tuttavia la struttura organizzativa basata sui trattati, caratteristica delle più recenti organizzazioni internazionali, in quanto vastissime sono le competenze attribuite alla Comunità, dirette a consentire una forma molto accentuata di integrazione economica.
Per il conseguimento delle finalità istituzionali gli organi della Comunità si sono visti riconoscere, oltre al potere di indirizzare i propri atti agli Stati, che poi provvederanno all'attuazione nei rispettivi ordinamenti interni, anche quello di vincolare senza intermediazione statale soggetti di diritto nazionale (imprese e cittadini, persone giuridiche e fisiche) rivolgendo loro atti normativi e amministrativi (art. 189 Trattato CEE). Un'apposita Corte di giustizia è interprete del diritto comunitario e anche le sue sentenze producono effetti diretti per i soggetti nazionali.
In pratica, gli ordinamenti statali, attraverso l'interpretazione estensiva di proprie clausole costituzionali, hanno previsto e permesso forme di autolimitazione del proprio potere sovrano, consentendo una prevalenza del diritto comunitario (contenuto in prescrizioni normative e giudiziarie) su quello disciplinato dal sistema ordinario delle proprie fonti di produzione normativa e assicurando in tal modo una riserva di competenze degli organi comunitari. Ciò indica che in vasti e significativi settori le fonti comunitarie prevalgono su quelle nazionali. Ma va sottolineato che ciò non avviene per forza propria e originaria delle fonti comunitarie (che non sono espressione di potere sovrano, ma soltanto di una forma di autonomia riconosciuta dagli Stati), bensì in seguito a un'autolimitazione del potere statale e, almeno nell'attuale fase storica degli ordinamenti, in vista della soddisfazione di interessi comuni agli Stati, fissati in trattati internazionali.
Le Comunità sono quindi portatrici di interessi affidati dagli Stati, essendo enti derivati e non sovrani. Gli organi abitualmente considerati come caratteristica espressione del processo d'integrazione, quali la Commissione, il Parlamento europeo e la Corte di giustizia, pur chiaramente modellati su schemi di organi statali, non possono confondersi con organi di un ordinamento statale federale. I poteri loro affidati, a volte particolarmente penetranti, rimangono giuridicamente poteri derivati.
Nello Stato federale si concilia il principio dell'unità dello Stato con quello dell'autonomia degli enti territoriali politici, variamente denominati (Stati, paesi, comunità, cantoni, regioni, provincie), che sono ricompresi nell'ambito statale e disciplinati dalla stessa costituzione federale. Stati Uniti, Svizzera, Germania e Austria sono fra gli ordinamenti che hanno maggiormente influenzato il consolidarsi del modello federale, arricchito dal contributo successivo di altre esperienze costituzionali. Un'analisi comparativa delle diverse costituzioni consente di enucleare i profili costanti del modello federale. Esso implica: un ordinamento costituzionale statale unitario; l'accoglimento del principio della separazione dei poteri; il riconoscimento nella costituzione dello Stato della garanzia degli enti territoriali politici portatori di propri ordinamenti, integrati in quello dello Stato unitario; la subordinazione degli ordinamenti degli enti territoriali alla costituzione dello Stato; il contestuale principio di reciproca equiordinazione fra gli ordinamenti degli enti territoriali minori; la ripartizione, fissata nella costituzione dello Stato, delle sfere di competenza dello Stato stesso rispetto a quelle degli enti territoriali minori e fra quelle dei medesimi; il carattere formalmente costituzionale delle norme relative all'organizzazione costituzionale, alla ripartizione delle sfere di competenza, alla loro modificabilità tramite procedimenti aggravati di revisione, eccezion fatta per il principio federale considerato immodificabile; la partecipazione degli enti territoriali politici a organi e procedimenti connessi all'esecuzione delle funzioni dello Stato unitario; la soluzione dei conflitti fra Stato ed enti territoriali e fra questi ultimi ad opera di un organo del primo.
