Fuoco
Nel corso della storia il fuoco è sempre stato parte integrante della società umana; per questo motivo meritano di essere esaminate le importanti conseguenze che questo elemento ha avuto per l'uomo in termini sia di benefici che di costi. La trasmissione delle conoscenze connesse all'utilizzazione del fuoco acquisite nel corso di parecchi millenni costituisce uno dei fattori di maggior continuità nello sviluppo socioculturale dell'uomo.
Nell'evoluzione delle società umane a partire dal Paleolitico inferiore spiccano per la loro importanza tre trasformazioni ecologiche: la domesticazione del fuoco, la nascita dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame e lo sviluppo della produzione industriale su larga scala. Sebbene tra una trasformazione e l'altra siano intercorsi lunghi intervalli di tempo, nondimeno tra di esse sussiste un'evidente continuità, nonché una serie di notevoli analogie.
La prima e più fondamentale di queste trasformazioni, la domesticazione del fuoco, non rappresentò una novità in senso assoluto, ma il culmine di un processo in atto da lungo tempo. In quale epoca sia avvenuta tale trasformazione è una questione ancora dibattuta tra i paleoantropologi, i quali la fanno risalire a un periodo che va da un minimo di 400.000 (v. James, 1989) a un massimo di 1.400.000 anni fa (v. Gowlett e altri, 1981). Questa incertezza non impedisce peraltro di stabilire quali siano stati i prerequisiti e le conseguenze della domesticazione del fuoco.
I prerequisiti che consentirono agli esseri umani di acquistare un certo controllo del fuoco si erano venuti formando negli stadi precedenti dell'evoluzione biosociale degli Ominidi. Tra tali prerequisiti figurano l'acquisizione della postura eretta e della locomozione bipede, una notevole versatilità nell'uso della mano, una capacità abbastanza sviluppata di comunicazione e di pensiero. Senza questi attributi difficilmente gli uomini avrebbero potuto compiere il passo decisivo verso la domesticazione del fuoco. La novità di questo progresso è data dal fatto che esso fu il primo esempio di 'controllo' e di 'incorporamento' nella società umana di una forza non umana (v. Goudsblom, 1987).
Il processo di combustione che chiamiamo 'fuoco' è di per sé una mera reazione chimica (v. Glassmann, 1977) che a prima vista sembra puramente distruttiva, in quanto riduce in modo irreversibile una materia organizzata in modo complesso a un livello di organizzazione o integrazione inferiore. Va osservato peraltro che gli effetti immediati di tipo distruttivo del fuoco possono dar luogo a processi di riorganizzazione e reintegrazione a un livello superiore. È quanto accade ad esempio nei sistemi ecologici allorché un incendio brucia residui organici e funghi creando così nuovo spazio per la vita vegetale e animale (v. Pyne, 1982, pp. 15-66). Lo stesso fenomeno si è verificato anche nel processo che ha portato alla domesticazione del fuoco, nel corso del quale gli esseri umani hanno imparato a controllare in qualche misura le energie liberate dalla combustione e ad impiegarle nell'organizzazione della loro vita sociale e nell'espansione del loro dominio sulla natura.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i fuochi naturali, come ad esempio quelli causati dai fulmini, non hanno come unico effetto quello di spaventare gli animali. Molti di questi sanno sfruttare un fuoco che arde utilizzandolo come fonte di luce e di calore, nonché di cibo gustoso e facile da procacciarsi. Gli incendi delle boscaglie possono essere l'occasione di veri e propri banchetti per gli uccelli predatori, ed è noto che molti erbivori sono ghiotti di ceneri salate. Nessuno di questi animali, tuttavia, ha imparato a controllare il fuoco, a tenerlo acceso in modo da servirsene regolarmente e non solo occasionalmente. Solamente gli Ominidi arrivarono a un uso più attivo e regolare del fuoco. Essi riuscirono a impadronirsi di questa fonte esterna di energia e a renderla costantemente disponibile. A tal fine gli Ominidi dovettero imparare prima a mantenere accesi i resti di un fuoco nel suo luogo originario, e in seguito a trasportare i tizzoni in un posto sicuro. Per mantenere un fuoco occorre alimentarlo con del combustibile, ma sicuramente ciò non era altrettanto ovvio per i nostri lontani antenati quanto lo è per noi. Essi dovettero apprendere - attraverso l'esperienza e l'esempio - che un fuoco ha bisogno di ossigeno e di combustibile, che quest'ultimo deve essere secco, che diversi tipi di combustibile producono tipi differenti di fuoco e così via. Nessuna di queste nozioni era posseduta dagli uomini (o da altri animali) come informazione innata, ma tutte dovettero essere scoperte e, una volta scoperte, divulgate e trasmesse ad altri per non essere dimenticate. Sapere in che modo conservare acceso un fuoco era, di conseguenza, un tipico elemento culturale: uno schema comportamentale "appreso, condiviso e trasmesso" (v. Goudsblom, 1960, tr. it., p. 106; v. Elias, 1989).
