Fifanti (o Fisanti)
Famiglia nobile di Firenze. I F. sono ricordati da D. (Pd XVI 104) fra le grandi consorterie del tempo di Cacciaguida, insieme ai Sacchetti, ai Giuochi, ai Barucci e ai Galli. Il Malispini conferma questo giudizio di valore politico e sociale con la notizia della dignità equestre concessa da Carlo Magno a un Arnaldo F. e con l'accenno alla familiarità goduta da Alderigo F. presso Enrico II durante il soggiorno fiorentino di quell'imperatore. La forma ‛ Sifanti ' proposta da alcuni codici della Commedia non trova riscontro nelle fonti cronistiche e documentarie.
La consorteria dei F. ha una parte di primo piano nella storia di Firenze sin dai primordi dell'età comunale; appartenne al ceto politico le cui fortune si formarono all'ombra del potere ecclesiastico, e del gruppo ristretto delle casate nel cui ambito venivano scelti i consoli. Un Oderico ricoprì quella carica nel 1174; un Bonfantino di Bogolese nel 1183; un Ugolino nel 1185; un Giovanni (o Chianni) nel 1191 e nel 1192. Fra il 1173 e il 1175, un Abbate F., insieme a un Ugo Judi, appare fra gli acquirenti in nome del vescovo di castelli in Val di Pesa e in Val d'Elsa, ossia fra coloro che, apparentemente per incarico dell'autorità ecclesiastica ma in realtà con un preciso fine politico di arginamento della potenza dei feudatari, cercavano di promuovere l'espansione della giurisdizione cittadina sul contado ancora dcminato da quei dinasti. Gli acquisti fatti da Abbate e da Ugo erano, infatti, diretti contro gli Uberti, signori di quelle vallate e accesi partitanti per l'Impero. La rivalità con gli Uberti costò cara ai F. e ai loro alleati politici, perché nei tumulti suscitati da quelli (1177-1178) furono bruciate le case che questi possedevano e abitavano in Por Santa Maria, presso il Mercato Vecchio, insieme alle dimore delle altre casate consolari vicine alla chiesa. Ma non ne ridusse le possibilità economiche e l'importanza sociale se uno di loro, insieme a un Cavalcanti e a un Della Bella, è console dell'arte dei Mercanti fra il 1192 e il 1193.
I cronisti (Malispini, Marchionne, Villani, Compagni) ricordano i F. quasi esclusivamente per gli episodi di violenza ai quali molti di essi diedero vita con l'appassionato parteggiare tra i ghibellini nel secolo XIII. I F. si schierano ora accanto agli Uberti, ai quali si erano riavvicinati dopo il loro inurbamento, ed ebbero una parte decisiva nella lotta politica cittadina fra il 1215 e il 1268. La storia della consorteria s'identifica, quasi, in questi decenni con la biografia di Oderigo di Fante, colui che partecipò all'uccisione di Buondelmonte dei Buondelmonti nel 1216 e quattro anni dopo, nel campo raccolto presso Roma per l'incoronazione di Federico II, fu il primo ad attaccare i rappresentanti di Pisa, contribuendo a rinfocolare la rivalità fra i due comuni toscani che avrebbe dato luogo all'implacabile lotta per il predominio nella regione durata oltre due secoli.
Dall'episodio dell'assassinio di Buondelmonte in avanti, le cronache registrano più volte il nome di membri di questa consorteria fra i più accesi partitanti " del Ghibellino ". Nel 1238 i Giandonati ne assalirono e conquistarono le torri, poste nel sesto di San Piero a Scheraggio; nel 1241, nonostante l'opera pacificatrice svolta dal vescovo Ardingo, i due gruppi avversari si scontrarono a Campi; qui, il 29 novembre, perì nella zuffa quell'Oderigo alla cui intemperanza i contemporanei facevano risalire molta parte di responsabilità delle divisioni politiche cittadine. Dopo il 1250 i F., con gli Uberti, i Guidi, gli Infangati, i Lamberti, i Soldanieri, i Caponsacchi, seguirono le fortune di Manfredi di Taranto e per il loro ghibellinismo vennero esiliati nel 1258; dopo l'abbattimento delle loro case da parte del popolo insorto contro le prepotenze di quella parte politica, essi, con i loro alleati, si rifugiarono in Siena. Tornarono a Firenze dopo Montaperti, e si vendicarono aspramente sugli avversari; questi, però, li ricacciarono definitivamente in esilio nel 1266 e li angariarono spietatamente l'anno dopo, quando ne colsero i più qualificati esponenti a Sant'Ellero con le armi alla mano, nello sfortunato tentativo di rientrare in patria con la forza. Alcuni dei F. perirono in combattimento; altri, presi prigionieri, vennero decapitati dopo la condanna per fellonia.