Il modello dello Stato federale sopra ricordato presuppone il suo inserimento nella più ampia cornice della forma di Stato di derivazione liberale. In altre parole, le articolazioni riscontrabili nelle costituzioni degli Stati definiti federali fra potere sovrano dello Stato e autonomie delle sue componenti presuppongono una più ampia scelta a favore della garanzia dei diritti di libertà, del pluralismo politico e del diritto di opposizione.Il principio federale attiene dunque, in modo specifico, alle soluzioni valevoli per regolare l'assetto del potere di decisione politica ripartito fra Stato federale e 'Stati' membri, fra centro e periferia; attiene quindi alla forma di governo. Non a caso l'elaborazione dottrinale considera il federalismo come uno dei profili del costituzionalismo (con riferimento alla separazione 'spaziale' del potere fra centro e periferia, che si aggiunge alla separazione funzionale legata alla classica tripartizione dei poteri) o anche della concezione democratica dello Stato (con riferimento al principio pluralista di cui rappresenta una significativa dimostrazione).
Ciò serve a chiarire come non basti la semplice definizione di un ordinamento come 'federale' per consentire il riscontro di quegli elementi che dovrebbero caratterizzarlo, tra cui la rispondenza ai criteri identificanti la forma di Stato di derivazione liberale. Quindi l'assenza dei principî propri dello Stato democratico rende soltanto nominale la qualificazione federale. Ciò avveniva negli Stati che si definivano socialisti (URSS, Cecoslovacchia, Iugoslavia), in cui il partito unico e l'assenza di pluralismo politico erano di ostacolo sostanziale a un effettivo federalismo (in tal caso limitandosi la qualifica federale al riconoscimento della rilevanza del carattere multietnico di uno Stato rigidamente accentrato). Non dissimile la situazione in molti ordinamenti di Stati di nuova indipendenza, caratterizzati da regimi a partito unico o dominante e quindi da un sostanziale accentramento del potere nelle strutture centrali dello Stato (Tanzania). In alcuni ordinamenti ibero-americani (Messico, Venezuela, Brasile, Argentina) e in India, pur essendo riscontrabili principî propri dello Stato liberale (eccezion fatta per lunghi periodi di vigenza dei regimi di crisi), la qualificazione federale copre in realtà la vigenza di forme più o meno ampie di decentramento amministrativo controllato dall'apparato centrale dello Stato.
Nell'ordinamento dello Stato federale la sovranità spetta allo Stato centrale, mentre gli Stati membri sono dotati di autonomia, a volte definita 'costituzionale', in quanto essi possono darsi una normativa racchiusa in atti definiti 'costituzioni'. Come abbiamo sottolineato trattando delle confederazioni (v. capp. 1 e 2), lo Stato federale è fondato su una propria costituzione e le sue componenti (Stati membri) trovano la loro disciplina essenziale nella costituzione dello Stato, unico sovrano, oltre che nella disciplina assunta in virtù della loro autonomia. I rapporti fra Stato federale e sue componenti sono disciplinati dal diritto costituzionale dello Stato federale.In passato vi furono vivaci polemiche circa la titolarità della sovranità, in parte causate dal successivo trasformarsi di confederazioni formate da Stati sovrani in Stati federali (Stati Uniti, Svizzera, Germania). Si tratta, in tal caso, di una semplice successione storica che non influenza lo schema del modello sopra ricordato. Esistono comunque numerosi esempi di Stati federali sorti in seguito a una forma di decentramento di uno Stato unitario (Austria, e, con le precisazioni sopra fatte, Argentina, Brasile, Messico, mentre il Canada e l'Australia sono Stati previsti come federali già al momento dell'assegnazione di un regime di preparazione all'indipendenza) in cui sarebbe davvero problematico ipotizzare la contemporanea istituzione di due livelli di sovranità. Comunque oggi non è assolutamente sostenibile il permanere della sovranità in capo agli Stati membri.
