D'ANNUNZIO, Gabriele (XII, p. 322)
Nominato presidente della R. Accademia d'Italia con r. decr. del 12 novembre 1937. Morto improvvisamente al Vittoriale degli Italiani (Gardone) il 10 marzo 1938, e ivi sepolto. Il Duce recò personalmente alla salma del grande poeta il saluto riconoscente dell'Italia fascista.
Quando, nel maggio 1915, il D'A. troncò la sua solitudine, per mescolarsi alla folla, diventare tribuno, volgere le punte del suo stile "inimitabile" contro concreti obiettivi politici, indicare alla patria la via del suo onore e del suo destino, non mancarono i superficiali che se ne stupirono. Egli aveva esaltato, sì, col suo canto, la gesta d'oltremare; ma ciò era stato semplicemente per obbedire a una tradizione che nessun poeta italiano avrebbe osato rinnegare, o per dare espressione poetica a una passione veramente bruciante in lui. In quelle vicende e in quegli eroi egli aveva cercato veramente il volto della patria, o solo l'occasione di nuove raffinate esperienze di vita e di letteratura? Il dubbio poteva affacciarsi solo a chi non riusciva a superare la cronaca più o meno scandalosa; a chi non pensava che, in un uomo come il D'A., la patria, come tutt'intera la vita, pratica e spirituale, era per così dire in funzione di bellezza, e quindi di poesia e quindi, nei momenti meno felici, anche di letteratura in senso deteriore; e che discriminare tra questi termini era arbitrario. In verità, il D'A. era stato sempre un combattente; era tale per natura, per istinto. Energeia era la sua decima Musa; il culto dell'azione è caratteristico di lui.
Ora, questo bisogno d'azione è proprio degli uomini del Rinascimento, ai quali in questi ultimi tempi il D'A. è stato con significativa insistenza avvicinato: da quel Cola di Rienzo (del quale non senza ragione il D'A. parafrasò la biografia trecentesca), il quale diceva di non esser degno di vivere se non a patto di tradurre in azione gl'insegnamenti dei libri: "Si, quae legendo didiceram, non aggrederer exercendo". Uomini creatori di storia ci son sempre stati, da che è storia; ma proprio questo è peculiare del Rinascimento italiano, e segna la sua originalità in confronto ad altre correnti di nazioni e tempi diversi, che allora per la prima volta l'uomo assunse, nella coscienza riflessa dei politici e degli storiografi, la figura dell'artefice di storia, del creatore di eventi (v. rinascimento, XXIX, p. 349). E chi ben guardi, troverà proprio qui, in questo concetto italiano, le radici più profonde del mito dannunziano del "superuomo", anche se, con la stessa parola, l'incentivo prossimo a farsene banditore gli sia venuto da un grande pensatore straniero.
Poteva un uomo siffatto, quando i grandi eventi cominciarono a maturare, rinunziare all'azione. E l'azione era patria. Altri poeti potevano idoleggiarla, la patria, come un sogno tra politico e letterario; per il D'A. era l'unica realtà: tanto più reale, in quanto addirittura da costruire con la propria volontà, concreta suscitatrice di altre volontà. "La patria è una continua creazione", disse una volta; è questa la bussola di tutta la sua vita.
Della vita e della sua poesia: che sono una cosa sola. Di fronte alla realtà politica conquistata egli non sente solo la gioia dell'uomo di azione per l'avverarsi dei suoi disegni, ma anche quella del poeta per il concretarsi dei suoi fantasmi: "Oggi noi sentiamo, dinanzi a questo miracolo patrio, che la poesia è verità, che la poesia è realtà". Come la poesia, l'azione è un mezzo di espressione; tra Alcyone e la marcia di Ronchi non c'è diversità sostanziale.
Tutti gli ultimi scritti del poeta son dominati dal rammarico che la morte lo avesse risparmiato sul campo dell'azione (lo colse, ugualmente "bella", al tavolo della sua poesia), per riserbarlo alla "sconcia" vecchiezza. Ma il ritardo gli consentì di assistere, spettatore solitario ma non isolato, al miracolo che la volontà di un uomo può compiere, così come egli aveva vaticinato. Mussolini impersonò il grande dominatore della storia che il D'A., come i fraterni spiriti del Rinascimento, aveva non sognato, ma designato. A buon dritto poté celebrare l'impresa di Etiopia come la "seconda gesta d'oltremare", e intitolare la raccolta dei suoi scritti su questo argomento con la parola romana che Corrado Brando, "molto vituperato eroe del 1899", voleva rendere italica: Teneo te, Africa.
