folclore
Il sapere e le tradizioni popolari
Folclore è l'italianizzazione di un termine inglese che traduce il tedesco Volkskunde, il "sapere popolare" esaltato dal Romanticismo tedesco come espressione dell'anima del popolo. In questo sapere, che comprende costumi, credenze, arte, narrativa, musica, medicina, riti, cerimonie e giochi tradizionali, sono incorporati conoscenze antichissime, narrazioni remote, riti arcaici, elementi magici e fiabeschi a cui la cultura alta ha attinto a piene mani. Nelle tradizioni popolari sia la vita umana sia il ciclo dell'anno vengono scanditi da feste, rituali e credenze che danno senso e significato alla vita, alla morte e al volgere perenne delle stagioni. I riti, poi, spesso sono sopravvivenze di antichissime cerimonie, come il pianto funebre ancora presente nel Meridione d'Italia ed erede diretto del compianto greco-romano
In italiano si preferisce chiamare questo sapere tradizioni popolari o cultura popolare. Ne troviamo tracce in tutta la nostra letteratura: la stessa Divina Commedia è ricca di motti, proverbi, dialettismi e leggende popolari, per non parlare delle opere di Ludovico Ariosto, Torquato Tasso, Alessandro Manzoni e delle opere della cosiddetta epopea degli umili raccontata dagli scrittori veristi, a cominciare da Giovanni Verga. Ma ne troviamo tracce anche nella musica, in quelle pagine in cui Vincenzo Bellini e Giuseppe Verdi, Gaetano Donizetti e Gioacchino Rossini nobilitano motivetti popolari inserendoli nella grande musica classica.
Nelle tradizioni popolari dell'Italia preindustriale e contadina, rituali e credenze davano senso e significato alla vita e alla morte. In particolare, la fecondità veniva considerata un bene al punto che i termini felicità e fecondità erano spesso usati come sinonimi (come è il significato del latino felix).
Il fidanzamento e le nozze erano scanditi da riti precisi, per esempio la prova di fidanzamento, in cui per sette giorni un ragazzo e una ragazza si frequentavano: se l'unione funzionava, si passava al fidanzamento vero e proprio. Tale usanza iniziava il giorno di San Valentino (14 febbraio) e i fidanzati in prova si chiamavano valentini. Molto diffuse erano le serenate, concertini in cui si elogiavano le bellezze e le virtù della ragazza. Significativi i doni di nozze che sancivano un'alleanza duratura tra le famiglie dei futuri coniugi. Il matrimonio prevedeva danze e canti legati alla fecondità e miranti a favorire l'unione.
Il momento del parto era ricco di preghiere e rituali, quali l'uso di cinture benedette che venivano sciolte per facilitare la nascita.
Ancora oggi riti e cerimonie hanno come elementi caratterizzanti musica e cibi tradizionali. Il cibo ha un forte valore simbolico e di relazione: durante le feste si consumano grandissime quantità di cibo in onore dei santi e dei defunti in quanto la festa è il modo più diffuso di distribuzione dei beni alimentari in eccesso.
Nel folclore restano tracce di cibi rituali: i dolci dei morti, il cenone di Natale, le pizze rustiche a Pasqua. È un'usanza diffusa in tutti i paesi quella di lasciare offerte di cibo per i defunti e gli spiriti.
In principio fiabe, leggende e canti popolari furono raccolti nei vari dialetti dalla viva voce della gente comune per scoprire e valorizzare lo spirito del popolo.
In Italia il novelliere Gianfrancesco Straparola aveva introdotto fiabe popolari nella raccolta Le piacevoli notti (1550-53) e Giambattista Basile in Lo cunto de li cunti (1634-36) aveva prodotto in dialetto napoletano uno straordinario intreccio di racconti meravigliosi con fate e orchi, magie e incantesimi, principesse rapite e animali fantastici.
