Letterari, generi
La progressiva corrosione subita dal sistema classicistico dei g. l. in seguito al successo dell'estetica romantica, sino alla negazione della loro stessa esistenza sostenuta da B. Croce all'aprirsi del 20° sec., è andata incontro a una sensibile inversione di rotta nella teoria letteraria novecentesca. Nessuna traccia, naturalmente, è rimasta del carattere normativo di quel sistema; ma la tesi crociana (Estetica, 1902) secondo cui il concetto di genere non può aspirare che a un'utilità di tipo empirico nel campo della storiografia letteraria, del tutto arbitrario esso risultando nel razionale regno dell'estetica (nel quale le opere vivono come realtà uniche e indipendenti), dopo aver riscosso un significativo consenso internazionale non trova più credito: l'accordo sulla pertinenza del genere all'opera, e sull'impossibilità di concepire questa come sola responsabile delle proprie leggi, è infatti pressoché generale, anche se la piena legittimazione della nozione di genere rappresenta un problema ancora aperto.
Difficoltà, in tal senso, giungono innanzi tutto dall'assenza di una base terminologica univoca. È quanto ha rilevato K.W. Hempfer,il quale nella sua Gattungstheorie (1973) ha distinto quattro concetti fondamentali erroneamente accomunati, di solito, sotto la polivalente etichetta di 'genere':
a) il 'modo di scrivere', come il narrativo oppure il drammatico, da riferirsi dunque a costanti a-storiche;
b) il 'genere' vero e proprio, ossia la realizzazione storica di ciascuno di questi modi, come il romanzo oppure l'epopea;
c) il 'sottogenere', come il romanzo di fantascienza;
d) il 'tipo', vale a dire le varie applicazioni dei 'modi di scrivere' non riconducibili a contesti storici (come la voce di un io narrante all'interno del modo di scrivere narrativo).
Tuttavia a tutt'oggi tale nomenclatura è rimasta una tra le tante in uso, mentre il problema ha trovato un approccio opposto in J.-M. Schaeffer, che in Qu'est-ce qu'un genre littéraire? (1989; trad. it. 1992) afferma che lo statuto ibrido dei nomi di genere, i quali non riferendosi tutti al medesimo ordine di fenomeni non permettono di suddividere la letteratura in rigide classi di testi, è un fenomeno da rapportare alla realtà semiotica pluridimensionale di quell''atto discorsivo' che è l'opera letteraria.
Un secondo ostacolo alla formulazione di una compiuta teoria dei g. l. giunge dalla tendenza della letteratura moderna a negarli, a in-frangerne i limiti. In particolare, come ha mostrato M. Bachtin (Voprosy literatury i estetiki, 1975; trad. it. Estetica e romanzo, 1979), incompatibile con il loro sistema appare il più caratteristico strumento espressivo della modernità, il romanzo: un genere costitutivamente incapace di stabilizzarsi in un canone. Anche per questo a risultati insoddisfacenti è approdata la ricerca di un sistema fondato su generi-guida, rispetto ai quali gli altri potessero essere intesi in rapporti di filiazione o di relazione gerarchica.
Tra gli schemi così concepiti, il più fortunato è stato a lungo quello romantico fondato sulla triade di epos, dramma e lirica. Riproposto in pieno Novecento da E. Staiger, esso risulta oggi definitivamente inadeguato, da un lato per l'impraticabilità di una derivazione degli altri generi (soprattutto la narrativa in prosa) da quelle tre categorie universali, dall'altro per la stessa disomogenea natura di queste ultime.
Mentre infatti epica e tragedia, ha sottolineato in particolare G. Genette (Introduction à l'architexte, 1979; trad. it. 1981), già nel sistema ari-stotelico si individuano in relazione ai 'modi' d'espressione (l'una narrando, l'altra impersonando), tale categoria modale non è riferibile al concetto di lirica, evolutosi piuttosto a indicare una 'qualità' poetica, trasversale a generi diversi.
Ben coerentemente allora Croce, ponendo appunto l'intuizione lirica alla base di ogni espressione poetica, doveva approdare al rifiuto del genere in quanto istituto partecipe del processo creativo. Un rifiuto da cui ancora a distanza di mezzo secolo M. Fubini, in Critica e poesia (1956), non si discostava, se non sottolineando il valore strumentale dei generi: utili a rilevare tradizioni stilistiche, originate dalle scelte cui ogni autore è chiamato di fronte ai modelli che lo precedono.