Il controllo del fuoco richiedeva ovviamente assai più che non la semplice conoscenza del combustibile. Attività quali la raccolta e l'accumulazione di legna per alimentare il fuoco costituivano forme di detour behavior, ossia non reazioni innate a uno stimolo fisico bensì comportamenti strumentali finalizzati al raggiungimento di uno scopo (v. Perlès, 1977). Allorché gli uomini cominciarono a raccogliere legna da usare come combustibile, dedicarono parte delle loro energie a conservare qualcosa di non umano, qualcosa che non rientrava nel loro 'patrimonio genetico'. Ciò non significa che tali comportamenti possano essere considerati 'non egoistici'; tuttavia, il fatto importante è che mantenere acceso un fuoco richiedeva non solo una serie di competenze tecniche, ma anche una certa capacità di previsione e di autocontrollo che doveva anch'essa essere appresa.
I gruppi umani svilupparono gradualmente un nuovo 'regime ecologico', il regime del fuoco. Allorché impiegarono il fuoco per disboscare il terreno, per cacciare o per tener lontani gli animali, essi imposero questo regime socioculturale al loro ambiente naturale. Tale regime rese i gruppi umani più forti come 'unità di sopravvivenza' (v. Elias, 1970) rispetto ad altri concorrenti sia Ominidi che non Ominidi. Il fuoco assolveva quelle che in uno stadio assai più tardo di differenziazione sociale sarebbero state definite funzioni 'economiche' e 'militari'. Nel corso del tempo le 'unità di sopravvivenza' costituite dagli uomini che avevano il fuoco si dimostrarono più vitali rispetto a quelle che non ne conoscevano l'uso, che alla fine scomparvero. Il possesso del fuoco divenne una caratteristica universale di tutte le società umane.
Il fuoco divenne inoltre una caratteristica esclusiva delle società umane, una sorta di 'monopolio della specie'. Finché l'uso del fuoco rimase principalmente passivo, diversi animali poterono goderne i benefici in modo più o meno eguale; tuttavia, allorché gli Ominidi divennero più abili nel controllare questo elemento, furono in grado non solo di conservare un fuoco acceso, ma anche di tenere alla larga gli altri animali utilizzando i tizzoni ardenti come arma. È probabile che in un determinato stadio della loro evoluzione Primati affini quali scimpanzé e gorilla siano stati vicini ad avere le potenzialità necessarie per sviluppare la specifica configurazione di tratti che consentì agli Ominidi di controllare e utilizzare il fuoco (v. Kortlandt, 1972). Tali potenzialità però non si realizzarono mai: dopo che gli esseri umani ebbero definitivamente acquisito il controllo sul fuoco, lo monopolizzarono e lo utilizzarono per estendere il loro dominio su tutti gli altri animali.
Nel far ciò gli uomini poterono giovarsi del meccanismo dei vantaggi che si potenziano a vicenda, il quale operò in diversi modi nel processo di monopolizzazione del fuoco. Innanzitutto, l'organizzazione sociale e la trasmissione culturale furono prerequisiti indispensabili per acquisire e conservare la capacità di mantenere un fuoco; a loro volta tali prerequisiti vennero probabilmente rafforzati dalla stessa esigenza di mantenere acceso il fuoco. L'uso attivo del fuoco probabilmente ebbe l'effetto di intensificare l'organizzazione sociale non solo all'interno dei gruppi umani ma anche tra di essi. Secondo un'idea comune il fuoco costituiva una fonte di contese tra i gruppi; e tuttavia esso rappresentò probabilmente anche uno dei primi vincoli basati sullo scambio, unendo tra loro diversi gruppi che si sarebbero aiutati reciprocamente se uno di essi fosse rimasto privo del suo fuoco. Ovviamente questo 'legame del fuoco' contribuì notevolmente ad accrescere il potere degli uomini.
Un altro vantaggio fu l'acquisizione dell'autocontrollo necessario per accostarsi a un fuoco senza reazioni di panico irragionevole ma anche con una certa prudenza. L'acquisizione di tale controllo era facilitata dall'esperienza stessa di vivere senza pericoli in un gruppo provvisto di fuoco, in quanto l'individuo si rendeva conto che questo poteva essere effettivamente controllato. L'insediamento nelle caverne fornisce un altro esempio del meccanismo dei controlli che si rafforzano a vicenda. Il possesso del fuoco aumentò notevolmente la possibilità di tener lontani i grandi predatori dall'ingresso delle caverne, rendendole così una dimora relativamente sicura per l'uomo. Nello stesso tempo l'insediamento nelle caverne rese assai più facile conservare acceso il fuoco proteggendolo dalla pioggia o dalle incursioni dei nemici.
L'accresciuta sicurezza fu uno dei vantaggi che costituirono le 'post-condizioni' o, in termini più familiari, le funzioni che, come effetti positivi del regime del fuoco, contribuirono all'ulteriore sviluppo del processo di domesticazione di questo elemento. La cottura ampliò la gamma dei prodotti commestibili; come fonte di calore, il fuoco rese più facilmente abitabili le regioni fredde; esso, infine, poteva essere usato come fonte di illuminazione, per allontanare i nemici, per disboscare il terreno, per la caccia e la raccolta e per vari altri scopi (v. Clark e Harris, 1985). Nel complesso, il controllo del fuoco accrebbe le possibilità di sopravvivenza dell'uomo, favorì l'espansione territoriale e, a lungo termine, l'incremento demografico.
