ZUMBO, Gaetano Giulio
ZUMBO (Zummo), Gaetano Giulio. – Nacque a Siracusa nel 1656 da una nobile famiglia siciliana. Non si conoscono i nomi dei suoi genitori, anche se è probabile che fossero consanguinei di un certo don Giaimo Zumbo, con la cui morte a metà Seicento s’interruppe il ramo principale della casata (Réponse à une lettre, ottobre 1707; Gargallo, 1977). Gaetano Giulio frequentò il collegio gesuitico della sua città senza però completare gli studi a causa di un non meglio specificato «fastidioso accidente». Ottenne poi il titolo di abate, che gli assicurò una piccola rendita (Cagnetta, 1976, p. 213; Azzaroli Puccetti, 1988, p. 18).
Nulla è noto circa la sua formazione artistica, ma certamente fin da giovane subì il fascino di alcune opere presenti nella terra natale, dalla pittura caravaggesca alla tradizione ceroplastica meridionale (Praz, 1960; Giansiracusa, 1991, pp. 15 s.).
Secondo la testimonianza settecentesca di Antonino Mongitore, soggiornò a Palermo, dove poté trasmettere la sua arte ad Anna Fortino (Mongitore, 1977, p. 43). In ogni caso dal 1687 è documentato a Napoli: in quell’anno vendette cinque suoi «quadretti [...] di cera con loro cornici e cristalli» (Ruotolo, 1984, p. 214). Nonostante che queste opere non siano state rintracciate, è facile intuire che si trattasse di piccoli diorami protetti da un vetro, una tipologia nella quale l’artista si specializzò nel corso di tutta la sua carriera.
È stato ipotizzato che una delle sue opere più celebri, il Trionfo del Tempo (oggi conservata al Museo della Specola a Firenze), incentrata sul tema della caducità, sia stata realizzata proprio nella città partenopea, che alla metà del XVII secolo era stata violentemente colpita da una pestilenza (Giansiracusa, 1991, pp. 24-26). L’origine campana della cera sembra confermata dal fatto che la composizione fu presa a modello dall’artista partenopea Caterina de Julianis per la realizzazione del ‘teatrino’ Il Tempo e la Morte un tempo a Napoli nella chiesa di S. Severo al Pendino e ora al Victoria and Albert Museum di Londra (Cagnetta, 1976, p. 219). Fin dalle prime opere Zumbo diede prova del suo profondo interesse per l’anatomia e per i diversi gradi di decomposizione del corpo umano. Per giustificare questa particolare attenzione sono stati ipotizzati un soggiorno romano e un contatto con il chirurgo Ber-nardino Genga (Lami, 1732; Lightbown, 1964a, p. 489).
A partire dal novembre del 1688 risulta attivo a Firenze, dove fu invitato dalla corte medicea, probabilmente grazie all’interessamento dell’agente e parrucchiere francese Lorenzo Borucher. Zumbo donò alcune sue cere a Cosimo III e a suo figlio Ferdinando, i quali, evidentemente entusiasti dei suoi lavori, decisero di destinargli uno stipendio mensile di 25 fiorini e diverse regalie (Cagnetta, 1976, p. 213; Spinelli, 2007, p. 188 nota 73). Come confermato da una missiva di Giuseppe de’ Medici di Ottaviano, tra la fine del 1690 e l’inizio dell’anno successivo Gaetano Giulio tornò a Napoli. In quell’occasione ebbe l’opportunità di plasmare un nuovo teatrino sul tema della peste (oggi anch’esso al Museo della Specola), che proprio in quei mesi stava duramente colpendo Conversano. La cera, ricca di citazioni di opere partenopee, fu portata dall’autore a Firenze, dove fu inclusa nelle collezioni medicee (Cagnetta, 1976, p. 213; Conticelli, 2014, p. 57).
Per Ferdinando de’ Medici, inoltre, Zumbo plasmò La vanità della gloria umana (conservata al Museo della Specola), un ‘teatrino’ particolarmente ricco di riferimenti a opere antiche e moderne: ad esempio la dolente seduta sul sepolcro è tratta dall’allegoria della scultura di Valerio Cioli sulla tomba di Michelangelo. Gaetano Giulio, d’altronde, era un grande appassionato d’arte e collezionista di disegni (Lightbown, 1964b, p. 563). Anche lo zio di Ferdinando, Francesco Maria, possedette un’opera del ceroplasta: negli inventari del suo appartamento cardinalizio è menzionato un «cassettone di pero con cristallo davanti, entrovi Santa Maria Maddalena penitente che osserva i cadaveri, fatta in cera, dell’abate Gaetani» (Spinelli, 2013, p. 93).
