Filippine
Il problema di essere un arcipelago
Più di 7.000 isole, ma due su tre sono così piccole che non hanno un nome e non sono abitate. Essere un arcipelago non è un vantaggio, per le Filippine: distanze, difficoltà nei collegamenti, varietà di popolazioni, lingue, religioni, economie si sommano agli squilibri prodotti da una lunga colonizzazione e da una crescita demografica intensa. In questo quadro la modernizzazione avanza, ma a fatica
Al margine dell'Oceano Pacifico, l'arcipelago delle Filippine è fortemente segnato dai fenomeni vulcanici e dai terremoti ed è in gran parte montuoso (il Monte Apo, 2.954 m, è la cima più alta). Essendo quasi alla stessa distanza dal Tropico del Cancro e dall'Equatore ha un clima caldo e umido, influenzato dai monsoni: le precipitazioni sono fortissime, e molto frequenti sono i tifoni.
L'isola più settentrionale, Luzon, è la più estesa e popolosa; vi si trovano la capitale Manila (10.350.000 abitanti con i sobborghi) e varie altre città, ma anche pianure ampie e intensamente coltivate (riso, mais, frutta tropicale).
Il paese ha molte ricchezze minerarie e un'industria moderna che esporta componenti elettroniche e computer; ma l'economia risente del lungo passato coloniale e non è equilibrata. La popolazione cresce rapidamente e alimenta una forte emigrazione: almeno 6 milioni di Filippini lavorano all'estero (molti in Italia) proprio perché le condizioni del paese non sono ancora soddisfacenti, soprattutto per le nette disparità sociali.
Sbarcati all'indomani della spedizione di Magellano del 1521, gli Spagnoli non incontrarono resistenza nell'occupazione delle Filippine a eccezione che nel Sud dell'arcipelago dove furono respinti dalla popolazione musulmana, mai del tutto assoggettata. La dominazione spagnola durò oltre tre secoli condizionando gli sviluppi economici, culturali e sociali del paese, indirizzato verso un'ispanizzazione forzata. La Chiesa cattolica assunse un importante ruolo economico e politico nell'opera di colonizzazione, intraprendendo una capillare evangelizzazione che radicò il cattolicesimo nel paese.
La guerra ispano-americana del 1898 segnò la fine della dominazione spagnola e il passaggio agli Stati Uniti dell'arcipelago, dove si era andato sviluppando un forte movimento indipendentista. Se da un lato gli Stati Uniti concessero una graduale autonomia interna, dall'altro condizionarono pesantemente la vita economica dell'arcipelago, che alla fine della Seconda guerra mondiale ‒ costata ai Filippini quasi un milione di vittime ‒ proclamò la sua indipendenza (1946). Mentre nel paese peggioravano le condizioni di vita dei contadini e si accendeva la guerriglia del movimento Huk, di ispirazione comunista, i gruppi politici al potere promuovevano il clientelismo e la corruzione.
Nel 1973, al termine del suo secondo mandato, il presidente della Repubblica Ferdinand Marcos instaurava nel paese una dittatura personale che sul piano internazionale vide confermati gli stretti rapporti di amicizia con gli Stati Uniti ma, sul piano interno, dopo l'uccisione del leader dell'opposizione liberale Benigno Aquino (1983), vide l'esplosione della protesta popolare e di una parte delle forze armate. Dopo che Marcos fu costretto ad abbandonare il paese il potere fu assunto dalla vedova del leader assassinato, Cory Aquino. Alle soglie del nuovo millennio l'instabilità politica minacciava ancora lo sviluppo del paese dove, tra 2004 e 2005, si verificavano ripetuti scontri tra separatisti musulmani ed esercito.