GENOVA (XVI, p. 547; App. I, p. 644)
Durante la seconda Guerra mondiale la città e il porto hanno costituito uno dei principali obiettivi dell'offesa aerea (bombardamenti dell'11 giugno 1940, dell'ottobre e poi 4 e 14 novembre 1942, 8 agosto e 29 ottobre 1943, 11 maggio 1944) e navale (bombardamento del 13 giugno 1940 e, soprattutto grave, quello del 9 febbraio 1941 eseguito da due corazzate britanniche con cannoni da 381 mm.) dell'avversario, che si valse anche del fatto di aver avuto sempre, durante queste azioni, l'incontrastato dominio del cielo. Furono colpiti specialmente il porto, il centro abitato, gli impianti ferroviarî e risparmiati in massima parte i cantieri e gli altri stabilimenti industriali; ai danni dei bombardamenti si aggiunsero poi, nel porto, quelli gravissimi delle mine e delle navi affondate per ostruirne i bacini nel periodo dell'occupazione tedesca. Non molte le vittime tra la popolazione civile, per le numerose gallerie-rifugio, ma gravissimi i danni materiali: ai monumenti della città (vedi appresso), alle case di abitazione (11.183 edifici colpiti con un totale di circa 265.000 vani distrutti) e, soprattutto, al porto. Per questo, il bilancio dell'aprile 1945 dava: il 75% degli impianti distrutti; 320 navi e 615 galleggianti affondati, 140 mine, la grande diga foranea sbrecciata e minata, i bacini di carenaggio inservibili, gli impianti meccanici e le centrali quasi completamente distrutti. Genova tuttavia si è ripresa con rapidità prodigiosa. Nell'aprile 1947 erano già stati riparati 177.500 vani di abitazione. In poco meno di tre anni, eliminate le mine e tirato a galla il 65% del naviglio affondato, il porto è stato rimesso in efficienza: sia il vecchio porto e il bacino delle Grazie, sia i bacini della Lanterna e di Sampierdarena (già Vittorio Emanuele III e Mussolini), del quale ultimo si stava completando la costruzione al principio della guerra; inoltre furono restaurati 17.000 m. di banchine, rimessi in funzione 164 mezzi di sollevamento e gli altri impianti meccanici, alcuni dei quali sono stati anzi ingranditi e migliorati: cosicché la potenzialità del porto ha raggiunto il 70% di quella prebellica. Già si pensa di dar corso ai lavori di ampliamento verso ovest, dove dovranno sorgere, dinnanzi a Cornigliano e a Sestri Ponente, il nuovo grande aeroporto, il bacino dei petrolî, ecc. Anche il movimento delle navi e delle merci ha segnato una rapidissima ascesa.
Nel 1947 sono entrate o uscite dal porto navi per 13.580.000 t. di stazza, pari al 58% del 1938, ma la diminuzione è quasi interamente dovuta alla mancanza delle grandi unità italiane di linea e non ha ripercussioni sul volume del movimento commerciale (6.780.000 t. di merci imbarcate o sbarcate, pari al 93% di quelle del 1938). Diminuito il movimento dei viaggiatori (114.000: 54% rispetto al 1938), essendo cessato il traffico coi possedimenti italiani in Africa. Diminuita la partecipazione della bandiera italiana (all'entrata il 28% anziché il 64% come nel 1938), ma già in forte ripresa in confronto al 1946. Ancora molto in svantaggio l'imbarco rispetto allo sbarco (1947: rispettivamente 9% e 91% del movimento globale 1938: 22% e 78%) soprattutto per la cessazione degli imbarchi per le colonie, per la crisi del movimento di cabotaggio, per la difficoltà delle esportazioni, ma già in ripresa in confronto al 1946 (l'incremento in più degli imbarchi è stato del 63%). Al primo posto fra le merci sbarcate è ancora il carbone - nonostante una lieve diminuzione rispetto al 1938 - proveniente però nella quasi totalità dagli S. U.; molto aumentata l'importazione di cereali e farine, provenienti specialmente dagli S. U. e paesi del Plata; aumentata anche l'importazione di cotone e di lana, mentre è tornata alle cifre dell'anteguerra quella degli olî minerali ed è inferiore l'importazione di grassi e semi oleosi, quella del legname e quella dei metalli, che è tuttavia in forte aumento dal 1946 al 1947. Quanto alla provenienza, sono aumentate le importazioni dagli Stati Uniti e dai paesi dell'America meridionale, nonché quelle provenienti dall'Africa meridionale e dai paesi del Golfo Persico e Indie, mentre sono molto diminuite o quasi cessate le importazioni da paesi europei, fatta eccezione per la Scandinavia. Il traffico svizzero di transito è pure assai ripreso.