Fu invece probabilmente Cosimo III a commissionare al maestro siciliano Il morbo gallico per donarlo a Filippo Corsini: una cera in scala lievemente maggiore rispetto alle altre, che purtroppo è stata fortemente danneggiata dall’alluvione del 1966 (Cagnetta, 1976, p. 214). Alcuni pezzi sono stati recuperati nel giardino di palazzo Corsini e restaurati, altri ;– forse appartenenti alla stessa composizione – sono stati ritrovati nei depositi Bardini a palazzo Mozzi e riallestiti in un nuovo ‘teatrino’, altri ancora sono circolati sul mercato antiquario fiorentino (Cordua et al., 2009).
Per queste composizioni macabre Zumbo riscosse immediato successo, tanto che, soprattutto in Toscana, alcuni seguaci realizzarono ‘teatrini’ traendo ispirazione da esse, come nei casi della cera macabra del gabinetto scientifico del Seminario vescovile di Mantova, proveniente dalla raccolta di Giovan Girolamo Carli (Scansani, 2015; Bruttini, 2017, p. 138), di una passata in asta nel 2005 (Finarte Semenzato, 2005), e di un’altra della collezione di Franco Maria Ricci (Daninos, 2004). Nell’aprile del 1695 Zumbo lasciò definitivamente Firenze per trasferirsi a Genova restando comunque in buoni rapporti con la famiglia medicea, tanto che il 13 maggio il granduca concesse alla madre dell’artista – che evidentemente aveva accompagnato il figlio fin dalla Sicilia – 50 talleri per raggiungere il capoluogo ligure (Gargallo, 1977, pp. 521 s.).
Forse nello stesso anno Gaetano Giulio soggiornò qualche tempo a Bologna, come testimoniato da Pellegrino Orlandi. La breve sosta sembra confermata dall’elogio in latino riservatogli dall’artista felsineo Giacomo Giovannini in un’incisione della Circoncisione di Guido Reni. Forse Zumbo poté assistere ad alcune dissezioni di cadaveri proposte dall’Ateneo emiliano corroborando il suo acuto interesse per l’anatomia. Nonostante che Renzo Grandi abbia tentato di riferire all’abate alcune opere nel Museo Davia Bargellini, in realtà plasmate da Caspar Bernhard Hardy, purtroppo non è identificabile nessuna delle cere con cui Zumbo «fece stupire i più virtuosi dilettanti» bolognesi (Orlandi, 1704, p. 61; Grandi, 1987; Scarani - Colosimo, 1988).
Dalla seconda metà del 1695 Zumbo è documentato a Genova, dove lavorò soprattutto per la nobiltà locale: ad esempio nell’inventario del 1717 della collezione dei fratelli Giovanni Francesco e Gian Giacomo Brignole-Sale figurava una «custodia di figure di cera dell’abbate Gaetani» (Sanguineti, 2012, p. 15), e fino a metà Ottocento nel palazzo del marchese Francesco Serra era conservato un «Presepio con molte figure modellate in cera dall’abate Gaetani» (Alizeri, 1846, p. 1341). Le opere di questo periodo che gli assicurarono più notorietà furono però un’Adorazione dei pastori e una Deposizione delle quali, secondo alcuni studiosi, si possono individuare elementi superstiti nei teatrini zumbiani del Victoria and Albert Museum e del Museo del Bargello a Firenze (Cagnetta, 1976, pp. 216 s.).
Nel capoluogo ligure l’abate siracusano incontrò il chirurgo Guillaume Desnoues poco dopo che quest’ultimo aveva tenuto una lezione sul cadavere di una donna incinta (conservato grazie alla tecnica dell’iniezione di cera nei vasi sanguigni). Fu forse proprio a partire dallo studio di quel corpo che il professore e l’artista fecero convergere le loro competenze per la realizzazione del primo modello anatomico totalmente in cera colorata, per sostituire gli altamente deperibili e repellenti organi disseccati. Gaetano Giulio modellò la figuretta di una donna morta di parto e anche una versione della gravida a grandezza naturale; entrambe le opere risultano irrintracciabili, anche se la seconda versione potrebbe essere quella che Desnoues portò con sé a Londra e che rimase esposta almeno fino al 1790 nel Rackstrow’s Museum (Taddia, 2009, p. 186).