Per quanto tale limitazione entro confini empirici sia stata oggi abbandonata, la difficoltà di comprendere in un sistema unitario elementi non omogenei ha contribuito non poco al modesto successo incontrato anche dalle successive sintesi teoriche. Molte critiche ha ricevuto, per es., quella di N. Frye (Anatomy of criticism, 1957; trad. it. 1969), fondata su categorie diverse, talvolta tra loro inconciliabili, come le differenze di levatura tra l'eroe e il lettore, il grado di vero-simiglianza, l'opposizione tra comico e tragico, e così via. Più rigorosa, ma sempre impressionistica, si era in precedenza rivelata la soluzione di A. Stender-Petersen (Esquisse d'une théorie structurale de la littérature, in Travaux du Cercle linguistique de Copenhague, 1949, pp. 277-87) basata su quattro generi fondamentali, ossia la triade romantica più la narrativa, definiti sulla base del tipo di riproduzione della realtà (diretta/indiretta) e della misura di 'strumentazione' e di 'emozio-nalizzazione' (massima/minima), quindi combinati fra loro in modo da ricavarne dodici generi misti. Una maggiore versatilità viene semmai riconosciuta da alcuni (Segre 1985) allo schema proposto da P. Hernadi (Beyond genre, 1972), nel quale ciascuno degli stessi quattro generi risulta a sua volta quadripartito in varietà e modi a esso interni, orientati secondo le polarità autoriale/interpersonale, privato/duale.
Al di là di teorie totalizzanti mai del tutto convincenti, oggi si riconosce comunque al genere, sulla scia di formalisti e semiologi, un ruolo importante nella creatività letteraria. Esso è infatti considerato "un programma costruito su leggi molto generali che riguardano il rapporto dinamico fra certi piani tematico-simbolici e certi piani formali, il tutto in relazione distintiva o oppositiva rispetto al programma di un altro genere" (Corti 1976, p. 158): con effetti rilevanti, in quanto la scelta di un genere comporta in qualche modo l'adesione a un modello interpretativo della realtà. Parallelamente, sulla scorta dei "teorici della ricezione", si concorda nel riconoscere ogni singolo testo portatore di un'implicita struttura di genere, dal momento che esso presuppone "informazioni preliminari e una linea d'aspettativa, su cui si misurano l'originalità e la novità; quell'orizzonte di ciò che ci si può aspettare, che si costituisce per il lettore a partire da una tradizione oppura da una serie di opere a lui note" (H.R. Jauss, Alterität und Modernität der mittelalterlichen Literatur, 1977; trad. it. 1989, p. 222). In tal senso, si devono intendere i generi "non come genera (classi) in senso logico, ma come gruppi o famiglie storiche" (p. 223).
Fin quando il sistema dei generi ha retto, la specificità artistica del singolo testo emergeva anche dai suoi modi di approccio al 'programma' di riferimento. La tendenza della modernità a negare i generi ha privato gli scrittori di quel supporto, costringendoli alla continua ricerca di codificazioni in grado di creare dal nulla un orizzonte d'attesa. Il 'programma' ha invece continuato ad agire a livello di letteratura di consumo, il che ha favorito il successo novecentesco di generi come il romanzo rosa, poliziesco, fantastico: articolazioni cioè del genere narrativo, o più raramente di altri (e che quindi si dovrebbero meglio definire sottogeneri, secondo le indicazioni di Hempfer) in cui quasi non si registra scarto fra codice e messaggio, e verso cui si è riversato l'interesse di lettori non disponibili all'arduo sperimentalismo della letteratura colta. Un accenno ad alcuni dei generi più fortunati appare dunque qui imprescindibile.
Letteratura erotica
Al genere erotico appartengono le opere aventi come scopo primario la rappresentazione della sessualità e l'eccitamento del lettore. Tale rappresentazione deve inoltre intervenire in funzione di un'idea dell'amore o della società (se invece rimane fine a sé stessa sarà meglio definita come pornografica), e mirare a rendere desiderabile la carne, presentandola nel suo splendore (laddove se tendesse a svilirla, mettendola a contatto con infermità o sconcezze, rientrerebbe piuttosto nella categoria dell'osceno).