Quest'ultimo fenomeno riveste un'importanza cruciale per comprendere il corso successivo dell'evoluzione sociale. L'incremento della popolazione facilitò, tra le altre cose, l'organizzazione sia di modi più efficaci di difendersi dai predatori e dai rivali appartenenti al regno animale, sia di gruppi per la caccia più consistenti. Tuttavia, nel momento stesso in cui estendevano il loro dominio attraverso il controllo del fuoco, gli uomini divennero sempre più dipendenti da questo elemento - se non altro perché l'aumento della popolazione rendeva necessario per la sopravvivenza lo sfruttamento permanente del monopolio del fuoco.
Alla fine tra controllo e dipendenza si stabilì un certo equilibrio che doveva necessariamente tendere ad autoperpetuarsi. I gruppi umani, raggiunta una certa consistenza numerica, avvezzi a una determinata dieta e a spaziare in un certo territorio grazie al fuoco, non potevano più conservare il loro modo di vivere senza questo elemento. Al pari di certe piante che prosperano solo in un ambiente visitato regolarmente dal fuoco, gli uomini erano divenuti dipendenti da esso (v. Forni, 1984).
La nascita dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame, che risale a 20.000-10.000 anni fa, è considerata spesso la 'prima rivoluzione', il primo grande passo verso la civiltà. L'intero periodo che precede la rivoluzione agricola è considerato un'epoca di stagnazione, in cui si verificarono pochi progressi significativi (v., ad esempio, White, 1959, pp. 44-45). Assai prima che comparisse una qualche forma di agricoltura, tuttavia, la domesticazione del fuoco aveva determinato una trasformazione ecologica altrettanto rilevante e di vasta portata. Per molti versi l'acquisizione di un certo controllo sul fuoco costituì un prerequisito essenziale per lo sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame.
Al pari di quella del fuoco, la domesticazione di piante e animali comportò un'estensione del dominio dell'uomo. Si stabilì un nuovo tipo di regime ecologico, il regime agricolo, che imponeva nuovi condizionamenti sia all'ambiente fisico che alla stessa comunità umana. La coltivazione della terra e l'allevamento del bestiame costituivano, analogamente al controllo del fuoco, forme di detour behavior, nel senso che implicavano un'attenzione verso certi elementi non iscritti nel patrimonio genetico dell'individuo; tale tipo di comportamento non era innato, ma dovette essere acquisito attraverso l'apprendimento sociale. È senz'altro possibile che la lunga familiarità con il controllo del fuoco abbia contribuito a preparare gli esseri umani alle difficoltà connesse al regime agricolo, caratterizzato da una serie di attività con 'gratificazione differita'.
La domesticazione del fuoco fu un prerequisito dello sviluppo dell'agricoltura anche in modi più concreti. Nella maggior parte dei casi le piante coltivate richiedevano una qualche forma di cottura per renderle commestibili. Non meno importante era il fatto che il suolo da coltivare aveva bisogno anch'esso di una preparazione, cioè di essere ripulito dalle erbacce e dagli alberi. Per preparare il terreno gli uomini si servivano di una tecnica sviluppata nel corso di millenni, consistente nel dar fuoco alla vegetazione in periodi accuratamente scelti. Sino a tempi recenti questa tecnica era ancora in uso presso gli Aborigeni australiani e altre popolazioni (v. Hallam, 1975; v. Horton, 1982).
Difficilmente gli uomini avrebbero potuto introdurre l'agricoltura in gran parte dell'Asia, dell'Europa e dell'America Centrale, se non fossero stati in grado di liberare il terreno dalla vegetazione attraverso il metodo del 'taglia e brucia'. Tale pratica è considerata oggi primitiva e dannosa - e spesso nelle condizioni attuali lo è realmente (v. Freeman, 1955). Originariamente, tuttavia, si trattava di un'invenzione estremamente utile basata su una 'scienza popolare del fuoco' (v. Lewis, 1972). Avendo intuito che la vegetazione secca brucia più facilmente di quella verde, gli uomini impararono a tagliare i rami degli alberi in modo da far seccare i tronchi. Quando, dopo qualche mese, veniva appiccato il fuoco ai rami secchi, la pianta bruciava con estrema facilità. La tecnica del 'taglia e brucia' presuppone sia la disponibilità di strumenti da taglio che la capacità di pianificare con parecchi mesi di anticipo. L'operazione si svolge in vari stadi: dopo aver individuato un appezzamento di terreno adeguato si esegue l'operazione preliminare di sfoltimento del sottobosco e di taglio degli arbusti e infine, dopo un considerevole lasso di tempo, si brucia la vegetazione ormai secca. Soprattutto la scelta del momento in cui effettuare quest'ultima operazione richiede esperienza e attenzione. Se un tratto di foresta viene bruciato troppo presto, cioè troppo tempo prima che incomincino le piogge, la cenere verrà dispersa dal vento e il suolo si seccherà. Se viceversa si ritarda troppo l'operazione, possono sopraggiungere le piogge e la legna diverrà di nuovo umida (v. Schlippe, 1956).
