fenici
Popolazione che in origine occupava le coste asiatiche del Mediterraneo, subito a N dell’attuale Stato di Israele. Era questo l’unico tratto della costa del Vicino Oriente ben dotato di porti, e stretto alle spalle dalle ripide pendici delle catene del Libano e dell’Antilibano. Tali catene montuose si rivelarono decisive per l’importanza di questa civiltà nella storia dell’umanità: da una parte, grazie alla loro rilevante altezza, che supera i 3000 m s.l.m., i monti captano le estenuate perturbazioni oceaniche che proprio sulla costa libanese scaricano la maggior parte della pioggia, rendendo fertilissima la regione (che infatti è la «terra che dà il latte e il miele» dell’Antico Testamento), dall’altra l’ambiente montano piovoso è l’habitat ideale per la più grande conifera del mediterraneo: il cedro del Libano. Fu proprio grazie a questo splendido legname che i f. poterono eccellere più d’ogni altro popolo nella difficile arte della navigazione, dominando a lungo tutte le rotte mediterranee, ma anche esplorando tratti immensi del globo (si pensi per es. ad Annone, che circumnavigò l’Africa nel 5° sec. a.C.). Ma le montagne libanesi, oltre a offrire un ambiente idoneo allo sviluppo di una grande civiltà marinara e mercantile, ebbero anche la funzione di separare, e in un certo senso «proteggere», la popolazione fenicia della costa da quella siriana dell’interno. Da un punto di vista etnico non esiste una distinzione netta tra f. e siriani: l’Antico Testamento designa tutta la popolazione di quest’immensa area con il medesimo etnonimo di cananei. Eppure, a livello artistico e culturale, tale distinzione appare evidente: mentre le popolazioni dell’interno svilupparono un’arte che risentiva fortemente degli influssi mesopotamici e anatolici (in primo luogo ittiti), i popoli fenici conobbero espressioni artistiche fortemente egittizzanti. L’influsso egizio in Fenicia non fu solamente artistico. La grande potenza egiziana ebbe sempre un disperato bisogno dell’unica materia prima della quale il ricchissimo Egitto era privo: il legname, che gli egiziani si procuravano nell’Anatolia meridionale (Cilicia), ma, soprattutto, in Fenicia. Sfruttate intensamente per millenni, le grandi foreste libanesi di cedri sono oramai praticamente scomparse. Esse tuttavia erano in forte pericolo già in età romana: l’imperatore Adriano creò un vero e proprio parco naturale per la protezione di queste piante preziose. Possediamo una grande quantità di iscrizioni che segnavano accuratamente i confini di questo parco, nel quale era rigidamente regolato il taglio delle piante.
Il nome di f. è un esoetnonimo: non sembra che essi si siano mai designati con un nome unitario. Il nome f., del resto, è di origine chiaramente greca, da phoinix, alternativamente fatto risalire al colore rosso – riferito al colorito della loro pelle, oppure alla porpora, della quale erano i principali produttori ed esportatori nel bacino mediterraneo – oppure alla palma da datteri, pianta caratteristica delle terre da loro abitate, e spesso ricorrente anche sulle loro monete. Il nome phoinix è estremamente antico, dal momento che è presente già in Omero e identificava il popolo così come la merce più preziosa che era loro associata: la porpora. Si tratta di un prezioso pigmento che veniva estratto da molluschi del genere Murex, che vivevano nel mare prospiciente le coste del Libano e che i f. avevano imparato molto presto a utilizzare su scala industriale per tingere i tessuti. Il mollusco veniva spremuto e mescolato al sale, quindi esposto al sole per tre giorni. Il succo estratto veniva fatto bollire molto lentamente in grandi recipienti di piombo finché il liquido non fosse evaporato per metà. Solo a questo punto vi si potevano immergere i panni che si dovevano colorare. Il risultato erano tinte diverse e brillanti, dal rosa pallido al viola più intenso, a seconda del materiale e del tempo di immersione. Il processo di estrazione di questa sostanza, lungo e complesso, faceva sì che le stoffe trattate con la porpora fossero molto costose e il loro utilizzo venne a lungo associato con l’idea della regalità.
Certamente connessa all’attività mercantile, e in special modo al commercio della porpora, è la precoce utilizzazione da parte dei f. dell’alfabeto. A differenza di quanto avveniva in Egitto – dove la scrittura, precedente quella fenicia, utilizzava il sistema ideografico dei geroglifici –, i f. furono i primi ad adottare un sistema di scrittura alfabetico, composto da un numero limitato di segni, ognuno dei quali serviva a designare un suono. Fu tramite i f. e le loro peregrinazioni commerciali nel Mediterraneo che l’uso della scrittura alfabetica si diffuse in Grecia e in Italia, soprattutto tramite gli etruschi. Tutti gli alfabeti che conosciamo, da quello greco a quello etrusco o a quello latino, sono derivati dall’alfabeto fenicio.