Opere a carattere erotico s'incontrano lungo l'intera tradizione letteraria occidentale, dall'antica Grecia in poi; il genere, tuttavia, deve quasi tutti i suoi momenti di maggiore originalità a due nazioni, Italia e Francia: la prima, patria di autorità come G. Boccaccio, P. Aretino, F. Pallavicino, G. Baffo; la seconda di una serie sterminata di cultori, da F. Rabelais a P. de Ronsard, da D.A.F. de Sade a H.G. de Mirabeau, fino alla straordinaria fioritura novecentesca, peraltro condivisa con l'intero Occidente.
Invero, se in precedenza la letteratura erotica poteva solo legittimarsi con intenti satirici, oppure con il pretesto di evocare costumi amorosi più conformi alla natura, nel Novecento essa trova nella psicanalisi una disciplina cui rapportarsi nel rivelare i desideri intimi e repressi nell'inconscio; in molte opere (tra cui spicca, di D.H. Lawrence, Lady Chatterley's lover, 1928, trad. it. 1945) la materia predominante è per questo costituita da ciò che il protagonista fa o sogna, senza il coraggio di confessarlo.
Altro forte impulso al genere è giunto dal Surrealismo, che ha qualificato l'erotismo come valore rivoluzionario, a condizione che parole e pensieri volgari non impedissero lo slancio verso il meraviglioso. Perciò tra gli scrittori surrealisti è prevalso un erotismo velato, anche se coltivato parallelamente a quello palese: è il caso di L. Aragon (Le con d'Irène, 1928; trad. it. 1963) e, soprattutto, di G. Bataille (Histoire de l'oeil, 1928; trad. it. Critica dell'occhio, 1972), il quale intendeva "l'amore immondo come ribellione metafisica, modo di opporre l'animalità del corpo umano all'indifferenza del cielo stellato" (Alexandrian 1989; trad. it. 1990, p. 409).
Il Novecento ha visto anche svilupparsi la scrittura erotica femminile, con protagoniste quali Colette (Claudine en ménage, 1904; trad. it. 1957), A. Nin, celebratrice di un piacere sessuale percepito come immenso, infinito (Delta of Venus, 1977; trad. it. 1978) ed E. Arsan, creatrice del personaggio di Emmanuelle (Emmanuelle, 1967; trad. it. 1968). Da collaborazione autoriale è nato, invece, in Italia il romanzo Porci con le ali (1976) di M. Lombardo Radice e L. Ravera, sorta di testimonianza sulla diversità del rapporto fra sensi e sentimenti nel maschio e nella femmina. Infine, l'erotismo omosessuale è stato rappresentato nelle sue forme più parossistiche da W. Borroughs (Junkie, 1953; The naked lunch, 1959, trad. it. 2001).
Per ulteriori approfondimenti v. letteratura erotica e anche letteratura omosessuale.
Letteratura fantastica
Se antecedenti del fantastico si possono riconoscere in capolavori di poeti come Rabelais, L. Ariosto e W. Shakespeare, gli inizi del genere in senso stretto si riconoscono nella comparsa, tra il 18° e il 19° sec., del cosiddetto romanzo gotico inglese (basti pensare a Frankenstein, or the modern Prometheus di M. Shelley, 1818; trad. it. 1952): esperienza di rottura, perché in essa il meraviglioso e il mistero irrompevano contro il razionalismo imperante, ma al di fuori dei sistemi interpretativi offerti dalla religione; mentre, al con-tempo, lo scatenarsi di passioni morbose e violente reagiva ai sempre più rigidi meccanismi della società industrializzata.
Successivamente il fantastico si è sviluppato lungo infinite direzioni, che T. Todorov, con una formula che è rimasta termine di riferimento in materia, ha inteso ricondurre all'"esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale" (1970; trad. it. 1977, p. 28). Per quanto a sua volta parzialmente soddisfacente (il fantastico novecentesco può produrre sconcerto nel lettore anche mediante un tranquillo adattamento dei personaggi al meraviglioso), tale definizione ben sintetizza la linea di confine che distingue questo genere da altri non mimetici.