Dal punto di vista giuridico esistono persuasivi elementi da cui far discendere la sovranità federale: a) le costituzioni federali pongono vincoli rigidi a quelle degli Stati membri, condizionandone la forma di governo (ad esempio, la Legge fondamentale tedesca del 1949, art. 28, e la Costituzione svizzera del 1874, art. 6, impongono alle costituzioni degli Stati membri di adottare forme di governo democratiche); b) le costituzioni federali prevedono la supremazia del diritto federale su quello degli Stati membri (Costituzione degli Stati Uniti del 1787, art. VI, sez. 2; dell'Australia del 1900, artt. 5 e 109; Legge fondamentale tedesca, art. 31); c) la competenza in tema di revisione costituzionale è assegnata a un organo federale (Costituzione degli Stati Uniti, art. V; svizzera, art. 1232, 1; australiana, art. 128, 6; austriaca del 1920, art. 35, 4; Legge fondamentale tedesca, art. 79, 1); d) la ripartizione delle sfere di competenza tra Stato federale e Stati membri è prevista nella costituzione federale (Costituzione degli Stati Uniti, art. I, sez. 8, e art. II, sezz. 2 e 3; svizzera, art. 3; austriaca, artt. 10 ss.; Legge fondamentale tedesca, artt. 30 e 70; British North America act del 1867, artt. 91 e 92); e) il rispetto delle sfere di competenza, l'interpretazione della costituzione e l'uniformità del diritto sono affidati a organi federali (Costituzione degli Stati Uniti, art. III, sez. 1; svizzera, art. 106; australiana, art. 71; Legge fondamentale tedesca, art. 92); f) agli organi federali spettano poteri di verifica ispettiva quanto al rispetto degli obblighi costituzionali gravanti sugli Stati membri (Legge fondamentale tedesca, artt. 84, 3, e 85); g) gli organi federali possono adottare misure coercitive al fine di assicurare il rispetto degli obblighi gravanti sugli Stati membri (esecuzione federale: Costituzione degli Stati Uniti, art. I, sez. 8; svizzera, art. 85, 8; Legge fondamentale tedesca, art. 37); h) gli organi federali possono intervenire negli ordinamenti degli Stati membri al fine di garantirne la sicurezza nei rapporti interni e internazionali.
Come accennato (v. cap. 6), nella costituzione federale si trova la base della ripartizione delle competenze fra Stato federale e Stati membri. Si tratta di una questione di grande rilevanza pratica che influisce in modo evidente sugli equilibri interni di un ordinamento composto quale quello in esame. Si può notare che le prime costituzioni federali tendevano a ripartire le competenze in modo netto secondo il principio di esclusività. Allo Stato federale venivano affidate competenze settoriali numerate (Costituzione degli Stati Uniti, art. I, sez. 8, comma 1, e sez. 10, comma 1; art. VI, comma 2; X Emendamento; Costituzione australiana, art. 52; Costituzione svizzera, art. 8; British North America act del 1867, art. 91), nel cui ambito venivano esercitate funzioni legislative, esecutive e giurisdizionali. Agli Stati membri spettavano le competenze non attribuite allo Stato federale: i cosiddetti 'poteri residui' (Costituzione degli Stati Uniti, X Emendamento; Costituzione svizzera del 1848 e 1874, art. 3; Costituzione tedesca del 1919, art. 5, e Legge fondamentale del 1949, art. 30; Costituzione austriaca del 1920, art. 15).
In realtà è discutibile che il principio della netta separazione delle competenze, di cui è espressione l'enucleazione di competenze esclusive, abbia mai operato rigidamente. Infatti si riconobbe, soprattutto ad opera della giurisprudenza, che gli organi centrali federali, oltre alle competenze espressamente assegnate, godevano di poteri impliciti necessari alle istituzioni per sviluppare la loro azione (dottrina degli implied powers, derivata dall'interpretazione dell'art. I, sez. 8, ultimo comma, della Costituzione degli Stati Uniti). Inoltre, si ammise la presenza di una competenza concorrente degli organi federali rispetto a quella mantenuta dagli Stati membri. Anzi, col passar del tempo si superò in modo deciso il principio della tendenziale separazione e si affermò sempre più quello della necessaria collaborazione fra centro e periferia, fra Stato federale e Stati membri. Il federalismo 'cooperativo' è uno degli aspetti dell'incremento delle esigenze di intervento pubblico nell'ambito economico, sociale, culturale che include l'esigenza sempre più evidente di un sostegno federale all'azione locale, e sceglie come metodo preferenziale quello del ricorso all'uso di competenze congiunte (e non disgiunte come pretendeva il primo federalismo liberale). Le leggi di revisione della Costituzione svizzera a partire dal 1947, la riforma costituzionale tedesca del 1967-1969 e quella austriaca del 1974 segnano il successo della formula delle competenze concorrenti rispetto a quella delle competenze esclusive.