Il metodo del 'taglia e brucia' è adatto ad aree con bassa densità di popolazione, dove è possibile spostarsi da un appezzamento all'altro. Il suo principale svantaggio è dato dal fatto che nel terreno disboscato, oltre alle piante che si vogliono coltivare, ne crescono altre le quali dopo pochi raccolti tendono a prendere il sopravvento. Finché nell'area circostante resta una quantità sufficiente di terreno adatto - tratti di foresta 'primaria', ossia non ancora disboscata, oppure 'secondaria', quella cioè che ha preso il sopravvento nell'area precedentemente coltivata - la soluzione più semplice è quella di abbandonare l'ultimo appezzamento utilizzato e di disboscare quello adiacente col metodo del 'taglia e brucia'. Si sviluppa così una forma di agricoltura itinerante, nel senso che i coltivatori abbandonano i campi dopo pochi raccolti per poi tornarvi alcuni anni più tardi, allorché la vegetazione è ricresciuta e il terreno è pronto per essere nuovamente disboscato.
Lo sviluppo dell'agricoltura diede luogo a una nuova 'divisione' sociogenetica tra piante (piante coltivate versus erbacce) e animali. Il predominio di lunga data degli uomini su tutti gli altri grandi animali - sia quelli domesticati che quelli selvaggi- che costituì uno dei prerequisiti per la nascita dell'agricoltura, fu enormemente accresciuto da quest'ultima. Così come nello stadio precedente il fuoco era stato messo al servizio dell'uomo, ora un regolare rifornimento di risorse vegetali e animali accrebbe il potenziale economico e militare delle società umane. Una delle principali conseguenze dello sviluppo dell'agricoltura fu la maggior disponibilità di risorse alimentari per l'uomo. Quasi per definizione, l'agricoltura comportava lavoro. Inizialmente, finché si praticò l'agricoltura itinerante basata sulla tecnica del 'taglia e brucia', "il fuoco svolgeva la maggior parte del lavoro" (v. Boserup, 1965, p. 30). In seguito, quando la produzione venne intensificata, il peso del lavoro gravò sempre più sugli uomini, sui contadini che aravano la terra.
Nella maggior parte dei casi l'incremento e la concentrazione di risorse alimentari che l'accresciuta intensità di lavoro rendeva disponibili determinarono un incremento e una concentrazione della popolazione. Se è vero che, come sostengono Boserup e altri, la nascita dell'agricoltura fu stimolata dalla penuria alimentare e dalla pressione demografica, è probabile che in un primo tempo l'aumento della produttività abbia alleviato la situazione per un certo numero di generazioni. Alla distanza, tuttavia, la densità demografica di alcune popolazioni agricole aumentò al punto da esporle costantemente alla minaccia della penuria alimentare. A questo riguardo la domesticazione di piante e animali ebbe conseguenze simili a quelle della domesticazione del fuoco: in entrambi i casi l'accresciuta capacità di controllo comportò inevitabilmente una maggiore dipendenza da ciò su cui si esercitava il controllo (in questo caso non più il fuoco bensì i raccolti e il bestiame) nonché dagli strumenti tecnici e organizzativi attraverso i quali tale controllo veniva esercitato.
Prima della nascita dell'agricoltura il fuoco costituiva la fonte più importante di energia non umana che gli uomini erano in grado di controllare; il focolare della comunità costituiva il centro di ogni gruppo umano. Nelle società agricole, pur continuando a conservare una importanza decisiva, il fuoco perse parte delle sue funzioni come centro di coesione, soprattutto là dove la tecnica del 'taglia e brucia' fu sostituita da metodi di coltivazione che comportavano un impiego più intensivo di lavoro. Inoltre divennero più evidenti gli effetti distruttivi del fuoco, che costituivano una minaccia per la vita e la proprietà. Mentre negli stadi precedenti la preoccupazione principale era stata quella di conservare acceso il fuoco, ora fu il rischio degli incendi a rappresentare una delle maggiori inquietudini.
Il mutato ruolo assunto dal fuoco era strettamente associato alle principali tendenze che si verificarono nella organizzazione sociale allorché i metodi della produzione agricola divennero più intensivi. In primo luogo, vi fu l'incremento demografico determinato dalle accresciute risorse alimentari. In secondo luogo, tale incremento demografico comportò una tendenza alla concentrazione della popolazione in insediamenti più ampi e di carattere stabile. Mentre nello stadio del 'taglia e brucia' gli insediamenti per lo più erano dispersi e di piccole dimensioni, lo sviluppo di metodi agricoli a maggiore intensità di lavoro di norma favorì la nascita di villaggi e città più estesi. In questi insediamenti si verificò una terza importante tendenza, la tendenza alla specializzazione; oltre ai contadini e agli allevatori, che continuavano a costituire la maggioranza della popolazione, si crearono nuovi ceti, formati da coloro che si dedicavano all'artigianato o al commercio, alla religione o all'attività militare. In quarto luogo, in concomitanza con la specializzazione, si svilupparono nuove e più ampie forme di organizzazione, quali tribù e Stati, mercati e corporazioni, culti e chiese.
Ognuna di queste tendenze generali ebbe delle ripercussioni dirette sugli usi del fuoco. Innanzitutto, la crescita demografica determinò un aumento dei fuochi creati artificialmente dall'uomo, una proliferazione di focolari e fornaci. Allo stesso tempo, gli estesi incendi di boscaglie e foreste che avevano caratterizzato il periodo del 'taglia e brucia' divennero un ricordo del passato nelle società caratterizzate da metodi di produzione alimentare più intensivi. Con l'affermarsi di insediamenti stabili, si cercò di creare delle 'zone franche' in cui era bandito il fuoco. I fuochi accesi all'interno di queste aree erano contenuti in focolari e fornaci costruiti in modo tale da ottenere una notevole concentrazione di fuoco e da raggiungere alte temperature riducendo nel contempo al minimo il rischio di provocare danni alle proprietà materiali.