Esso, infatti, si muove sempre all'interno del vissuto quotidiano, in cui la comparsa di un elemento anomalo genera inquietudine; il che è ben diverso dalla piana accettazione del prodigio che è propria della fiaba, o dagli scenari futuribili che caratterizzano la fantascienza, o dalla natura assolutamente irreale dei mondi in cui si ambienta il genere fantasy, dove infatti il soprannaturale non provoca mai sconcerto (basti pensare a notissimi esempi, come la trilogia di J.R.R. Tolkien, The lord of the rings, 1954-55, trad. it. 1967, il primo volume, e 1970 l'intera trilogia; o la saga di Harry Potter di J.K. Rowling, sei romanzi pubblicati tra il 1997 e il 2005 e tradotti in italiano dal 1998 al 2006, e un settimo in uscita). Anche se, ovviamente, non sempre i confini sono così net-tamente distinguibili, come può ben dimostrare il continuo trascorrere tra realtà e finzione raggiunto da M. Ende in Die unendliche geschichte (1979; trad. it. 1981).
I protagonisti dei racconti fantastici, nella forma che si è precisata, sono spesso individui alienati, protesi invano a recuperare l'armonia perduta con sé stessi e il mondo. Tale condizione schizofrenica può approdare a esiti tragici, come la follia o la morte (celebri i casi di The strange case of dr Jekyll and mr Hyde di R.L. Stevenson, 1886, trad. it. 1923; o di The picture of Dorian Gray di O. Wilde, 1890, trad. it. 1911; o dell'intera narrativa di F. Kafka), o magari alla dimensione dell'orrore (di cui è maestro S. King), ma anche essere paradossalmente accettata come condizione insuperabile dell'umano (si pensi a Il visconte dimezzato, 1951, di I. Calvino). Sul piano narrativo, l'effetto di di-sorientamento può derivare da situazioni ricorrenti, come il sov-vertimento delle leggi del tempo (è il caso della fanciullezza bloccata del Peter Pan di J.M. Barrie, 1906, trad. it. 1920), o un'arcana intera-zione tra vivi e defunti (Cien años de soledad di G. García Márquez, 1967, trad. it. 1968) o il caratteristico alone d'irrealtà che avvolge spazi cittadini comuni (per cui luoghi fantastici appaiono la Londra di H.G. Wells, la Buenos Aires di J.L. Borges, la Milano di D. Buzzati): alone che spesso assume i contorni del labirinto, in cui il protagonista si perde e a cui è costretto a rassegnarsi.
Letteratura di fantascienza. - Nella seconda metà degli anni Sessanta del 20° sec. la fantascienza ha guardato con pessimismo alla tecnologia, rappresentata come responsabile di condizioni sempre più alienanti. Interesse primo di tale tendenza, la cosiddetta New wave, è stata l'esplorazione delle profondità psichiche di individui calati in quei difficili contesti, il che ha portato il genere all'adozione di tecniche raffinate, come il monologo interiore e il flusso di coscienza. I massimi interpreti della New wave sono stati J.G. Ballard, specialista di storie imperniate su catastrofi e città degradate (The crystal world, 1966; trad. it. Foreste di cristallo, 1975), e Ph.K. Dick, indagatore del rapporto tra realtà e apparenza (Ubik, 1969; trad. it. Ubik, mio signore, 1972) e creatore di androidi operanti in situazioni dai connotati metafisici (Do androids dream of electric sheep?, 1968, trad. it. Cacciatore di androidi, 1986, da cui è stato tratto, nel 1982, il film Blade runner di R. Scott).
La successiva evoluzione del genere è consistita nel Cyberpunk: una tendenza alimentata dalla rivoluzione informatica degli anni Ottanta del 20° sec., che guarda alla tecnologia non più con l'ostilità della New wave, ma (su basi anarchiche e nichiliste) come a una risorsa con cui contrastare il potere. Tra i suoi temi fondamentali c'è l'ibridazione uomo-macchina, approdata da un lato alla creazione del cyborg, incrocio vivente di organico e inorganico, dall'altro a infinite variazioni sul motivo dell'intelligenza artificiale. Se ideologo del Cyberpunk viene riconosciuto B. Sterling, suo maggior rappresentante è stato W. Gibson, primo ideatore del cyberspazio, o matrix: un non-luogo generato dal computer, in cui coscienze digitali vengono proiettate e si muovono liberamente (Neuromancer, 1984, trad. it. 1986; Burning Chrome, 1986, trad. it. La notte che bruciammo Chrome, 1989).
