Mercante e uomo politico (Firenze 1489 - ivi 1538). Fratello di Lorenzo, inizialmente oscillante tra la collaborazione con i Medici e il sostegno al governo repubblicano, fu infine uno dei capi dei fuorusciti repubblicani. Postosi alla giuda della sollevazione di Firenze contro Cosimo I, venne da questo imprigionato e morì suicida in carcere.
Morto il padre Filippo (1491) cambiò in quello paterno il proprio nome di battesimo, per desiderio della madre. Nonostante la tradizionale rivalità della sua casata con i Medici e la formale opposizione del governo fiorentino, sposò (1508) Clarice di Piero, nipote di Lorenzo il Magnifico. Alla restaurazione medicea (1512) ottene numerose cariche e onori; più tardi, però, in seguito a contrasti con alcuni dei Medici, fu tra i promotori della rivolta che ripristinò in Firenze il governo repubblicano (1527). Rimasto vedovo (1528), si ritirò temporaneamente dalla vita politica, occupandosi d'affari a Lione; ma alla caduta della repubblica (1530) rientrò in patria e collaborò, sotto Alessandro de' Medici, alla riforma dello stato, forse nell'intento di favorirne una costituzione oligarchica. Un tale atteggiamento tuttavia non gli evitò i sospetti e le insidie del duca; si venne così a una nuova rottura, questa volta definitiva. Da allora Filippo abbracciò la causa dei fuorusciti repubblicani e ne divenne uno dei capi: da lui, in Venezia, si rifugiò Lorenzo de' Medici non appena ebbe ucciso il cugino Alessandro; e di lì a pochi mesi Filippo finanziò e guidò personalmente, col figlio Piero, una spedizione per rientrare in Firenze e sollevare la città contro il nuovo duca Cosimo. Fatto prigioniero a Montemurlo (1º ag. 1537), fu rinchiuso nella Fortezza da Basso a Firenze, dove il 18 dic. 1538 fu trovato morto nella sua cella. È ormai quasi certo il suo suicidio, come è quasi certa l'autenticità della famosa lettera da lui lasciata, che comincia con l'invocazione Deo liberatori e si chiude con la citazione del virgiliano Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor. Figura contraddittoria, imbevuto di classicità e di paganesimo, non meno nei costumi corrotti e nell'agire spregiudicato che nella raffinatissima cultura e nelle idealità politiche, S. meritò, per i tragici casi degli ultimi suoi anni, d'essere innalzato dalla tradizione patriottica del Risorgimento (cfr. tra l'altro la tragedia Filippo Strozzi di G. B. Niccolini) a precursore e simbolo dei martiri della libertà.