CORNER, Giorgio
Primogenito di Andrea del doge Marco e di Giustiniana Giustinian di Marco di Andrea, nacque a Venezia, in contrada San Felice, nel 1374. Il padre, che divenne cavaliere, l'avviò tardi alla carriera politica e solo nel 1403, parecchi anni dopo la morte dell'altro figlio, Giovanni, lo fece sposare a Caterina Giustinian (non si conosce il nome del padre); dal matrimonio nacquero Andrea e Marco, che a sua volta sarebbe stato padre di Caterina, la futura regina di Cipro.
Brillanti gli esordi dell'attività del C. in Maggior Consiglio, a testimonianza del grado di prestigio e ricchezza cui la famiglia era pervenuta: nel primo semestre del 1406 fu savio agli Ordini e così pure l'anno successivo. Eletto ambasciatore a Milano il 14 apr. 1407, rifiutò, ma dovette accettare invece, due anni più tardi, il 4 giugno 1409, analogo incarico presso il marchese di Ferrara, Niccolò III d'Este, per farlo desistere dalla guerra contro Reggio. Nonostante le resistenze di questo, il quale aveva spinto le sue truppe sino in Lombardia, la missione, nel corso della quale il C. agì di concerto con l'inviato a Parma e Reggio, Francesco Foscari, ebbe successo, e dopo poco più di un mese egli poté tornare in patria. Nuovamente tra i savi agli Ordini nel successivo biennio, si distinse per la determinazione con cui caldeggiò la nomina di un nuovo provveditore in campo a Verona, presso il capitano generale delle truppe venete, Carlo Malatesta, che combatteva contro gli Imperiali; salvo poi, allorché il 20 luglio 1412 risultò eletto egli stesso, a declinare l'invito "pro eundo extra". Era stato nominato, infatti, ambasciatore a Ferrara, per sollecitare l'invio di rinforzi da parte dei marchesi Niccolò e Uguccione, e colà egli si trattenne sin quasi alla fine del febbraio 1413, quando venne richiamato a Venezia.
A Ferrara il C. fu nuovamente eletto ambasciatore il 26 ott. 1414, in occasione della pace sottoscritta tra la Repubblica ed il re dei Romani, ma preferì entrare a far parte del Consiglio dei dieci, ed uguale rifiuto per analoga missione oppose il 5 ott. 1415: anche questa volta si trattava di sollecitare il marchese d'Este a fornire il suo aiuto a Venezia. Respinse la nomina, dunque, e pagò la pena. Nei successivi cinque anni il suo nome non compare più tra quelli di coloro che furono chiamati ad operare fuori della laguna; probabilmente preferì occuparsi dei suoi interessi privati (assai attivo nel commercio, possedeva notevoli ricchezze in Levante, specie a Cipro) e della famiglia (nel '19 gli nacque il secondogenito, Andrea, e forse va fatto risalire a questo periodo l'acquisto del palazzo a S. Cassiano, dove si trasferì).
Nella primavera del 1420, però, era provveditore in campo presso le truppe che operavano in Friuli, dove egli fornì buona prova di sé, dal momento che il 9 aprile gli venne poi concesso di rinunciare all'ambasceria a Milano, per non distoglierlo dall'incarico, e un mese più tardi, il 12 maggio, fu egli stesso a declinare la nomina al Consiglio dei dieci. L'elezione a duca di Candia, indicata dal Priuli per l'anno 1421, non è confermata dal Segretario alle voci; è invece certo che nel 1424 il C. fu podestà a Padova, da poco venuta a far parte del dominio veneziano.