Si è trattato, tuttavia, dell'ultima esperienza davvero innovativa nella storia della letteratura di fantascienza, attualmente investita da una crisi non priva di ragioni antropologiche (sfiducia nel futuro, difficoltà della fantasia a precedere l'eccezionale sviluppo tecnologico), ma più direttamente dovuta alla dilagante contaminazione dei linguaggi e dei generi. Proprio quest'ultimo aspetto, non a caso, rappresenta un programmatico obiettivo per il movimento, sviluppatosi a cavallo del terzo millennio, che in Gran Bretagna prende il nome di New weird, e negli Stati Uniti di Avantpop: nel perseguire la demolizione dei confini tra i generi, i suoi rappresentanti, pur ricorrendo ampiamente alla fantascienza, la contaminano infatti con elementi di provenienza eterogenea (fantasy, horror, western, giallo ecc.).
Tra i numerosi esponenti di questa corrente, di cui un popolare esempio è la serie televisiva X-Files, si possono ricordare lo statunitense J. Lethem (Girl in Landscape, 1998; trad. it. 2006), l'inglese Ch. Miéville (Perdido Street Station, 2000, trad. it. 2003; Iron council, 2004, trad. it. Il treno degli dei, 2005) e, in Italia, V. Evangelisti, soprattutto di-stintosi grazie al ciclo di Eymerich (da Nicholas Eymerich, inquisitore, 1993, a Mater terribilis, 2002).
Letteratura poliziesca
Il genere poliziesco nacque ufficialmente nel 1841, quando E.A. Poe pubblicò il romanzo The murders in the rue Morgue (trad. it. 1949). Benché infatti molti suoi ingredienti fossero da sempre presenti in letteratura, Poe fu il primo ad assemblare le più caratteristiche componenti del nuovo genere: un crimine commesso in un ambiente chiuso, il 'brancolare nel buio' della polizia, il pro-cedimento razionale seguito da un investigatore dilettante (Auguste Dupin) per risolvere l'enigma, e così via. Da tale archetipo è derivata una tradizione sterminata, suddivisibile da un lato secondo 'scuole' nazionali, dall'altro per filoni tematici: in Italia accomunati sotto le etichette sommarie di 'romanzo poliziesco' (corrispondente all'inglese crime story) o di 'giallo' (dal colore scelto nel 1929 dall'editore Mondadori per le copertine della prima collana specializzata), nei Paesi anglosassoni meglio precisati da specifiche denominazioni, quali detective novel, in cui l'elemento dominante è l'indagine; mystery novel, in cui lo è il mistero; thriller, in cui lo è la tensione; novel of suspense, con al centro grandi rapine e cacce all'uomo; hard boiled novel, dove prevalgono azione e violenza; e crook story, intrecci di truffe e imbrogli.
Quanto alle scuole nazionali, è ben noto come quella inglese mostri una propensione per l'enigma apparentemente insolubile, piuttosto che per l'azione: tacendo di precursori come Ch. Dickens, primo grande rappresentante ne fu A.C. Doyle, creatore nel 1887 (A study in scarlet; trad. it. 1949) dell'investigatore Sherlock Holmes. Seguirono, tra gli altri, G.K. Chesterton e il suo Padre Brown (1911), abile nell'avvalersi di una grande conoscenza dell'animo umano; A. Christie, di cui basti ricordare capolavori come Murder on the Orient Express (1934; trad. it. 1935) e Ten little niggers (1939; trad. it. …E poi non rimase nessuno, 1946); e I. Fleming, che nel 1953 pubblicò il primo libro della serie dedicata al suo famoso agente segreto 007. Più propenso all'azione, alla tensione e a un certo gusto per la violenza è il romanzo poliziesco statunitense: fertile di protagonisti come il detective dilettante Ellery Queen, nato nel 1929 dalla collaborazione tra F. Dannay e M.B. Lee; l'avvocato Perry Mason (1933), figlio dell'esperienza forense di E.S. Gardner; e soprattutto il solitario, orgoglioso, ma anche fragile Philip Marlowe, creato da R. Chandler (The big sleep, 1939; trad. it. 1948). La scuola francese, invece, è stata sempre caratterizzata da un gusto spiccato per il colpo di scena e per il tratteggio di atmosfere e psicologie.
Un precursore ne fu É. Gaboriau, già nel 1863 creatore dell'ispettore Lecoq, ma ai primi del Novecento essa si distinse soprattutto per la centralità assegnata a protagonisti criminali, come il ladro gentiluomo Arsenio Lupin (1908, di M. Leblanc), o il temibile Fantômas (1911, di M. Allain e P. Souvestre); a rivoluzionare il quadro sarebbero poi venuti, già nei primi anni Trenta del 20° sec., G. Simenon e il suo sensibile commissario Maigret.
