GIORDANIA.
– Demografia e geografia economica. Storia. Webgrafia
Demografia e geografia economica di Matteo Marconi. – Stato dell’Asia sudoccidentale. Le contese regionali pesano sulla G. per l’altissimo numero di rifugiati, iracheni (55.000), palestinesi (2.000.000) e, recente mente, siriani (600.000). Ne risulta che circa un terzo della popolazione (7.504.812, secondo una stima UNDESA, United Nations Department of Economic and Social Affairs, del 2014) è di provenienza straniera. Il tasso di crescita naturale è sostenuto (3,2 figli per donna), implementato dalle buone condizioni dell’assistenza sanitaria giordana, che impegna circa l’8,2% del PIL. L’economia impiega risorse umane principalmente nel terziario (79,9%), con un ruolo rilevante del turismo, che ha incrementato gli ingressi del 25% tra il 2008 e il 2013. La G. riceve ingenti finanziamenti dall’estero, principalmente dagli Stati Uniti, che le permettono di mantenere alto il deficit di bilancio, così da sostenere la macchina dell’assistenza sociale e garantire una certa stabilità interna.
Storia di Silvia Moretti. – Il primo decennio del 21° sec. vedeva la monarchia hāscimita impegnata nella sua battaglia contro il terrorismo islamista, con l’intento di fare terra bruciata intorno alle ramificazioni locali di al-Qā῾ida. La scelta politica del re ῾Abd Allāh II sembrava dare i suoi frutti in occasione delle consultazioni elettorali del novembre 2007 che vedevano in crescita la componente maggioritaria tribale, tradizionale appoggio della monarchia, e fortemente in calo il maggiore partito all’opposizione, il Fronte d’azione islamica, braccio politico dei Fratelli musulmani (v. fratellanza musulmana). L’organizzazione dei Fratelli musulmani, vittima di persecuzioni e messa al bando in molti Paesi arabi, dall’Egitto alla Siria, dall’Arabia Saudita agli Emirati Arabi Uniti, aveva visto sempre garantita in G. la sua partecipazione alla vita politica nazionale, nel tentativo operato dalla monarchia di depotenziare in questo modo la portata rivoluzionaria e destabilizzante dell’organizzazione. Dopo lo scoppio delle primavere arabe (2011), che avevano lambito il regno giordano senza scalfire la posizione di forza della dinastia al potere, i temuti contraccolpi in G. della vittoria della Fratellanza in Egitto (2012) non si erano verificati, dimostrando, apparentemente, la giustezza della scelta della dinastia hāscimita di incanalare nelle sedi istituzionali l’azione politica di questa organizzazione.
In questo clima di calma apparente, nel giugno 2012 la nuova legge elettorale introduceva nel Paese alcune novità con l’innalzamento a 15 del numero di seggi riservato alle donne alla Camera dei deputati e la creazione di un sistema di voto misto: per la prima volta ciascun elettore, oltre a scegliere un candidato su base distrettuale locale, poteva esprimere una seconda preferenza su base nazionale attraverso liste bloccate di partito per un totale di 27 seggi. Ma ciò nonostante, il voto tribale continuava a rappresentare la vera forza del regime a fronte di un’estrema frammentazione del panorama politico dell’opposizione, cosa che le successive elezioni del gennaio 2013 misero in evidenza. Come già avvenuto nelle consultazioni del novembre 2010, il Fronte d’azione islamica boicottava l’appuntamento elettorale contestando il sistema di voto che continuava a privilegiare la rappresentanza dei contesti rurali e tribali contro le realtà più povere ed emarginate dei centri urbani, bacino di voti del Fronte.
Tra il 2013 e il 2014 il Paese si trovava a dover affrontare diverse sfide che facevano tutte leva sull’endemica povertà della società e sulla necessità di impedire alla politica di potenza di Israele e ai pesanti contraccolpi della crisi siriana di minacciare la sopravvivenza stessa del regno. Se la presenza di lunga data nel Paese di oltre due milioni di rifugiati palestinesi esponeva al rischio di frizioni con la componente nativa delle regioni orientali, minacciata di diventare minoranza in patria, nuova tensione generava l’afflusso dei profughi siriani (oltre 628.000 al maggio 2015, secondo le stime delle Nazioni Unite), raccolti in gran parte nel campo di al-Zaatari, diventato il quarto centro urbanizzato del regno. Nel 2014 la G. vedeva anche pericolosamente riacutizzarsi i focolai di crisi alle sue frontiere: prima la guerra di Gaza (luglio-ag.), con la mobilitazione dei rifugiati palestinesi contro Israele, poi l’espansione minacciosa dell’organizzazione terroristica dello Stato islamico in ῾Irāq e Siria (v. IS), dove erano impegnati anche jihadisti e salafiti giordani, pronti a minare la stabilità del regno una volta rientrati in patria. La G., fedele agli Stati Uniti, al cui cospicuo aiuto finanziario era costretta a ricorrere con sempre maggiore frequenza, ribadiva in questa situazione la sua scelta di campo partecipando alla missione contro l’IS in Siria (sett. 2014), ma anche rinsaldando il suo rapporto di cooperazione con Israele, da cui la G. in buona parte dipendeva per le sue necessità idriche e di approvvigionamento di gas naturale. Nel novembre 2014, però, una crescente animosità tra i due Paesi spingeva la G. a richiamare il suo ambasciatore per quelle che venivano considerate palesi violazioni della sovranità dei luoghi sacri musulmani a Gerusalemme di cui la monarchia giordana è custode, mettendo così a rischio l’accordo da 15 miliardi di dollari siglato a settembre per far arrivare in G. il gas naturale dei giacimenti israeliani.
Webgrafia: R. Satloff, D. Shenker, Political instability in Jordan, «Council on foreign relations press», 2013, http://www.cfr.org/jordan/political-instability-jordan/p30698; A. Natta, In Giordania le riforme possono attendere, la stabilità no, «Limes», 2014, http://temi. repubblica.it/limes/in-giordania-le-riformepossono-attendere-la-stabilita-no/66046. Tutte le pagine web si intendono visitate per l’ultima volta il 30 dicembre 2014.