Questo processo di progressiva concentrazione andò di pari passo con un processo di specializzazione nell'uso del fuoco. Nelle case si ebbe una prima differenziazione tra i fuochi utilizzati per il riscaldamento e quelli per l'illuminazione, e una ulteriore differenziazione tra le fonti di calore e i fuochi destinati alla cottura dei cibi. Ancora maggiore fu la specializzazione dei fuochi per usi industriali. Un numero crescente di artigiani sviluppò forme di impiego altamente specializzate del fuoco: fabbri, vasai, tintori, conciatori e molti altri, i quali si servivano di tecniche e strumenti speciali per trattare questo elemento (v. Forbes, 1958). Il fuoco rivestiva un'importanza cruciale nella metallurgia e nella ceramica, ma veniva impiegato in un qualche stadio del processo produttivo pressoché in tutti i mestieri, dalla fabbricazione di cesti alla costruzione di navi. A parte queste funzioni specificamente economiche, il fuoco era utilizzato anche in contesti religiosi e militari. La maggior parte delle religioni sviluppatesi nelle società agricole attribuiva un notevole valore ai fuochi sacri e ai rituali ad essi associati (v. Eliade, 1956). In guerra il fuoco non era di grande aiuto negli scontri corpo a corpo, ma poteva essere usato con notevole efficacia negli assedi e nelle controffensive per distruggere le difese e le proprietà del nemico. Mettere 'a ferro e a fuoco' un castello o una città divenne il metodo usuale per suggellarne la sconfitta con la distruzione.
I molteplici usi del fuoco nelle società agricole stanziali determinarono nuove forme di organizzazione. In tutte le principali città era indispensabile un regolare rifornimento di combustibile per i palazzi, i templi, le case e le botteghe; per provvedere a tale rifornimento erano necessarie reti capillari per la produzione e la distribuzione della legna da ardere e in seguito del carbone. Inoltre, allorché le città si ampliarono e aumentò la densità degli edifici, crebbe anche l'esigenza di creare organizzazioni per prevenire e combattere gli incendi.
Allorché gli insediamenti umani divennero più estesi e densamente popolati, aumentò il pericolo degli incendi. Il rischio effettivo che si sviluppasse un incendio dipendeva da una serie di condizioni, tra cui il modo in cui erano costruiti i singoli edifici, la quantità di materiale combustibile che essi contenevano e la distanza tra un edificio e l'altro. Non meno importanti erano altre condizioni 'immateriali', quali ad esempio la legislazione che regolamentava l'uso del fuoco e le relative sanzioni, la prudenza con cui veniva maneggiato il fuoco e l'efficacia dei metodi impiegati per evitare che gli incendi scoppiati in una determinata 'zona franca' si diffondessero.Il mezzo di gran lunga più efficace per ridurre il rischio degli incendi è stato sempre la prevenzione. Ciò vale sicuramente nel caso delle città preindustriali; una volta scoppiato un incendio, il solo modo per fermarlo era quello di creare uno sbarramento abbattendo gli edifici verso i quali avanzavano le fiamme: la distruzione per mano dell'uomo doveva fermare quella ad opera del fuoco.
Sappiamo poco sull'organizzazione della lotta contro gli incendi in questo periodo storico. Nello studio di Sjoberg (v., 1960) sulla città preindustriale il tema non è neppure menzionato. Alcune testimonianze sull'antica Roma indicano che nell'età imperiale la città era provvista di una grossa squadra antincendio che contava nelle diverse epoche dai 4.000 agli 8.000 uomini, organizzata su basi semimilitari (v. Rainbird, 1986). La presenza di questo corpo di vigiles non riuscì a salvare Roma da una serie di grandi incendi, il più famoso dei quali si verificò sotto l'impero di Nerone nel 64 d.C. A quanto pare le piccole città di provincia dell'Impero romano erano sprovviste di squadre antincendio. Si sa che almeno un tentativo di fondarne una venne vietato dall'imperatore, che temeva il potenziale potere politico di tali organizzazioni locali (v. Goudsblom, 1992, pp. 117-118).
Se la nascita dell'agricoltura accelerò le tendenze già esistenti verso la crescita, la concentrazione, la specializzazione e l'organizzazione delle popolazioni umane e dei loro usi del fuoco, lo stesso si può dire a maggior ragione per quanto riguarda il processo di industrializzazione.In primo luogo, l'industrializzazione comportò un enorme incremento del numero, della varietà e dell'intensità dei fuochi creati dall'uomo. Tutti i processi della produzione industriale - i cui prototipi furono la metallurgia e la ceramica - ricevettero un notevolissimo impulso dall'uso delle macchine a vapore alimentate a carbone. Nei primi anni del suo impiego, nella seconda metà del Settecento, la macchina a vapore era comunemente nota come 'macchina del fuoco', e in seguito scrittori quali Charles Dickens e Victor Hugo descrissero i nuovi paesaggi industriali dell'Europa, avvolti da gigantesche masse di fumo e fiamme. Le fabbriche in rapido sviluppo producevano tra le altre cose fiammiferi - strumenti a buon mercato che facilitavano notevolmente l'accensione del fuoco -, lumi, stufe e forni: tutti oggetti che contribuirono a moltiplicare i fuochi presenti in ogni casa (v. Landes, 1969; v. Sicilia, 1986).
