D'Annunzio, Gabriele
Il D'A. fu lettore assiduo della Commedia e appassionato chiosatore dell'opera poetica di D., come si può constatare da un esemplare della V edizione Scartazzini-Vandelli che, ricco di postille di mano del D'A., si conserva nella biblioteca del Vittoriale. A testimoniare ancora il particolare interesse per l'Alighieri valgano le numerose citazioni di cui si adornano i tre volumi delle sue Prose di ricerca e quelle meno fitte, ma pur esse simbolicamente impegnative, che si ritrovano nei romanzi e nei Taccuini.
Ne rinfocolavano l'amore non solo il rinnovato impegno critico che nell'Ottocento e nel primo Novecento si ebbe per D., ma anche quel culto medievale che è motivo di fondo nella sua formazione intellettuale, volta al raro, al prezioso, e nella quale D., partecipe della sua età, entrava come summa di tutte le esperienze, segno vitale e fecondo di un tempo singolare e irripetibile. Ma la forza stessa dell'amore, letterariamente goduto, e quasi mai posto criticamente a profitto, fa dubitare che l'accostamento tra i due poeti possa andare oltre certi assorbimenti stilistici o richiami di pensiero e connotarsi come strumento di penetrazione a mezzo di un'esegesi disposta a cogliere, più che la rarefatta bellezza di un verso, il profondo significato dell'opera immortale.
Quanto più alto, in sostanza, è il pensiero di D., più accettabile la tesi di questo o di quel personaggio della Commedia, o, se si vuole, più nobile la sua poesia, tanto più il D'A. vuole misurarsi con essi, stringere un'alleanza per subito dissociarsene, nell'intento di stabilire un contatto che porti al confronto e indulga a un giudizio che temerariamente lo affranchi da ogni presunzione e riscatti figure o immagini, creature e creato da ogni derivazione.
Un esempio, fra molti, si può cogliere nella Francesca da Rimini, tema anche questo tipico dell'Ottocento, che pur nel diverso taglio cede alla lusinga di un paragone tra i due personaggi. Così come l'orgoglio del D'A. e il desiderio d'imparentarsi con D., o per lo meno di accasarsi in quel clima di grandezza, quasi un preludio e un'indicazione per il giudizio dei posteri, Io si ricava dalle sue stesse parole: " Io sono il supremo degli Umanisti "; e più chiaramente ancora: " Io posso consentire di riconoscermi l'eguale di Dante e di Gianni delle Bande Nere; ma dico che dell'Uno o dell'altro mi affranco per andar Oltre " (Comes, Appendice, cit. oltre, pp. 109 ss.): il tutto suggellato da quel prepotente Ego, che è il timbro della sua indomita personalità, quasi il sostegno della sua ricercata grandezza.
La stessa mobilità delle ricerche e delle note, la varietà delle citazioni, la maggior parte delle quali riconducibili all'uomo Dante, sono per lo più il tramite naturale per introdurci nel canale della tradizione romantica ottocentesca, che definisce nell'Alighieri i tormentati segni della povertà, della fierezza, dell'esilio. Qualcosa di assoluto e d'immortale che nella coerenza, nella forza del carattere, nei lineamenti asciutti del volto ci danno un ritratto vivo parlante di D., diritto di occhio, duro di mascella, dalle gote bendate " a quel modo che il sudario le fascia ai sepolti, perché tutta la figura abbia un che del resuscitato Lazzaro, un che dell'uomo sollevato dal miracolo sopra l'ombra della morte " (Dante, gli stampatori e il bestiaio, in Prose di ricerca, II, Milano 19622, 612). Ed è, anzi, questa maschera di uomo a sovrastare persino il poeta, a farne ragione di giudizio o motivo di comparazione, tanto che la presenza di D. è in lui attenzione e stimolo, quasi mai approfondimento esegetico.
La più sicura testimonianza di questi suoi ‛ umori ', della sua maniera, cioè, di avvicinare D., ci viene offerta dalla prefazione dettata per la Commedia commentata da G.L. Passerini, edita da Olschki nel 1911 (cfr. Prose di ricerca, cit., pp. 600 ss.) e soprattutto dalle chiose e sottolineature apposte al testo del " gran libro ". Un materiale prezioso, perché non solo ci svela il rapporto Dante-D'A., ma ci aiuta a capire il mito di D., e ci permette di trovare un D'A. che ricerca sé stesso e si confessa. Notazioni interessanti, che ora esprimono un punto di vista, ora attendono a una ricerca metrica, ma che sempre, e comunque, forniscono descrizioni autobiografiche di rilievo ed evocano il quadro dei suoi sentimenti, delle sue predilezioni, in sostanza dei suoi interessi di uomo e di poeta. Così che non per accorte immagini, e ancor meno per ricchezza di scavo critico, ma per sollecitazioni sentimentali, D'A. chiama nell'Alighieri le virtù della stirpe e tutte le aduna e le custodisce in sé in un'interpretazione avida di servire bisogni e sensazioni personali.
Bibl. - E.G. Parodi, in " Bull. " XIX (1912) 150-153 (in parte già pubblicato in " Marzocco " 10 settembre 1911); L. Bianconi, D'A. critico, Firenze 1940, 181-183; S. Comes, D'A. lettore di D., in Capitoli dannunziani, Milano 1967, 67-133 (ivi Appendice. Note del D'Annunzio alla D.C., 105 ss.); E. di Poppa Vòlture, Il padre e i figli, Napoli 1970, 249-256.