Il rettorato si presentava tutt'altro che facile, a causa degli umori antiveneziani tradizionalmente diffusi sia tra i nobili sia in mezzo al popolo, ma il C. seppe dar prova di notevole fermezza e abilità; fu probabilmente anche per questa ulteriore dimostrazione di capacità che all'inizio del '26, quando il Carmagnola, passato ormai nel campo veneziano, si apprestava a recarsi a Mantova per ordinare l'esercito e condurlo contro il Visconti, il C. venne mandato presso di lui in qualità di provveditore, con Marco Dandolo. Ricevute le commissioni il 3 marzo, i due veneziani collaborarono a mettere a punto il piano di guerra, che consisteva nel passare l'Oglio e gettarsi su Pizzighettone, mentre la flotta del Po, guidata da Francesco Bembo, avrebbe appoggiato l'azione dal sud. La campagna - come è noto - volse rapidamente a favore della lega antiviscontea: Brescia e le sue valli caddero subito in mano veneziana, poi venne Maclodio (12 ott. 1427, ma a tale data il C. era a Venezia, come savio del Consiglio: fu inviato nuovamente presso il condottiero vittorioso, assieme a Santo Venier, non appena si seppe della vittoria), infine proprio il C., il 10 genn. 1428, espugnava la rocca di Temù, nelle vallate poste tra l'Adamello ed il Cevedale. Fu una delle ultime operazioni del conflitto, giacché in aprile era stipulata una pace che portava all'Oglio il confine della Repubblica.
La cessazione delle ostilità, tuttavia, si dimostrò soprattutto una fragile tregua, giacché i colpi di mano, le violazioni del trattato furono continue da una parte e dall'altra; si inserisce dunque in tale contesto di reciproche accuse, di ritorsioni, di sospetti la missione che il C. svolse a Milano, nel novembre '28, per chiarire le rispettive posizioni: ma ogni spiegazione fu inutile, e non appena egli tornò in patria, il Visconti riprese a rafforzare il suo dispositivo militare presso la zona di confine e a molestare i feudatari filoveneziani.
Nei due anni che seguirono il C. rimase nella sua città, alternando all'esercizio della vita politica (fu consigliere ducale) le cure di un patrimonio sempre più solido e articolato; poi, fra il 1430 ed il '31, fu per la seconda volta podestà a Padova, dove ebbe come collega, in qualità di capitano, Marco Foscari, con il quale divise le ampie lodi che, nell'orazione d'uso Pietro Del Monte gli diresse a nome del corpo accademico dello Studio. Altri, ben più gravi impegni attendevano però l'uomo d'armi: la guerra tra Milano e la Repubblica, ripresa ufficialmente il 30 maggio 1431, aveva subito preso una piega sfavorevole alle armi veneziane, che avevano conosciuto una pesante sconfitta navale sul Po, presso Cremona, mentre la condotta del Carmagnola, che nonostante le vigorose replicate sollecitazioni del Senato lasciava inoperosi i suoi trentamila uomini, cominciava a destare qualche sospetto. Presso di lui, in qualità di provveditore in campo, il C. fu inviato il 10 genn. 1432, con l'incarico di esortarlo a passare l'Adda e gettarsi, se possibile, sulla fortezza di Brivio, che sbarrava la via per Milano.
Successive istruzioni raccomandavano al C., di lì a qualche giorno, di guardarsi bene dal pronunciare una qualsiasi parola che suonasse sfiducia nei confronti del condottiero, mentre il 28 gennaio si discusse addirittura in Maggior Consiglio di promettere al Carmagnola il dominio stesso di Milano (al quale si sapeva ch'egli agognava), pur di smuoverlo da un'inerzia ormai manifestamente dannosa. Il 4 febbraio, per mezzo di lettere del C., il Senato era informato che il conte aveva palesato l'"ottima e fervente" intenzione di muovere all'offensiva, ma ancora una volta il tempo passò senza risultato alcuno: ogni giorno il Carmagnola pareva sul punto di far avanzare le truppe, ma poi l'azione era puntualmente rinviata. A fine marzo gli eventi precipitarono: stanco di una guerra troppo fiaccamente condotta, il Consiglio dei dieci prese su di sé l'iniziativa e chiese ai Pregadi una giunta di venti membri, da aggiungere a sé, per formare un tribunale che giudicasse il Carmagnola. Fra essi era il C. ma, essendo allora provveditore a Brescia (era stato sostituito presso il capitano generale da Francesco Garzoni sin dal 23 febbraio), il 10 aprile fu eletto in sua vece Lorenzo Donà senior.
