Gentile, Giovanni
Filosofo e storico italiano della filosofia (Castelvetrano, Trapani, 1875 - Firenze 1944). Allievo, alla Scuola normale superiore di Pisa, di Jaja (che lo avvicinò al pensiero di Spaventa), di A. D’Ancona e di A. Crivellucci, fu prof. nelle univ. di Palermo (1906-13), Pisa (1914-16), Roma (dal 1917); direttore (1929-43) della Scuola normale superiore di Pisa, di cui promosse l’ampliamento e lo sviluppo; collaboratore con Croce per un ventennio nella redazione della Critica e nell’opera di rinnovamento della cultura italiana; fondatore (1920) e direttore del Giornale critico della filosofia italiana (➔); ministro della Pubblica istruzione (ott. 1922 - luglio 1924) e autore di una riforma organica del sistema scolastico che da lui prende il nome; senatore del Regno (dal nov. 1922). Considerò il fascismo come il continuatore della destra storica nell’opera del Risorgimento, e a esso aderì; ma si tenne lontano, soprattutto nella collaborazione intellettuale, da ogni intransigenza verso persone di differenti e opposti convincimenti. Dopo essere stato ministro della Pubblica istruzione, abbandonò la politica attiva, dedicandosi, oltre che agli studi, alla promozione e organizzazione di imprese culturali (in primo luogo l’Enciclopedia Italiana, di cui fu il direttore scientifico, 1925-43). Il 24 giugno 1943 riapparve alla ribalta politica con un discorso in Campidoglio, in cui auspicava, come italiano e «non gregario di un partito che divide», l’unione di tutte le forze per la salvezza del paese, che era sull’orlo della sconfitta. Nella seconda metà di novembre fu nominato da Mussolini presidente dell’Accademia d’Italia, trasferita in quei frangenti a Firenze, dove G. fu ucciso da un gruppo di partigiani (gli scritti suoi di quel tragico periodo furono poi raccolti dal figlio Benedetto nel volume: G. Gentile: dal discorso agli italiani alla morte, 1950).
La filosofia di G. si incentra sul concetto del pensiero come ‘atto puro’, da cui la denominazione di ‘attualismo’ o ‘idealismo attuale’ da essa assunta. Tale concetto è inteso non, come in Aristotele, quale realtà priva di potenza e quindi perfettamente realizzata, bensì come realtà che coincide con lo stesso processo di realizzazione, ossia come pensiero pensante o pensiero in prima persona o Io (risolvente in sé tutto il reale naturale o storico), il quale ‘è’ tale in quanto ‘non è’ già o di fatto, ma ‘diviene’, si fa. Pertanto l’Io – in cui G. ritrova l’io trascendentale di Kant liberato dal noumeno e da ogni dualismo di attività teoretica e pratica – si pone come sintesi «attuosa» di coscienza di sé e coscienza di altro da sé, o come autodeterminazione dell’autoconcetto nel concetto, il quale è il «risultato in cui termina un processo dinamico vivo». In questa conciliazione della fermezza del pensato e della dinamicità del pensare (in cui il primo è contenuto e risolto), G. trova l’inveramento della logica aristotelica, o dell’identità, e della logica hegeliana, o dialettica. Con la critica e la negazione di ogni presupposto dell’attività dell’Io, e quindi di ogni dualismo (di natura e spirito, finito e infinito, ecc.), si afferma l’assoluto spiritualismo o immanentismo. Tale concezione, che risolve tutta la realtà e ogni forma della vita spirituale nell’atto del pensiero, identifica questo ultimo con la filosofia o autocoscienza, quale mediazione dialettica dell’arte e della religione, concepita l’una come momento della pura soggettività o sentimento e l’altra come momento della pura oggettività; e conduce parimenti all’identificazione di storia e filosofia, come risoluzione del passato nel presente eterno dell’atto. Tale concezione è sviluppata da G. nelle sue opere filosofiche: La riforma della dialettica hegeliana (1913); Teoria generale dello spirito come atto puro (1916); I fondamenti della filosofia del diritto (1916); Sistema di logica (2 voll., 1917-23); Discorsi di religione (1920); Filosofia dell’arte (1931); Introduzione alla filosofia (1933); Genesi e struttura della società (post., 1946). Tutta la sua opera, assieme a quella di Croce, venne nel 1934 posta all’Indice.