Le macchine a vapore installate nelle fabbriche, nelle navi e nelle locomotive rappresentavano nuove forme di concentrazione del fuoco. Tale processo di concentrazione si intensificò nel XX secolo, allorché la forza motrice del vapore fu largamente soppiantata dall'elettricità e dalla combustione interna. Una delle conseguenze di tale processo è stata quella di sottrarre alla vista del pubblico la maggior parte degli impieghi industriali del fuoco. I consumatori non sono più testimoni di come e dove avviene la combustione del carbone, del petrolio o del gas attraverso i quali viene prodotta l'elettricità di cui si servono. Mentre il numero complessivo dei fuochi creati dall'uomo è aumentato, i fuochi di cruciale importanza economica sono diminuiti e il loro bagliore non è più visibile.
Nello stesso tempo è enormemente aumentata la quantità di funzioni specializzate per le quali vengono accesi fuochi grandi e piccoli. Forse per reazione alla tendenza a rendere sempre meno visibili i fuochi utilizzati nella produzione industriale e nei trasporti, sembra più apprezzata la sensazione fisica che deriva dall'osservare un fuoco nelle sue forme domestiche. Le candele e l'incenso che bruciano nei templi e nelle chiese sono venerate vestigia del ruolo centrale che il fuoco assumeva un tempo nella vita di ogni comunità. Le candele e i camini contribuiscono ancora oggi a creare nelle case un'atmosfera di tradizionale intimità. Il barbecue, ormai onnipresente nei giardini e nei campeggi, ha un'analoga funzione di favorire la socialità. Nello stesso tempo, nei laboratori rigorosamente interdetti al pubblico si continuano ad effettuare esperimenti per scoprire nuove applicazioni industriali del fuoco. Nei laboratori più avanzati sono state prodotte temperature che si avvicinano a cento milioni di gradi Celsius (cfr. "The Independent", 11 ottobre 1988).
La proliferazione dei fuochi nella società industriale richiede naturalmente un alto grado di organizzazione. È la combustione dei fossili di materia organica che fornisce l'energia necessaria a conservare lo standard di vita al quale siamo ormai abituati. Esiste oggi una complessa rete a livello mondiale per il rifornimento di combustibile (v. Gleichmann, 1983). Ne sono una concreta testimonianza le gigantesche petroliere che solcano gli oceani, nonché i gasdotti e gli oleodotti che attraversano i confini delle diverse nazioni. L'intera rete è in gran parte controllata da un ristretto numero di grandi società; le principali attività delle più grandi multinazionali del mondo sono costituite dalla produzione e dalla distribuzione del petrolio o dalla costruzione di veicoli che funzionano con motori a combustione interna in cui viene bruciato il prodotto raffinato.
Sin dalla preistoria tra i vari usi del fuoco vi sono stati quelli legati alla guerra. Nelle società moderne tali funzioni militari sono diventate più distruttive che mai. In parte ciò è dovuto alla maggiore concentrazione di popolazione e di proprietà materiali nei centri urbani, ma la causa principale va individuata nei progressi tecnologici che consentono agli specialisti di produrre temperature estremamente elevate. A volte il fuoco è usato direttamente come arma, ad esempio nel caso del napalm, altre volte viene provocato dall'esplosione di bombe 'convenzionali' come quelle sganciate su Dresda nel febbraio del 1945, oppure 'atomiche' come quelle usate a Hiroshima nell'agosto dello stesso anno. In entrambi i casi, le tempeste di fuoco provocate da questi bombardamenti causarono la morte di più di 100.000 persone (v. Lyons, 1985, pp. 117-118). Altre atrocità della guerra associate al fuoco sono le uccisioni di massa seguite dalla cremazione. Non a caso lo sterminio degli Ebrei da parte dei nazisti è stato definito 'olocausto'.
Nella società moderna, la guerra rappresenta il potere distruttivo del fuoco nella sua forma più estrema, ma gli altri pericoli ad esso associati non sono scomparsi. La proliferazione dei fuochi da un lato e l'accumulazione di proprietà materiali dall'altro hanno aumentato notevolmente il rischio degli incendi. L'alto grado di pericolosità del fuoco è testimoniato dall'accresciuta consapevolezza della necessità di usare prudenza quando si ha a che fare con questo elemento, nonché dalle descrizioni dei suoi effetti devastanti che si incontrano frequentemente nella letteratura, nell'arte e nella religione (v. Draxler, 1987). Naturalmente le apprensioni riguardano i pericoli legati non tanto ai fuochi spontanei, quanto a quelli creati dall'uomo. Il principale timore è che il fuoco sfugga al controllo o venga deliberatamente usato per fini distruttivi.Un'altra fonte di preoccupazione è costituita dagli incendi delle foreste. Foreste che fino a tempi recenti erano troppo fitte per essere disboscate dall'uomo ora possono essere bruciate con grande rapidità. I danni ecologici determinati dagli incendi indiscriminati delle foreste vengono risentiti in tutto il mondo, anche perché, fra l'altro, il fumo sprigionato dagli incendi contribuisce ad aumentare ulteriormente il livello dell'anidride carbonica prodotta nei paesi industriali, che costituisce una crescente minaccia per lo strato di ozono.
