GENNARI, Benedetto, il Giovane
Nacque a Cento, presso Ferrara, dove fu battezzato il 19 ott. 1633. Figlio di Ercole e di Lucia Barbieri, sorella di Giovan Francesco, detto il Guercino, crebbe nella dimora bolognese dove le famiglie Barbieri e Gennari, lasciata Cento, si erano sistemate fra il 1643 e il 1644. Poté quindi usufruire, giovanissimo, degli insegnamenti e degli incitamenti a un serio impegno professionale dello zio Guercino (Mischiati), al cui maturo classicismo si ispirò, insieme con il fratello minore Cesare. Intorno alla metà degli anni Cinquanta, i giovani Gennari iniziarono una loro attività autonoma - e subito lo Scannelli testimoniava della loro "straordinaria riuscita" - a volte operando anche a due mani, circostanza cui risalgono secolari oscillazioni attributive.
Studi recenti rivelano tuttavia una maggior consapevolezza delle loro distinte personalità: nell'ambito della comune educazione guercinesca, Cesare appare volto ad accogliere, nel suo ancora caldo e vitale naturalismo, i primi accenti barocchi della cultura bolognese, mentre il G. visualizza, con disegno più accademico e atmosfere più fredde, raffinati particolari di oggetti e costumi, rivolgendosi agli ultimi esiti dello zio Bartolomeo, e magari anche a quelli della contemporanea cultura fiorentina. Per ambedue, sebbene in modo diverso, contarono inoltre gli echi del naturalismo lombardo importato a Bologna da P.F. Cittadini, soprattutto per il genere del ritratto, nel quale i due giovani si specializzarono; infine, è stata avanzata l'ipotesi di un loro coinvolgimento, in particolare del G., anche nel genere della natura morta.
Risalgono al tempo del tirocinio del G. il S. Sebastiano e il Martirio di s. Caterina, copie dal Guercino, a lui tradizionalmente riferite (rispettivamente, 1652 circa: Renazzo, chiesa parrocchiale, e 1654 circa: Cento, Pinacoteca civica, dalla chiesa di S. Biagio); il Davide con la testa di Golia, altra copia da un Guercino del 1650 (Firenze, Galleria Palatina: Borea, 1975); la Vestizione di s. Chiara (1657: Pieve di Cento, S. Chiara); la Madonna in gloria con i ss. Caterina da Siena, Francesco da Paola e Gaetano da Thiene, già attribuita anche al padre Ercole (1660 circa: Cento, S. Biagio; Bagni-Gozzi, p. 460); la Madonna del Rosario che, in collaborazione col fratello, gli venne giustamente riferita nell'Ottocento (Forlì, Pinacoteca civica). Nei ritratti del Marchese Fiaschi (firmato e datato 1655: già collezione Baillie-Hamilton; Bodmer, pp. 80, 83) e di Girolamo Graziani (Modena, Galleria Estense: attribuzione di H. Bodmer) il G., pur ricordando ancora la sensibile atmosfera guercinesca, già manifesta le sue particolari propensioni. Col decorativo e lucente S. Aniano che battezza un re di Babilonia (1663: Bologna, S. Giovanni in Monte) e col sontuoso ritratto di Ricciarda Cibo Gonzaga, accurato studio d'ambiente e di costume, il G. sperimenta ormai il suo stile più peculiare, lontano dalla calda vitalità che contemporaneamente il fratello Cesare conferisce al ritratto del consorte Alfonso Gonzaga di Novellara (1666: Modena, Galleria Estense). A questo periodo risalgono ancora il S. Liborio con la Madonna e il Bambino (1669: Ferrara, Pinacoteca nazionale, dalla chiesa di S. Domenico); il S. Antonio col Bambino (Ravenna, S. Francesco); il S. Rocco, copia di un originale perduto del Guercino, e il S. Leopardo che innalza la croce, eseguiti in collaborazione col fratello (1668: rispettivamente, Ferrara, Pinacoteca nazionale, dalla chiesa di S. Rocco, e Osimo, battistero del duomo). Nonostante Antonio di Paolo Masini (Arfelli) li riferisca tutti al fratello, sembrano essere frutto di collaborazione anche l'Adorazione dei Magi e l'Adorazione dei pastori che, con l'Annunciazione, interamente di Cesare, furono eseguiti per la certosa di Villeneuve-lès-Avignon (1670-72: Villeneuve-lès-Avignon, Museo municipale). Nell'ambito di questo primo periodo meritano ancora nota il Doppio ritratto del Guercino con G.B. Manzini (Cento, Pinacoteca civica: Bagni, 1986, p. 48), il Filosofo Democrito (già sul mercato: Benati), il Battesimo di Cristo (Rimini, Museo civico: Pasini).
Ormai affermato e sospinto dalla fama dello zio, nella primavera del 1672 il G. iniziava un suo ventennale soggiorno Oltralpe. Da quel momento un gruppo di Memorie, sue e del nipote Giovanfrancesco Gennari, forniscono un catalogo pressoché completo della produzione dell'artista (Bagni, 1986).
Ad una sosta presso la corte francese, dove dipinse una quindicina di opere fra cui è noto solo il ritratto di Anna Maria Mancini duchessa di Bouillon (Londra, National Portrait Gallery), seguì, dall'autunno del 1674, un lungo servizio presso la corte inglese sia a Londra, sia, dal 1688 al 1692, a Saint-Germain-en-Laye, rifugio della famiglia reale dopo la rivoluzione.