Oltre a ipotesi di settori di intervento in cui si riscontrano una legislazione e un'esecuzione soltanto federali o soltanto locali, aumentano i casi in cui alla legislazione federale viene data esecuzione da atti delle amministrazioni degli Stati membri. Inoltre la legislazione federale può limitarsi a fissare principî-quadro, da attuarsi attraverso normative specificative locali, e può delegare competenze centrali alla periferia. L'affermarsi del modello cooperativo conduce, da un lato, all'integrazione fra competenze legislative federali e quelle degli Stati membri, dall'altro all'integrazione fra momento normativo e momento attuativo in sede amministrativa. In tale quadro sfuma l'importanza della netta individuazione delle sfere di competenza e aumenta il peso delle forme procedurali di coordinamento fra centro e periferia: la garanzia degli Stati membri più che sulla esclusività delle competenze si fonderà sulla possibilità di partecipazione a organi e funzioni federali e sull'utilizzazione di istanze giurisdizionali dirette alla soluzione di conflitti.
Principî di separazione e d'integrazione di competenze concernono anche le funzioni giurisdizionali. A prima vista si riscontra il prevalere del concetto di esclusività, in quanto nelle materie in cui esiste una riserva legislativa federale o locale sembra conseguire una giurisdizione federale o locale (Costituzione degli Stati Uniti, art. III; Costituzione svizzera, art. 106; British North America act, art. 101; Costituzione australiana, art. 71). Fa eccezione la Costituzione austriaca (art. 82, 1), in cui i tribunali federali applicano anche il diritto degli Stati membri, non esistendo tribunali di questi ultimi.
Ma esistono anche forme d'integrazione fra giurisdizioni. In Svizzera e in Germania i tribunali cantonali e dei Länder applicano anche il diritto federale, che però in grado d'appello è portato alla cognizione di giudici federali. In Canada è limitato il numero dei giudici federali, per cui quelli provinciali conoscono di regola anche questioni rilevanti per il diritto federale (non avvalendosi tale ordinamento di quanto previsto dall'art. 101 del British North America act per l'istituzione di un separato ordine di giudici federali). Similmente, in Australia prevale la cognizione del diritto federale ad opera del sistema dei tribunali degli Stati. In genere, alla tendenza a estendere il ricorso ai giudici locali anche per le questioni di diritto federale fa riscontro il mantenimento delle cognizioni dei giudici federali in sede d'appello.
L'autonomia degli Stati membri di uno Stato federale ha rilevanza sia con riferimento all'operare interno dei singoli ordinamenti degli enti territoriali, sia con riferimento al ruolo che tali ordinamenti sono chiamati a svolgere per l'operare dell'ordinamento federale. Infatti, una delle caratteristiche di tale tipo di ordinamento è quella di comportare l'inserimento degli enti minori in procedimenti e organi dello Stato federale (v. cap. 5). In tutti gli ordinamenti gli Stati membri sono in qualche modo associati al processo di revisione della costituzione federale, sia nella fase dell'iniziativa, sia in particolare nella fase dell'approvazione, in genere dopo il voto parlamentare (i tre quarti degli Stati membri negli Stati Uniti, la maggioranza degli elettori nella maggioranza degli Stati in Australia e in Svizzera, i due terzi della Camera alta in Germania, il consenso della Camera alta e di almeno quattro Länder in Austria). A volte si riscontra una loro partecipazione al governo federale: in Canada e in Australia norme convenzionali richiedono che tutti gli Stati membri siano rappresentati in seno al governo centrale. La Costituzione svizzera (art. 96) pretende che i membri del governo provengano da cantoni differenti.
Ma l'aspetto più noto dell'integrazione degli Stati membri in organi e procedimenti federali è offerto dalla loro presenza nella seconda camera del parlamento federale. In tutti gli Stati federali esiste un parlamento bicamerale in cui, accanto a una camera destinata a rappresentare globalmente la popolazione dell'intero Stato federale, si trova una 'camera degli Stati' in cui gli Stati membri sono in genere pariteticamente rappresentati, a prescindere dal loro peso demografico, territoriale, economico. La camera degli Stati è un legato della concezione confederale e ricorda il periodo storico in cui esistevano organi comuni retti dal diritto internazionale nei quali gli Stati sovrani erano rappresentati dai propri delegati. Due sono i modelli storici di camera degli Stati: quello del 'consiglio', espresso dalla storia costituzionale tedesca, in cui i membri sono considerati ancora delegati governativi condizionati dalle direttive del governo locale che li ha designati (Legge fondamentale tedesca, art. 51, comma 3/1), e quello del 'senato', in cui i membri rappresentano sì gli Stati di appartenenza, ma sono dotati di autonomia essendo svincolati da un mandato imperativo, qualificandosi come rappresentanti politici 'nazionali' (Stati Uniti, Svizzera, Austria, Australia, Canada).
