ACUTO, Giovanni
Così gli Italiani chiamavano John Hawkwood. Condottiero di ventura, nato nella contea di Essex, verso il 1320, da un possidente e mercante di campagna, fece le sue prime armi in Francia, nella guerra dei Cento anni. Conchiusa la pace di Brétigny (1360), discese con una piccola compagnia in Italia; e, dopo aver campeggiato qualche tempo in Piemonte, fu assunto dai Pisani come loro capitano generale, nella guerra che combattevano con Firenze (1364). E a Pisa, malgrado le defezioni dei suoi, l'A. rimase fedele, anche se non poté evitarne la sconfitta. Aiutò poi Giovanni dell'Agnello a farsi signore della città e, lui caduto, servì fino al 1372 Bernabò Visconti. Più tardi, militò agli stipendî della Chiesa, specialmente durante la ribellione delle Romagne nella guerra degli Otto Santi; ma, tentato invano di farsi intermediario di pace, si accostò di nuovo a Bernabò e finalmente prese servizio presso i Fiorentini, ottenendone grossi compensi (1377). D'allora in poi egli stette permanentemente con Firenze, cedendo agli Estensi un piccolo dominio, che, primo fra tutti i venturieri, si era formato con Bagnocavallo e Cotignola, concessegli dal Legato pontificio e da lui rafforzate con fortificazioni e ornate di edifici. Stabilitosi, anzi, a Firenze, egli si interessò alle vicende interne della città e cooperò nel 1379 al ristabilimento e al rafforzamento dell'oligarchia borghese. In campo, servì i suoi signori partecipando alla campagna dei Carraresi di Padova contro gli Scaligeri (1387), e alle lotte tra Durazzeschi e Angioini nel reame di Napoli (1389), fermando la marcia vittoriosa di Luchino dal Verme in Toscana, e frustrando il disegno di Gian Galeazzo Visconti d'impadronirsi di Firenze (1391). Chiuse così degnamente la sua carriera, il 17 marzo 1394, in quella città di Firenze che si può chiamare la sua seconda patria.
Venuto in Italia in un tempo che questa era piena di soldati oltramontani, l'A. si distinse grandemente sugli altri. Non fu un semplice capo di bande mercenarie, ma, per quasi un trentennio, esercitò un'influenza grande sulle cose politiche italiane; spesso fu arbitro delle relazioni fra stato e stato, e più volte accennò a costituirsi una propria signoria. Così vediamo anticipati in lui caratteri dei nostri più tardi venturieri: alcuni dei quali, del resto, come Alberico da Barbiano, furono suoi discepoli nell'arte militare. Valoroso in battaglia e abilissimo manovratore, si citano come esempî di perizia bellica la rotta da lui inflitta ai Fiorentini presso Càscina (1369), e la sua resistenza sull'Adige alle milizie del Dal Verme (1391). Mantenne nell'adempimento dei suoi impegni costanza e lealtà ben superiore a quella d'altri venturieri; e se gli si rimproverano saccheggi e stragi, consta che cercò di evitare se non le violenze, gli eccidî, rimanendo nelle crudeltà molto al disotto di altre milizie del tempo. Carissimo ai Fiorentini, ottenne da loro benefci per la sua famiglia e, ancor in vita, la deliberazione di un monumento sepolcrale nel duomo. Gli splendidissimi funerali furono celebrati anche da un Cantare contemporaneo; la salma venne reclamata dal re d'Inghilterra. Ma i Fiorentini vollero eternare le sembianze dell'A. in un affresco sulle pareti della cattedrale, rinnovato nel sec. XV da Paolo Uccello nella forma che tuttora si ammira.
Bibl.: G. Temple-Leader e G. Marcotti, Giovanni Acuto, Firenze 1889; L. Balduzzi, Bagnocavallo e Giovanni Hawkwood, in Atti e mem. per le provincie di Romagna, s. 3ª, II, 1884, p. 71.