Filippine
Nelle F. il cinema ha sempre rappresentato una parte importante della vita quotidiana e della cultura dei suoi abitanti, e il suo sviluppo ha proceduto costantemente e dialetticamente entro i due poli delle tradizioni popolari (in particolare teatrali) e dei codici occidentali. Grande spazio hanno trovato infatti il genere della commedia musicale e quello delle storie d'avventura e fantastiche (spesso ispirate a leggende locali) e soprattutto il melodramma, prediletto dagli autori e da un pubblico che ama la rappresentazione di conflitti e sentimenti estremi.Come per altri Paesi del Sud-Est asiatico (v. Asia e Vietnam), le vicende storiche e coloniali hanno contribuito a rendere la storia del cinema filippino molto complessa e stratificata; è tuttavia necessario tenere presente la difficoltà di una ricostruzione della nascita e dei primi sviluppi, a causa della scarsa disponibilità di fonti. Così, per es., delle quasi quattrocento pellicole girate tra il 1919 e il 1944, se ne sono salvate solo tre; pertanto intere stagioni e grandi successi del cinema filippino possono essere ricostruiti solo sulla base dei manifesti pubblicitari tuttora conservati.A partire dal 1914, quindi sin dai primi esiti del cinema nelle F., furono le majors di Hollywood a gestire l'intero processo dalla produzione alla distribuzione, tenendo sotto pesante controllo il mercato locale, come racconta nelle sue memorie (1952) il regista e produttore Vicente Salumbides. Per contrastare le incursioni straniere, alcune società si specializzarono in film in lingua tagalog ‒ poi denominata pilipino e divenuta lingua ufficiale nel 1946 ‒ rivolgendosi a un pubblico più popolare, che non conosceva l'inglese. In questo contesto nacque il genere bakya (così detto dal nome degli zoccoli di legno abitualmente calzati dai più poveri), ispirato all'antica e ricca tradizione teatrale del sinakulo (sacra rappresentazione sulla Passione e morte di Cristo), della komedya (drammatizzazione del conflitto tra cristiani e musulmani) e della sarsuwela (l'operetta), ma anche con riconoscibili contaminazioni con i generi classici hollywoodiani. Proprio per tali caratteristiche il bakya anticipò quello che sarebbe stato il successivo sviluppo della cinematografia filippina.In questa prima fase, l'autore che per anni costituì il principale punto di riferimento di molti registi fu José Nepomuceno, assai legato al cinema musicale. Dopo aver fondato nel 1917 la Malayan Motion Pictures, che avrebbe poi prodotto tutti i suoi lavori, esordì con il fortunato Dalagang bukid (1919, La ragazza di campagna), tratto da una pièce teatrale dello scrittore H. Ilagan, in cui gli attori venivano doppiati dal vivo (nel canto e nella recitazione) durante la proiezione, aggirando così l'ostacolo del cinema muto. Grande successo ottenne anche il suo Noli me tangere (1930), film corale di accurata ambientazione ottocentesca. La vicenda si ispirava a un romanzo storico di J. Rizal (scrittore che avrebbe mantenuto sempre uno stretto legame con il mondo del cinema) e ricostruiva il periodo della dominazione spagnola. Sembra che allo stesso Nepomuceno si debba, inoltre, Punyal na ginto (1933, Il pugnale d'oro), primo film filippino totalmente sonoro.Assai vicino al gusto di Hollywood fu, invece, V. Salumbides, che iniziò a dedicarsi alla regia dopo varie esperienze da comparsa sul set di produzioni statunitensi. Ammiratore soprattutto della commedia sofisticata di gusto internazionale, come dimostra l'uso di titoli in inglese, Salumbides debuttò con Miracles of love (1925), rivoluzionando il linguaggio cinematografico allora comune grazie all'introduzione del montaggio parallelo e alternato (per dare ritmo alla narrazione) e di elementi alla Griffith, come l'uso dell'innovativo primo piano. Cambiò anche gli stilemi della