La popolazione è aumentata: 656.447 ab. al 31 dicembre 1947 (popolazione residente del comune) di contro a 631.346 nel 1936 (popolazione presente, di cui 512.313 ab. nel centro urbano; popolazione residente del comune allo stesso censimento 634.646 ab.).
Le industrie del comune, legate in gran parte alla marina mercantile e al porto, sono tutte in ripresa: i cantieri di Sestri hanno, nello spazio di tre anni, allestito nuove navi, costruito materiale ferroviario, ecc. Anche le altre industrie, metallurgiche, tessili, alimentari, ecc., hanno ripreso la loro attività.
La provincia al 31 dicembre 1947 contava 893.183 ab. residenti in 67 comuni di fronte agli 867.608 ab. del 1936.
Danni ai monumenti e alle opere d'arte. - Circa settanta chiese e centotrenta degli splendidi palazzi genovesi sono stati colpiti dall'offesa aerea e navale. I danni più gravi, quasi la completa distruzione, tanto che un restauro significherebbe la loro ricostruzione, si sono avuti nell'importante chiesa medievale di S. Bartolomeo del Fossato, in quella dei SS. Giacomo e Filippo, nella chiesa di S. Maria in Passione, in S. Pietro alla Foce, negli oratorî della Morte e Misericordia, del Rosario in S. Fruttuoso e di S. Martino a Sampierdarena. Sono stati anche in gran parte demoliti il palazzo arcivescovile, il palazzo Balduino de Mari, quello Gavotti già Cambiaso, ove tuttavia s'è potuto restaurare il cortile con la scala, quello Pagano Doria e Spinola in Carignano. Anche il settecentesco teatro Falcone, entro il Palazzo Reale, danneggiatissimo dalle esplosioni, s'è dovuto demolire. Gravissimi danni ha riportato il neoclassico teatro Carlo Felice, mentre sono andati completamente distrutti tutti gli altri teatri moderni della città: il Paganini, il Regina Margherita, il Politeama genovese. Altre costruzioni invece erano passibili di restauri, in parte già ultimati in parte intrapresi; così per il duomo, i cui danni, invero, erano molto limitati, per la chiesa di S. Benedetto e quella di Nostra Signora del Carmine, per la chiesa dei SS. Cosma e Damiano, colpita e danneggiata soprattutto nelle coperture, per quella di S. Francesco di Paola, dove è andato parzialmente distrutto un affresco del settecentista Giuseppe Palmieri, per quelle di S. Giorgio e di S. Giovanni di Prè. Anche le chiese di S. Giuliano, S. Maria Assunta di Carignano e l'altra di S. Maria della Consolazione sono state danneggiate nelle volte. Così sono state sfondate le chiese della Visitazione, S. Maria di Marassi e S. Maria della Cella, ove subiva qualche danno anche il chiostro attiguo. Subivano ugualmente danni le chiese di S. Marco, S. Maria del Monte, il convento di S. Barnaba, gli oratorî di S. Antonio Abate, della Madre di Dio e, di speciale gravità, il santuario di Nostra Signora di Coronata, dove notevoli decorazioni a stucco sono state in parte distrutte. Importanti opere di restauro sono state necessarie nella chiesa di S. Siro, dove furono abbattute due delle cappelle più interessanti, in quelle di S. Carlo, di S. Nicolò, di S. Luca, di S. Donato. Così nella chiesa di S. Maria in Castello, ove è in progetto il restauro dell'antica facciata romanica. Danni lievi, ormai riparati, subirono anche le chiese di S. Agostino e di Nostra Signora delle Vigne. Ma i più importanti lavori a edifici chiesastici si sono dovuti condurre nelle chiese della SS. Annunziata del Vastato e in S. Stefano. La prima, danneggiata soprattutto nell'abside e nei fianchi, con perdita di una parte degli altari, di notevolissimi affreschi e dei mobili del coro; la seconda, completamente scoperchiata, con oltre metà della facciata distrutta; ora è in ricostruzione con il materiale originario recuperato; qui fu anche sconvolta la cantoria di Benedetto da Rovezzano e Donato Benci senza subire, tuttavia, perdite molto gravi. Si lavora anche nella chiesa di S. Pietro in Banchi, che ha perduto la volta e i due tipici campanili.
