Favolista latino (sec. 1° d. C.). Poco sappiamo della sua vita. Originario della Macedonia, fu a Roma liberto di Augusto; poi sotto il regno di Tiberio, dopo aver composto i primi due libri di favole, subì un processo intentatogli da Seiano, ma ne dovette uscire indenne o quasi perché continuò a scrivere fino al regno di Claudio. Scrisse in senarî giambici cinque libri di favole, dette da lui stesso esopiche, perché sono, le più, traduzione o rifacimento di quelle greche attribuite a Esopo Frigio, pur se talvolta, a differenza del suo modello, egli introduce nelle favole anche aneddoti storici, scenette sentimentali ed epigrammatiche, quadri simbolici. Talvolta inoltre appesantisce la composizione dando troppa parte alla morale. Egli ha il merito di aver creato nella letteratura romana il genere della favolistica. La lingua di F. è semplice e corretta, il senario assai regolare. Della sua opera restano solo estratti: i singoli libri giunti a noi constano rispettivamente di 31, 8, 19, 25, 10 favole. F. non ebbe dapprima molta fama: solo Marziale lo nomina; poi non è più citato fino al sec. 4°, cioè fino alla raccolta di Aviano, che deriva però più da Babrio che da F. direttamente. In seguito si venne formando un corpus di favole latine in prosa in cui molte delle favole di F. vennero pubblicate come materia anonima e tradizionale, sì che nel Medioevo, quando F. era ignoto, si ebbero tre redazioni principali di favole; di queste la più nota è quella intitolata Romulus o Aesopus latinus, dove F. non è nominato, ma dove ne sono riprodotte cadenze tipiche e dove la derivazione da lui è dimostrata dal fatto che spesso le favole in prosa si possono ridurre in senarî. Solo nel 1596 Pierre Pithou (Pithoeus) pubblicò a Troyes la prima edizione di F. da un manoscritto del sec. 9°; in seguito si trovarono altri manoscritti e nel sec. 19° fu edita una trentina di "favole nuove" di F. su una raccolta fatta alla fine del sec. 15° da Niccolò Perotto, che non si sa però da quale fonte le avesse attinte.