recitazione, scegliendo di utilizzare attori non professionisti, esponenti delle classi elevate della capitale, abituali frequentatori del cinema occidentale. Queste scelte si rivelarono di notevole importanza per la successiva affermazione dei primi divi locali (Mary Walter, Naty e Gregorio Fernandez, Nora Linda e altri) che diventarono i principi indiscussi dello star system.Dopo la Seconda guerra mondiale, la produzione rifiorì quasi immediatamente ritornando in poco tempo ai ritmi frenetici dell'anteguerra con una marcata predilezione per il film musicale, l'avventura e il genere fantastico (con saghe locali o bibliche, ma anche film in costume di gusto hollywoodiano) e la definitiva affermazione del melodramma nelle preferenze del pubblico. Risale a quel periodo anche il primo fortunato tentativo del cinema filippino di valicare i confini nazionali, alla ricerca di una notorietà che rendesse giustizia alla sua ricchezza espressiva: con il film biografico Genghis Khan (1952), il regista Lou Salvador riuscì a mescolare con perfetto equilibrio cultura popolare e suggestioni del cinema occidentale, conquistando una certa attenzione alla Mostra del cinema di Venezia e aprendo una strada che sarebbe stata percorsa più tardi anche da Lino Brocka, il più celebre regista filippino. Protagonista e produttore di Genghis Khan era stato Manuel Conde, noto anche con il soprannome di 'DeMille filippino' per i suoi film spettacolari. Passato dietro la macchina da presa, Conde raggiunse la piena maturità negli anni Cinquanta con film di genere epico-fantastico; un eccellente esempio è Sigfredo (1954), libero adattamento della saga nibelungica ricordato anche per le sontuose scenografie create dall'artista Carlos V. Francisco.Solido mestiere e profonda consapevolezza contraddistinguono anche il cinema di Lamberto Avellana, Gerardo de Leon ed Eddie Romero, registi con una sterminata filmografia che comprende circa settanta titoli per ciascuno. Film di guerra è Anak dalita (1956, Figlio del dolore) di Avellana, che racconta un episodio amaro della guerra in Corea, cui fece seguito Badjao (1957), girato tra gli zingari dei mari del Sud, di cui descrive la vita nomade, le tradizioni e la gestualità quotidiana. Anche G. de Leon coltivò il genere bellico con Saigon (1953), primo di una serie di coproduzioni tra F. e Vietnam, e si dedicò al western cavalleresco con Ifugao (1955), dove sono presenti vistose venature mélo, nonché al genere storico con El filibusterismo (1962), racconto delle lotte anticoloniali basato sull'omonimo lavoro di J. Rizal. Quest'ultimo è lo scrittore che più di tutti ha regalato grandi pagine al cinema filippino, e che in tempi più recenti è stato ricordato con il film biografico di Marilou Diaz-Abaya José Rizal (1997), dove si ricostruisce il suo profilo di grande riformatore di fine Ottocento e si celebra, in tutta la sua complessità, la figura di questo amatissimo eroe nazionale, in occasione del centenario dell'indipendenza (1998).L'attività del regista E. Romero si colloca in un periodo contraddittorio, durante il quale si verificò il crollo dello studio system e la nascita di una severa legge di censura (1962). Romero fu una figura del cinema completa: regista, sceneggiatore, produttore, realizzò per Roger Corman, tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, b-movies nei generi horror, avventura, guerra prediletti dal regista-produttore statunitense; ma girò e produsse anche film destinati al mercato estero, tra cui Cavalry command (1963; Cavalleria commandos), Beast of blood (1971; La bestia di sangue), Savage sisters (1974; Tre magnifiche canaglie), circolanti in Italia. Più attenti all'introspezione e alla riflessione psicologica furono alcuni lavori successivi, come Ganito kami noon, paano kayo ngayon? (1976, Noi eravamo così prima, e ora voi cosa