Quasi tutte le costruzioni che s'affacciano sulle famose vie Garibaldi e Balbi sono state colpite, e anche molte delle antiche ville immediatamente fuori della città hanno subito danni gravissimi. In via Balbi i danni più notevoli si sono lamentati nel Palazzo Reale, colpito soprattutto nella parte che guarda il mare, nel palazzo Balbi Piovera e in quello Durazzo-Pallavicini. In via Garibaldi sono stati fra gli altri colpiti il Palazzo Bianco e il Palazzo Rosso, dove sono andati perduti oltre l'affresco di Gregorio De Ferrari del salone centrale, quelli celeberrimi delle altre sale, il palazzo Doria-Tursi (Municipio), tuttavia non gravemente, quello già Serra ora Campanella, con distruzione di parte della facciata e dei famosi interni settecenteschi del De Wailly e del Tagliafico, il palazzo Regio Podestà, con perdita di rarissimi soffitti e stucchi figurati del Cinquecento. In altre zone della città, è da rammentare altresì il duecentesco palazzo Lamba Doria, quasi completamente svuotato dagli incendî, ma ormai in gran parte consolidato e dove verrà riaperta la loggia pubblica a terreno. Anche la Loggia di Banchi è stata gravemente colpita con la totale distruzione del tetto e danni alle colonne. Crudelmente sinistrato è stato anche il palazzo Imperiale di Campetto, insigne opera di Benedetto Castello. Il famoso palazzo di S. Giorgio, la duecentesca residenza del Capitano del Popolo, è stato colpito fortunamente solo nelle aggiunte cinquecentesche, nel Salone delle Compere, dove peraltro sono state in parte calcinate quasi tutte le statue di benemeriti cittadini che l'adornavano, di cui qualcuna notevole. Danni minori, ormai nella maggior parte dei casi già riparati, hanno subìto molti altri palazzi quali il Sacchi-Nemours già Branca Doria, Granello già Saluzzo, Spinola in Pellicceria e molti altri.
Tra le ville bellissime dei dintorni, in quella Pallavicini, detta delle Peschiere, il tetto s'è incendiato e le intemperie hanno danneggiato i sottostanti affreschi di Luca Cambiaso e di Andrea Semino. In quella Bombrini, detta del Paradiso, gli affreschi di Bernardo Castello e del Tavarone sono stati tutti più o meuo danneggiati, mentre nella villa Cambiaso fu danneggiata non irreparabilmente la loggia. Nel giardino del palazzo Doria al Fassolo è andata distrutta la grande fontana del Carlone col Trionfo di Andrea Doria in aspetto di Nettuno. Danni molto gravi hanno riportato anche le ville Brignole ora Collegio delle Marcelline, quella De Ferrari, la villa Fiume e quella Raggi dove si lamenta la totale distruzione delle coperture e la perdita del grande affresco del Fiasella con la Battaglia di Costantino.
Storia. - Specialmente dopo il 1937 l'opposizione antifascista in Genova sostituì al metodo della non collaborazione, sino allora prevalentemente seguito, quello della resistenza attiva a mezzo di organizzazioni clandestine, che intensificarono i rapporti, mai interrotti, cogli antifascisti all'estero a specialmente in Francia. Notevoli in questo primo periodo il movimento di aiuti per la Spagna repubblicana e, più tardi, il sorgere di un vasto movimento giovanile antifascista che agì da Genova in tutta la Liguria dal 1940 al 1943.
Chiusasi la breve parentesi dal 25 luglio all'8 settembre 1943, e occupata la città da una guarnigione tedesca, le varie organizzazioni politiche antifasciste formarono anche a Genova i Comitati di liberazione nazionale, con lo scopo essenziale dell'organizzazione della resistenza civile e della lotta partigiana. Grandi scioperi furono così realizzati nel marzo 1944 nei complessi industriali della Val Polcevera e del Ponente ed ebbero conseguenze gravi così per l'occupante nazifascista come per la popolazione operaia, che ebbe a subire deportazioni in massa da parte dei Tedeschi. Tali scioperi di massa erano sostenuti da continue azioni di disturbo svolte contro l'occupante dagli elementi organizzati nelle Squadre e nei Gruppi di azione patriottica. In questo tempo l'amministrazione fascista del comune emise anche un prestito, il cosiddetto Prestito di S. Giorgio, che poi, dichiarato non valido dopo la liberazione della città, diede luogo ad acri contestazioni.
Il 24 aprile 1945 Genova, prima fra le città dell'Italia settentrionale, iniziava l'insurrezione con un'azione combinata fra le forze partigiane di città e quelle di montagna, alle quali, immediatamente, si unì la popolazione. Dopo tre giorni di violenti scontri con forti reparti di truppe tedesche e di milizie fasciste e dopo varî tentativi di mediazione da parte del card. Boetto per evitare le più gravi distruzioni, il comandante germanico Meinhold fu costretto a sottoscrivere la resa incondizionata impostagli dal Comitato di liberazione nazionale. In tal modo, al prezzo di 150 morti e 350 feriti, si riusciva a salvare la città con la maggior parte dei suoi complessi industriali e portuali. Nonostante le gravi distruzioni subite Genova poté riprendere immediatamente il ritmo normale di vita, che iniziò prima ancora dell'entrata delle truppe alleate, avvenuta la mattina del 27 aprile. Alla città è stata dal governo conferita la medaglia d'oro al valor militare.