Nella copiosa produzione di quegli anni (più di centosessanta opere, note per circa un quarto), piacevolmente decorativa per la grazia levigata delle immagini e per la vivace e lucida ricchezza dei panneggi, si innesta sul sottofondo emiliano l'influsso del sontuoso classicismo francese e della lusinghiera ritrattistica allora fiorente tra Francia e Inghilterra. Fra i dipinti eseguiti per la famiglia reale vanno almeno citati: sei tele firmate erotico-mitologiche per la sala da pranzo di Windsor e l'appartamento segreto di Carlo II a Whitehall (1676-78: Hampton Court, collezioni reali), una Andromeda e una Poesia per Giacomo di York (rispettivamente: 1674-75, già Bologna, galleria del Caminetto, e 1676, Hampton Court, collezioni reali); fra i quadri religiosi per le cappelle di Whitehall e di St. James, dispersi dopo la rivoluzione: una Sacra Famiglia (1682, firmata: Birmingham, City Art Gallery), un'Annunciazione (1686: Sarasota, Ringling Museum); fra i ritratti: Caterina di Braganza (1684: Goodwood House, Chichester, collezione del duca di Richmond e Gordon: Miller, fig. 5), Giacomo II, dipinto in occasione dell'ascesa di questo al trono (1685: New York, collezione Ellington, Berro-Madero; ibid., fig. 1), Maria di Modena col piccolo Edoardo di Galles (1690: Modena, collezione privata). Fra le tele eseguite per l'aristocrazia inglese: l'Orfeo (1681: Burghley House, Stamford, collezione Burghley House; Bagni, 1986, p. 95), il Rinaldo e Armida (1677: Londra, collezione Pantucci; Miller, fig. 2), Lady Ogle e Ralph Montagu (1679-80: Boughton House, Kettering, Northamptonshire, collezione del duca di Buccleuch e Queensbury; Bagni, 1986, pp. 87 s.), il Duca di Lauderdale (1679: Helmingham Hall, Ipswich, collezione Lord Tollemache; ibid., p. 86), Elisabeth Panton come s. Caterina (1689: collezione R.J.R. Arundell; Miller, fig. 8). Si distinguono per una simpatica vena di cordialità "borghese" l'Autoritratto inviato al granduca di Toscana (1686: Firenze, Galleria degli Uffizi) e la Famiglia del pittore Francesco Riva, suo condiscepolo e compagno dei soggiorni Oltralpe (1689: Bologna, Pinacoteca nazionale).
Rientrato in patria, il sofisticato accento "oltremontano" e le accresciute abilità mimetiche gli valsero subito il favore del pubblico, molto ammirato di fronte ai ritratti di Giacomo II e di Maria di Modena col figlio Edoardo che aveva portato con sé (Zanotti, p. 174). Le Memorie autografe registrano altre centotrentacinque opere eseguite dal 1692 al 1709, in buona parte per le dimore del duca Vincenzo Gonzaga a Guastalla, del principe Eugenio di Savoia e del maresciallo Enea Silvio Caprara a Vienna, i suoi più assidui clienti; ne conosciamo poche: l'Adorazione dei pastori (1693: Boston, Museum of fine arts), nel "suo stile inglese", per la regina di Polonia, Venere con due putti per il duca di Guastalla (1695: collezione privata; Bagni, 1986, p. 134), Teseo con le figlie di Minosse per Eugenio di Savoia (1702: Vienna, Kunsthistorisches Museum) e Betsabea al bagno (1703: Baltimora, Walters Art Gallery), dove traspare qualche eco del classicismo bolognese di fine secolo. Vanno citati altresì i ritratti dei bolognesi: l'Antiquario Gioseffo Magnavacca (1693: Bologna, Biblioteca universitaria), il Senatore Virgilio Davia e Maria Davia (1693 e 1696: ibid., Opera pia Davia Bargellini), il Banchiere Stefano Piastri (1694: Londra, Christie's, 26 nov. 1976, lotto 20), Marchese Francesco Azzolini (1701 circa: Bologna, ospedale di S. Orsola; Cammarota, 1992, pp. 189, 191), opere che, data la diversità di estrazione e di carattere della committenza, rientrano nel suo stile più semplice e accostante.
Smorzato il brillante decorativismo del passato, a Bologna il G. assunse toni più severi specialmente nelle pale d'altare: il S. Antonio da Padova (1692-93: Bologna, S. Isaia; non citato nelle Memorie, ma ricordato per la prima volta nella riedizione del 1706 delle Pitture di Bologna del Malvasia, p. 357), il S. Filippo Neri in adorazione della Vergine (1693: Cesena, duomo, aula capitolare), il S. Pier Damiano con la Madonna, il Bambino, un angelo e serafini (1704: Faenza, curia vescovile). A quest'ultimo pare inoltre accostabile un S. Francesco in preghiera davanti al Crocefisso, forse il dipinto eseguito nel 1699 per il canonico Rossi di Cesena, citato al n. 49 delle Memorie di Giovanfrancesco (Faenza, Pinacoteca: attribuito al G. da D. Benati, ma già riferito a E. Sirani: S. Casadei, Pinacoteca di Faenza, Bologna 1991, p. 99).
Membro dell'Accademia Clementina fin dall'atto della sua fondazione nel 1709, il G. fu il primo ad assumere quello stesso anno l'incarico di direttore della scuola del nudo.
Morì a Bologna il 19 dic. 1715.
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