Tra i primi modelli anatomici zumbiani c’è anche la Testa del Museo della Specola, in cui l’artista seppe coniugare l’indagine scientifica con la sua personale ricerca artistica sul tema della caducità. Quest’opera rappresentò uno dei principali motivi di discordia tra il ceroplasta e il chirurgo, i quali si contendevano il primato dell’invenzione dei modelli anatomici in cera colorata. Desnoues accusò Zumbo di aver plasmato la testa imitando di nascosto il capo della partoriente (Lettres de G. Desnoues, 1706). In verità l’abate modellò la cera direttamente su un cranio maschile e, secondo una testimonianza di Giuseppe Bianchi nel 1756, l’opera fu ispirata da un cadavere dell’Ospedale di S. Maria Nuova di Firenze (Conticelli, 2014, p. 60). In ogni caso nel 1700 gli aspri dissapori fecero divergere le strade del chirurgo e dell’artista: entrambi continuarono a realizzare modelli anatomici in cera, ma mentre il primo proseguì l’attività a Genova con l’aiuto dello scultore François de la Croix, il secondo si trasferì a Marsiglia, dove, grazie all’interessamento del cavalier Jean-Louis François du Rieu du Fargis, trovò il supporto di un chirurgo di nome Pélizier per effettuare nuove dissezioni.
Nel corso del soggiorno in Provenza Zumbo plasmò una seconda Testa anatomica riscuotendo il plauso dell’ingegnere militare di Luigi XIV Sébastien Le Prestre de Vauban e del cancelliere di Francia Louis Phélypeaux conte di Pontchartrain. Tali apprezzamenti spinsero l’artista, dopo una breve sosta a Montpellier, a spostarsi a Parigi, dove conobbe il medico del Re Sole Gui-Crescent Fagon (Taddia, 2016, pp. 15-17).
Il 25 maggio 1701 la testa modellata a Marsiglia – purtroppo oggi irrintracciabile – fu esposta all’Académie royale des Sciences, venendo poi inclusa nelle collezioni reali, dove fu vista e descritta dal naturalista Georges-Louis Leclerc de Buffon (1749).
Il 4 agosto 1701 Luigi XIV concesse all’artista siciliano il monopolio delle preparazioni anatomiche in cera colorata e poche settimane più tardi lo autorizzò a tenere lezioni pubbliche di anatomia.
Il successo conseguito da Zumbo fu però brevissimo: il 22 dicembre 1701 fu stroncato da un’emorragia cerebrale. Otto giorni dopo la morte fu stilato un inventario dei suoi beni conservati nell’abitazione di rue des Cordeliers che sarebbero stati incamerati dalla Corona francese per il diritto d’albinaggio. Tra quei materiali figuravano anche un teatrino a tema erotico con Venere e Adone e una Testa anatomica – forse quella individuata da François Cagnetta nel Muséum national d’Histoire naturelle di Parigi – che fu acquistata dal pittore e ceroplasta Antoine Benoist. L’abate siciliano fino ai suoi ultimi mesi continuò dunque a occuparsi parallelamente di arte e di scienza. Il suo corpo fu sepolto nella chiesa di Saint-Sulpice grazie all’interessamento della pittrice Elisabeth Sophie Chéron, che nei mesi parigini fu sua protettrice. La tomba fu distrutta durante la Rivoluzione francese (Cagnetta, 1976, pp. 217 s.; Taddia, 2016, pp. 23-28).