Né gli avversari furono clementi con loro nel 1280, perché, nell'atto stesso in cui veniva sottoscritta la pace del cardinal Latino, Cione di messer Truffo F., con Bogolino e Perino di Ranieri Bogolesi e molti altri amici politici furono ricacciati in esilio, come pericolosi antagonisti, fino a quando il papa non si fosse convinto della sincerità del loro desiderio di pace. I F., gli Uberti, i Lamberti, gli Scolari, i Bogolesi, avrebbero dovuto restare fuori delle mura cittadine fino a quando capitano del popolo e podestà non avessero avuto a disposizione milizie sufficienti per assicurare l'ordine pubblico contro le loro temute insidie.
Il dramma della diaspora seguita ai ribandimenti e ai divieti alle cariche pubbliche si fece per i F. sempre più doloroso a partire dal 1282, quando, nel quadro dei nuovi ordinamenti che il comune fiorentino si era dato, essi vennero esclusi dalla partecipazione agli uffici politici; provvedimento che fu rinnovato dagli Ordinamenti di Giustizia in odio alla loro condizione sociale di magnati. Invano nel 1290, insieme agli Uberti, e agendo quasi come delegati degli altri ghibellini esuli in Arezzo, essi proposero al comune guelfo di Firenze di ritornare pentiti e ubbidienti al nuovo corso politico, purché venissero condonate le condanne e restituiti i beni, e si promettesse di dimenticare i loro precedenti ghibellini. Firenze rifiutò ogni accordo, ed essi ritornarono a cercare nuovi protettori, accostandosi al cardinale Napoleone Orsini nel 1306. Cinque anni dopo, come partitanti per Enrico VII, vennero ancora una volta, e definitivamente, banditi dalla patria come nemici, e da quel momento il nome dei F. scomparve dal novero delle famiglie cittadine.
Bibl. - Alle scarse notizie date dai cronisti (Malispini, capp. XLIX, LIII, CLX; Marchionne, rubriche 35, 63, 64, 113; G. Villani, IV 13; Compagni, I 3, II 28) si rifanno gli eruditi e i genealogisti dei secoli XVI e XVII che hanno ricordato i F. nelle loro opere: B. de' Rossi, Lettera a Flamminio Mannelli... delle famiglie e degli uomini di Firenze, Firenze 1585, 43, 57; P. Mini, Difesa della città di Firenze e de' Fiorentini contro le calunnie e maldicenze de' maligni, Lione 1577, 290, 297, 304; ID, Discorso della nobiltà di Firenze e de' Fiorentini, Firenze 1614, 142, 146; U. Verini, De illustratione urbis Florentiae, a c. di F. Soldini, Il, Parigi-Siena 17902, 125. Nei secoli XVIII e XIX alcune - poche anch'esse - fonti documentarie relative ai F. furono edite, a complemento delle notizie tramandate dai cronisti, da G. Lami, Sanctae ecclesiae Florentinae monumenta, voll. 3, Firenze 1758, ad indicem; I. Di San Luigi, Delizie degli eruditi toscani, VII, ibid 1776, 138, 174; IX, ibid 1777, 72, 279, 280; XI, ibid 1778, 65 (Cronica di Marchionne e appendice di documenti); P. Santini, Documenti dell'antica costituzione del comune di Firenze, I, ibid 1895, ad indicem. Per l'inquadramento della particolare vicenda genealogica dei F. nella storia di Firenze, cfr. le opere di G. Capponi, Storia della repubblica di Firenze, I, Firenze 1875, 24, 36, 52, 59, 67; F.T. Perrens, Histoire de Florence, I, Parigi 1877, 211, 252, 261, 263, 311, 453; II 71, 201; Davidsohn, Storia, ad indicem; B. Quilici, La Chiesa di Firenze nel secolo dodicesimo, Firenze 1951, passim; ID, La Chiesa di Firenze nei primi decenni del secolo XIII, ibid 1965, passim; ID, Il vescovo Ardingo e la Chiesa di Firenze nel quarto e quinto decennio del secolo XIII, ibid 1965, passim. Profili della vicenda genealogica dei F. sono stati tracciati da G.G. Warren Lord Vernon, L'Inferno di D. disposto in ordine grammaticale e corredato di brevi dichiarazioni, II, Documenti, Londra 1862, 473-474; Scartazzini, Enciclopedia 784.