G. ha svolto opera vastissima anche come storico della filosofia, attento soprattutto allo svolgimento della filosofia italiana: dallo studio Rosmini e Gioberti (1898, in cui riprendeva la sua tesi di laurea) ai volumi Dal Genovesi al Galluppi (1903); La filosofia (nella Storia dei generi letterari italiani, 1904-15, poi ripubblicato col titolo Storia della filosofia italiana fino a L. Valla); I problemi della scolastica e il pensiero italiano (1913); Le origini della filosofia contemporanea in Italia (4 voll., 1917-23); G. Capponi e la cultura toscana del sec. XIX (1922). La sua opera storiografica, in cui si avverte l’influenza della prospettiva hegeliano-spaventiana (per cui la storia della filosofia è l’attuarsi progressivo dello spirito), è ricca di contributi puntuali (come gli Studi vichiani, 1915, e i due voll. sul Rinascimento: Studi sul Rinascimento, 1923; Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, 1920; poi ripubblicato in 3ª ed., 1939, col titolo Il pensiero italiano del Rinascimento), nonché di ricerche erudite e di edizioni di testi soprattutto di filosofi italiani (da ricordare la collaborazione all’ed. di Vico e l’ed. dei Dialoghi metafisici e dei Dialoghi morali di Bruno). Da tale opera la storiografia filosofica ha ricevuto grande impulso, e molta influenza hanno esercitato certi suoi schemi interpretativi.
Dalla concezione attualistica G. ricavò, rispetto al problema educativo, due principali conseguenze: l’identità di pedagogia e filosofia e il concetto dell’autonomia dell’educando. L’educazione, essendo un processo che unifica l’educando e l’educatore, è propriamente ‘autoeducazione’. Queste idee presiedettero alla riforma della scuola del 1923 (La riforma della scuola in Italia, 1932): essa concepiva la scuola come funzione essenziale dello Stato, ma consentì, in omaggio al principio della libertà d’insegnamento, l’istituzione di scuole private, a fianco di quelle pubbliche. Allo Stato rimaneva il compito di controllare entrambe mediante l’esame di Stato, che doveva altresì accertare la maturità del candidato. Con la sua riforma G. intese sostituire all’istruzione manualistica e informativa quella formativa che si basa sul contatto diretto con gli autori classici. Egli riconobbe altresì, in antitesi all’indirizzo strettamente intellettualistico della scuola tradizionale, il valore dell’educazione estetica e di quella religiosa, promosse l’educazione fisica e sportiva e rinnovò le scuole di tipo moderno e professionale. Tra le opere pedagogiche si segnalano: Sommario di pedagogia (2 voll., 1913-14); La riforma dell’educazione (1920); Educazione e scuola laica (1921); Preliminari allo studio del fanciullo (1924).
Notevole anche il suo impegno nel campo dell’estetica e della critica letteraria (Frammenti di estetica e letteratura, 1921; Manzoni e Leopardi, 1928; Filosofia dell’arte, 1931; Studi su Dante, post., 1965). Teorizzando l’arte come il momento dialettico dell’immediato sentimento, che si media esprimendosi e incarnandosi nel pensiero o filosofia, di cui è l’«anima ascosa e presente», egli assegnò alla critica (in ciò intendendo riallacciarsi a F. De Sanctis) il compito di ricercare nell’artista l’uomo, ossia di considerare la forma come la concretezza di un contenuto reale (la concezione morale, la fede religiosa, il credo politico, ecc., di un artista). Pertanto un’opera di poesia non viene spezzata in poesia e non poesia, poesia e struttura, ma valutata nella sua unità e organicità, come opera di poesia e insieme di pensiero.
G., che alla scuola aveva dato il meglio di sé, ebbe una folta schiera di allievi e seguaci che, per un certo periodo, fecero dell’attualismo il sistema filosofico caratteristico della vita culturale italiana (emblematica fu la sezione di Filosofia – Spirito, Calogero, ecc. – dell’Enciclopedia, anche come luogo aperto alla discussione); negli ultimi anni di vita del filosofo, tuttavia, ebbe luogo un processo che doveva portare allo sfaldamento dell’unità del movimento attualistico, il quale si divise in due opposti indirizzi: l’uno teso a svilupparne i principi in forme di estremo storicismo e problematicismo, l’altro centrato sul tentativo di conciliarlo con la trascendenza e il teismo tradizionali.
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