In Francia, nel 1697 Charles Perrault pubblicò a Parigi le sue fiabe, concludendo, con un'opera dalle tinte forti che attinge alle tradizioni popolari e contadine, la moda delle fiabe alla corte di Luigi XIV. La passione per le fiabe contadine si rinforzò con i poeti romantici, che, valorizzando i dialetti, studiati come lingue, attinsero racconti di magia dall'immenso serbatoio della narrativa popolare che rielaborava miti classici, racconti greci e latini, epica medievale, esempi edificanti, fatti di cronaca e leggende.
Il primo esame dell'origine delle fiabe risale alla seconda edizione della raccolta di fiabe tedesche (1856) dei fratelli Grimm che attinsero i loro racconti fantastici dalla voce del popolo e dalle opere di Perrault.
Il successo della fiaba è complesso: in essa si evoca un mondo diverso, dove non vigono le leggi che reggono la vita quotidiana. Il tempo è quello magico del "c'era una volta", lo spazio è quello di un altrove molto lontano.
In una fiaba russa l'eroe incontra una strana capanna che, posta su zampe di gallina, ruota su sé stessa. Questo ruotare rappresenta il passaggio dal mondo reale a un mondo altro e diverso. Viene così simboleggiato il dinamismo interiore della psiche, che si dispone a far fronte alle difficoltà inerenti al mutare delle situazioni interne ed esterne, permettendoci di crescere. Ma la crescita non avviene una volta per tutte: le regressioni sono sempre possibili, i fantasmi e le ansie profonde possono sempre riaffiorare.
Nelle fiabe in cui compare il viaggio, con un percorso pieno di avventure e di pericoli, il protagonista ricerca il bello e il bene che ha perduto.
Un ulteriore elemento che dà fascino alle fiabe è la celebrazione del divenire. La fiaba è il mondo della perenne trasformazione: alla fine di ogni storia il protagonista ha sempre mutato di stato, ha sempre compiuto un'esperienza fondamentale. Le trasmutazioni sono, infatti, l'elemento comune dell'universo fiabesco. Tutto ciò rinvia alla possibilità sempre presente di un nuovo ordine, di una nuova organizzazione della realtà o ‒ possibilità ancora più suggestiva ‒ di un improvviso tuffo nel mistero.
La fiaba diventa parabola della vita stessa da cui trarre un insegnamento: la morale della fiaba è disseminata in tutto il percorso narrativo, in cui la stasi è considerata la rovina e il procedere verso un fine è presentato come l'unica salvezza. Ogni eroe che porta a termine imprese difficili, che sconfigge gli esseri malevoli, che supera prove dolorose e terribili ripropone lo schema implicito delle iniziazioni rituali. La ricchezza d'immagini delle fiabe aiuta nel difficile compito di raggiungere una coscienza matura adatta a fronteggiare la dura realtà.
Nella fiaba i valori sono espressi con chiarezza, l'apparenza ha scarsa importanza, la gentilezza e la bontà sono sempre ripagate mentre la scortesia viene punita; l'amicizia e la fedeltà sono sacre, al punto che il protagonista sacrifica per esse la sua vita. Il valore sommo resta l'amore, come nella favola mitologica Amore e Psiche (inserita dallo scrittore latino del 2° secolo Apuleio nel romanzo Metamorfosi) in cui la fanciulla Psiche, che ha perso il suo amato, si sottopone alle prove magiche più dolorose e umilianti per ricongiungersi a lui.
La fiaba dà un senso alle avventure e alle vicissitudini dei suoi personaggi, e il suo universo narrativo così compatto sopravvive alle mode, come dimostrano la persistenza e la continuità dei suoi temi e dei suoi motivi in arte, in musica, in letteratura.
Le leggende sono racconti edificanti che ammaestrano attraverso le belle immagini e i sentimenti forti. La leggenda popolare punta sull'emotività, vuole sbalordire, sedurre, incantare, stupire, spaventare. Suoi protagonisti sono santi e mostri, belle fanciulle e draghi d'acqua e di fuoco, cavalieri indomiti e serpenti parlanti, interventi divini e buffoni dal ghigno facile.