In Italia, infine, il romanzo poliziesco fu dapprima promosso dal governo fascista, che impose alle collane specializzate la presenza di firme italiane; poi condizionato, con il divieto che l'assassino fosse italiano e potesse sfuggire alla giustizia; infine, nel 1941, dichiarato e messo fuorilegge perché considerato antieducativo. Ad aprire la strada fu A. Varaldo (Il sette bello, 1931), ma il personaggio più riuscito fu il commissario De Vincenzi di A. De Angelis (Il candeliere a sette fiamme, 1936), colto e pessimista interprete dell'animo umano. Nel secondo dopoguerra, a parte le incursioni di scrittori della letteratura ufficiale (si pensi a C.E. Gadda, L. Sciascia e U. Eco), il primo autore italiano in grado di emergere è stato G. Scerbanenco, creatore del medico-investigatore Duca Lamberti (Venere privata, 1966); seguirono C. Fruttero e F. Lucentini, a partire da La donna della domenica (1972).
Nel panorama letterario contemporaneo il genere poliziesco, per la capacità d'interpretare i cambiamenti in atto nella società scanda-gliandone anche gli aspetti più crudi, sempre all'interno dei suoi collaudati schemi narrativi, rappresenta un settore tra i più fortunati, spesso gratificato, tra l'altro, da popolari trasposizioni cinematografiche e televisive. Nella versione che gli dà il nome, fondata sulle indagini d'investigatori istituzionali, una firma autorevole è quella di M. Connelly, il cui detective Harry Bosch, apparso nel 1992 (The black echo; trad. it. La memoria del topo, 1997), è ancora protagonista in Echo park (2006); in Italia, grande successo hanno riscosso il brigadiere Sarti Antonio di L. Macchiavelli (da Fiori alla memoria, 1975, a Sarti Antonio e l'assassino, 2004) e, soprattutto, il commissario Montalbano di A. Camilleri (da La forma dell'acqua, 1994, a La vampa d'agosto, 2006), per il quale im-portante è stata la lezione di M. Vázquez Montalbán (padre del detective privato Pepe Carvalho). Tra i maggiori cultori del legal thriller, in cui i casi sono risolti da avvocati impegnati in aule giudiziarie, va almeno ricordato J. Grisham, autore di numerosi best seller, da The firm (1991; trad. it. Il socio, 1991) a The broker (2005; trad. it. 2005); mentre la più rappresentativa autrice di medical thrillers, in cui è essenziale il ruolo della polizia scientifica, è P. Cornwell con la sua Kay Scarpetta (nata nel 1990 e ancora protagonista in At risk, 2006). Una versione del genere che pone al centro del racconto la psicologia del protagonista, spesso eroe negativo, ha trovato un'acclamata interprete in P. Higsmith, il cui Tom Ripley è stato protagonista di cinque romanzi dal 1955 al 1992; il sottogenere detto noir (variante europea dell'hard boiled americano), in cui al contrario l'attenzione si concentra sul contesto sociale in cui avviene il delitto, e un finale drammatico può sostituire la risoluzione consolatoria, è stato nell'ultimo decennio coltivato da J.-C. Izzo (a partire da Total kheops, 1995; trad. it. Casino totale, 1998) e M. Fois (Sempre caro, 1998).
Bibliografia
Sui generi letterari:
M. Corti, Generi letterari e codificazioni, in M. Corti, Principi della comunicazione letteraria, Milano 1976, pp. 151-81.
C. Segre, Generi, in C. Segre, Avviamento all'analisi del testo letterario, Torino 1985, pp. 234-63.
P. Bagni, Genere, Scandicci 1997.
Sui generi qui approfonditi:
T. Todorov, Introduction à la littérature fantastique, Paris 1970 (trad. it. Milano 1977).
S. Alexandrian, Histoire de la littérature érotique, Paris 1989 (trad. it. Milano 1990).
Enciclopedia fantastica italiana, a cura di L. D'Arcangelo, Milano 1993.
F. Fossati, Dizionario del genere poliziesco, Milano 1994.
J. Clute, P. Nicholls, The Encyclopedia of science fiction, New York 1995.
F. Giovannini, M. Minicangeli, Storia del romanzo di fantascienza, Roma 1998.
The Cambridge companion to crime fiction, ed. M. Priestman, Cambridge 2003.