Il Carmagnola, giunto a Venezia il 7 aprile, fu processato e condannato nel giro di un mese: il C. non era dunque fisicamente presente tra i suoi accusatori, ma certamente le sue informazioni ed i suoi giudizi dovettero pesare notevolmente. Egli rimase invece provveditore in campo, e insieme con il nuovo comandante dell'esercito, il marchese Gonzaga, riuscì a riportare le truppe venete alla vittoria ed a conquistare Soncino.
Alla fine del settembre 1432, per frenare certi moti di ribellione, il C. entrava nella Valtellina, mentre il collega Marco Dandolo operava in Valcamonica; contro il primo, il Visconti inviò Niccolò Piccinino che, con l'aiuto dei valligiani, riuscì a sconfiggere i Veneziani presso Delebio, il 27 novembre. Catturato, il C. fu rinchiuso nei forni di Monza; l'interrogatorio cominciò il 10 dicembre; il duca voleva conoscere i nomi degli accusatori del Carmagnola e quali prove fossero emerse circa la sua collusione col nemico. Fu torturato a lungo, ma non parlò. La narrazione delle spaventose sevizie che dovette subire la lasciò egli stesso, nella cosiddetta Cronachetta Corner, inserita in diverse cronache veneziane, quali la Dolfin e la Zancarola.
La prigionia dell'infelice provveditore durò più di sette anni, poiché, nonostante il trattato di pace tra la Repubblica e Milano (26 apr. 1433) prevedesse la restituzione dei prigionieri, il Visconti fece spargere la voce che il C. era morto, ed in questi termini rispose a due successive ambascerie veneziane (16 giugno e 12 luglio). Alla fine, dopo molto tempo, il duca dovette cedere alle rinnovate istanze del Senato, premuto dal figlio del C., Andrea, cui il padre, mediante uno stratagemma, era riuscito a far sapere d'esser vivo. A Venezia, però, tornava un uomo finito. Giunse in patria il 1° ott. 1439, per morire: "mandato in una burchiella per il Po, con la barba fino alla cintura, con una veste trista, e amalato, dalla quale infirmità adì 4 decembre la notte di Santa Barbara el morite". Continua la cronaca che il corpo fu sepolto nella chiesa dei SS. Apostoli, accompagnato dal doge e dalla Signoria al completo e circondato da una folla di popolo, da una grandissima folla.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro Arbori de' Patritii ..., III, p. 33; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Preziosi frutti, I, cc. 194v-195r. Per la carriera politica del C., Arch. di Stato di Venezia, Segr. alle voci, Misti, reg. 13, cc. 46v, sov, 173v; Ibid., Senato, Delib. secreta, reg. 3, cc. 21r, 60r, 62v; reg. 4, cc. 21v-22r, 24v, 26rv, 32r, 33v, 105v-240r; reg. 5, cc. 49v, 108r, 111v; reg. 6, cc. 18v, 72v. Per la Cronachetta Corner, Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3-755: Cronaca veneta Zancarola, pp. 1-23; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 794 (= 8503): Cronica venetaDolfin, cc. 3r-14r. Inoltre, P. C. Decembrio, Opuscola historica, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XX, 1, a cura di A. Butti-F. Fossati-G. Petraglione, pp. 42 s., 127, 219; Cronaca di ser Guerriero da Gubbio dall'anno 1350 all'anno 1472, ibid., XXI, 4, a cura di G. Mazzatinti, p. 50; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita, e le opere degli Scrittori viniziani…, I, Venezia 1752, p. 366; II, ibid. 1754, p. 414; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 125, 133, 159, 164-168; A. Battistella, Il conte Carmagnola, Genova 1889, pp. 120 s., 214, 229, 322 s., 330-332, 340: 342, 345 s., 355, 360, 383-387, 411, 418, 427-489, 509 s.; M. Mallett, Venice and itsCondottieri. 1404-54, in Renaissance Venice, a cura di J. R. Hale, London 1973, pp. 136 s., 144.