Uno degli strumenti più efficaci per contrastare i pericoli legati all'uso del fuoco nel mondo contemporaneo è l'educazione. La prima cosa che si cerca di insegnare ai bambini relativamente al fuoco è che esso comporta dei pericoli. Imparare ad accendere un fuoco con un fiammifero è assai più facile che imparare a crearne uno con una pietra focaia o strofinando due bastoncini di legno. La cosa più importante oggi non è tanto acquisire la capacità tecnica di accendere un fuoco, quanto la consapevolezza dei pericoli insiti nel suo uso per il quale è necessario adottare tutte le possibili precauzioni (v. Bachelard, 1938; v. Canter, 1980).
Oltre all'educazione, per la prevenzione degli incendi continua ad avere un ruolo di primo piano l'organizzazione. Grazie a una combinazione di innovazioni tecniche e organizzative, dal Medioevo a oggi sono stati fatti importanti progressi nel ridurre la frequenza e le dimensioni degli incendi urbani (v. Jones e altri, 1984; v. Jones, 1987², pp. 33-34). Tali progressi sono stati particolarmente rilevanti nel corso dell'ultimo secolo. Oltre alle misure preventive va menzionato anche lo sviluppo dei sistemi di assicurazione contro gli incendi.
Nelle diverse aree del mondo sussistono ancora notevoli differenze per quanto riguarda la quantità e il tipo dei fuochi accesi dall'uomo. Mentre è ovvia la correlazione tra tali differenze e il livello di industrializzazione e di benessere, più sorprendenti risultano invece le notevoli diversità per quanto riguarda il tasso degli incendi e il numero delle vittime che questi causano nelle società industrializzate. Negli Stati Uniti e in Canada, ad esempio, la media annua degli incendi e delle vittime del fuoco è il doppio rispetto a quella registrata nella maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale (v. Lyons, 1985, pp. 1-5). Le cause di tali diversità non sono ancora chiare.
Dato il ruolo cruciale che ha avuto nello sviluppo della vita sociale dell'uomo, il fuoco ha sempre sollecitato l'immaginazione e ha dato origine a numerosi riti e credenze. Purtroppo per l'epoca preistorica disponiamo solo di reperti materiali dai quali è difficile ricostruire i significati religiosi e simbolici attribuiti al fuoco. A partire dall'invenzione della scrittura, però, sono stati documentati molti elementi relativi a questi aspetti intangibili, e recentemente la ricerca sul campo condotta dagli antropologi ha fornito una notevole quantità di dati e di teorie.
L'esistenza di miti sul modo in cui l'uomo giunse a padroneggiare il fuoco è attestata in tutto il mondo (v. Frazer, 1930; v. Lévi-Strauss, 1964). Di norma tali miti descrivono la conquista iniziale del fuoco non come un processo graduale e a lungo termine, bensì come una singola impresa avventurosa, spesso caratterizzata dall'astuzia e dall'inganno. Secondo la maggior parte dei miti il fuoco dapprima era posseduto solo dagli dei, i quali in un secondo tempo ne fecero dono agli uomini, o ne vennero derubati da un animale - che a sua volta lo diede all'uomo - oppure da un 'eroe della cultura' di natura semidivina come Prometeo.
In tutti questi miti il fuoco viene rappresentato come qualcosa di prezioso, un bene unico nel suo genere che separa l'uomo dal mondo animale. Come corollario di questa concezione, molti miti parlavano di popolazioni che non possedevano il fuoco e non potendo cuocere il cibo erano costrette a vivere come animali. Naturalmente si tratta di miti privi di fondamento, giacché il fuoco è stato un elemento universale della cultura umana fin dalla comparsa di Homo sapiens.Direttamente collegata a tali credenze è l'idea che il fuoco gestito dall'uomo abbia effetti purificatori. L'ambito della cultura viene fatto coincidere con quello segnato dalla domesticazione del fuoco. La carne cotta quindi viene considerata il cibo proprio dell'uomo, mentre quella cruda è adatta solo agli animali. Analogamente, si ritiene che la terra liberata dalla vegetazione con il fuoco faccia parte del fidato dominio umano, mentre i boschi e le foreste vergini sono temuti come luoghi selvaggi e pericolosi in cui si nascondono predatori, serpenti, insetti velenosi e spiriti maligni (v. Korem, 1985).
Anche i riti rivelano quanto il fuoco fosse considerato un bene prezioso. Il focolare della comunità era il centro della vita del gruppo, che lo venerava facendolo oggetto di vari cerimoniali e aveva cura che non cessasse mai di ardere. I culti romani del focolare e di Vesta, la dea del fuoco, dimostrano come tali antichi riti persistessero anche nei contesti urbani. In molte società il focolare della comunità, tenuto costantemente acceso, veniva spento ritualmente una volta all'anno e rimpiazzato da un nuovo fuoco 'puro' che veniva acceso solennemente dal gran sacerdote.
Con la nascita dell'agricoltura, allorché un numero sempre maggiore di uomini si stabilì in villaggi e città, aumentò anche il numero e la varietà dei fuochi, e di conseguenza il rischio degli incendi. Il fuoco continuava ad essere considerato un bene prezioso e necessario, ma poiché non era più una risorsa scarsa, questo atteggiamento spesso lasciò il posto all'apprensione per i pericoli che esso comportava.