siete?), il cui protagonista è un giovane alla ricerca di sé stesso, e Banta ng kahapon (1977, La minaccia del passato), rigoroso film di denuncia. A partire dagli anni Settanta, si è sviluppata una forte contestazione contro l'establishment politico-culturale grazie a film che sono sapientemente riusciti a forzare i limiti imposti dalla censura. Dal Giappone e dalla Cina sono infatti giunti i modelli di un cinema che affida alla violenza e all'erotismo il compito di esprimere una forma di critica aspra ed estremamente amara nei confronti della politica e della società, come nel caso di Nympha (1970) diretto da Celso A. Castillo.In quegli stessi anni, aveva fatto il suo esordio l'autore che più di altri avrebbe saputo rinnovare il cinema filippino facendolo conoscere nel resto del mondo: Lino Brocka, che diresse il suo primo film nel 1970, Want-ed: perfect mother. In quest'opera si nota un uso particolare dei fumetti, segno di un desiderio di innovazione da parte di un cinema molto interessato a tutte le forme della cultura popolare. Eclettico e attivo su molti fronti (lavorò per la televisione ma anche per il teatro), Brocka si rivelò a proprio agio soprattutto nel melodramma, che seppe interpretare con sguardo aperto e curioso dei cambiamenti. Un caso esemplare è costituito dal film che segnò di fatto una svolta importante nella sua carriera, Tinimbang ka ngunit kulang (1974, Sei stato pesato ma sei stato trovato scarso), storia d'amore tra un lebbroso e una ragazza ritardata. L'attenzione alla di-sgregazione dei rapporti umani, quasi sempre asserviti al denaro e al sesso, emerge nei successivi e più noti Maynila sa kuko ng liwanag (1975, Manila negli artigli della luce), Insiang (1976), Jaguar (1979; Giaguaro), Bona (1980), tutti ambientati nelle bidonvilles di Tondo.Accanto a Brocka merita di essere citato Mario O'Hara, sceneggiatore e regista, maestro indiscusso del noir e protagonista della scena filippina soprattutto degli anni Settanta e Ottanta (sua è la sceneggiatura di Insiang). Capolavori di genere, ma anche testimonianze di impegno politico, sono da considerare Tatlong taong walang Diyos (1976, Tre anni senza Dio), ma ancor più Hope of the heart (1983), girato a pochi mesi dall'assassinio di B. Aquino ‒ figura di spicco dell'opposizione al presidente F. Marcos ‒ che racconta le terribili violenze compiute dal regime militare.Nella linea di una continuità con il passato, si è successivamente imposto Carlitos Siguion-Reyna (membro della Associazione dei registi filippini, organizzazione che si batte contro la censura) che, ancora una volta, ha scelto il melodramma per i suoi film, fatti di attesa e di tempi prolungati fino all'esasperazione. Al centro dei suoi racconti ci sono storie di uomini e di donne, di sguardi che si sovrappongono, di ambienti e situazioni filmati con accurata passione per il dettaglio. I suoi film Ang lalaki sa buhay ni Selya (1997, L'uomo nella vita di Selya), Tatlo...magkasalo (1998, Scambio a tre) e Azucena (2000) restano esempi importanti di un cinema che, pur nella contaminazione, mantiene un'identità inconfondibile. Il 1998, in particolare, è stato un anno ricco dal punto di vista produttivo, con 145 opere realizzate, tra produzioni di grande impegno economico e opere semindipendenti. Tra queste va citata ancora Bata, bata, paano ka ginawa? (Bambino, bambino, come sei stato concepito?) diretta da Chito Rono e ispirata a un noto racconto femminista.
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J. David, The national pastime: contemporary Philippine cinema, Manila 1990.
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G. Gariazzo, Il cinema del Sud-Est asiatico, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 4° vol., Americhe, Africa, Asia, Oceania. Le cinematografie nazionali, Torino 2001, pp. 897-902.