DI GIULIO, Fernando
Nacque a Grosseto il 27 apr. 1924 da Serafino e Agostina Dieciné, da famiglia medio borghese di origine lucana. Frequentò le scuole medie a Salerno e nel 1941-43 la facoltà di giurisprudenza come interno della Scuola normale superiore di Pisa. Già iscritto al Partito comunista italiano dal 1942, abbandonò gli studi dopo l'8 sett. 1943 (si sarebbe laureato nel dopoguerra) per evitare di servire in armi la Repubblica sociale italiana e raggiunse sul monte Amiata una formazione partigiana, intitolata a "Spartaco Lavagnini" e inquadrata nelle brigate "Garibaldi", nella quale militò fino alla Liberazione.
Membro del Comitato provinciale di liberazione nazionale di Grosseto. dal 1945 lavorò come funzionario e dirigente alla ricostruzione della federazione comunista grossetana, mettendo in luce particolari doti di comunicatività, di lucidità politica e organizzative, tanto che nel maggio 1947 P. Togliatti lo volle a Roma a lavorare nella commissione centrale di organizzazione del PCI (Partito comunista italiano), ricostituita dopo la conferenza di organizzazione del gennaio 1947, e dove sarebbe rimasto per dieci anni. Nel 1956, all'VIII congresso del partito, fu eletto nel Comitato centrale (del quale era membro candidato dal VII congresso, 1951), nel nutrito gruppo di giovani che prefigurava ampiamente il futuro staff dirigente comunista. Nel 1957 passò dalla commissione di organizzazione alla federazione romana del partito (fu consigliere provinciale dal 1956 al 1971 e presidente del gruppo consiliare dal 1963), dal 1958 come vicesegretario. Nel 1962 fu cooptato nell'ufficio di segreteria ed entrò a far parte del nucleo più ristretto del gruppo dirigente comunista. Nell'XI congresso (1966) fu eletto nella direzione e in seguito fu cooptato nella segreteria. Dal 1966 al 1975 fu responsabile della sezione lavoro di massa.
Di formazione togliattiana e in sintonia con le posizioni di E. Berlinguer, il D. tese sempre a interpretare come strettamente connessi il movimento rivendicativo nelle fabbriche e nella società ed il quadro politico; egli fu pertanto uno dei protagonisti di quel periodo della politica comunista in cui il movimento operaio, a partire dal 1969, si pose come forza in grado di aggregare ampi settori sociali e quindi incidere profondamente sugli equilibri di potere. La linea direttrice che egli indicò come responsabile del lavoro di massa (oltre a interventi su problemi quali la previdenza sociale, il ruolo dei tecnici, la sicurezza sul lavoro, i trasporti, ecc., egli fu relatore alla IV, V e VI conferenza operaia del PCI, rispettivamente del dicembre 1967, marzo 1970 e febbraio 1974) fu quella della lotta salariale da un lato, dall'altro dell'uscita dalla fabbrica per sostenere una battaglia sulle rifonne (pensioni, sanità, casa, scuola, ecc.) che contribuisse sia all'elevamento dei livelli di democrazia e civiltà sia ad una redistribuzione del potere più favorevole alla classe operaia.La strategia impersonata dal D. - che prevedeva il rafforzamento delle confederazioni sindacali, necessario tramite fra la spinta dei lavoratori e i gruppi parlamentari e il governo, e la valorizzazione della loro autonomia dai partiti e dell'unità sindacale - fu largamente vincente in seno al movimento operaio nella prima metà degli anni Settanta, che videro infatti incentrarsi sulle riforme un duro scontro politicosociale, e costituì la precondizione per l'ulteriore fase politica, quella del "governo delle astensioni", nella quale il D. avrebbe nuovamente ricoperto un ruolo di protagonista. Eletto alla Camera nel maggio 1972 per la VI legislatura (capolista nella circoscrizione Siena-Arezzo-Grosseto, dove fu rieletto nel giugno 1976 e nel giugno 1979), nella stessa legislatura fu membro della commissione Lavoro e Previdenza sociale e dal febbraio 1976 fu vicepresidente della commissione parlamentare d'inchiesta sui trattamenti retributivi. Lasciato il lavoro di massa nel 1975, si dedicò interamente all'attività parlamentare e, nella VII legislatura, assunse la vicepresidenza (presidente A. Natta) e nel 1979 la presidenza del gruppo parlamentare.
Il risultato delle elezioni politiche del giugno 1976, con l'attestazione del PCI al 34,4% dei voti, segnò la fine del Centrosinistra e portò alla formazione del terzo governo Andreotti (luglio 1976-marzo 1978), monocolore democristiano che si reggeva sull'astensione degli altri partiti e che poneva pertanto il PCI sullo stesso piano dei tradizionali alleati della Democrazia cristiana (DC).