La tendenza a rendere la rappresentanza nella camera federale una rappresentanza politica nazionale - non dissimile da quella della prima camera, a prescindere dalla legislazione elettorale che inevitabilmente collega i membri della camera federale allo Stato d'appartenenza - è particolarmente marcata e discende dal ruolo omogeneizzante svolto dai grandi partiti nazionali che condizionano la presentazione delle candidature, formano gruppi parlamentari secondo linee di partito che prescindono dall'origine locale dei parlamentari e, inevitabilmente, portano nella seconda camera la contrapposizione maggioranza governativa-opposizione (specialmente in ordinamenti e forme di governo parlamentare). In certi casi tale processo di assimilazione fra la rappresentanza delle due assemblee ottiene un riconoscimento formale spezzando il legame tra area territoriale di provenienza e rappresentanti (divieto espresso di mandato imperativo per i membri della camera federale: Costituzione austriaca, art. 56, e svizzera, art. 91).
Dopo questa premessa passano in secondo piano le particolarità relative ai criteri di scelta dei membri dell'assemblea, diversi da quelli previsti dalla Legge fondamentale tedesca che è stata ricordata: suffragio popolare diretto (Australia, Stati Uniti dopo il XVII Emendamento del 1913, parte dei Cantoni svizzeri), nomine governative in Canada, nomine dei parlamenti locali (parte dei Cantoni svizzeri). Una particolarità della composizione della seconda camera riguarda il numero dei seggi disponibili per gli Stati membri. Il principio dell'eguale rappresentanza è seguito negli Stati Uniti, in Svizzera (dove però i cosiddetti 'mezzi cantoni' hanno un solo seggio, anziché due come per la generalità dei casi) e in Australia (dove la capitale federale e il Territorio del Nord hanno due seggi, a differenza dei dodici spettanti alla generalità degli Stati). In altri casi il numero dei seggi tiene conto, anche se non in modo proporzionale, della diversa consistenza delle popolazioni (da quattro a cinque in Germania; da tre a dodici in Austria; da quattro a ventiquattro in Canada).
Mentre non esistono particolarità per i criteri di formazione della camera nazionale, che è l'assemblea in cui nelle forme a governo parlamentare si sviluppa di preferenza il rapporto fiduciario col governo, presentano interesse gli espedienti organizzativi diretti ad assicurare la collaborazione intercamerale: le commissioni di conciliazione dirette a dirimere i conflitti fra le due assemblee (Legge fondamentale tedesca, art. 77, comma 2; legge svizzera sui rapporti fra i consigli, del 23 marzo 1962, artt. 17 ss.) e le riunioni congiunte delle due camere (Costituzione australiana, art. 57, comma 2). Non marginale è il ruolo della camera federale nel procedimento legislativo, fermo restando che il fulcro della legislazione è la camera nazionale, considerata organo politico preferenziale cui, ad esempio, è riservata l'iniziativa della legislazione finanziaria e fiscale; infatti, il procedimento legislativo è bicamerale. Di regola la camera federale dispone di un potere d'iniziativa legislativa e di un potere di veto soltanto sospensivo nei confronti delle leggi deliberate dalla camera bassa (ad esempio in Austria e in Germania). In certi casi, qualora la legislazione incida sugli interessi specifici degli Stati membri, si richiede il voto favorevole della camera federale (Legge fondamentale tedesca, artt. 79, comma 2; 84, comma 1; 85, comma 1; 87, comma 3; 105, comma 3; 106, comma 5; 107, commi 1 e 2; 108, comma 3; 120a).