La leggenda è un ordito di fatti strani, insoliti, oscuri e misteriosi. Là dove la storia documentata si ferma, la leggenda popolare spiega, dà soluzioni, descrive l'inesplicabile narrandoci che baratri profondi sono stati aperti da angeli o demoni, incavi di rocce sono stati prodotti dalle impronte di santi, sorgenti d'acqua sono nate da lacrime di ninfe innamorate o di sante perseguitate.
La storia spesso ignora come siano nate le città, mentre la leggenda fornisce spiegazioni bizzarre e sorprendenti. L'immortale Roma fu fondata da una progenie divina: Marte dio della guerra, della quercia e della primavera genera i due gemelli fatali con Rea Silvia discendente di Venere attraverso Enea, che giunse nel Lazio dalle sponde troiane. Romolo e Remo, abbandonati, furono salvati dalla lupa.
Una leggenda collega Napoli alla sirena che, furiosa di non essere riuscita a sedurre Ulisse con il canto, si gettò a capofitto in mare. Morendo, fece un uovo che si dice sia conservato nelle fondamenta irraggiungibili di Castel dell'Ovo. Venezia, di cui la storia ignora l'origine, fu costruita dai fuggiaschi di Aquileia quando gli Unni di Attila, il flagello di Dio, attaccarono e distrussero la bella città.
La Sicilia fu regno della dea Demetra (la romana Cerere), dea delle messi feconde: nel lago Pergusa sua figlia Persefone fu trascinata da Ade, il dio dei morti che rende invisibili, nell'oltretomba. E Demetra vagò per l'isola finché non riebbe la figlia per almeno sei mesi l'anno, durante la bella stagione. In Sicilia, infatti, vi sono due sole stagioni: la bella e la brutta.
Molti ponti si chiamano ponte del diavolo, dato che costruire un passaggio sull'acqua era anticamente considerato una sorta di sacrilegio, per realizzare il quale occorreva il sacrificio di un'anima. Solo i diavoli conoscevano i segreti dei fiumi e dei delitti, e la prima persona che sarebbe passata sul ponte sarebbe stata preda del Maligno.
In tutta Italia si narra come santi benevoli e astuti abbiamo beffato i diavoli. La patria delle leggende è il Medioevo, che lungi dall'essere l'epoca dei secoli bui risplendette di mille luci. Era il mondo dei cavalieri senza macchia e senza paura che fondarono l'Europa, nel sogno grandioso del Sacro Romano Impero. Era l'epoca del valore e del mistero, in cui sono nati i prototipi delle leggende imperniate su tre grandi temi narrativi: la gloria e il primato di Roma, le gesta di Orlando e dei suoi paladini, le storie bretoni di re Artù.
Il folclore ha conservato tali racconti che hanno nutrito la cultura alta di Matteo Maria Boiardo, Ariosto e Tasso e che sono rimasti negli intrecci del teatro dei pupi siciliani e nell'arte pittorica del Seicento.
Il gioco, lungi dall'essere un'attività senza regole, si fonda su una struttura d'ordine (anche se fantasiosa e bizzarra), su un insieme preciso di norme. Il tempo del gioco è il tempo dell'ordine umano e non quello del caos. Il gioco tradizionale crea un tempo particolare, che annulla la tirannia della realtà: la sua connessione con il rituale appare evidente nello sforzo di organizzare lo spazio e allontanare il disordine.
Il gioco della palla e del pallone, certamente i più diffusi nel mondo, sono nati come cerimonia collettiva in onore dei defunti. Anche il dio dell'Amore partecipava ai giochi funebri, ed ecco che la palla compare come elemento centrale nell'episodio dell'incontro tra Nausicaa (che sta appunto giocando a palla con le amiche) e Ulisse nell'Odissea. L'altalena risale a un rito greco per le grandi feste degli dei Dioniso e Artemide (il Bacco e la Diana romani): tale gioco con il suo dondolio produce una sorta di estasi, permettendo di avvicinarsi al cielo e di sfiorare la terra.
Il tradizionale girotondo è una danza cosmica che ripropone il moto delle stelle e l'ordine dell'Universo, esorcizzando le catastrofi; mentre i quattro cantoni segnano lo spazio con i punti cardinali e ripropongono la magia del numero quattro, simbolo di stabilità e perennità.
