Romagnosi, Gian Domenico
Giurista e filosofo (Salsomaggiore, Parma, 1761 - Milano 1835). Laureatosi in giurisprudenza all’università di Parma nel 1786, esercitò la professione di notaio a Piacenza (1787-89), di pretore a Trento (1791-93) e di avvocato nella stessa città (1794-1802). Nel 1799, dopo l’occupazione francese e il ritorno della dominazione austriaca, subì 15 mesi di detenzione con l’accusa di abuso nell’esercizio delle sue funzioni di pretore. Al ritorno dei francesi ottenne, alla fine del 1802, la cattedra di Diritto pubblico all’università di Parma e nel 1807 fu nominato professore di Diritto civile all’università di Pavia. Passò quindi nel 1808 a insegnare nelle scuole speciali di diritto, da lui promosse e organizzate a Milano, divenendo uno degli studiosi più noti e influenti dell’Italia napoleonica. Nel 1805 aveva pubblicato l’Introduzione allo studio del diritto pubblico universale, e, dal 1812 al 1814, diresse il «Giornale di giurisprudenza universale». Nel 1817, dopo la soppressione da parte del governo austriaco delle scuole speciali, si dedicò all’insegnamento privato: alla sua scuola si formarono, tra gli altri, Ferrari, Cattaneo e Cantù. Collaboratore del «Conciliatore», fu arrestato nel 1821 e rinchiuso nel carcere di Venezia per le sue idee liberali e per i suoi legami con gli ambienti progressisti. Assolto per difetto di prove legali, ritornò a Milano, dove gli fu tolta l’autorizzazione a insegnare. Si aprì per lui un periodo difficilissimo dal punto di vista economico, ma molto fecondo da quello intellettuale: collaborò alla «Biblioteca italiana», agli «Annali di statistica», all’«Antologia» e pubblicò importanti opere come: Che cos’è la mente sana? (1827), Vedute fondamentali sull’arte logica (1832) o Dell’indole e dei fattori dell’incivilimento (1832). Fortemente influenzato dal sensismo illuminista, concentrò la sua riflessione sui problemi del diritto, della politica e della morale, ovvero su quella che egli definiva la filosofia civile vera struttura portante di uno Stato moderno.