Genova
Numerosi i riferimenti a G. nelle Istorie fiorentine (da qui in poi Ist. fior.), ricordata per la prima volta (I v 5) insieme a Firenze, Pisa, Milano, Napoli e Bologna, alle città dell’Italia tardo-antica destinate (scrive M. ispirandosi alle Decades di Biondo Flavio) a futura grandezza. Poche le menzioni relative al 13° e 14° sec., ma significativo è il richiamo alle guerre tra genovesi e veneziani nella seconda metà del Trecento, «guerre importantissime per le quali si divise tutta Italia» (I xxxi 10). Scoppiato in Oriente, il conflitto – la cosiddetta guerra di Chioggia – si propagò nel Mediterraneo, dove le due città rivali si contendevano il controllo degli snodi strategici delle rete marittima e commerciale. La guerra si chiuse con la pace di Torino (1381) che sanciva il possesso genovese dell’isola turca di Tenedo nell’Egeo, ma lasciava sul campo una superiorità dei veneziani (I xxxi 11). Nel corso del Quattrocento G. fu terreno di aspre battaglie per il potere tra le fazioni dogali: a dominare la scena nella seconda metà del secolo furono gli Adorno e i Fregoso, famiglie rivali di mercanti di origine popolare che ricorsero più volte a congiure e ad aiuti militari esterni per conservare il potere o riconquistarlo con la forza.
Ha quella città molte nobili famiglie, le quali sono tanto potenti che difficilmente allo imperio de’ magistrati ubbidiscono. Di tutte l’altre, la Fregosa e la Adorna sono potentissime: da queste nascono le divisioni di quella città, e che gli ordini civili si guastono (V vi 3-4).
Instabilità politica, violenza, divisioni e odi familiari lasciarono il segno, accentuando la vulnerabilità della città ed esponendola alle mire espansioniste della Francia (Discorsi II xxi 10-11) e del ducato di Milano che per oltre cento anni si contenderanno il territorio ligure situato in posizione strategica per avere un accesso alla Lombardia dal mare e come scalo di transito verso il sud della penisola. Cuore mercantile e finanziario del Mediterraneo, G., già soggetta al dominio francese all’inizio del secolo (1396-1409), nel 1421 veniva occupata da Filippo Maria Visconti (Ist. fior. IV iv 1). Controllata dal ducato di Milano, la città fu coinvolta nella guerra contro Alfonso V d’Aragona: la sua flotta, vittoriosa su quella aragonese nella battaglia di Ponza il 5 agosto 1435, consegnava Alfonso, sconfitto e prigioniero, nelle mani di Filippo (V v 6), quasi un ritorno dell’antica gloria genovese. Con un capovolgimento di fronte, però, Filippo si accordava con il re aragonese, provocando la rivolta dei genovesi che, il 27 dicembre del 1435, si liberavano «al tutto dal giogo del duca Filippo» (V vii). Di nuovo in mano ai francesi alla metà del secolo (1458-61), G. ritornava, tra il 1464 e il 1478 (VII vii 3 e VIII xiii 1), e il 1487 e il 1499, nell’orbita del ducato di Milano. Nel 1499 la città si arrendeva senza spargimenti di sangue alle truppe del re di Francia Luigi XII; uno dei primi provvedimenti presi dal nuovo governo fu finalizzato a contenere il fazionalismo, estromettendo dal potere i personaggi più compromessi (Adorno e Fregoso) e appoggiando i Fieschi. Nei primi anni del Cinquecento la dialettica politica nella città mostrava i segni di un’ulteriore involuzione: infatti, il «tradizionale sistema di spartizione delle cariche tra nobili e popolari non pareva più in grado di consentire una convivenza pacifica tra i due ordini» (Pacini, in Storia di Genova, 2003, p. 334). Nell’estate del 1506 l’insurrezione dei popolari contro la nobiltà vide la partecipazione dei mercanti, degli artigiani e del popolo minuto, responsabile quest’ultimo di una progressiva radicalizzazione della sommossa, che verrà stroncata alla fine dell’aprile 1507 dalle truppe di Luigi XII: il 29 aprile, entrando trionfalmente in città con la spada sguainata, il sovrano riaffermava l’egemonia francese in Liguria (Discorsi II xxiv 28; cfr. Taviani 2008).
Nel corso del 1510 le vicende di G. furono argomento della corrispondenza di M. con i Dieci in occasione della sua terza legazione in Francia (20 giugno - 24 settembre), finalizzata a impedire la guerra tra Luigi XII e il papa Giulio II. Ma i tentativi papali di sottrarre G. al controllo francese appoggiando la spedizione militare di Marcantonio Colonna non sortirono alcun effetto, se non l’irritazione di Luigi XII nei riguardi dei fiorentini per aver concesso a Colonna di attraversare il territorio della Repubblica (M. ai Dieci, 18 luglio e 26 luglio 1510, LCSG, 6° t., pp. 429-34 e 444-49; i Dieci a M., 30 luglio 1510, LCSG, 6° t., pp. 460-61). In questa occasione G. rimase fedele ai francesi, ma nel giugno 1512, «sendo cacciate le genti franciose d’Italia» (Discorsi II xxiv 29), l’insurrezione cittadina seguiva il consueto schema della lotta tra le fazioni, degenerando presto in caos e violenza: rotto l’effimero accordo tra i Fregoso e i Fieschi, quest’ultimi, alleati con gli Adorno, aiutavano i francesi nella loro controffensiva. Con la sconfitta di Luigi XII a Novara (6 giugno 1513), G. riacquistava la sua indipendenza con l’elezione al dogato di Ottaviano Fregoso (→), capace di regalare alla città alcuni anni di ordine e relativa tranquillità. La sua decisione di distruggere la fortezza di Briglia, costruita dai francesi dopo la sommossa del 1506, viene così commentata da M.:
E ciascuno credeva, e da molti n’era consigliato, che la conservasse per suo refugio in ogni accidente; ma esso, come prudentissimo, conoscendo che non le fortezze, ma la volontà degli uomini mantenevono i principi in stato, la rovinò. E così sanza fondare lo stato suo in su la fortezza ma in su la virtù e prudenza sua, lo ha tenuto e tiene (Discorsi II xxiv 30-31).