Questo mutato atteggiamento si riflette in alcune delle grandi religioni che si sono affermate in Eurasia negli ultimi 3.000 anni. La venerazione del fuoco rimase un elemento importante nell'induismo, con il suo culto della divinità del fuoco Agni (v. Staal, 1983), e nello zoroastrismo, con il suo culto di Atar. Entrambe le religioni mantennero viva l'antica venerazione del fuoco come forza primigenia di vitale importanza per l'uomo, ma a ciò si associava un timore reverenziale per i suoi poteri distruttivi.Il cristianesimo e l'islamismo si distaccarono in misura notevole dall'antica adorazione del fuoco, pur conservando alcune vecchie tradizioni come quella di bruciare incenso e candele (nelle chiese cattoliche si è conservata l'usanza di rinnovare queste ultime in occasione della Pasqua). Tuttavia il fuoco non ha più alcun ruolo nelle credenze sulle origini della società umana, ed è anzi strettamente associato al male: il supplizio del fuoco eterno è la punizione che viene prospettata dopo la morte ai peccatori e ai miscredenti. Sembra quasi che le devastazioni causate dagli incendi nelle città e descritte da numerosi autori pagani dell'antica Roma abbiano trovato una simbolizzazione religiosa nella concezione dell'inferno.
Le feste del fuoco - ad esempio quelle che si svolgono in tutta l'Europa il giorno di san Giovanni, quando gli oggetti considerati impuri vengono dati alle fiamme - erano occasioni di gioia mista a terrore. Nell'arte e nella letteratura moderne abbondano le descrizioni degli effetti devastanti del fuoco. Gli scrittori che descrivono l'incubo di un incendio attribuiscono realisticamente il disastro non alle forze della natura, come ad esempio i lampi, bensì all'uomo, alla negligenza, alla follia o alla malvagità di un singolo, oppure alle ostilità collettive della guerra.
Furono i filosofi dell'antica Grecia a sviluppare per primi un modo più neutrale di considerare il fuoco non in base ai suoi effetti dannosi o benefici sugli esseri umani, bensì come un fenomeno naturale. Preceduta da varie versioni, la dottrina che finì per prevalere sosteneva che l'universo è formato da quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco. In Cina e in India vennero elaborati sistemi filosofici analoghi e, con poche modifiche, la concezione del mondo in cui il fuoco rappresenta uno degli elementi fondamentali rimase la cosmologia dominante per gli studiosi della natura e i medici sino all'era moderna.
Alchimisti e chimici, i diretti successori dei metallurgisti e dei 'signori del fuoco' di un'era precedente (v. Eliade, 1956), posero lo studio del fuoco al centro dei loro interessi. Così come la moderna industria meccanica nei suoi stadi iniziali doveva molto alla macchina a vapore - o 'macchina del fuoco' come veniva chiamata nel XVIII secolo - la nascita della fisica moderna sarebbe impensabile senza questi precedenti sforzi di studiare e sperimentare le proprietà del fuoco.
L'uso controllato del fuoco è stato sin da tempo immemorabile un monopolio della specie umana, e costituisce parte integrante dell'insieme di strumenti grazie ai quali gli uomini hanno stabilito e conservano il predominio sulle altre specie.Sin dai primissimi stadi della domesticazione del fuoco, uno stesso fenomeno ha costantemente caratterizzato i rapporti dell'uomo con questo elemento: i progressi deliberatamente perseguiti nel controllo del fuoco hanno comportato una crescente e non voluta dipendenza da esso, e quanto più tale dipendenza si radica nell'infrastruttura sociale ed economica, tanto meno diventa percepibile. Al pari dell'agricoltura, l'industrializzazione ha avuto inizio con una serie di applicazioni su vasta scala del fuoco. La progressiva specializzazione e organizzazione della produzione industriale è andata di pari passo con la specializzazione e l'organizzazione nell'uso del fuoco. Nella vita quotidiana delle società contemporanee altamente industrializzate le fiamme sono una presenza visibile solo nelle loro forme più addomesticate: negli accendisigari, nelle candele per usi cerimoniali, nei camini accesi per creare un'atmosfera di intimità e di comfort. D'altro canto, le immagini del fuoco mostrate dai mezzi di informazione sono quasi sempre associate a guerre o a disastri. I processi di combustione regolarmente controllati su cui si basa in larga misura la produzione industriale sono per lo più sottratti alla vista del pubblico.
Conformemente a questa apparente eclissi del fuoco, le scienze naturali e la filosofia hanno cessato di considerarlo uno dei quattro elementi di cui si compone l'universo. Il concetto stesso di fuoco è scomparso dalla letteratura scientifica, per essere sostituito da quello più astratto di 'energia' - qualcosa che sfugge alla nostra percezione sensoriale. Così come viene sottratto agli sguardi nelle città in cui viviamo, allo stesso modo anche nelle scienze sociali il fuoco è praticamente scomparso, e in modo ingiustificato, come si può legittimamente concludere sulla base delle considerazioni svolte sinora. (V. anche Agricoltura; Cosmologia; Neolitica, rivoluzione; Società primitive).
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