Quella fenicia è una civiltà eminentemente urbana: distribuiti in grandi città autonome, rette da re, allineate a poca distanza lungo lo costa o su isole immediatamente prospicienti, i f. non ebbero tuttavia una storia autonoma molto significativa. Le città più importanti erano Arado, Biblo, Tiro, Sidone. Dopo un lungo periodo nel quale la regione costiera era integrata, più o meno saldamente, all’interno del sistema dei grandi imperi che dominavano il Vicino Oriente, in particolare quello ittita, la cesura più importante avvenne attorno al 13° sec. a.C., con l’avvento nell’area dei «popoli del mare». Il conseguente indebolimento di ittiti ed egiziani, che da sempre si contendevano la regione, offrì la possibilità per lo sviluppo di un’era di particolare prosperità nelle città fenicie, in particolare a Sidone e a Tiro. Le fonti scritte diventano significative soprattutto a partire dal 10° sec. a.C., quando è possibile seguire, a grandi linee, gli ondivaghi atteggiamenti dei re di Tiro stretti tra le alleanze con i giudei e con i faraoni. L’atteggiamento prevalentemente filoegiziano, che tanto ha influenzato anche l’arte fenicia, è una comprensibile reazione ai continui tentativi egemonici esercitati dai re assiri, in particolare Assurnasirpal II e Salmanassar III, che ebbero però infine successo nella conquista della regione a partire dall’8° sec. e fino al 6°, quando la politica «fenicia» ottenne la sua più grande vittoria nella battaglia di Karkemish, combattuta a fianco degli egiziani contro il re babilonese Nabucodonosor II (604 a.C.). La vittoria non impedì comunque la conquista da parte della superpotenza mesopotamica, nonostante l’eroica resistenza offerta da Tiro, che non cedette all’assedio di Nabucodonosor per ben dodici anni. I f. accolsero con favore la fine dell’impero babilonese a opera di Ciro il Grande, alla fine del 6° sec. a.C., e fu proprio come satrapia dell’impero achemenide che la Fenicia ebbe per l’ultima volta un ruolo importante nella storia del Vicino Oriente antico: navi fenicie costituirono il nucleo principale della flotta da guerra persiana. Le cose cambiarono decisamente, invece, con la fine dell’impero persiano e la conquista della Fenicia da parte di Alessandro Magno, con il lungo e sanguinoso assedio di Tiro (332 a.C.): da allora la madrepatria fenicia cessò di esercitare qualsiasi ruolo autonomo nel Mediterraneo, fino a essere inclusa nella provincia romana di Syria (costituita nel 64 a.C.).
Se la Fenicia non ebbe una storia illustre, presto soggiogata politicamente dai più potenti imperi d’Oriente, l’importanza politica ed economica di quella civiltà si trasferì in Occidente: partendo dalle loro città, i f. viaggiarono lungo tutto il Mediterraneo e oltre, nell’oceano, attuando una colossale opera di colonizzazione. Il risultato più illustre ne fu la città di Cartagine, che la tradizione vuole sia stata fondata da esuli di Tiro, subito dopo la conquista della Fenicia da parte degli assiri, nell’814-813 a.C. Questa città, situata proprio al centro del Mediterraneo, non lontano dall’attuale Tunisi, e dotata di un fertilissimo entroterra, divenne in poco tempo tanto ricca e importante da oscurare rapidamente la fama della sua madrepatria Tiro. Non solo, ma Cartagine iniziò molto presto a praticare una propria politica di colonizzazione nel Mediterraneo centrale e occidentale, in particolare nelle vicine Sicilia e Sardegna e nella più lontana Spagna. Fu a causa di questa espansione politica e commerciale che Cartagine venne assai presto in contatto con Roma. I romani chiamavano Poeni i cartaginesi, da cui l’aggettivo punico con il quale sono spesso designati. Non si deve pensare, però, che i punici fossero qualcosa di diverso dai f.: erano solamente una derivazione occidentale di quella civiltà. L’espansione cartaginese in Sardegna non incontrò forti ostacoli da parte di una popolazione indigena abbastanza disinteressata alle ambizioni commerciali dei fenici. Di particolare importanza sono i resti della città punica di Tharros, sulla costa occidentale della Sardegna. In Sicilia, invece, la situazione era molto più complessa e conflittuale: qui Cartagine non dovette scontrarsi solamente con le popolazioni indigene dell’interno, che pure erano presenti, ma iniziò uno scontro plurisecolare con le colonie greche che l’avevano, anche se non di molto, preceduta nell’isola. La Sicilia fu a lungo divisa tra due zone di influenza (eparchie), quella cartaginese a Occidente e quella greca a Oriente. Le città più importanti dell’eparchia cartaginese erano Panormos (Palermo), Drepanon (Trapani), Solunto e Lylibaeum (Marsala), che venne fondata dopo che i f. abbandonarono la vicina isola di Mozia a seguito della distruzione dell’insediamento punico da parte del re di Siracusa Dionisio I il Vecchio nel 397 a.C. La fine del dominio cartaginese sulla Sicilia occidentale coincide con la fine della prima guerra punica (264-241 a.C.), a seguito della quale venne costituita in Sicilia la prima provincia romana. La potenza economica di Cartagine era tale, però, da consentire alla città di riprendersi in fretta da quella terribile sconfitta: a Roma furono necessarie due altre guerre (218-202; 149-146 a.C.) per porre definitivamente termine alla potenza di Cartagine.