Si è già sottolineato come lo Stato federale contemporaneo sia caratterizzato dal principio di cooperazione, che ha sostituito l'iniziale tendenza alla separazione fra livello federale e livello degli Stati membri (prevalere del 'federalismo cooperativo' sul 'federalismo dualista'). Va in proposito notato come il principio collaborativo in realtà sia stato sempre presente nelle strutture confederali e quindi federali. Il principio di lealtà o di leale collaborazione (Bundestreue) ha seguito le fasi storiche dello sviluppo statale tedesco ed è considerato oggi principio generale anche se inespresso, di natura consuetudinaria, valorizzato dalla giurisprudenza costituzionale federale. Simile principio emerge in tutti gli ordinamenti federali, o che comunque garantiscono le autonomie politiche territoriali, e trova significativo riconoscimento nella giurisprudenza costituzionale italiana e in quella spagnola. Per quanto concerne, in particolare, il principio della leale collaborazione e cooperazione cui dovrebbero improntarsi i rapporti fra Stato e regioni nell'esercizio delle funzioni di rispettiva competenza, esso ha trovato una prima concreta enucleazione ad opera della Corte costituzionale italiana con la sentenza n. 359 del 1985, ed è stato successivamente ribadito e perfezionato dalla Corte con le sentenze nn. 151 e 153 del 1986. Il principio o valore costituzionale così individuato dal giudice costituzionale italiano forma oggi un costante parametro e criterio di riferimento per la soluzione delle controversie sorte fra i soggetti dello Stato-ordinamento in sede di conflitto di attribuzioni (si ricordino, a titolo di esempio, le sentenze nn. 302 del 1988, 544 del 1989, 263 del 1990).
Esistono, comunque, specifici istituti espressione della cooperazione. Si è parlato di forme di collaborazione 'verticale' fra Stato federale e Stati membri: accordi che ricordano lo schema negoziale dei trattati internazionali (Costituzione austriaca, art. 15a, 1); presenza di delegati degli Stati in organi federali (plenipotenziari dei Länder tedeschi presso gli organi federali); costituzione di organi comuni (Constitution act canadese del 1982, art. 37); ricorso alla legislazione federale-quadro seguita dalla legislazione locale attuativa, alla legislazione di delegazione, a intese preventive degli Stati membri da recepirsi nella legislazione federale (mediante complessi procedimenti prevalentemente disciplinati, ad esempio in Svizzera, Austria e Germania); ricorso all'intervento finanziario federale per l'incentivazione di obiettivi programmatici unitari (ad esempio, Costituzione australiana, art. 96; Costituzione svizzera, art. 27 quater). Esistono poi forme di collaborazione 'orizzontale' fra Stati membri, cui spesso accede una partecipazione federale che aggiunge elementi di collaborazione verticale. Dovunque sono diffusi gli accordi interstatali, che interessano le diverse competenze spettanti agli Stati membri, e gli organi comuni, attraverso cui si manifestano rapporti collaborativi a livello di parlamenti, governi, amministrazioni.
Lo sviluppo di forme collaborative indica l'incremento della tendenza a far coincidere il 'federalismo cooperativo' con il ricorso a forme di integrazione - verticale e orizzontale, ma anche promiscua - che presuppongono un esercizio congiunto di competenze fra Stato federale e Stati membri.
Esercizio congiunto non significa esercizio confuso: esistono sempre nella costituzione i principî ordinatori delle competenze e del loro uso, che sono quelli a suo tempo accennati (v. cap. 7). Pertanto, dove lo Stato federale acceda al raccordo cooperativo, esso di solito non abdica alla sua posizione preferenziale prevista nella costituzione, ma la mantiene addivenendo a quegli aggiustamenti collaborativi ritenuti più funzionali all'operare dei singoli interventi. In altre parole, le forme cooperative non comportano un livellamento o una equiordinazione dello Stato federale agli Stati membri. In tutti gli ordinamenti federali vi è concordanza nel riconoscere che, a parte le previsioni formali delle costituzioni e il permanere del principio di sovranità federale, la semplice titolarità della manovra finanziaria e il ricorso alle politiche d'incentivazione hanno la capacità di mantenere gli apparati centrali federali come titolari delle effettive competenze di coordinamento cooperativo.