Il ruolo che in questa fase svolse il D. (tanto che i giornali lo indicarono come "ministro ombra") fu di principale e quotidiano tramite tra il suo partito e la presidenza del Consiglio dei ministri (principalmente attraverso il sottosegretario F. Evangelisti), e ciò lo pose in condizione di cogliere le difficoltà della fase e gli umori del partito di maggioranza relativa. Egli - sostenitore all'inizio della politica di astensione - fu pertanto tra i primi dirigenti comunisti ad avvertire i segni dell'esaurimento di quella politica (esaurimento che egli avrebbe datato al periodo aprile-dicembre 1977) soprattutto - a suo giudizio - per le resistenze della DC alla linea di rinnovamento che il PCI andava proponendo. Fu pertanto il PCI, alla fine del 1977, a porre la questione dell'allargamento dell'area dei partiti di governo, proposta alla quale la DC contropropose un nuovo monocolore, questa volta sostenuto dal voto degli altri partiti.Il 16 marzo 1978, all'apertura del dibattito sulla fiducia, il rapimento di A. Moro segnò drammaticamente l'inizio del governo di "solidarietà nazionale" (terzo monocolore Andreotti), conclusosi con la decisione comunista di uscire dalla maggioranza (gennaio 1979). Da quel momento il D. guidò l'opposizione parlamentare del PCI con particolare attenzione ai problemi posti dalla "questione morale" (ad esempio durante lo scandalo dei petroli del novembre 1980) allo scopo di "impedire che si chiudesse il circuito di una stabile alleanza moderata... condizione prima per mantenere aperta una prospettiva di cambiamento" (Quercini).
La diagnosi sul fallimento della strategia comunista nel periodo della solidarietà democratica (cfr. in particolare Un ministro-ombra si confessa, Milano 1979 [in collaborazione con E. Rocco]; L'insegnamento di questa legislatura, in Politica ed economia, X [1979], 1-2, pp. 3-5; Lotta politica e riforme istituzionali, in Democrazia e diritto, XXI [1981], 5, pp. 5-26 [colloquio con A. Baldassarre]) si inquadra nel dibattito che si aprì nel PCI all'indomani di quell'esperienza (per una rassegna critica cfr. Vacca, 1987). Il D. sottolineò l'impaccio (che definì "ingenuità programmatica") mostrato dal PCI sui problemi della gestione del potere politico, attribuendolo ad una carente "cultura di governo" del partito: in particolare, al non, aver compreso adeguatamente il carattere duale di uno Stato nel quale le assemblee elettive - sulle quali il PCI aveva investito quasi per intero le proprie energie - non erano se non uno degli aspetti del potere, operando altri aspetti in modo oscuro e occulto e sfuggente all'intervento legislativo e parlamentare (servizi e corpi separati deviati, rapporti tra mafia e potere politico, loggia P2, ecc.). In queste stesse ragioni di fondo il D. vedeva motivata la politica di altemativa democratica inaugurata dal PCI alla fine del 1980 e la battaglia sulla "questione morale" (cfr. Poteri occulti e alternativa democratica, in Politica ed economia, XII [1981], 7-8, pp. 3 s.).
Il D. morì improvvisamente per infarto a Principina a Mare (Grosseto) il 28 ag. 1981.
Le lezioni del D. tenute nel periodo 1970-80 all'Istituto di studi comunisti "P. Togliatti" di Marino (Roma) sono raccolte in Socialismo impegno quotidiano, a cura di A. Cipriani, Roma 1983. Collaborò in particolare a Rinascita, Democrazia e diritto, l'Unità, Politica ed economia.
Fonti e Bibl.: Necrol. in Corriere della sera, 29 ag. 1981; Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legislature VI-VIII, ad Indices; G. Quercini, L'omaggio a F. D., in l'Unità, 7 ott. 1981; C. Sebastiani, Organi dirigenti nazionali: composizione, meccanismi di formazione e di evoluzione. 1945-1979, in Annali della Fondaz. G. Feltrinelli, XXI (1981) [numero monografico dal titolo Il Partito comunista italiano. Struttura e storia dell'organizzazzone 1921-1979, a cura di M. Ilardi e A. Accornero], pp. 394, 411, 420 s., 424, 426; G. Chiaromonte, Le scelte della solidarietà democratica, Roma 1986, ad Indicem; G. Vacca, Tra compromesso e solidarietà. Il Pci negli anni '70, Roma 1987, pp. 83-86, 120 ss., 132 e passim. Ringrazio Fulvia Di Giulio per il materiale (interventi, relazioni, interviste, ecc.) messo a mia disposizione.