Altri giochi tradizionali, quali Aiuto sorelle, All'Inferno o Paradiso, Angelo bell'angelo, sono rituali di delimitazione del territorio e di allontanamento del male e della morte. Nel gioco della Campana nel disegno tracciato per terra viene rappresentato un labirinto iniziatico; Uno, due, tre, stella, Regina reginella, Capre e lupi sono giochi magici che permettono un'acquisizione di potere tramite filastrocche in dialetto derivanti da antichi incantesimi.
Vi sono inoltre giochi dal significato nascosto, nei quali alcuni bambini formano un cerchio mentre uno di loro corre all'esterno reclamando ogni volta un compagno e cantando ritornelli che sono reminiscenze delle antiche 'canzoni a ballo' medievali come Maria Giulia da dove sei venuta?, Palazzo, palazzo vergine/ove gli angeli ci sono, Madama pollarola, quanti polli hai nel pollaio? Questi giochi, nei quali qualcuno viene scelto e passa da un cerchio grande a uno più piccolo, ripropongono il passaggio magico-religioso dalla vita alla morte e poi alla rinascita.
Infine, nel folclore di ogni regione italiana vi sono giochi istruttivi che servono a rendere sciolte le dita, filastrocche per arricchire la parola e indovinelli per aguzzare l'ingegno.
I giochi tradizionali erano importanti perché servivano ad apprendere regole che riguardavano non soltanto il gioco stesso, ma la convivenza sociale: si imparavano i diritti e i doveri delle varie classi di età e si compivano rituali informali di iniziazione verso l'adolescenza.
La medicina popolare ha curato per millenni le malattie, proponendo rimedi là dove non poteva arrivare quella ufficiale. L'uso delle solanacee, 'le consolanti', piante dal potere anestetico e antidolorifico, anticipò l'anestestia e la terapia del dolore. Nel mondo contadino e pastorale esistevano praticoni e 'medichesse' che assistevano malati, partorienti e puerpere con competenze empiriche di grande rilievo.
Il sapere popolare ricordava che l'erba morella è analgesica e sedativa, che la malva in decotto calma i dolori allo stomaco, che la dulcamara è un blando disinfettante, che la passiflora fa dormire senza problemi. Due foglie di alloro in acqua calda e zucchero forniscono un ottimo digestivo, la cipolla è diuretica e l'aglio fa bene alla pressione. Molto usati erano i rimedi animali e minerali: per le coliche renali, per esempio, si usava triturare un ippocampo (cavalluccio marino), che veniva lasciato nel vino e bevuto poi a piccoli sorsi.
Il riccio marino polverizzato e messo in un cucchiaio d'olio extravergine era usato per guarire dai vermi; mentre il corno di cervo carbonizzato e polverizzato veniva messo sui morsi delle vipere; infine le zampe dei grilli polverizzate e ingoiate in un'ostia erano considerate un rimedio contro i calcoli della vescica.
La medicina popolare mescolava empirismo e credenze magico-religiose che, per altra via, garantivano il riscatto dal dolore e dal male. Così i rimedi andavano assunti invocando il santo protettore più idoneo: per gli occhi, santa Lucia; per il seno, sant'Agata; per la gola, san Biagio; per i dolori reumatici, san Mauro.
Il sapere popolare era condensato nei proverbi. I rimedi erano catalogati in detti esemplari: "Erba di vento (paretaria) e il male è spento", e in effetti la paretaria è antinfiammatoria; "La malva ti salva; la ruta ogni male stuta (toglie)".
Si ripetevano massime igieniche collaudate da una saggezza millenaria: "Nella casa dove entra il sole, non entra il medico", "La salute è l'allegria: se la collera ti piglia, il tuo corpo si assottiglia". Non sempre i proverbi consigliavano la moderazione: "Piscia chiaro e mangia forte e ti freghi della morte", "Far l'amore caccia i malanni", "Se ti arrabbi quando mangi, il veleno ci guadagni". Infine va ricordato un detto che è diventato uno dei principi guida della medicina psicosomatica: "La voglia di guarire aiuta a rifiorire".