Prima di concludere, occorre richiamare l'attenzione su un profilo problematico che ha assunto una significativa rilevanza: l'estensione del concetto di 'Stato federale' a soluzioni organizzative relative ai rapporti centro-periferia che spesso sono definite come riguardanti lo 'Stato regionale'.La nozione di Stato regionale è legata a contingenze storiche di alcuni ordinamenti in cui l'autonomia politica degli enti territoriali compresi nello Stato unitario sarebbe convenzionalmente 'minore' di quella propria dello Stato membro di uno Stato federale. Basta questo cenno per far dubitare della scientificità di una differenziazione tipologica così grossolana. Va poi aggiunto che, dal punto di vista storico, Spagna, Italia, Portogallo, Belgio, Francia sono approdati alla garanzia delle autonomie regionali provenendo da ordinamenti accentrati. Si comprende, di conseguenza, come il supposto autonomo modello regionale sia stato costituito indagando tali vicende istituzionali caratterizzate da processi di decentramento politico di ordinamenti unitari (dal centro verso la periferia) e si sia creato uno stereotipo di contrapposizione rispetto al modello federale, conseguenza dell'inverso processo di aggregazione (dalla periferia verso il centro).
Le differenze abitualmente ricordate in sede dottrinaria riguardano la natura del potere, in quanto, mentre a proposito degli Stati membri dello Stato federale permane l'equivoco di una loro sovranità o statalità o almeno di un'autonomia costituzionale, per le regioni non si va oltre una forma di autonomia politica, restando la sovranità soltanto statale. Differenze importanti riguarderebbero i criteri di attribuzione delle competenze: nello Stato federale sono codificate le competenze centrali, restando le rimanenti agli Stati membri, mentre in quello regionale, all'inverso, sono codificate quelle regionali, restando le residue allo Stato. Si sottolinea poi la mancata partecipazione regionale alle funzioni statali (assenza delle camere federali, mancata partecipazione organica alla funzione di revisione, assenza di partecipazione alla funzione giurisdizionale).
Basta però sottoporre ad attenta verifica questa serie di luoghi comuni per rendersi conto della superficialità delle opinioni accennate.Si può iniziare facendo presente che storicamente il ricorso al decentramento di uno Stato unitario non concerne soltanto gli Stati divenuti regionali: la Costituzione austriaca è un esempio di Stato federale che non discende da integrazione fra Stati già sovrani. Quella canadese è un esempio di successiva federalizzazione di un ordinamento originariamente voluto come unitario.
Per quanto riguarda la supposta differenza 'qualitativa' del potere, abbiamo già tentato di porre in risalto come il potere di cui godono gli Stati membri di uno Stato federale non abbia le caratteristiche della sovranità, bensì dell'autonomia (v. capp. 5 e 6). L''autonomia costituzionale' degli Stati membri comporta la libertà di darsi una costituzione che tuttavia è limitata dalla più 'forte' costituzione federale. Dal punto di vista qualitativo il potere delle regioni e quello degli 'Stati' membri non presenta differenze: entrambi debbono ritenersi condizionati dalle costituzioni degli Stati che inglobano gli enti politici territoriali.
Altrettanto errato è fare affidamento sul criterio di attribuzione delle competenze e su quello della titolarità dei poteri residui. L'assegnazione in costituzione delle competenze allo Stato centrale non è caratteristica dei soli Stati qualificati come federali. La Costituzione spagnola del 1931 e quella del 1978 sono comunemente qualificate come regionali e contengono una lista delle competenze centrali (rispettivamente artt. 14 e 149), oltre che una lista delle competenze concorrenti. Per converso, il British North America act del 1867, la prima Costituzione canadese definita federale, porta l'elenco delle competenze provinciali (artt. 92 e 93) oltre che di quelle centrali (art. 91). Dunque anche l'assegnazione delle competenze non è criterio scientificamente utile per chiarire la distinzione.Anche il criterio della titolarità delle competenze residue è solo tendenziale. Non è tuttavia vero che le competenze residue nello Stato regionale spettano sempre allo Stato centrale. La Costituzione portoghese del 1976 lascia alle regioni autonome di Madera e delle Azzorre la competenza legislativa in materia non espressamente riservata allo Stato (art. 229, a). Similmente, la legge belga di revisione dell'8 agosto 1980 assicura alle regioni e alle comunità l'esercizio delle competenze espressamente spettanti (art. 10). A ciò si aggiunga l'estensione delle competenze regionali in ambiti convenzionalmente ritenuti estranei alle possibilità di intervento delle regioni: competenze penali del legislatore regionale belga (art. 11), competenze in materia di cooperazione internazionale e di ratifica di accordi (Costituzione belga, art. 59 bis, parr. 2 e 2 bis, e legge di revisione, art. 16; Costituzione portoghese del 1976, art. 229, b).