Fonti e Bibl.: P. Orlandi, Abcedario pittorico..., Bologna 1704, p. 61; Lettres de G. Desnoues, professeur d’anatomie et de chirurgie, de l’Académie de Bologne, et de mr. Guglielmini, professeur de medecine et de mathématiques à Padoüe, de l’Académie Royale des Sciences, et d’autres savans, sur differentes nouvelles découvertes, Roma 1706, pp. 12-24, 83-96; Nouvelles literaires de Naples, in Memoires pour l’histoire des sciences et des beaux arts (Journal de Trévoux), luglio 1707, pp. 1297-1300; Réponse à une lettre datée de Rome, insérée dans les Memoire de Trevoux. Juillet 1707, ivi, ottobre 1707, pp. 1830-1837; G. Lami, Memorabilia Italorum eruditione praestantium, I, Firenze 1732, p. 176; G.L. Leclerc de Buffon, Histoire naturelle, générale et particulière, avec la description du Cabinet du Roi, III, Paris 1749, pp. 212-228; F. Alizeri, Guida artistica per la città di Genova, II, Genova 1846, pp. 1340 s.; M. Praz, Bellezza e bizzarria, Milano 1960, pp. 254-260; R.W. Lightbown, G.G. Z. – 1: the Florentine period, in The Burlington magazine, CVI (1964a), pp. 486-496; Id., G.G. Z. – 2: Genoa and France, ivi, CVI, 741 (1964b), pp. 563-569; F. Cagnetta, G.G. Zummo (Siracusa 1656-Parigi 1701), in Kunst des Barock in der Toskana, München 1976, pp. 213-224; G. Gargallo, Tracce della famiglia Zumbo a Siracusa, in La ceroplastica nella scienza e nell’arte. Atti del Convegno... 1975, II, Firenze 1977, pp. 517-524; A. Mongitore, Memorie dei pittori, scultori, architetti, artefici in cera siciliani, a cura di E. Natoli, Palermo 1977, pp. 43, 66-73; R. Ruotolo, Documenti sulle arti applicate napoletane del Seicento, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi vari in memoria di Raffaello Causa, Milano 1984, p. 214; R. Grandi, in Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, a cura di R. Grandi, Bologna 1987, scheda n. 83, pp. 152 s.; M.L. Azzaroli Puccetti, G.G. Z., la vita e le opere, in G.G. Z., a cura di P. Giansiracusa, Milano 1988, pp. 17-46; P. Scarani - E. Colosimo, Influenza dello Zumbo sulla ceroplastica anatomica bolognese, in G.G. Z., a cura di P. Giansiracusa, Milano 1988, pp. 47-49; M. Lemire, Artistes et mortels, Paris 1990, pp. 28-41; P. Giansiracusa, Lettura critica dei “teatri della morte” di G.G. Zumbo, con una nota biografica essenziale e l’inventario del notaio F. Lange, in Vanitas vanitatum. Studi sulla ceroplastica di G.G. Z., a cura di P. Giansiracusa, Siracusa 1991, pp. 11-39; A. Daninos, in La collezione d’arte di Franco Maria Ricci editore e bibliofilo (catal., Colorno), a cura di L. Casalis - G. Godi, Parma 2004, scheda n. 119, p. 133; Finarte Semenzato Casa d’Aste, Una importante raccolta di cere europee (Milano, 2005), Venezia 2005, pp. 100 s.; R. Spinelli, Profilo di un principe-mecenate: Ferdinando di Cosimo III de’ Medici, in Fasto di corte, la decorazione murale nelle residenze dei Medici e dei Lorena, III, L’età di Cosimo III de’ Medici e la fine della dinastia (1670-1743), a cura di M. Gregori, Firenze 2007, pp. 179-193; M.G. Cordua et al., Mirabili orrori. Cere inedite di G. Z. dopo il restauro, in OPD Restauro, XXI (2009), pp. 71-87; E. Taddia, Corpi, cadaveri, chirurghi stranieri e ceroplastiche: l’Ospedale di Pammatone a Genova tra Sei e Settecento, in Mediterranea: ricerche storiche, VI (2009), pp. 157-194; D. Sanguineti, La ceroplastica a Genova in età barocca: fortuna e funzioni, in Sortilegi di cera. La ceroplastica tra arte e scienza, a cura di F. Simonetti, Genova 2012, pp. 8-19; R. Spinelli, Note sul collezionismo del principe-cardinale Francesco Maria de’ Medici: nuovi documenti su Andrea Scacciati, Pietro Dandini, Francesco Corallo, Antonio Ugolini, Livio Mehus, Niccolò Cassana, Balthasar Permoser, G.G. Z. e altri, in Predella, VIII (2013), pp. 85-105; V. Conticelli, La peste di Conversano e la corruzione dei corpi: note sulle cere di Z. agli Uffizi nel Settecento, in Valori tattili, III/IV (2014), pp. 52-63; M. Scansani, Il teatrino della morte dimenticato: un’opera del più celebre ceroplasta del Seicento nel Gabinetto Scientifico del Seminario Vescovile di Mantova, in Civiltà mantovana, L (2015), pp. 28-39; E. Taddia, “Une teste de cire anatomique”: un sculpteur à la cour. G.G. Z., céroplaste, de la Sicile à Paris (1701), in Bulletin du Centre de recherche du Château de Versailles, 2016, pp. 1-39; E. Bruttini, “Antichità, e altre galanterie diverse”: Giovan Girolamo Carli collezionista erudito, in Prospettiva, 2017, nn. 165-166, pp. 134-141 (in partic. p. 138).