Delle altre due opere che il D'A. pubblicò negli ultimi anni, oltre a Teneo te Africa (Milano 1936), e cioè Cento cento e cento pagine del libro segreto d. G. d'A. tentato di morire (ivi 1935) e Le dit du sourd et muet qui fut miraculé en l'an de grâce 1266 (Roma 1936), la più importante è di gran lunga la prima. Essa appartiene al novero di quei libri dannunziani che il loro autore definì scritti "non a confessione ma a rivelazione di sé medesimo", in cui a ricordi più o meno miticizzati della sua vita e in ispecie della sua giovinezza, si alternano studî di composizione, appunti di taccuino, notazioni d'arte: importanti queste ultime perché illuminano i rapporti dell'opera dannunziana col decadentismo europeo e la sua posizione rispetto alla letteratura italiana contemporanea. Composto di scritti risalenti a tempi e ispirazioni diversi, ma ripresi e adeguati alla sensibilità dell'ultimo D'A., il Libro segreto racchiude alcune pagine che sono da considerare tra le più cospicue della sua opera.
Ediz.: L'edizione nazionale di tutte le opere di G. d'A., nuovamente rivedute e ordinate dal poeta, fu iniziata nel 1927 e compiuta nel 1936. Essa consta di 48 voll., in veste lussuosa, più uno di Indici, a cura di A. Sodini. Accanto ad essa, ma fuori dell'aggruppamento stabilito dal poeta, si vengono pubblicando dal 1931 due serie di edizioni a cura del sodalizio romano dell'Oleandro, con testi che però presentano, rispetto all'editio maior, alcune varianti. Una esplorazione sistematica e una cernita delle numerosissime carte inedite o poco note del poeta, ora si propone la Fondazione del Vittoriale degli Italiani. Essa curerà anche la raccolta dell'epistolario, la cui pubblicazione promette di riuscire di grande importanza non soltanto storico-documentaria ma artistica.
Bibl.: Della, più che bibliografia, enciclopedia dannunziana di R. Forcella, oltre i voll. indicati a XII, p. 326, cfr. quelli riguardanti gli anni 1886 e 1887, Firenze 1936 e 1937. Cfr. anche: G. de Medici, Bibl. di G. d'A., Roma 1928; M. Parenti, Prime edizioni italiane, Milano 1935; id., Bibl. delle opere di G. d'A., in Leonardo, marzo 1938; e, sulla fortuna del D'A. all'estero, J. G. Fucilla e J. M. Carrière, D'A. abroad, I, New York 1935; II, ivi 1937. - Per la biografia: C. A. Traversi, Vita di G. d'A., voll. 2, Firenze 1933; id., Curiosità dannunziane, Roma 1934; id., G. d'A. Curriculum vitae (fino al 1914), voll. 2, ivi 1932, 1934; id., G. d'A. da documenti inediti o rari, ivi 1934; T. Fracassini, G. d'A. convittore, 3ª ed. rinnovata, ivi 1935; G. Fatini, Il Cigno e la Cicogna. G. d'A. collegiale, Firenze 1935; T. Antongini, Vita segreta di G. d'A., Milano 1938. - Fra gli scritti critici, oltre quelli citati a XII, p. 326, v.: E. Thovez, Il pastore, il gregge e la zampogna, Napoli 1910; 4ª ed., 1926; A. Gargiulo, in La Ronda, novembre-dicembre 1921: e le nuove ed. dei saggi di G. A. Borgese (Milano 1932; con nuova prefaz.) e di F. Flora (Messina 1935). Fra gli studî più recenti, cfr.: T. Rosina, Attraverso le città del silenzio di G. d'A., Messina 1931; id., D'A. e la poesia di Garibaldi, Genova 1934; S. d'Amico, Il teatro italiano, Milano-Roma 1932; A. Bruers, G. d'A. Il pensiero e l'azione, Bologna 1934; B. Croce, L'ultimo D'A., in La Critica, XXXIII (1935), pp. 171-81; A. Galletti, Il Novecento, Milano 1935; A. Gargiulo, in Nuova Antologia, 16 luglio 1935 e 16 marzo 1938; M. Lo Vecchio Musti, L'opera di G. d'A., Torino 1936; A. Bocelli, L'ultimo D'A., in Scuola e cultura, marzo-aprile 1936, pp. 77-91; A. Momigliano, St. della lett. it., Messina-Milano 1936; W. Binni, La poetica del decadentismo italiano, Firenze 1936; G. Contini, Vita macaronica del francese dannunziano, in Letteratura, 1° gennaio 1937, pp. 12-19; P. Pancrazi, Scrittori it. dal Carducci al D'A., Bari 1937; A. Capasso, La lirica di G. d'A., I, Adria 1936 [Roma 1937]; U. Bosco, Da Carducci ai crepuscolari, in Nuova Antologia, 1° marzo 1938; L. Russo, G. d'A., saggi tre, Firenze 1938; L. Federzoni, Canto e azione in G. d'A., in Nuova Antol., 1° maggio 1938. Cfr. inoltre le introduzioni e le note di F. Flora a Il fiore delle Laudi, Milano 1934, e di E. Palmieri alla Crestomazia della lirica di G. d'A., Bologna 1935; e i fascicoli dedicati al D'A. di: Nuova Antologia, 16 marzo 1938 segg.; Il libro italiano, marzo 1938; Leonardo, marzo 1938; Scenario, aprile 1938.