Per quanto riguarda l'assenza della seconda camera 'federale', va rilevato che in un ordinamento regionale quale quello spagnolo il Senato comprende pur sempre una (limitata) quota di membri designati dalle assemblee regionali (Costituzione del 1978, art. 69). Sono comunque previsti numerosi casi di partecipazione degli enti territoriali a organi centrali, e quindi espedienti di collaborazione istituzionalizzata tra Stato centrale e regioni: Conferenza permanente Stato-regioni in Italia (legge 400 del 23 agosto 1988, art. 12), Comitato di concertazione in Belgio (legge dell'8 agosto 1980, art. 31). La rilevanza della componente regionale riguarda anche i criteri di formazione degli organi giurisdizionali, quali il Tribunale delle garanzie costituzionali, previsto dalla Costituzione spagnola del 1931 e la Cour d'arbitrage belga (legge del 28 giugno 1983, artt. 21 e 22).
Frequenti sono i collegamenti funzionali e procedimentali che consentono l'inserimento delle regioni nel processo decisionale centrale. In Italia: l'iniziativa legislativa regionale (art. 121, comma 2, della Costituzione); l'espressione di pareri in tema di assetto dell'ordinamento territoriale (art. 132); la partecipazione all'elezione presidenziale (art. 83); la promozione di referendum (artt. 75 e 138). In Spagna: l'iniziativa legislativa (art. 85 della Costituzione); la partecipazione ai lavori parlamentari in sede di elaborazione degli statuti (art. 151); il concorso alla pianificazione statale (art. 131). In Portogallo: l'iniziativa legislativa, la partecipazione ai procedimenti pianificatori, la partecipazione alla negoziazione di accordi internazionali (art. 229 della Costituzione). In Belgio: procedimenti di consultazione (Protocollo del 7 gennaio 1986).
Quanto all'affermata assenza di titolarità delle funzioni giurisdizionali (che peraltro è assente nei Länder austriaci facenti parte di un ordinamento convenzionalmente definito federale: art. 82, 1, della Costituzione), esiste in realtà qualche esempio di partecipazione degli enti regionali (Costituzione spagnola, art. 152; Costituzione belga, art. 99).
Le esemplificazioni addotte, desumibili dalla normativa costituzionale e convalidate dalla prassi degli ordinamenti, sembrano comprovare quanto sia debole la contrapposizione fra modello di Stato federale e modello di Stato regionale. Non costituiscono elementi di discrimine né la diversa qualificazione delle autonomie, né i criteri di attribuzione delle competenze, né la titolarità dei poteri residui, né la pretesa carenza di competenze giurisdizionali, penali, internazionali a favore delle regioni, né l'assenza della seconda camera 'federale' e la pretesa mancata partecipazione delle regioni alle funzioni statali. In realtà la ricordata contrapposizione è unicamente conseguenza dell'elaborazione della figura dello Stato federale in seguito all'osservazione del fenomeno storico della trasformazione della confederazione in Stato federale e della separata elaborazione della figura dello Stato regionale in seguito all'esame dell'avvenuto decentramento politico di Stati già unitari.
Ma sembra evidente che la pretesa di fondare modelli tipologici di portata classificatoria facendo affidamento su episodi di storia istituzionale non ha senso. Stato federale e Stato regionale non differiscono dal punto di vista tipologico: si tratta sempre di ordinamenti statali unitari che garantiscono l'autonomia politica di ordinamenti territoriali in essi ricompresi; la differenza fra i due modelli convenzionali è dunque soltanto quantitativa, non qualitativa, poiché di regola nello Stato convenzionalmente definito federale il volume delle funzioni legislative, amministrative e giurisdizionali e degli ambiti di competenza assegnati dalla costituzione agli enti territoriali è più ampio e consistente di quello presente negli Stati qualificati come regionali. (V. anche Comunità Europea; Europeismo; Federalismo; Regionalismo; Sovranità; Stato).
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