Con la vittoria di Francesco I sugli svizzeri a Marignano (1515), G. ritornava nell’orbita francese e Fregoso rimaneva in carica come governatore del re di Francia dal 1515 al 1522. All’inizio degli anni Venti del Cinquecento la ripresa della guerra tra Francia e impero per il predominio in Italia vedeva G. ancora una volta coinvolta: occupata e saccheggiata dalla fanteria spagnola e dai lanzichenecchi il 30 maggio 1522, dopo la destituzione (1527) di Antoniotto Adorno, ultimo dei dogi perpetui, la città veniva occupata dall’ammiraglio Andrea Doria, passato dalla parte francese a quella imperiale (1528), al servizio di Carlo V: questo avvenimento sancì l’attrazione della città nell’orbita spagnola e imperiale e la conclusione di un lungo periodo di instabilità politica.
Interesse particolare hanno suscitato le parole di M. sul Banco genovese di San Giorgio (Ist. fior. VIII xxix), l’organismo autonomo di natura finanziaria creato nel 1407, durante la dominazione francese, ma le cui origini risalgono al 12°-13° sec., quando le istituzioni cittadine genovesi iniziarono a ricorrere al prestito dei cittadini per fare fronte alle spese di natura militare e navale che non erano in grado di sostenere (Istorie fiorentine, in Opere storiche, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, t. 1, 2010, p. 763, note; Petti Balbi, in Storia di Genova, 2003, pp. 283-84). Il Banco, nato per riunire in un unico istituto tutti i creditori della città, gestiva il debito pubblico cittadino, le imposte e la dogana e aveva assunto alla metà del Quattrocento un ruolo di primo piano, quasi esautorando l’autorità politica genovese dalla gestione della cosa pubblica. L’occasione per questa riflessione di M. sul governo di G. è la guerra di Sarzana, già feudo dei Fregoso, da questi venduta ai fiorentini nel febbraio 1468, ma riconquistata undici anni più tardi «fuora di ogni espettazione» (Ist. fior. VIII xviii 8) da Ludovico Fregoso e Agostino suo figlio, profittando della crisi in cui versava Firenze dopo la congiura dei Pazzi (→ Medici, Giuliano de’). L’impossibilità di difendere Sarzana dalla successiva reazione fiorentina spinse Agostino a cedere, nell’aprile 1484, la cittadina e il suo contado al Banco (VIII xix 3). La cessione avvenne nel solco di una politica avviata oltre quarant’anni prima, quando il Banco aveva ottenuto il governo di Famagosta (1447), poi della Corsica (1453), di Caffa e di altre colonie in Oriente, tutti domini che la città non era in grado di amministrare e difendere. «Potere concorrente dello stato, simbolo di buon governo e di oculata amministrazione» (Petti Balbi, in Storia di Genova, 2003, p. 283), il Banco apparve a M. un istituto esempio di libertà, di vita civile e di giustizia, estraneo alla litigiosità e agli odii di fazione che avevano invece indebolito e corrotto gli istituti politici genovesi: «e se gli avvenisse, che con il tempo in ogni modo avverrà, che San Giorgio tutta quella città occupasse, sarebbe quella una republica più che la viniziana memorabile» (Ist. fior. VIII xxix 12). Da Sarzana, intanto, la guerra tra fiorentini e genovesi si era spostata a Pietrasanta (VIII xxx), dove il commissario dell’esercito fiorentino Iacopo Guicciardini (nonno di Francesco), era riuscito, con uno stratagemma (VIII xxx 35) ad attaccare e poi a cingere d’assedio la cittadina.
Combatteva «pigramente» l’esercito fiorentino (VIII xxxi 1) e per questo veniva punito dalla reazione genovese e costretto a ripiegare; le truppe, rianimate dai nuovi commissari Antonio Pucci e Bernardo Del Nero, conquistavano facilmente Pietrasanta che si arrendeva l’8 novembre 1484 (VIII xxxi 4-6), uscendo dall’orbita genovese. Un nuovo capitolo della guerra tra genovesi e fiorentini per Sarzana si aprì nel 1487, quando questi ultimi, attaccati a sorpresa, se ne lamentarono con Innocenzo VIII, che proprio in quel mentre stava adoperandosi per la pace; le sorti del conflitto furono comunque favorevoli a Lorenzo de’ Medici e il 22 giugno 1487 gli abitanti di Sarzana «veduta la ostinazione de’ Fiorentini ad offenderli e la freddezza de’ Genovesi a soccorerli, liberamente e sanza altre condizioni nelle braccia di Lorenzo si rimissono» (VIII xxxiii 13; v. anche xxxvi 1). Con la discesa in Italia di Carlo VIII i fiorentini perderanno la città, venduta dai capitani al Banco di San Giorgio nel 1495 e poi passata stabilmente ai genovesi nel 1572.
Bibliografia: Storia di Genova. Mediterraneo, Europa, Atlantico, a cura di D. Puncuch, Genova 2003 (in partic. G. Petti Balbi, Tra dogato e principato: il Tre e Quattrocento, pp. 233-324; A. Pacini, La repubblica di Genova nel secolo XVI, pp. 325-90); C. Taviani, Superba discordia. Guerra, rivolta e pacificazione nella Genova di primo Cinquecento, Roma 2008.